Cassazione, Sez.III sent.28674 del 1 luglio 2004
Rifiuti. Discarica abusiva. Responsabilità del sindaco.
CON MOTIVAZIONE
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 29/1/2003 la corte di appello di Lecce ha confermato quella resa il 19/3/2002 dal tribunale monocratico di Tricase, che aveva condannato B.C., con i doppi benefici di legge, alla pena di nove mesi di arresto e 10.000 euro di ammenda quale colpevole dei reati di cui all’art. 51, comma 3, D.L.vo 22/1997 e all’art. 1 sexies legge 431/1985 [1], perché, quale sindaco del comune di Corsano, aveva realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e idrogeologico una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi e non pericolosi (sino al 12/10/1999).
Il C., col ministero del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi a sostegno.
In particolare lamenta: violazione dell’art. 107 D.L.vo 18/8/2000 n. 267 (testo unico sugli enti locali) secondo cui la responsabilità per i fatti de quibus doveva fare carico al dirigente del settore tecnico del territorio, cioè all’organo burocratico, e non all’organo politico; violazione degli artt. 195, 177 e 507 c.p.p., atteso che il giudice, su richiesta del PM aveva sentito come testi di riferimento i dipendenti comunali B.C. e L.C., che invece dovevano essere sentiti sin dall’origine come imputati, in quanto colti nell’atto di scaricare rifiuti nella discarica; mancanza o illogicità di motivazione in ordine alla affermata responsabilità del sindaco.
Nel corso della discussione pubblica il difensore ha sollevato questione di nullità per incapacità del giudice di primo grado, dott. Paolo Moroni, che in data 19/3/2002 ha emesso sentenza contro l’imputato, come giudice monocratico del tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, senza aver maturato i tre anni di anzianità nell’esercizio della funzione giurisdizionale prescritti dall’art. 7 bis, comma 2 quater, dell’ordinamento giudiziario.
Al riguardo ha depositato copia delle delibere del CSM che hanno rifiutato l’approvazione della proposta
tabellare relativa al tribunale di Lecce in ordine al dott. Moroni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Trattandosi di nullità assoluta, insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, bisogna affrontare la dedotta questione sull’incapacità del giudice di primo grado.
Invero, a norma dell’art. 7 bis, comma 2 quater, dell’Ordinamento Giudiziario (R.D. 30/1/1941 n. 12), introdotto dall’art. 57 legge 16/12/1999 n. 479, il tribunale in composizione monocratica è costituito da un magistrato che abbia esercitato la funzione giurisdizionale per non meno di tre anni.
E, come risulta dalle delibere del CSM prodotte dal difensore, alla data della sentenza (19/3/2002), il dott. Moroni, sebbene assegnato tabellarmente alla sezione distaccata di Tricase in composizione monocratica, non aveva ancora raggiunto l’anzianità richiesta.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 33, comma 2, c.p.p., modificato dall’art. 169 D.L.vo 51/1998, le disposizioni sulla destinazione dei giudici agli uffici giudiziari e alle sezioni non si considerano attinenti alla capacità del giudice, con la conseguenza che la violazione di dette disposizioni non integra quella incapacità del giudice che l’art. 178 lett. a) c.p.p. prevede come causa di nullità, assoluta e insanabile.
Secondo una corrente distinzione dottrinale, infatti, da luogo a nullità assoluta solo il difetto di capacità generica del giudice, cioè il complesso dei requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio della funzione giurisdizionale generalmente intesa, mentre non è causa di nullità il difetto di capacità specifica, intesa come l’insieme delle condizioni richieste per l’esercizio della funzione giurisdizionale in un determinato processo: appunto in dette condizioni rientrano le disposizioni relative alla destinazione del giudice nell’ufficio giudiziario competente in ordine al processo medesimo.
Passando alle censure di merito, si deve osservare che la ripartizione delle funzioni tra organi di governo e organi burocratici del comune stabilita dall’art. 107 D.L.vo 18/8/2000 n. 267, non può esonerare il sindaco dalla sua responsabilità per aver realizzato una discarica di rifiuti non autorizzata in un’area di proprietà comunale.
In materia di gestione dei rifiuti, questa corte ha avuto modo di ritenere che detta ripartizione funzionale può liberare il sindaco da responsabilità inerenti a inosservanza delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni rilasciate dall’autorità competente (Sez. III, n. 8530 del 4/3/2002, Casti, rv. 221261), o da responsabilità inerenti alle soluzioni operative adottate nel servizio di raccolta differenziata (Sez. III, n. 23855 del 21/6/2002 PG in proc. Pino, rv. 222706), che invece spettano ai dirigenti amministrativi.
Ma ha anche escluso l’effetto liberatorio nel caso di realizzazione di una discarica non autorizzata, attese le specifiche competenze del sindaco, il quale, come capo dell’amministrazione comunale, ha il compito di programmare l’attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, e, come ufficiale di governo, ha il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti a tutela della salute pubblica e dell’ambiente (Sez. III, n. 3878 del 27/3/2000, Stillitani, rv. 216212).
Ciò significa che il sindaco va esente da responsabilità solo per quelle condotte che rientrano nell’ambito esecutivo o gestionale riservato ai dirigenti amministrativi, ma deve sempre rispondere delle scelte programmatiche e di quelle contingibili e urgenti che egli adotti nell’ambito dei suoi poteri, o anche eccedendo da questo abito.
Che nella fattispecie sia stato il sindaco C. a disporre l’apertura non autorizzata della discarica in un’area di proprietà comunale è stato accertato dai giudici di merito con motivazione congrua, esente da vizi logici e giuridici.
In particolare, è stato accertato che alcuni dipendenti comunali avevano ripetutamente scaricato rifiuti vari nell’area in questione da una moto Ape con l’effige del comune.
Sentiti come testi di riferimento ex artt. 195 e 507 c.p.p., nonostante una iniziale reticenza, uno, R.C., ammetteva di aver scaricato materiali vari col consenso del responsabile dell’ufficio tecnico comunale, l’altro L.B., ammetteva di essere stato verbalmente autorizzato dal sindaco per lo smaltimento dei rifiuti.
Il difensore ha contestato l’utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie dei dipendenti comunali, giacché essi dovevano essere sentiti come coimputati ex art. 210 c.p.p. e non come testimoni.
Ma la tesi va disattesa perché è infondato il suo presupposto.
Infatti chi abbandona o deposita in modo incontrollato rifiuti risponde solo dell’illecito amministrativo di cui all’art. 50, comma 1, a meno che non sia titolare di imprese o responsabile di un ente, nel qual caso risponde del reato di cui all’art. 51, comma 2, D.L.vo 22/1997, o a meno che non si provi un suo concorso consapevole del reato di gestione non autorizzata di discarica di cui all’art. 51, comma 3, D.L.vo 22/1997.
Nel caso di specie i dipendenti comunali, essendosi resi responsabili di un illecito amministrativo e non dei reati di cui all’art. 51, potevano essere sentiti come testimoni.
Tutte le censure sono quindi infondate e il ricorso va respinto.
Consegue ex art,. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Considerato il contenuto dei motivi non si commina anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 25/3/2004.
Depositata in Cancelleria il 1 luglio 2004.