Cass. Sez. 3, Sentenza n. 31401 del 08/06/2006 Ud. (dep. 21/09/2006 ) Rv. 234942
Presidente: Papa E. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Boccabella. P.M. Ciampoli L. (Conf.)
(Annulla senza rinvio, App. L'Aquila, 26 marzo 2004)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e di stoccaggio abusivo - Natura - Reati a forma commissiva.

I reati di realizzazione e gestione di discarica in difetto di autorizzazione, nonché di stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione, sono realizzabili solo in forma commissiva, atteso che non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio realizzati da altri, pur nella consapevolezza della loro esistenza, a meno che non risulti provato il concorso, a qualsiasi titolo, del possessore del fondo, o non ricorra l'obbligo giuridico di impedire l'evento, ai sensi dell'art. 40, comma secondo, cod. pen..

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 08/06/2006
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 1051
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 304436/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Boccabella Antonio, nato ad Avezzano l'11 aprile 1946;
avverso la sentenza emessa il 26 marzo 2004 dalla Corte d'appello de L'Aquila;
udita nella pubblica udienza dell'8 giugno 2006 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ciampoli Luigi, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito il difensore avv. Carone Fabiani Achille.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 25 gennaio 2002, il giudice del Tribunale di Avezzano dichiarò Boccabella Antonio colpevole del reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, per avere, in qualità di proprietario del luogo, realizzato e comunque gestito una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi (materiali ferrosi e plastici derivanti da lavorazioni industriali, pneumatici e macchie d'olio) e lo condannò alla pena di mesi sei di arresto ed Euro 2.580,00 di ammenda, con la sospensione condizionale della pena e la confisca dell'area in questione.
La Corte d'appello de L'Aquila, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza di primo grado.
Osservò, tra l'altro, la Corte d'appello:
- che l'accusa aveva provato la proprietà del luogo in capo all'imputato e che quindi sarebbe stato onere di questi di dimostrare di non avere avuto la responsabilità della gestione della discarica o di essere estraneo al fatto contestato;
- che non poteva accogliersi la richiesta di continuazione con una precedente sentenza di condanna perché il reato in questione era stato commesso dopo l'accertamento del primo e perché non vi era la prova che il prevenuto avesse avuto la volontà di proseguire nella azione delittuosa;
- che trattandosi di reato permanente la prescrizione decorreva dalla data della sentenza di primo grado.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) erronea applicazione della legge penale e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata valutazione in ordine alla mancata prova della proprietà dell'area in questione in capo all'imputato; violazione dell'art. 530 c.p.p., comma 2. Lamenta che la Corte d'appello non ha valutato il motivo di impugnazione con il quale aveva eccepito che egli non era proprietario dell'area in questione e che non esistevano prove in proposito. La Corte d'appello ha comunque omesso di motivare sul punto. Nemmeno è stata fornita la prova che il fondo fosse utilizzato da lui. In ogni caso la contestazione è stata generica e non lo ha messo in condizione di difendersi in quanto non è stato specificato in quale indirizzo fosse l'area in questione che è stata variamente indicata nel corso del giudizio;
b) prescrizione del reato e violazione dell'art. 157 c.p., in quanto dalla data del suo fallimento doveva ritenersi interrotta ogni attività. Inoltre non è stata data alcuna prova sulla permanenza del reato e sulla riferibilità a lui della attività svolta dopo la data dello accertamento del 27.11.1996.
c) mancata applicazione della continuazione con la sentenza 11.1.2000 del Tribunale di Avezzano come parzialmente riformata dalla sentenza 9.3.2001 della Corte d'appello de L'Aquila. La Corte d'appello ha rigettato la richiesta con motivazione carente e manifestamente illogica.
d) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione perché il fatto non sussiste. Osserva che non è stata data alcuna prova che i fatti erano riferibili a lui, mentre erano stati commessi da altri. Inoltre non è stata data la prova della permanenza del reato ne' della commissione da parte sua di una attività successivamente al 27.11.1996. Risulta infatti che sull'area svolgeva attività d'impresa tale Boccabella Elvezio. e) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla richiesta di riduzione della pena e della conversione della stessa nella corrispondente pena pecuniaria anche a mezzo di riqualificazione del fatto nel reato di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, punibile con pena alternativa.
