Cass. Sez. III n. 4181 del 30 gennaio 2018 (Ud 7 apr 2017)
Presidente: Ramacci Estensore: Galterio Imputato: Rossomanno
Rifiuti.Deposito temporaneo e collegamento funzionale tra aree diverse

Ad integrare la nozione di collegamento funzionale ai fini del deposito temporaneo concorre non soltanto dal punto di vista spaziale la contiguità dell’area a tal fine utilizzata rispetto a quella di produzione dei rifiuti, ma altresì la destinazione originaria della medesima in ragione dello strumento urbanistico e dell’assenza di una sua autonoma utilizzazione in concreto diversa da quella accertata



RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 19.4.2016 la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale della stessa città che aveva condannato Pietro Rossomanno e Umberto e Patrizio Chiaravalloti alla pena di otto mesi di reclusione per il reato di cui all’art.6, comma 1 lett.b) l. 210/2008 per aver depositato in modo incontrollato sul terreno del Rossomanno che aveva, in qualità di proprietario, dato il suo consenso all’utilizzo dell’area, rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da materiali di tipo edilizio provenienti da attività demolizione svolta nel centro storico del Comune di Davoli in assenza della necessaria autorizzazione e senza stoccaggio, trattamento o riutilizzo dei medesimi.
Avverso la suddetta sentenza gli imputati hanno proposto per il tramite del difensore, ricorso per Cassazione articolando due motivi di ricorso.
2. Con il primo motivo deducono in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art.6 comma 1 lett. b) d. lgs. 172/2008 e al vizio motivazionale che arbitrariamente la sentenza impugnata aveva escluso la natura della raccolta dei rifiuti come deposito temporaneo, essendo incorsa in plurime contraddizioni, costituite:
a) dalla censurata mancanza di autorizzazione che sembra essere richiesta in ogni caso, e invece non è contemplata per il deposito temporaneo che era tale in virtù del collegamento logistico, operativo e funzionale con il luogo di produzione dei rifiuti in virtù dell’autorizzazione comunale all’appalto dei lavori edili che aveva disposto di utilizzare altro luogo rispetto al cantiere per la collocazione temporanea dei rifiuti;
b) dalla mancata indicazione, a fronte dell’accezione quanto mai lata del luogo di produzione dei rifiuti, del motivo per il quale un terreno nella disponibilità della ditta appaltatrice a poca distanza dal cantiere dal quale provenivano i rifiuti non potesse considerarsi collegato funzionalmente al luogo di produzione dei rifiuti medesimi;
c) dal censurato mancato raggruppamento dei rifiuti per categorie omogenee, laddove i materiali rinvenuti erano di un’unica tipologia, cioè derivanti da lavori edili di demolizione (categoria CER);
d) dalla affermazione dello stato di abbandono dei rifiuti, laddove si trattava di materiale non biodegradabile appoggiato solo provvisoriamente sul terreno, come dimostrava la circostanza che i lavori erano ancora in corso.
2. Con il secondo motivo contestano in relazione al vizio motivazionale, la mancata verifica della sussistenza del dolo, esclusa dal fatto che essendo intercorso un accordo con il Comune contemplante l’allontanamento dei materiali di scarto dal cantiere dei lavori, il raggruppamento dei rifiuti sul suddetto terreno era un mero adempimento contrattuale che li costringeva pure ad un esborso economico e che nessun obbligo di informazione poteva essere posto a carico degli imputati, non essendovi alcuna necessità di autorizzazione per un deposito temporaneo.
    3. In data 17.3.2017 la difesa ha depositato una successiva memoria con la quale illustra ulteriormente i motivi del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo non può ritenersi fondato.
Come ripetutamente affermato da questa Corte in materia di reati ambientali, l'onere della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni fissate dall'art. 183 del D. Lgs. n. 152 del 2006 per la liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria (Sez. 3, n. 23497 del 17/04/2014 - dep. 05/06/2014, Lobina, Rv. 26150701; Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015 - dep. 08/07/2015, Favazzo e altro, Rv. 264121). La norma in esame pone una serie di indefettibili condizioni, tutte concorrenti, per la configurabilità, in presenza di raggruppamento di rifiuti, di un deposito temporaneo, con la conseguenza che in difetto anche di uno di essi il deposito non può ritenersi temporaneo (Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014 - dep. 23/09/2014, Rodolfi, Rv. 260384) e segnatamente: «1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento; 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno; 3) il «deposito temporaneo» deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute; 4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose; 5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo». Condizioni queste cui si aggiunge quale requisito principale, immanente rispetto agli elementi indicati, il raggruppamento dei rifiuti  nel luogo in cui gli stessi sono prodotti.
