Cass. Sez. III n. 46072 del 15 dicembre 2008 (Ud. 30 set. 2008)
Pres. De Maio Est. Franco Ric. Saracino
Rifiuti. Reato di discarica abusiva
I reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma "commissiva". Ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza. Non è sufficiente, pertanto, ad integrare il reato di cui alla contestazione la mera consapevolezza da parte del possessore di un fondo del fenomeno di abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi senza che risulti accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del predetto possessore del fondo con gli autori del fatto. Nel nostro sistema penale, infatti, una condotta omissiva può dar luogo a responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi dell\'art. 40, secondo comma, c.p., e cioè quando il soggetto abbia l\'obbligo giuridico di impedire l\'evento. Peraltro, un comportamento meramente omissivo non è di per sé sufficiente ad integrare la fattispecie del concorso nel fatto illecito altrui.
Osservò in particolare la corte d’appello: che i materiali in questione, provenienti dall’edilizia, avevano natura di rifiuti; che per la sussistenza del reato non è necessaria la presenza di un minimum di organizzazione; che si trattava di un accumulo sistematico e ripetuto nel tempo; che l’imputato era consapevole della attività illecita che si svolgeva sul suo fondo.
L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) manifesta illogicità della motivazione. Osserva che nella specie mancavano gli elementi essenziali del reato di gestione di discarica abusiva. Innanzitutto è emerso solo che egli era il proprietario del fondo nel quale altri soggetti avevano abbandonato dei rifiuti, il che non è sufficiente per la responsabilità penale. Inoltre è necessario un minimo di organizzazione, che nella specie non sussisteva. Il fondo poi non era recintato ed era incolto ed abbandonato, sicché lo stesso non era oggettivamente destinato alla attività di scarico dei rifiuti e
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non presentava nessuna, seppure rudimentale, organizzazione, né di persone né di cose, diretta alla gestione di una discarica. In sostanza egli è stato condannato solo perché proprietario del fondo, il che però non è sufficiente, quand’anche fosse stato consapevole dell’abbandono dei rifiuti. Del resto anche la consapevolezza da parte sua è stata ritenuta solo sulla base di supposizioni.
2) violazione degli artt. 50, comma 1, e 51, comma 3, d. lgs. 5 febbraio
1997, n. 22. Osserva che tutt’al più egli, non essendo titolare di una impresa, avrebbe potuto rispondere solo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 50 cit., sempre che sussistano gli elementi per configurare un deposito incontrollato.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato. Innanzitutto, invero, la corte d’appello ha ritenuto irrilevante il fatto che nella specie la raccolta di rifiuti non fosse accompagnata da una qualche attività organizzativa, per il motivo che per la configurabilità del reato di gestione di discarica abusiva non sarebbe necessario nemmeno un minimum di organizzazione. Sermonché, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, che il Collegio ritiene di dover ribadire, «in tema di gestione dei rifiuti, intera il reato di realizzazione di discarica in difetto di autorizzazione l’allestimento di un ‘area con Peffettuazione di opere, quali spianamento del terreno, apertura di accessi, sistemazione, perimetrazione o recinzione, mentre è configurabile la diversa ipotesi di gestione di discarica abusiva allorché sussiste una organizzazione, anche se rudimentale, di persone e cose diretta alfunzionamento della medesima, né assume rilevanza in quest’ultima ipotesi il dato che il quantitativo di rifiuti presenti in loco non risulti di particolare entità» (Sez. E, 2 agosto 2007, n. 33252, Setzu, m. 237582; Sez. III, 11 aprile 1997, n. 4013, Vasco, m. 207613; Sez. III, 2 luglio 2004, a 38318, Pastorino, m.
229.624; Sez. III, 8 novembre 2006, Munafò).
In ogni modo, nel caso di specie è irrilevante stabilire se il fatto di cui al capo di imputazione andava qualificato come attività di gestione di una vera e propria discarica oppure, in mancanza di un minimo di organizzazione, come attività di stoccaggio, o accumulo incontrollato, o gestione o smaltimento di rifiuti, o come un’altra attività costituente illecito penalmente sanzionato.
Rileva invece la circostanza che dalla sentenza impugnata emerge che non vi era la prova che il Saracino avesse svolto personalmente una qualche attività di gestione, o stoccaggio, o smaltimento o accumulo di rifiuti, e che nemmeno vi era la prova che il medesimo avesse concorso con gli autori materiali in una di queste attività. La sentenza impugnata dà altresì atto che l’imputato non era mai stato presente allorché i rifiuti venivano scaricati. Ciò nonostante la corte d’appello ha ritenuto che il Saracino fosse ugualmente responsabile del reato contestato per il motivo che egli era il proprietario del terreno dove i rifiuti venivano scaricati e che doveva presumersi consapevole dello stato dei luoghi perché i materiali erano accumulati da tempo sul terreno.