Il processo è stato assegnato alla settima sezione che, con ordinanza del 14 gennaio 2005, lo ha rimesso a questa sezione. In prossimità della udienza in Camera di consiglio della settima sezione il ricorrente ha depositato memoria con la quale, tra l'altro, ha eccepito che il fatto non costituisce reato perché non era integrata ne' una attività di smaltimento di rifiuti ne' una attività di gestione di una discarica.
In ogni caso non si trattava di rifiuti pericolosi e non vi era stato inquinamento.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo ed il terzo motivo sono fondati perché effettivamente la Corte d'appello è incorsa in errore di diritto ed in vizio di motivazione laddove - oltretutto operando una inammissibile inversione dell'onere della prova - ha ritenuto che fosse sufficiente, per la affermazione di responsabilità del prevenuto, il fatto che l'accusa avesse provato la proprietà del terreno in capo a lui, o quanto meno la disponibilità dello stesso, e che sarebbe stato invece suo onere, qualora non fosse stato il gestore della discarica, provare di essere estraneo al fatto contestato. Ed infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, i reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione hanno natura di reati che possono realizzarsi soltanto in forma "commissiva", sicché non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva e in base alla sola consapevolezza della loro esistenza, a meno che non risulti accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto o non ricorrano gli estremi dell'art. 40 c.p., comma 2, ossia il soggetto abbia l'obbligo giuridico di impedire l'evento (cfr. Sez. Un., sent. n. 12753 del 1994, Zaccarelli; Sez. 1^, sent. n. 7241 del 1999, Pirani; Sez. 3^, 1 luglio 2002, Ponzio, m. 222.420; Sez. 1^, 17 novembre 1995, Insinna, m. 203.332; Sez. 3^, 18 dicembre 1991, Sacchetto, m. 189.149; Sez. 3^, 13 agosto 2004, Preziosi; Sez. 3^, 15 dicembre 2005, Isola). È poi evidente che, secondo le regole generali, spetta all'accusa l'onere di provare che il proprietario o possessore del fondo abbia concorso con gli autori del fatto. La sentenza impugnata dovrebbe quindi essere annullata con rinvio affinché il giudice del merito accerti se l'imputato avesse o meno effettivamente compiuto attività di realizzazione o di gestione della discarica in questione o se avesse concorso con gli autori del fatto.
Sennonché una pronuncia di annullamento con rinvio è impedita dal fatto che, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il reato si è prescritto. La Corte d'appello ha invero ritenuto - anche qui erroneamente - che, trattandosi di reato permanente, il termine di prescrizione decorreva dalla data della sentenza. Tuttavia, non solo non è stata richiamata alcuna prova che la attività di gestione fosse continuata fino alla data della sentenza, ma la sentenza di primo grado aveva dato atto che già alla data dello accertamento (4.12.1996) era stato appurato che tutti i materiali giacevano sul posto da diverso tempo prima del sopralluogo (il che contrasta con una attività di gestione in atto) e che comunque durante il nuovo sopralluogo disposto nel corso del dibattimento ed effettuato il 23 febbraio 2001 era stato accertato che lo stato dei luoghi era rimasto immutato rispetto al precedente sopralluogo del 4 dicembre 1996. Ciò prova che l'attività di gestione era terminata sin dalla data del primo sopralluogo e che comunque era certamente cessata alla data del secondo sopralluogo del 23 febbraio 2001. La prescrizione, quindi, decorre tutt'al più da questa seconda data, con la conseguenza che, non essendovi state sospensioni, si è maturata almeno il 23 agosto 2005.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deriso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 18 giugno 2006.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2006