Cass. Sez. III n. 19969 del 24 aprile 2017 (Ud. 14 dic. 2016)
Presidente: Di Nicola Estensore: Aceto Imputato: Boldrin
Rifiuti. Abbandono e soggetto attivo
Il reato di cui all'art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell'esercizio di una attività economica di qualunque natura, non essendo circoscritto ai soli titolari di imprese che svolgono le attività di gestione di rifiuti di cui al comma primo della citata disposizione.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. B.G. ricorre per l'annullamento della sentenza del 07/03/2016 della Corte di appello di Trieste che, nel rigettare la sua impugnazione e quella incidentale del Procuratore generale, ha confermato la condanna alla pena di quattro mesi di arresto e 1.800,00 Euro di ammenda infitta con sentenza del 10/11/2014 dal Tribunale di Pordenone per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, a lui ascritto perchè, quale legale rappresentante della società "MA-BOL S.a.s. di B.G. & C.", aveva immesso nelle acque superficiali sostanze liquide costituenti rifiuti pericolosi (nella specie, gasolio, defluito, attraverso il terreno, nella acque del laghetto Tomadini) fuoriuscite, attraverso un foro, da una cisterna interrata abbandonata e non rimossa. Il fatto è contestato come commesso in (OMISSIS).
1.1. Con il primo motivo, deducendo la natura propria del reato, applicabile solo a chi effettua attività di gestione dei rifiuti, contestando la natura stessa di rifiuto del gasolio e in ogni caso la imprevedibilità del fatto, attribuibile a caso fortuito o forza maggiore, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'inosservanza o comunque l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, e art. 45 c.p..
1.2. Con il secondo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'erronea applicazione dell'art. 530 cpv. c.p.p..
1.3. Con il terzo motivo, deducendo di essersi attivato per la soluzione del problema, eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), l'erronea applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6), esclusa dalla Corte di appello sulla considerazione che non aveva risarcito il danno ambientale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.
3. Quanto al primo ed al secondo motivo, osserva il Collegio:
3.1. il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, ha natura propria e si applica ai titolari di impresa e ai responsabili di enti, qualunque sia l'attività svolta; è errato ritenere che la norma si applichi solo ai titolari di imprese che svolgono le attività descritte dal comma 1;
3.2. tale assunto è stato espressamente e reiteratamente smentito da questa Corte (Sez. 3, n. 38364 del 27/06/2013, Beltipo, Rv. 256387, secondo cui il reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, è configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell'esercizio, anche di fatto, di una attività economica, indipendentemente dalla qualifica formale sua o dell'attività medesima e che ha ritenuto soggetto attivo del reato anche l'imprenditore agricolo; nello stesso senso Sez. 3, n. 9544 del 11/02/2004, Rainaldi, Rv. 227570, che, con riferimento all'identica previgente disciplina, aveva affermato che il reato di deposito incontrollato di rifiuti di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 2, è ipotizzabile non soltanto in capo alle imprese o agli enti che effettuano una delle attività indicate al comma primo del citato art. 51 (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), ma a qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 c.c., o ente, con personalità giuridica o operante di fatto, atteso che il precedente riferimento alla attività di gestione dei rifiuti originariamente previsto dal comma in questione risulta soppresso con L. 9 dicembre 1998, n. 426; il principio è stato successivamente ribadito, con riferimento alla disciplina odierna da Sez. 3, n. 22035 del 13/04/2010, Brilli, Rv. 247626. Si veda, altresì, in motivazione, Sez. 3, n. 47662 del 08/10/2014, Pelizzari, che ha ricordato come si sia "chiarito, in più occasioni, che destinatari della sanzione penale non sono esclusivamente coloro che effettuano attività tipiche di gestione di rifiuti (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti), essendo