Sez. 3, Sentenza n. 37870 del 11/05/2004 Ud. (dep. 24/09/2004 ) Rv. 230032
Presidente: Postiglione A. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Panetta. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Rigetta, App. Catanzaro, 30 Luglio 2003)
INDAGINI PRELIMINARI (Cod. proc. pen. 1988) - ATTIVITÀ DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA - identificazione dell'indagato e delle persone informate - IN GENERE - Atto di individuazione dell'indagato in sede di indagini preliminari - Diritto di assistere del difensore - Necessità - Esclusione - Ragioni.
Massima (Fonte CED cassazione)
L'art. 364 cod. proc. pen. non prevede tra gli atti di indagine con diritto di assistenza del difensore anche l'atto di individuazione di persona, sia perchè gli atti compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari hanno una funzione esclusivamente endoprocessuale, cioè finalizzata alla prosecuzione delle stesse, sia perchè per la natura dell'atto è impossibile predisporre l'assistenza di un difensore "in incertam personam", prima cioè di avere identificato la persona che, solo a partire da quel momento, assumerà la veste di persona sottoposta alle indagini.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 11/05/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 928
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 44410/2003
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Panetta Luca, nato a Sidereo il 26 marzo 1981;
avverso la sentenza emessa il 30 luglio 2003 dalla Corte d'Appello di Catanzaro;
udita nella pubblica udienza dell'11 maggio 2004 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. Passacantando Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza emessa il 28 febbraio 2003, a seguito di giudizio abbreviato, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro dichiarò Panetta Luca colpevole di numerosi reati continuati di violenza sessuale, di atti osceni in luogo pubblico, di furto e tentato furto aggravato e di tentata violenza privata commessi in danno di diverse donne, e lo condannò alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, oltre pene accessorie, mentre lo assolse dai reati di violenza sessuale in danno di tre persone per non aver commesso il fatto.
L'imputato propose appello deducendo: a) l'inutilizzabilità dei verbali di individuazione personale, in quanto, essendo egli già formalmente indagato, era necessario che fosse avvertito della facoltà di nominare un difensore e di farsi assistere dallo stesso;
b) che l'individuazione era stata fatta con metodo scorretto perché non era certo che i due carabinieri scelti come comparse fossero somiglianti a lui e comunque perché essi erano già noti alle parti offese; c) l'inattendibilità delle fonti testimoniali; d) erronea applicazione di legge in relazione a due reati di furto aggravato. La Corte d'Appello di Catanzaro, con sentenza del 30 luglio 2003, assolse il Panetta dal reato di furto di cui al capo C) per non aver commesso il fatto, escluse l'aggravante per il furto contestato al capo D), e rideterminò la pena in anni due e mesi sei di reclusione, revocando l'interdizione dai pubblici uffici.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) violazione ed erronea applicazione degli artt. 348, 354, 361, 364, 188, cod. proc. pen., 114 disp. att. cod. proc. pen., in relazione agli artt. 178, primo comma, lett. c), 180 e 191 cod. proc. pen. nonché agli artt. 13 e 24 Cost., sia in relazione all'art. 192 cod. proc. pen., anch'esso violato per avere illegittimamente la sentenza impugnata utilizzato - nonostante la eccepita inutilizzabilità - come elemento probatorio ai fini dello accertamento della sua responsabilità, i verbali di individuazione personale affetti sia da nullità a regime intermedio -eccepita in udienza preliminare prima della richiesta di rito abbreviato - sia da inutilizzabilità assoluta - rilevante, dal combinato disposto degli artt. 188 e 216 cod. proc. pen. in tema di modus operandi della polizia giudiziaria;
nullità della sentenza impugnata.