Anche questo assunto è però in contrasto con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui «il propri etario di un terreno abbandonato nel quale terzi depositino ripetutamente rifiuti, così come colui che subentra nella proprietà di un terreno adibito a discarica, non risponde dei reati di rea
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lizzazione e gestione di discarica non autorizzata, anche in caso di mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, a condizione che non compia atti di gestione o movimentazione dei rifiuti, atteso che tale responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire la realizzazione o il mantenimento dell’evento lesivo» (Sez. III, 12 oftobre 2005, n. 2206, Bruni, m. 233007), dal momento che «nessun obbligo giuridico di controllo può ravvisarsi a carico del proprietario in relazione a r4fiuti gestiti e smaltiti da altri»; che il proprietario stesso non ha un obbligo giuridico di recintare il terreno, nè di scongiurare la «desertilicazione» del terreno stesso, e che «sul proprietario in quanto tale non grava alcuna posizione di garanzia in ordine ai rjfiuti, atteso che gli obblighi di corretta gestione e smaltimento dei rifiuti sono posti esclusivamente a carico dei produttori e dei detentori dei rifiuti medesimi» (sent. cit., punto 7 della motiva.zione). Nello stesso senso questa Corte ha affermato che «In tema di gestione dei rifiuti, la responsabilità del soggetto avente la disponibilità di un ‘area sulla quali terzi abbiano abbandonato rifiuti è configurabile soltanto qualora venga accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto, ovvero per una condotta di compartecipazione agevolatrice, non sussistendo in questo caso una posizione di garanzia in capo allo stesso» (Sez. III, 15 marzo 2005, n. 21966, Nugnes, m. 231645); che «I reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio realizzati da terzi estranei nel fondo di proprietà, salvo che risulti integrata una condotta concorsuale mediante condotta omissiva, nei casi in cui il soggetto aveva l’obbligo giuridico di impedire la realizzazione od il mantenimento dell’evento lesivo» (Sez. F., 13 agosto 2004, n. 44274, Preziosi, m. 230173); che la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato di cui all’art. 51, comma secondo, del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che la condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi del comma secondo dell’art. 40 cod. pen., ovvero sussista l’obbligo giuridico di impedire l’evento (Sez. III, 1 luglio 2002, Ponzio, m. 222.240); che destinatario della norma penale è il gestore dell’impianto di raccolta e non il proprietario del terreno sul quale si attua lo smalti- mento di rifiuti speciali non autorizzato, il quale può concorrere come estraneo nel reato proprio commesso dal gestore solo quando il concorso esterno materiale (cogestione di fatto) o morale (istigazione, rafforzamento, agevolazione) si realizzi con condotta cominissiva, ovvero con condotta omissiva - in linea teorica - ma sempre che il “non agere” si innesti in uno specifico obbligo giuridico di impedire l’evento (Sez. 1, , 17 novembre 1995, Insinna, m. 203.332; v. anche Sez. III, 18 dicembre 1991, Sacchetto, m. 189.149). In sostanza, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma “commissiva” (cfr. Sez. Un., sent. n. 12753 del 1994, Zaccarelli; Sez. 1, sent. n. 7241 del 1999, Pirani). Ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento del
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la discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza. Non è sufficiente, pertanto, ad integrare il reato di cui alla contestazione la mera consapevolezza da parte del possessore di un fondo del fenomeno di abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi senza che risulti accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del predetto possessore del fondo con gli autori del fatto. Nel nostro sistema penale, infatti, una condotta omissiva può dar luogo a responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi dell’art. 40, secondo comma, c.p., e cioè quando il soggetto abbia l’obbligo giuridico di impedire l’evento. Peraltro, un comportamento meramente ornissivo non è di per sé sufficiente ad integrare la fattispecie del concorso nel fatto illecito altrui.
Nel caso di specie, invece, la corte d’appello ha accertato che non vi era la prova che il Saracino avesse compiuto una qualche condotta commissiva idonea a configurare il concorso materiale o morale nel reato compiuto da coloro che depositavano i rifiuti. La sola ritenuta consapevolezza dell’abbandono dei rifiuti sul proprio terreno da parte di altri non è invero sufficiente in mancanza di uno specifico obbligo giuridico di impedire l’evento e di una posizione di garanzia gravanti sul proprietario.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio perché l’imputato non ha commesso il fatto.