Cass. Sez. III n. 41161 del 22 ottobre 2012 (Ud 17 apr. 2012)
Pres. Squassoni Est. Grillo Ric. Cozzo
Rifiuti. Legislazione emergenziale ed ambito di operatività
La fattispecie contemplata dall'art. 6 comma 1° lett. a) prima parte del D.L. 172/08 integra una ipotesi di reato comune, e non proprio, come invece risulta dal testo dell'art. 256 comma 2° del D. L.vo 152/06: in altri
termini tra i soggetti autori delle condotte penalmente rilevanti enumerate alle lettere da a) ad h) dell'art. 6 D.L. 172/08 rientrano anche soggetti privati non qualificati, stante l'espressione “chiunque" non figurante, invece nell'omologa figura contravvenzionale prevista dall'art. 256 comma 2° citato. La ratio dell'estensione dell'area della punibilità penale anche dal punto di vista soggettivo è data dalla maggiore gravità attribuita dal legislatore a condotte poste in essere in aree geografiche di particolare sensibilità nella materia dei rifiuti, quali la Campania: ciò spiega l'intensificazione e rimodulazione del regime sanzionatorio attraverso la previsione di fattispecie delittuose in aggiunta a quelle contravvenzionali.
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 17/04/2012
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere - N. 1063
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere - N. 27540/2011
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
1) COZZO CIRO N. IL 12/04/1950;
avverso la sentenza n. 1687/2009 CORTE APPELLO di SALERNO, del 08/04/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Delehaye Enrico che ha concluso per il rigetto.
Udito il difensore avv. Di Bisceglie Eugenio di Sala Consilina. RITENUTO IN FATTO
1.1 Con sentenza del 25 febbraio 2009 il Tribunale di Sala Consilina, all'esito del giudizio abbreviato, dichiarava COZZO Ciro, imputato del delitto di cui al D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. d), nn. 1) e 2) (illecito trasporto di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi senza autorizzazione ne' iscrizione all'albo), colpevole del detto reato e, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva e ritenuta la continuazione, lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione.
1.2. La Corte di Appello di Salerno, investita dell'appello proposto dall'imputato, con sentenza dell'8 aprile 2011 in parziale riforma, riqualificava la condotta nel delitto di cui all'art. 6, comma 1, lett. a) prima parte del suddetto D.L. e ritederminava la pena - ferme le attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva - in mesi due e giorni venti di reclusione che sostituiva, L. n. 689 del 1981, ex art. 53, con la corrispondente sanzione pecuniaria della multa pari ad Euro 3.040,00. Osservava al riguardo la Corte territoriale che, in assenza di prova circa l'abitualità del trasporto illecito di rifiuti, si versava nella meno grave e diversa ipotesi dell'abbandono incontrollato di rifiuti in forma occasionale, escludendo la tesi difensiva dell'illecito amministrativo, trattandosi di rifiuti speciali pericolosi ed ingombranti.
1.3. Avverso detta sentenza propone ricorso l'imputato a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. a), nonché mancanza o contraddittorietà o illogicità manifesta della motivazione in punto di qualificazione della condotta da considerarsi mero illecito amministrativo, non trattandosi ne' di rifiuti pericolosi, ne' di rifiuti ingombranti. Con un secondo motivo la difesa deduce violazione della legge processuale penale (art. 522 cod. proc. pen.) per avere la Corte di Appello, nel riqualificare la condotta, individuato un fatto nuovo e diverso rispetto alla originaria contestazione e tale da imporre la restituzione degli atti al P.M., così pregiudicando i diritti della difesa, ivi compresa la scelta del rito. Con un terzo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale nonché motivazione illogica e/o contraddittoria in punto di determinazione della pena irragionevolmente elevata rispetto al fatto come ritenuto in sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato. Come ricordato dalla Corte territoriale, il fatto originariamente contestato all'imputato - e per il quale era stata pronunciata condanna dal Tribunale -concerneva l'ipotesi del trasporto non autorizzato di rifiuti speciali, pericolosi e non, disciplinato dal D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. d), nn. 1 e 2. Nel corso del giudizio di appello è emerso invece che il fatto ascrivibile all'imputato andava inquadrato nell'ambito di una mera attività di abbandono di rifiuti speciali, pericolosi e non, in sito non autorizzato, disciplinato dal D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. a) prima parte.