Ripropone in sostanza, quasi testualmente, l'eccezione, già svolta con l'atto di appello, della nullità ed inutilizzabilità dei verbali relativi alla sua individuazione da parte delle parti lese perché, avendo in quel momento egli già assunto la qualifica di indagato, avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di nominare un difensore e di farsi assistere da questo. Aggiunge che la corte d'appello non ha recepito la differenza tra individuazione di soggetto non indagato da quella di soggetto indagato; le conseguenze in termini di sanzioni processuali della commistione tra un atto normativamente previsto ed uno creato da esigenze investigative e legittimato quale prova atipica; le critiche svolte con l'atto di appello in ordine alla metodologia con la quale è stata svolta la individuazione di persona. Osserva inoltre che i verbali in questione erano inutilizzabili anche nel rito abbreviato, sia perché la relativa eccezione era stata sollevata all'udienza preliminare e quindi l'accettazione del rito abbreviato non implica anche quella dell'illegittimità degli atti di individuazione; sia perché, con le modifiche intervenute in tema di rito abbreviato, il giudice ben poteva assumere anche d'ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione e per recuperare gli atti inutilizzabili, e quindi convocare in udienza le persone offese per verificare nel contraddittorio delle parti e con le forme della ricognizione se esse riconoscevano l'imputato. In ogni caso anche nel rito abbreviato può essere sempre eccepita l'inutilizzabilità c.d. patologica, inerente agli atti assunti contra legem ed il cui impiego è vietato in modo assoluto.
b) violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. in relazione all'art. 609 bis cod. pen. in tema di applicazione dei criteri di valutazione delle dichiarazioni delle persone offese nonché in relazione agli artt. 624 e 625 cod. pen. in ordine alla sussistenza di riscontri alle dichiarazioni accusatorie; vizio di motivazione sul punto ed in particolare: 1) per illogicità in merito alla valutazione delle dichiarazioni; 2) per omessa verifica circa l'esistenza di altri elementi necessari per corroborare le accuse; nullità della sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati, perché in qualche modo connessi, sono infondati.
Va infatti innanzitutto osservato che i giudici del merito hanno fondato il loro convincimento in ordine alla responsabilità dell'imputato non solo sulle avvenute individuazioni personali, ma anche su tutta un'altra serie di indizi gravi, precisi e concordanti, che già di per sè sono idonei a giustificare un giudizio di colpevolezza, anche a prescindere dai verbali di individuazione personale.
I giudici del merito hanno infatti rilevato che nel periodo compreso tra il novembre del 2000 ed il maggio del 2002 furono denunciati alla polizia giudiziaria numerosi episodi di violenza e molestie a sfondo sessuale, talvolta connessi a furti con strappo e ad atti osceni, tutti in danno di giovani donne sole residenti nel territorio del comune di Soverato e, quel che più rileva, tutti commessi con il medesimo modus operandi. Tutte le giovani donne vittime di tali episodi, fornirono una descrizione molto dettagliata delle violenze subite, sia in sede di denuncia querela sia nel corso delle sommarie informazioni testimoniali, descrivendo, tra l'altro, la fisionomia dell'aggressore, parlando costantemente di un giovane dell'età di 20 25 anni, alto 1,70-1,70 m., di corporatura piuttosto esile (magro/molto magro), con capelli scuri, corti sui lati e più lunghi al centro, con il viso allungato e scarno, con una apparente stempiatura, con una certa affinità con i tratti tipici di un extracomunitario, con dei segni sulla pelle della faccia. Orbene, la corte d'appello ha rilevato che l'esame diretto da essa effettuato delle sembianze dell'imputato le consentiva di definire l'apparato rappresentativo fornito dalle vittime senz'altro fedele alla realtà, anche perché coerente appunto con i particolari emersi da alcune deposizioni.
In ogni caso, oltre alla descrizione delle fattezze fisiche, qualcuna delle vittime riuscì ad indicare anche altri elementi oggettivi, che permisero alla polizia giudiziaria di organizzare dei servizi di osservazione che alla fine portarono all'individuazione dell'odierno ricorrente.
