Cass. Sez. III n. 9849 del 4 marzo 2009 (Ud. 29 gen. 2009)
Pres. Onorato Est. Lombardi Ric. Gonano
Rifiuti. Deposito e discarica
La disposizione contenuta nell\'art 2 del D. Lgs n. 36/2003 è evidentemente di chiusura, nel senso che equipara il deposito temporaneo, espressamente citato dalla norma, alla realizzazione di una discarica, allorché lo stesso deposito temporaneo si protragga per oltre un anno, ma non individua affatto un elemento costitutivo della fattispecie, poiché, se ricorre l\'ipotesi dell\'abbandono reiterato di rifiuti e non del deposito temporaneo, si versa in ogni caso nella fattispecie della realizzazione di una discarica abusiva.
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste ha confermato la pronuncia di colpevolezza di Gonano Ezio in ordine al reato di cui all’art. 51, comma terzo, del D. Lgs n. 22/97, ascrittogli per avere realizzato una discarica abusiva di rifiuti speciali non pericolosi mediante il ripetuto deposito ed il successivo spianamento di circa 50 mc di materiali provenienti da demolizioni e scavi.
La sentenza ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva contestato, tra l’altro, l’esistenza dell’elemento oggettivo del reato, deducendo che non era stato accertato né il quantitativo di materiali depositati, né il degrado o l’alterazione permanente dello stato dei luoghi. In ordine al dato quantitativo del materiale scaricato la sentenza impugnata, in particolare, ha affermato che lo stesso doveva ritenersi superiore a quello indicato in contestazione, essendo stato successivamente accertato che i rifiuti asportati dall’imputato dalla predetta area e conferiti in discarica ammontavano a 90 mc.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.
Motivi della decisione
Con un unico, articolato, mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 51, comma terzo, del D. Lgs n. 22/97, nonché dell’art. 2 del D. Lgs n. 36/2003 e carenza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
Si deduce, in sintesi, che la definizione di discarica contenuta nell’art. 2 del D. Lgs a. 36/2003, di cui viene riportato il testo, non è idonea a tratteggiare in modo compiuto i caratteri distintivi della discarica, né gli elementi rilevanti per poter qualificare un sito come tale; che, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha sempre richiesto, ad integrazione di tale definizione, quale elemento costitutivo della fattispecie, che il ripetuto abbandono di rifiuti abbia determinato il degrado dell’area interessata ed un’alterazione permanente dello stato dei luoghi.
Si deduce, quindi, che nel caso in esame il deposito dei rifiuti, peraltro di entità non rilevante, era stato effettuato all’interno di due vasche di cemento di modeste dimensioni, sicché nella specie doveva escludersi l’esistenza del degrado dell’area interessata o un’alterazione permanente dello stato dei luoghi.
Si osserva inoltre che ai sensi del citato ad. 2 del D. Lgs n. 36/2003 costituisce discarica qualsiasi area in cui i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.
Si deduce, quindi, che, secondo l’accertamento contenuto in sentenza il fatto si è verificato nel mese di agosto del 2004, mentre non è stato affatto accertato il protrarsi del deposito per oltre un anno; che inoltre la mera condotta, concretatasi nel depositare i rifiuti, costituisce un illecito amministrativo, non essendo stata posta in essere, nel caso in esame, da un’impresa o ente, bensì da una persona fisica.
Si deduce, infine, che secondo la sentenza impugnata doveva ravvisarsi il degrado dell’area interessata dal deposito dei rifiuti, essendo stati quantificati questi ultimi in 90 mc. sulla base di quanto indicato in una fattura esibita dall’imputato; che sul punto la corte territoriale ha valorizzato un elemento di valutazione meramente induttivo in contrasto con il dato risultante dall’accertamento contenuto nel verbale di sequestro e nello steso capo di imputazione.
Il ricorso non è fondato.
Ai sensi dell’art. 2, primo comma lett. g), del D. Lgs. 13.1.2003 n. 36 costituisce “discarica: (l’) area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno;”.
E’ stato inoltre reiteratamente affermato da questa Suprema Corte sul punto che, ai fini della configurazione di una discarica, occorre, oltre all’accumulo più o meno sistematico di rifiuti nella area in cui vengono versati, anche il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione (sez. III, 17.6.2004 n. 27296, Micheletti, RV 229062; sez. III, 20 febbraio 2002 n. 6796, RV 221166).
Orbene, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto sussistente, nel caso in esame, la realizzazione di una discarica da parte dell’imputato, essendo stato accertato, oltre al deposito reiterato di rifiuti provenienti da demolizioni e scavi, l’esistenza del degrado e dell’alterazione, più o meno permanente, dello stato dei luoghi, con valutazione di fatto fondata sull’accertamento del rilevante quantitativo di rifiuti accumulati e, quindi, su un’adeguata motivazione.
Con riferimento agli ulteriori rilievi del ricorrente in ordine al mancato accertamento che il deposito dei rifiuti si fosse protratto per più di un anno va osservato che la disposizione contenuta nell’art. 2 del D. Lgs n. 36/2003, alla quale si riferisce la deduzione, è evidentemente di chiusura, nel senso che equipara il deposito temporaneo, espressamente citato dalla norma, alla realizzazione di una discarica, allorché lo stesso deposito temporaneo si protragga per oltre un anno, ma non individua affatto un elemento costitutivo della fattispecie, poiché, se ricorre l’ipotesi dell’abbandono reiterato di rifiuti e non del deposito temporaneo, si versa in ogni caso nella fattispecie della realizzazione di una discarica abusiva.
Inoltre la definitività dell’abbandono dei predetti rifiuti da parte dell’imputato, nel caso in esame, è stata desunta, con argomentazione immune da vizi logici, dall’accertamento di fatto che lo stesso imputato provvedeva a spianare con una ruspa i rifiuti che aveva scaricato.
La bonifica dello stato dei luoghi, peraltro, è stata eseguita dall’imputato solo dopo l’accertamento del fatto e la relativa contestazione.
Quanto alla censura relativa alla qualità dell’imputato va rilevato che la fattispecie di cui all’art. 51, terzo comma, del D. Lgs. n. 22/97 (ed attualmente di cui all’art. 256, terzo comma, del D. Lgs n. 152/06) non è reato proprio e, peraltro, la sentenza ha accertato che il Gonano è esercente di un’impresa che opera nel ramo dell’edilizia
L’ultima censura in ordine all’accertamento dell’effettivo quantitativo di rifiuti abbandonati nel sito di cui si tratta costituisce una mera contestazione in punto di fatto del predetto accertamento di merito, che è fondato su una valutazione delle risultanze processuali immune da vizi logici.
Detta censura è, pertanto, inammissibile in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.