la norma rivolta ad ogni impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 c.c. o ente, con personalità giuridica o operante di fatto. Tale affermazione traeva origine dal confronto tra il testo originario del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, allora vigente, e quello antecedente alla modifica introdotta dalla L. n. 426 del 1998, ed era fondata sulla considerazione che, laddove erano originariamente indicate imprese ed enti "che effettuano attività di gestione dei rifiuti", dopo la novella legislativa tale espressione era stata soppressa, così ampliando l'ambito di operatività della norma (così la citata sez. 3 n. 9544/2004). Il principio è stato ribadito, anche con riferimento alla disciplina oggi vigente da questa sez. 3 n. 22035 del 10 giugno 2010. Tale caratteristica della fattispecie - come è stato ricordato dalla recente sez. 3 n. 38364 del 27.6.2013, Beltipo, rv. 256387 - ha portato ad affermare che il reato in esame possa essere commesso dai titolari di impresa o responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato non solo i rifiuti di propria produzione, ma anche quelli di diversa provenienza e ciò in quanto il collegamento tra le fattispecie previste dal primo e dall'art. 256, comma 2 (già D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51) riguarda il solo trattamento sanzionatorio e non anche la parte precettiva (sez. 3 n. 35710 del 22.6.2004, Carbone, rv. 229562). Si è inoltre escluso che, nella individuazione del titolare d'impresa o del responsabile dell'ente, debba farsi riferimento alla formale investitura, assumendo rilievo, invece, la funzione in concreto svolta (sez. 3 n. 19207 del 27.3.2008, Scalzo, rv. 239875; conf. sez. 3 n. 35945 del 7.10.2010; sez. 3 n. 24466 del 21 giugno 2007, entrambe non massimate) tanto che, in due occasioni, il reato è stato ritenuto configurabile anche con riferimento ad attività di tiro al piattello esercitata da associazione sportiva (v. Sez. 3 n. 4733, 30 gennaio 2008)");
3.3. la "ratio" della diversa disciplina sanzionatoria (illecito amministrativo per l'abbandono di rifiuti posto in essere dal privato; illecito penale se la medesima condotta è posta in essere dall'imprenditore) è fondata "su una presunzione di minore incidenza sull'ambiente dell'abbandono posto in essere da soggetti che non svolgono attività imprenditoriale o di gestione di enti. Di tale assunto aveva già dato atto questa Corte, con riferimento alla previgente disciplina, osservando che la norma è finalizzata ad "impedire ogni rischio di inquinamento derivante da attività idonee a produrre rifiuti con una certa continuità, escluse perciò solo quelle del privato, che si limiti a smaltire i propri rifiuti al di fuori di qualsiasi intento economico" (Sez. 3 n. 9544, 2 marzo 2004. Nello stesso senso, Sez. 3 n. 42377, 19 settembre 2003)" (così, in motivazione, Sez. 3, n. 38364 del 2013, Beltipo, cit.).
3.4. la cisterna, al cui interno si trovava il gasolio da riscaldamento, era stata definitivamente dismessa, e dunque abbandonata, a favore di altra fonte di riscaldamento domestico, senza essere stata svuotata; sicchè la deduzione (oltretutto infondata) che il "gasolio" in quanto tale non sia espressamente contemplato nell'elenco dei rifiuti di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, allegato D alla parte quarta, alimenta un'eccezione, che, dal un lato non coglie nel segno, dall'altro non ha alcuna rilevanza ai fini della sua qualifica come rifiuto (nel caso di specie allo stato liquido) posto che, secondo quanto precisa l'allegato stesso (nella sua formulazione vigente all'epoca del fatto), "una sostanza o un oggetto è considerato un rifiuto solo se rientra nella definizione di cui all'art. 3, p. 1 della direttiva 2008/98/CE", tant'è che "l'inclusione di una sostanza o di un oggetto nell'elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi";
3.5. l'art. 3, punto 1 della direttiva 2008/98/CE, definisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a) per cui è evidente che il catalogo di cui all'allegato D, cit., non costituisce "numerus clausus" e non esaurisce tutte le possibili tipologie di rifiuti per la cui definizione è necessario sempre far ricorso alla definizione datane dall'art. 183, cit.;