2. Tanto detto, la prima questione che questa Corte è chiamata a risolvere afferisce alla corretta qualificazione del fatto così come ritenuto nella sentenza impugnata, posto che il ricorrente deduce che la condotta in concreto da lui posta in essere non rientrava nell'area del penalmente rilevante bensì entro i confini dell'illecito amministrativo. Trattasi di tesi già prospettata in sede di appello e risolta correttamente dalla Corte territoriale in termini opposti a quelli formulati dall'imputato. Per completezza può dirsi che la fattispecie contemplata dal D.L. n. 172 del 2008, art. 6, comma 1, lett. a), prima parte, integra una ipotesi di reato comune, e non proprio, come invece risulta dal testo del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2: in altri termini tra i soggetti autori delle condotte penalmente rilevanti enumerate alle lettere da a) ad h) del D.L. n. 172 del 2008, art. 6, rientrano anche soggetti privati non qualificati, stante l'espressione "chiunque" non figurante, invece nell'omologa figura contravvenzionale prevista dall'art. 256, comma 2 citato. La ratio dell'estensione dell'area della punibilità penale anche dal punto di vista soggettivo è data dalla maggiore gravità' attribuita dal legislatore a condotte poste in essere in aree geografiche di particolare sensibilità nella materia dei rifiuti, quali la Campania: ciò spiega
l'intensificazione e rimodulazione del regime sanzionatorio attraverso la previsione di fattispecie delittuose in aggiunta a quelle contravvenzionali.
3. Per quanto qui rileva, il testo dell'art. 6, comma 1, lett. a) include tra le condotte di rilievo penale quelle realizzabili da "chiunque, in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0,5 mc. e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza, o larghezza superiori a cinquanta centimetri" con la previsione della reclusione fino a tre anni e sei mesi. Accanto a tale condotta viene prevista altra condotta sanzionabile solo in via amministrava laddove essa riguardi "rifiuti diversi" si intende da quelli indicati nella prima parte del comma in esame.
3. Come rottamente osservato dalla Corte territoriale, nessuna incidenza favorevole ai fini della qualificazione della condotta come illecito amministrativo potevano assumere le dimensioni più o meno ingombranti e/o non corrispondenti a quelle misure indicate nella prima parte dell'articolo in esame, tenuto conto che la disgiuntiva "o" figurante nel testo prevede due categorie di rifiuti (pericolosi e speciali) mentre la disgiuntiva "ovvero" si riferisce soltanto alla categoria dei rifiuti ingombranti domestici: solo rispetto a questi ultimi possono riferirsi i dati volumetrici o geometrici (altezza, lunghezza o larghezza) che nessuna rilevanza possono assumere per le prime due categorie di rifiuti (quelli cioè pericolosi o speciali) per i quali la punibilità è prevista per il fatto stesso della appartenenza a una delle due categorie, indipendentemente dalle dimensioni. Correttamente, quindi, la Corte è pervenuta al giudizio di colpevolezza, sia pure attraverso una riqualificazione del fatto più favorevole, evidenziando la natura pericolosa e/o speciale del rifiuto. Ed altrettanto correttamente la Corte ha escluso la configurabilità di un mero illecito amministrativo, non risultando quei rifiuti diversi da quelli inclusi in una (o più) delle tre categorie sopra indicate.