Ciò posto, l’asserita negazione della natura di rifiuti dei materiali rinvenuti sul terreno del Rossomanno si pone in contrasto con i dati fattuali evidenziati dai giudici di appello e non suscettibili di valutazione in questa sede di legittimità, posto che nessuna dimostrazione è stata fornita dai ricorrenti in ordine all’eseguito raggruppamento dei rifiuti per categorie omogenee e nel rispetto delle relative norme tecniche, essendo stata per contro accertata dalla Corte territoriale sia la presenza sul terreno di rifiuti di diversa composizione e natura, quali laterizi, materiale ferroso e lastre di asfalto e perciò correttamente definiti ”eterogenei”, non valendo ad imprimere alcuna connotazione di omogeneità la circostanza che provenissero tutti dall’attività di demolizione eseguita nel cantiere edile al centro storico del paese, sia la loro collocazione direttamente sul terreno senza alcuna cautela, esposti agli agenti atmosferici, configurandosi “come un enorme ammasso di materiale ingente ivi abbandonato da tempo ed alla rinfusa”, all’evidenza sintomatico della definitiva collocazione dei rifiuti su tale area e della correlativa intenzione da parte degli imputati di disfarsene.  La costante giurisprudenza della Corte di cassazione si è espressa nei termini correttamente esposti nella motivazione della sentenza impugnata, e non può in questa sede che ribadirsi il principio secondo cui l'accumulo di una quantità consistente di materiali vari (nel caso di specie, materiali ferrosi, da scavo, da demolizione) non corrisponde alla ipotesi, prospettata dai ricorrenti, di deposito temporaneo o controllato, bensì alla ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti (Sez. 3, n. 21024 del 25 febbraio-5 maggio 2004, Eoli, Rv 229226; Sez. F. n. 33791 del 21/08/2007 - dep. 03/09/2007, Cosenza, Rv. 237585).
Del pari incondivisibili risultano le allegazioni difensive in ordine al luogo del commesso reato. Vero è che, secondo l’interpretazione data da questa Corte nella vigenza del testo dell’art.183 lett. bb) antecedente alle modifiche apportate dalla l. 6.8.2015 n.125, il luogo di produzione dei rifiuti rilevante ai fini della nozione di deposito temporaneo è stato ritenuto non solo quello in cui i rifiuti sono prodotti ma anche quello in disponibilità dell'impresa produttrice nel quale gli stessi sono depositati, purchè funzionalmente collegato a quello di produzione (Sez. 3, n. 35622 del 11/07/2007 - dep. 27/09/2007, P.G. in proc. Pili e altro, Rv. 23738801); ciò nondimeno la disposizione data dall’amministrazione comunale nell’ambito del contratto di appalto stipulato con la ditta Chiaravalloti di allontanamento dal cantiere edile, sito nel centro storico del paese, del materiale non utilizzato non vale ad imprimere all’area adoperata dagli imputati, di cui il contratto di appalto non fa menzione, per l’accantonamento del materiale di scarto alcun vincolo di asservimento funzionale al cantiere nel quale i rifiuti venivano prodotti, al cui smaltimento il titolare dell’impresa appaltatrice avrebbe dovuto provvedere autonomamente con l’organizzazione di mezzi idonei in conformità alle disposizioni di legge. Ad integrare la nozione di collegamento funzionale  infatti concorre non soltanto dal punto di vista spaziale la contiguità dell’area a tal fine utilizzata rispetto a quella di produzione dei rifiuti, ma altresì la destinazione originaria della medesima in ragione dello strumento urbanistico e dell’assenza di una sua autonoma utilizzazione in concreto diversa da quella accertata, elementi in relazione ai quali la difesa nulla deduce.
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2. Del pari infondato risulta il secondo motivo. La circostanza che il Comune nella regolamentazione del contratto di appalto avesse previsto in relazione al computo metrico “l’allontanamento del materiale non utilizzato a qualsiasi distanza”, non equivale a legittimare l’utilizzo indiscriminato di qualunque area, avendo con tale disposizione l’ente locale semplicemente vietato il deposito dei rifiuti all’interno dell’area di cantiere che mai, come osservano gli stessi ricorrenti, sarebbe stata possibile all’interno di un centro storico lungo la strada principale. Come correttamente rilevato dai giudici di merito gravava sugli imputati l’onere di attivarsi presso i competenti uffici comunali e di acquisire le autorizzazioni necessarie al fine dell’utilizzo dell’area adibita a deposito dei rifiuti provenienti dal cantiere edile, non potendo mai fungere da scriminante la buona fede da costoro invocata. L’elemento soggettivo del reato è invero integrato dallo stesso utilizzo di un’area priva delle necessarie autorizzazioni.
Il ricorso deve essere in conclusione rigettato. Segue a tale esito, a norma dell’art.616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 4.7.2017