3.6. l'eccezione, come detto, non coglie nel segno perchè i rifiuti di carburanti liquidi sono comunque espressamente contemplati dal punto 13.07 del citato allegato D ed, in quanto idrocarburi, sono sostanze liquide infiammabili pericolose (come definite dal D.Lgs. n. 152 del 2006, allegato 1 alla parte quarta, lett. H3A/B) il cui scarico diretto nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, trattandosi di idrocarburi di origine petrolifera persistenti (cfr. allegato 3 al Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio CE 850/2004 relativo agli inquinanti organici persistenti e che modifica la direttiva 79/117/ CEE, che annovera tra tali sostanze gli idrocarburi policiclici aromatici, assimilati, quanto a pericolosità, ai PCB, alle diossine, all'esaclorobenzene) è vietato tal quale (cfr. D.Lgs. n. 152 del 2006, allegato 5, alla parte terza, punto 2.1; si noti altresì quanto prevede l'art. 183, comma 1, lett. bb, in materia di rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti);
3.7. la natura liquida della sostanza non esclude l'applicazione della disciplina in materia di rifiuti quando lo smaltimento non avvenga tramite scarico diretto (Sez. U, n. 12310 del 27/09/1995, Forina, Rv. 202899; Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015, D'Aniello, Rv. 263354; Sez. 3, n. 45340 del 19/10/2011, Panariti, Rv. 251335);
3.8. la fuoriuscita di gasolio dalla cisterna è avvenuta tramite un foro provocato dalla corrosione della parete metallica esterna dovuta alle cd. correnti galvaniche, correnti elettriche di debole intensità generate dalla differenza di potenziale elettrico tra due materiali diversi;
3.9. il ricorrente invoca (genericamente, a dire il vero) la causa di forza maggiore o comunque il caso fortuito, a causa della imprevedibilità dell'evento;
3.10. costituisce causa di forza maggiore quel fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, perciò, è irresistibile, mentre si definisce caso fortuito ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo. Ciò che caratterizza, dunque, il caso fortuito è la sua "imprevedibilità", mentre nota distintiva della forza maggiore è l'elemento della "irresistibilità". Connotazione comune ad entrambi è la "inevitabilità" del fatto (così, Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006, De Pascalis, Rv. 233419);
3.11. orbene non può dirsi imprevedibile il fatto che un serbatoio interrato possa subire delle corrosioni e delle conseguenti perdite, a maggior ragione se lasciato in stato di abbandono; tale "prevedibilità", che appartiene alla conoscenza umana come massima di esperienza, è alla base della disciplina, per esempio, dei serbatoi interrati destinati allo stoccaggio di carburanti liquidi per autotrazione, presso gli impianti di distribuzione, regolamentata dal D.M. 29 novembre 2002, in attuazione della L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 19, che presuppone proprio il pericolo di dispersione nell'ambiente di materiale inquinante come ragione della disciplina stessa;
3.12. la cd. "corrosione galvanica" di tubi e cisterne interrati è notoriamente attiva in caso di mancanza di isolamento e non è dunque un fenomeno eccezionale e del tutto imprevedibile;
3.13. i primi due motivi sono dunque infondati.
4. Il terzo motivo è del tutto generico.
4.1. Al di là delle ragioni del diniego opposto dalla Corte territoriale, il ricorrente non allega nessuno degli elementi costitutivi della invocata circostanza attenuante, nè l'efficacia, nè la spontaneità (nè di averli dedotti in appello).
4.2. Risulta, dalla sentenza impugnata, che si sia limitato a rimuovere la cisterna in un contesto in cui il terreno era già intriso di idrocarburi e altri avevano proceduto alla bonifica dell'area.
4.3. Non risulta, nè è chiaro, dunque, se abbia agito "sua sponte" o perchè richiesto (ai fini della spontaneità dell'azione), se e quanto gasolio fosse rimasto nella cisterna prima della sua rimozione (ai fini della sua efficacia).
4.4. Ne consegue che il ricorso deve essere respinto (non essendo ancora maturata la prescrizione a causa della sospensione del dibattimento per 52 giorni per impedimento dell'imputato).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.