Cass. Sez. III n. 18928 del 20 aprile 2017 (Ud 15 mar 2017)
Presidente: Amoresano Estensore: Ramacci Imputato: Valenti
Rifiuti.Gestione di rifiuti e prova della buona fede
In tema di gestione di rifiuti, incombe su colui che opera nel settore l’obbligo di una adeguata informazione circa le disposizioni che regolano la materia, nonché, qualora invochi la buona fede, l’onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza del 9/3/2015 ha riconosciuto Marco VALENTI, legale rappresentante della “Arno Inerti s.r.l.”, responsabile dei reati di cui agli artt. 256, comma 1, lett. a) e comma 4 d.lgs. 152\06, per aver effettuato, in assenza di titolo abilitativo, attività di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi: rifiuti misti da demolizione e costruzione per mc 15.286, rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo per mc 4.805, rifiuti costituiti da cemento per mc 70.600, rifiuti costituiti da metalli misti per kg 1.700 (in Regello fino al 23/4/2013) e di trasporto, in sedici diverse occasioni, di rifiuti speciali non pericolosi (materiali provenienti da cantieri edili ubicati in Firenze e Dicomano, CER 170904) con due diversi automezzi (in Regello e Dicomano tra il 3 ed il 18/4/2013), nonché per l’esercizio di attività di gestione di rifiuti senza rispettare le prescrizioni contenute nella “dichiarazione di inizio attività di trattamento e recupero rifiuti” del 24/9/2010 (In Regello tra il 10/12/2012 ed il 23/4/2013) e lo ha condannato alla pena dell’ammenda.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso lamenta la violazione di legge, osservando che il giudice del merito avrebbe dovuto applicare l’art. 5 cod. pen., riconoscendo la buona fede cui si era ripetutamente fatto riferimento nel corso del dibattimento, rilevando anche di aver ricoperto la carica di legale rappresentante della società soltanto il mese precedente all’accertamento dei fatti.
3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione osservando che la normativa di settore presenterebbe oggettivi e rilevanti connotati di equivocità, sicché la sentenza impugnata risulterebbe illogica laddove afferma che l’imputato, in un mese, ben avrebbe potuto ottemperare a quanto disposto, ovvero iniziare ad ottemperarvi.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre preliminarmente rilevare che la sussistenza dei fatti di cui all’imputazione, accertata dal giudice del merito, non è oggetto di contestazione, avendo il ricorrente incentrato le proprie doglianze unitamente in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati.
Nel far ciò, tuttavia, utilizza argomenti estremamente generici, quasi del tutto privi di riferimenti alla diffusa motivazione posta a sostegno dell’impugnata sentenza.
2. Per quanto riguarda, in particolare, la corretta applicazione dell’articolo 5 cod. pen., in tema di ignoranza della legge penale, non può che richiamarsi quanto affermato, a seguito della ben nota sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, dall'altrettanto nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo la quale “per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto“(Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 19788501)
Successivamente si è precisato che l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale non si configura quando l'agente svolge una attività in uno specifico settore rispetto al quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/2/2008, Ciccone, Rv. 240440; Sez. 3, n. 1797 del 16/1/1996, Lombardi, Rv. 205384. V. anche Sez. 3, n. 11045 del 18/2/2015, De Santis e altro, Rv. 26328801 che le richiama) e che l'ignoranza, da parte dell'agente, sulla normativa di settore e sull'illiceità della propria condotta è idonea ad escludere la sussistenza della colpa se indotta da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della pubblica amministrazione (Sez. 3, n. 35314 del 20/5/2016, P.M. in proc. Oggero, Rv. 26800001; Sez. 1, n. 47712 del 15/7/2015, Basile, Rv. 26542401; Sez. 3, n. 42021 del 18/7/2014, Paris, Rv. 26065701; Sez. 3, n. 35694 del 5/4/2011, Pavanati, Rv. 25122501; Sez. 4, n. 32069 del 15/7/2010, P.M. in proc. Albuzza e altri, Rv. 24833901), ovvero ad una precedente giurisprudenza assolutoria o contraddittoria o ad una equivoca formulazione del testo della norma (Sez. 3, n. 29080 del 19/3/2015, P.M. in proc. Palau, Rv. 26418401).
Tali principi sono stati affermati anche con riferimento specifico alla gestione di rifiuti (v. Sez. 3, n. 35314 del 20/5/2016, P.M. in proc. Oggero, Rv. 26800001, cit.; Sez. 3, n. 42021 del 18/7/2014, Paris, Rv. 26065701, cit.; Sez. 3, n. 11497 del 15/12/2010 (dep. 2011), Carobbio, Rv. 24977201; Sez. 3, n. 45342 del 19/10/2011, Mastrangelo, Rv. 25133701; Sez. 3, n. 49910 del 4/11/2009, Cangialosi e altri, Rv. 24586301; Sez. 3, n. 5872 del 19/4/1994, P.M. in proc. Del Monte, Rv. 19783001; Sez. 3, n. 10958 del 30/9/1992, Rigamonti, Rv. 19219501; Sez. 3, n. 8429 del 5/7/1991, Jeanmonod, Rv. 18879401 ed altre prec. conf.).
La prova della sussistenza della buona fede deve, inoltre, essere fornita dall'imputato, il quale ha anche l'onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per rispettare la norma violata (si vedano, con riferimento ad altre fattispecie contravvenzionali, Sez. 4, n. 9165 del 5/2/2015, Felli, Rv. 26244301; Sez. 3, n. 46671 del 5/10/2004, Sferlazzo, Rv. 23088901).
3. Ciò posto, si osserva che nel caso di specie, il giudice del merito ha evidenziato come la situazione di illegalità riscontrata nell’azienda, della quale il ricorrente era legale rappresentante, fosse da questi ben conosciuta, in quanto coloro che avevano effettuato i controlli gli avevano assegnato, mediante una nota, un termine di un mese per rimuovere i rifiuti presenti.
Si osserva, inoltre, nella sentenza impugnata, che i trasporti illeciti effettuati erano sedici ed erano stati ripetuti nel tempo e che nonostante l’invito a rimediare alla situazione riscontrata in occasione dei controlli, l’imputato non aveva neppure iniziato la rimozione dei rifiuti.
4. Tali dati fattuali, come correttamente rilevato dal giudice del merito, appaiono seriamente indicativi della piena sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e con essi non si confronta minimamente il ricorrente, limitandosi ad invocare una buona fede in realtà insussistente.
Invero, la posizione rivestita dall’imputato in seno alla società gli imponeva un obbligo di adeguata informazione in ordine alla disciplina di settore al quale, evidentemente, egli non ha ottemperato e l’affermazione circa l’erroneo convincimento di aver agito lecitamente, che traspare in ricorso, risulta platealmente smentita da quanto accertato in fatto dal giudice del merito.
5. Va conseguentemente affermato che, in tema di gestione di rifiuti, incombe su colui che opera nel settore l’obbligo di una adeguata informazione circa le disposizioni che regolano la materia, nonché, qualora invochi la buona fede, l’onere di dimostrare di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata.
6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 15.3.2017