4. La censura relativa alla pretesa violazione della regola di corrispondenza tra accusa e sentenza non è parimenti fondata, per le ragioni sinteticamente enunciate dalla Corte territoriale cui si ritiene di dover aggiungere le seguenti specificazioni. 5. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza va inteso, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale e non in senso formalistico. La disposizione in parola è strutturata, infatti, nell'intento di impedire che un soggetto possa essere condannato per un fatto diverso da quello per il quale era stato chiamato a difendersi: è evidente che, in tanto può profilarsi un simile pericolo, in quanto il fatto, all'esito del giudizio, risulti modificato nei suoi tratti essenziali, con la conseguenza che nel caso di fatto storico invariato e che abbia comportato, in sede di sentenza, una qualificazione giuridica diversa attribuita dal giudice, l'eventualità paventata non si verifica più.
6. Peraltro la riqualificazione della condotta sotto altro titolo, pur rimanendo immutato il fatto soprattutto se sfociante in una fattispecie di minore gravità, rafforza tale conclusione in ossequio al principio che il più contiene il meno (in termini Cass. Sez. 3^ 11.2.2010 n. 12443, Coculo ed altro, Rv. 266458 con riferimento alla ipotesi di condanna intervenuta per il reato di abbandono di rifiuti a fronte di una originaria contestazione di discarica non autorizzata; analogamente Cass. Sez. 3^ 24.1.2010, 7606, Agrosì, Rv. 252105).
7. In aggiunta a tali considerazioni non è superfluo ricordare che le SS.UU. di questa Corte hanno affermato, in particolare, che "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione" e che "... vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione" (in termini Cass. SS.UU. 22.10.1996, n. 16, Di Francesco; v. anche per richiami, Cass. Sez. 3^ 17.11.2010 n. 7214, Copeti, Rv. 249250).
8. A tali regole si è uniformata la Corte territoriale, rimarcando che l'attività dell'imputato si era limitata all'abbandono alla rinfusa di alcuni oggetti domestici (fili elettrici, carcasse di frigoriferi e lavatrici; sportelli di frigoriferi, etc.) qualificati come speciali e pericolosi in quanto inclusi nell'elenco di cui all'allegato D) alla parte quarta del D.Lgs. n. 152 del 2006. 9. Ed a riprova della non limitazione dei diritti della difesa è bene evidenziare che era stato lo stesso ricorrente, in sede di proposizione dell'appello, a richiedere in via subordinata la riqualificazione della condotta negli esatti termini in cui la Corte di Appello l'ha poi effettuata, con ciò fornendo per tabulas la dimostrazione di essersi posto nelle condizioni di difendersi adeguatamente dalla contestazione.
10. Sotto altro profilo - e sempre con riferimento al secondo motivo del ricorso - è, incomprensibile la tesi del ricorrente secondo la quale la violazione de, principio di correlazione tra accusa e sentenza avrebbe Inibito all'imputato l'esercizio di una diversa attività difensiva oltretutto nemmeno indicata, non avendo il ricorrente segnalato quale sarebbe stato, in concreto, pregiudizio subito: il che conduce ad una palese infondatezza - sotto tale peculiare aspetto - della relativa censura.
11. Altrettanto infondata la censura rivolta alla sentenza in punto di omessa motivazione in mento alla (ri)determinazione del trattamento sanzionatolo effettuata su base irragionevolmente elevata pur a fronte della scarsa rilevanza della condotta: il giudice distrettuale, pur prendendo atto della non particolare gravità del fatto, ha (ri)modulato la pena, valorizzando il dato negativo dei precedenti penali dell'imputato sia pure risalenti nel tempo, per giustificare l'irrogazione di una pena non corrispondente al minimo edittale. La motivazione, quindi, sul punto, appare improntata a criteri di logicità ed equità, nel pieno rispetto dell'art. 133 cod. pen..
12. È infatti orientamento pacifico di questa Corte che l'accenno al concetto di equità in uno al richiamo ai parametri fissati nell'art. 133 cod. pen. ed alla capacità a delinquere costituisce elemento sufficiente ai fini della determinazione del trattamento sanzionaio non occorrendo una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata necessaria soltanto ove essa si discosti notevolmente dai minimi edittali (Cass. Sez 2-26.6.2009 n. 36245, Denaro, Rv. 245596).
13. A. rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2012