Cass. Sez. III n. 44444 del 4 novembre 2013 (ud.3 ott. 2013)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Bunazza ed altro
Rifiuti. Esercizio degli impianti di incenerimento e coincenerimento
Il reato di cui all'art.19, comma 12 d.lgs. 11 maggio 2005, n. 133 si configura (anche) con l'inosservanza delle prescrizioni contenute nell'art. 8, comma 1, che hanno carattere generale e riguardando l'adozione di adeguate misure affinché le attrezzature utilizzate nell'esercizio degli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti siano progettate e gestite in modo da ridurre le emissioni e gli odori, secondo i criteri della migliore tecnologia disponibile, senza che sia quindi necessaria una espressa previsione nel titolo abilitativo.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 14.12.2011, ha riconosciuto la responsabilità penale di B.A. ed G.O., che condannava alla pena dell'ammenda, per il reato di cui all'art. 110 cod. pen., D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 8, comma 1 e art. 19, comma 12 perchè, in concorso tra loro, il B. quale direttore tecnico della "SE.VER.A. S.p.a.", delegato all'assunzione dei poteri-doveri di datore di lavoro e legale rappresentante e gestore nella materia dell'ecologia e alla tutela dell'ambiente ed il G. quale gestore materiale, nell'esercizio di un impianto di termo-distruzione di rifiuti solidi urbani in località (OMISSIS) non adottavano tutte le misure affinchè le attrezzature utilizzate per la ricezione, gli stoccaggi, i pretrattamenti e la movimentazione dei rifiuti, nonchè la movimentazione e lo stoccaggio dei residui prodotti, fossero progettate e gestite in modo da ridurre le emissioni e gli odori, secondo la miglior tecnologia disponibile. In particolare, depositavano i rifiuti solidi urbani in ingresso ed i rifiuti prodotti, consistenti nelle scorie incenerite, in aree prive di sistemi atti al contenimento degli odori generati dai rifiuti medesimi.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione.
2. Con un unico motivo di ricorso deducono la violazione di legge, denunciando l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 8, comma 1 in relazione all'art. 19 del medesimo decreto, rilevando la mancanza di uno degli elementi costitutivi del reato e, segnatamente, l'inesistenza di prescrizioni concernenti le emissioni di odori.
Rilevano, a tale proposito, che l'art. 19 citato, nel riferirsi alla inosservanza di prescrizioni di cui all'art. 8, comma 1, intende richiamare, come emerge dalla menzione della "migliore tecnologia disponibile", quelle impartite con l'atto autorizzatorio dall'autorità che lo rilascia e che, nella fattispecie, non sono state previste, mancando nell'atto abilitativo la indicazione di specifiche misure per le emissioni odorigene, limitandosi tale atto a richiamare la formula dell'adozione di accorgimenti affinchè le attrezzature dell'impianto siano gestite in modo da ridurre gli odori.
Insistono, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Il D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 133, recante "Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti", disciplina, come si desume dall'art. 1, comma 1, gli impianti di incenerimento e di coincenerimento dei rifiuti, stabilendo le misure e le procedure finalizzate a prevenire e ridurre, per quanto possibile, gli effetti negativi dell'incenerimento e del coincenerimento dei rifiuti sull'ambiente in generale e, in particolare, l'inquinamento atmosferico, del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonchè i rischi per la salute umana che ne derivino.
Si tratta di disciplina speciale rispetto a quella generale sui rifiuti delineata dal D.Lgs. n. 152 del 2006 come osservato dalla Corte Costituzionale, la quale ha rilevato che il complesso di norme contenute nel menzionato decreto si pone "in termini di specialità rispetto alla disciplina generale riguardante gli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, contenuta nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 208 e ss. (Norme in materia ambientale), e rispetto a quella riguardante i soli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, sottoposti all'autorizzazione integrata ambientale, già contenuta nel D.Lgs. n. 59 del 2005, oggi trasfusa nel Titolo 3- bis del D.Lgs. n. 152 del 2006" (Corte Cost. Ord. 253, 27 luglio 2011).
Il d.lgs. richiama, quanto al regime autorizzatorio, quello previsto da disposizioni generali, cui si aggiungono le ulteriori disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 4 e ss..
L'art. 8, comma 1 stabilisce che, nell'esercizio di detti impianti, "devono essere adottate tutte le misure affinchè le attrezzature utilizzate per la ricezione, gli stoccaggi, i pretrattamenti e la movimentazione dei rifiuti, nonchè per la movimentazione o lo stoccaggio dei residui prodotti, siano progettate e gestite in modo da ridurre le emissioni e gli odori, secondo i criteri della migliore tecnologia disponibile".
4. Tale disposizione, come è dato desumere dal tenore letterale dei contenuti e dal titolo, considera le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento e di coincenerimento, quindi l'attività concretamente svolta dagli impianti una volta realizzati ed autorizzati, prendendo in esame le caratteristiche progettuali e le modalità di gestione delle apparecchiature utilizzate nelle varie fasi dell'attività, allo scopo di limitare emissioni ed odori.