Così, ad esempio, una delle vittime, Piattelli Anna, riuscì a fornire agli investigatori la targa, il colore ed il tipo di auto utilizzata dal suo aggressore, dati in base ai quali gli agenti riuscirono a risalire all'auto del Panetta (corrispondente per tipo, colore e numero di targa a quella indicata dalla vittima). Una volta individuata l'auto gli agenti procedettero a perquisire la stessa ed il suo possessore, rinvenendo così in possesso del Panetta il telefono cellulare che risultò essere stato sottratto pochi giorni prima ad un'altra delle vittime, Lanciano Maria Giovanna, nonché alcun indumenti maschili, successivamente riconosciuti da Pennini Stefania e Carito Rita come quelli indossati dal loro aggressore. Sulla base di tali elementi - che, come rilevato, già costituiscono una serie di indizi gravi, precisi e concordanti - la polizia procedette, immediatamente dopo la perquisizione veicolare e personale, a convocare le vittime delle aggressioni denunciate, le quali furono dapprima invitate nuovamente ad integrare il racconto del fatto e l'indicazione descrittiva del giovane ladro e aggressore, e quindi ad effettuare un raffronto visivo che, proprio per la sua intrinseca atipicità, venne legittimamente modulato sull'esempio della ricognizione personale. In tale occasione la quasi totalità delle donne convocate riconobbe con assoluta certezza nel Panetta il responsabile delle aggressioni ai loro danni. Come esattamente rilevato dalla corte d'appello, con un apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, e quindi non censurabile in questa sede, le critiche svolte dalla difesa in ordine a pretesi difetti metodologici relativi alle concrete modalità con cui avvenne l'individuazione - difetti, peraltro, in buona parte solo supposti ma non dimostrati - non erano idonee, in ogni caso, ad intaccare la portata accusatoria delle nette e ferme attestazioni di corrispondenza somatica.
Venendo quindi più in particolare al primo motivo - a parte ogni considerazione sulla sua irrilevanza nel caso in esame per le ragioni già indicate - esso è comunque infondato. La corte d'appello ha infatti accertato in punto di fatto che l'individuazione personale da parte delle vittime avvenne quando il Panetta non aveva ancora formalmente assunto la veste di indagato, ma mentre si era ancora nelle fase delle indagini di polizia, finalizzate appunto alla ricerca di elementi conducenti all'ignoto aggressore, fase immediatamente successiva alla perquisizione veicolare e personale del Panetta, rintracciato grazie ai dati segnalati dall'ultima delle vittime in ordine alla autovettura utilizzata dall'aggressore, il che comportava la necessaria acquisizione del maggior numero di elementi atti alla identificazione del molestatore, ed in primo luogo la riconvocazione delle vittime dei vari episodi, le quali vennero assunte di nuovo ad esame sommario ed invitate ad effettuare la individuazione personale mediante un raffronto visivo. Non è infatti esatto quanto sostiene il ricorrente, e cioè che egli avrebbe già assunto la qualità formale di indagato nel momento in cui fu fermata la sua auto e fu effettuata la perquisizione, perché in tale momento risultava solo che il Panetta era in possesso di un'auto identica a quella indicata da una delle vittime, ma non che fosse stato proprio lui ad utilizzarla per effettuare le aggressioni e le molestie, e perché a tal fine nemmeno potevano ritenersi sufficienti il cellulare e gli abiti maschili rinvenuti, giacché gli agenti poterono constatare la loro corrispondenza rispettivamente con quello sottratto ad una delle vittime e con quelli usati dall'aggressore in alcune occasioni soltanto in seguito, mediante il riscontro delle singole denunzie e la nuova audizione delle vittime, e non al momento della perquisizione. La realtà, dunque, è che il Panetta assunse la veste di indagato solo in seguito alla sua individuazione personale da parte delle vittime e non prima.
In ogni caso il motivo è infondato quand'anche si ritenesse che l'imputato al momento dell'individuazione personale avesse già assunto la veste formale di indagato. Ed invero, come esattamente ricordato dalla corte d'appello, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 265 del 1991, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 364 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede tra gli atti di indagine con diritto di assistenza del difensore anche gli atti di individuazione coinvolgenti l'indagato, per il motivo che la mancanza di tale presenza non comporta la violazione del diritto di difesa. Ha infatti osservato la Corte che gli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari hanno una funzione esclusivamente endoprocessuale cioè finalizzata alla prosecuzione delle stesse; ne' la presenza della difesa incide sul valore degli atti compiuti rendendoli in qualche modo equivalenti, sotto il profilo probatorio, a quelli compiuti dal giudice. Peraltro, in talune ipotesi, come quella dell'individuazione della persona sottoposta alle indagini, data la natura dell'atto è del tutto impossibile realizzare l'assistenza di un difensore "in incertam personam", prima cioè di avere materialmente identificato la persona che sarà poi, solo a partire da quel momento, "sottoposta alle indagini". Pertanto non può dirsi violato ne' il diritto di difesa dell'indagato, ne' il principio di parità delle parti, ben potendo il legislatore graduare l'assistenza difensiva in funzione del rilievo conferito all'atto che esaurisce i suoi effetti all'interno della fase in cui viene compiuto.
D'altra parte, questa Suprema Corte ha più volte affermato che il giudice del dibattimento può porre a base del suo convincimento anche il riconoscimento fotografico, se pur avvenuto nella fase delle indagini, in considerazione dei principi della non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice (Sez. 6^, 18 aprile 2003, Motta, 225.574) e che l'individuazione dell'autore del reato è istituto diverso e autonomo rispetto alla ricognizione formale prevista dall'art. 213 e seg. cod. proc. pen., e non è, quindi, soggetto alle forme stabilite per quest'ultima; in particolare è inquadrarle tra le prove non disciplinate dalla legge, previste dall'art. 189 cod. proc. pen., trova il suo paradigma nella prova testimoniale proveniente dalla parte offesa o da altri che abbiano accertato l'identità personale dell'imputato. Ne consegue che la differenza tra i due istituti è ancora più sensibile allorché l'individuazione dell'autore del reato sia avvenuta fuori dal processo, prima dell'avvio delle indagini preliminari, ad opera della parte offesa o di altri che ne riferisce in giudizio, perché tramite la testimonianza si deduce nel processo un fatto storicamente avvenuto, mentre la ricognizione tende invece ad acquisirlo (Sez. 3^, 26 aprile 1999, Cuccurullo, m. 214.312).
Inoltre, come esattamente ricordato dalla corte d'appello, il giudizio di primo grado si è svolto secondo il rito abbreviato ed è pacifica in giurisprudenza la utilizzabilità e la valenza probatoria, in sede di giudizio abbreviato, delle sommarie informazioni nonché dei risultati della individuazione di persone e di cose poste in essere ai fini dell'immediata prosecuzione delle indagini.
Del tutto inesattamente il ricorrente richiama, in senso contrario, la giurisprudenza delle Sezioni Unite le quali hanno affermato che anche nel corso del giudizio abbreviato trova applicazione la categoria sanzionatoria della inutilizzabilità c.d. patologica, inerente cioè agli atti probatori assunti cantra legem, il cui impiego è vietato in modo assoluto non solo nel dibattimento ma in qualsiasi altra fase del procedimento, ivi comprese le indagini preliminari. La giurisprudenza in questione, infatti, si riferisce alle prove affette da inutilizzabilità patologica, ossia assunte contra legem, mentre nella specie si tratta di un'individuazione personale che non è stata affatto assunta contra legem e che non è affetta da alcuna inutilizzabilità patologica, essendo appunto consentito - come rilevato dalla ricordata decisione della Corte costituzionale - nella fase delle indagini preliminari procedere alla individuazione personale senza la presenza del difensore, trattandosi di un atto avente funzione esclusivamente endoprocessuale, finalizzato alla prosecuzione delle indagini preliminari. In nessun caso, quindi, potrebbe ritenersi che un atto del genere sia stato assunto contra legem nella fase delle indagini preliminari e sia quindi affetto da inutilizzabilità patologica, con la conseguenza che, avendo l'imputato richiesto la procedura del rito abbreviato, del tutto legittimamente sono stati utilizzati gli atti regolarmente e legittimamente formati nella fase delle indagini preliminari. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 11 maggio 2004.
Depositato in Cancelleria il 24 settembre 2004