Si tratta, come è evidente, di disposizione di carattere generale, la quale fa infatti riferimento generico alle conseguenze che si intende evitare e riguarda, come si è detto, non l'impianto nel suo complesso, rispetto al quale operano altre disposizioni del decreto, come l'art. 9 per quanto riguarda i valori limite di emissione nell'atmosfera, ma i singoli macchinari utilizzati.
Un ulteriore conferma di quanto appena osservato può ricavarsi anche dal richiamo ai criteri della migliore tecnologia disponibile che, come è noto, è una espressione più volte utilizzata dal legislatore per contemperare gli interessi di tutela ambientale con quelli dello sviluppo economico prevedendo, nel tempo, l'adozione, in maniera progressiva, di tecniche sempre più avanzate con costi sopportabili, senza che ne sia ovviamente possibile la preventiva individuazione.
5. Il D.Lgs. n. 133 del 2005, art. 19, comma 12 sanziona con la pena dell'ammenda da tremila Euro a trentamila Euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato e salvo quanto previsto al successivo comma 13, chiunque, "nell'esercizio di un impianto autorizzato di incenerimento o coincenerimento, non osserva le prescrizioni di cui all'art. 4, comma 2, o all'art. 5, comma 3, o all'art. 7, comma 1, o all'art. 8, comma 1".
Il richiamo all'art. 8 viene tuttavia interpretato dai ricorrenti, come si è detto, nel senso che le prescrizioni menzionate nell'art. 8 possono essere soltanto quelle imposte con l'atto autorizzatorio, ma la correttezza di una simile lettura della norma è palesemente smentita da quanto osservato in precedenza, perchè non si vede come sia possibile, da parte dell'ente preposto al rilascio del titolo abilitativo, non soltanto prevedere le individuazioni delle migliori tecnologie in futuro disponibili, ma anche stabilire le modalità di progettazione e gestione delle apparecchiature utilizzate.
La infondatezza dell'opzione ermeneutica suggerita in ricorso si palesa di macroscopica evidenza anche a seguito della mera lettura delle disposizioni contenute nel decreto legislativo, ove per richiamarne i contenuti viene sovente utilizzato il termine "prescrizioni" con indicazione dell'articolo che le contiene (art. 6, comma 1; art. 7, comma 1; art. 8, comma 7; art. 16 comma 4), mentre, quando ci si riferisce alle imposizioni dell'atto abilitativo, quest'ultimo viene espressamente menzionato (art. 4, comma 3, lett. f), comma 8 e comma 9; art. 5, comma 5, lett. f), comma 12 e comma 13; art. 8, comma 4 ; art. 10, comma 3).
Nell'art. 7, comma 6 si rinvengono, peraltro, riferimenti tanto alle prescrizioni dell'atto autorizzatorio che a quelle contenute nel testo del decreto stesso, così come nell'art. 17, laddove si stabilisce che "i soggetti incaricati dei controlli sono autorizzati ad accedere in ogni tempo presso gli impianti di incenerimento e coincenerimento per effettuare le ispezioni, i controlli, i prelievi e i campionamenti necessari all'accertamento del rispetto dei valori limite di emissione in atmosfera e in ambienti idrici, nonchè del rispetto delle prescrizioni relative alla ricezione, allo stoccaggio dei rifiuti e dei residui, ai pretrattamenti e alla movimentazione dei rifiuti e delle altre prescrizioni contenute nei provvedimenti autorizzatori o regolamentari e di tutte le altre prescrizioni contenute nel presente decreto".
L'uso indifferenziato del termine si rinviene, inoltre, nello stesso articolo 19 ove, nel prevedere le sanzioni, si richiamano le "prescrizioni" dell'art. 8 nel comma 12, quelle delle autorizzazioni (in deroga) nei commi 13 e 14 e si fa riferimento ad entrambe le tipologie nell'ultimo comma, ove il richiamo riguarda "le prescrizioni di cui al presente decreto, o quelle imposte dall'autorità competente in sede di autorizzazione".
6. Deve pertanto affermarsi il principio secondo il quale il reato di cui al D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 133, art. 19, comma 12 si configura (anche) con l'inosservanza delle prescrizioni contenute nell'art. 8, comma 1, che hanno carattere generale e riguardando l'adozione di adeguate misure affinchè le attrezzature utilizzate nell'esercizio degli impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti siano progettate e gestite in modo da ridurre le emissioni e gli odori, secondo i criteri della migliore tecnologia disponibile, senza che sia quindi necessaria una espressa previsione nel titolo abilitativo.
7. Ciò posto, deve rilevarsi che, nella fattispecie, risultano accertate in fatto l'assenza di adeguati sistemi di contenimento degli odori prodotti in alcune aree dello stabilimento e la diffusione "nell'aria e nelle zone adiacenti di odori nauseabondi" (pag. 2 della sentenza impugnata), sicchè la qualificazione della condotta posta in essere dai ricorrenti effettuata dal giudice del merito risulta giuridicamente corretta e la sentenza impugnata immune da censure.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2013