Corte Costituzionale sent. 142 del 20 giugno 2013
Con la sentenza n. 142 del 20 giugno 2013, il Giudice delle leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 43, commi 6, 6 bis e 6 ter, della legge regionale Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l'esercizio dell'attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell'ambiente), in quanto “la previsione di un unico comparto regionale pone in essere una deroga non consentita alla regolamentazione della caccia alle specie migratorie contenuta nell'art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992”. La giurisprudenza costituzionale costante ha riconosciuto nei principi di cui alla legge n. 157/1992 e s.m.i. “il nucleo minimo di tutela della fauna selvatica vincolante per le Regioni” e le Province autonome (vds. per tutte Corte cost. n. 4/2000). Il legame cacciatore-territorio è uno dei punti fondamentali del quadro normativo in tema di caccia c.d. sostenibile e Regioni e Province autonome non possono derogarvi in alcun modo (segnalazione dott. Stefano DELIPERI)
SENTENZA N. 142
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 43, commi 6, 6-bis e 6 ter della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo nel procedimento vertente tra l’Associazione Italiana per il World Wide Fund For Nature Ong Onlus ed altre e la Regione Abruzzo con ordinanza del 17 luglio 2012 iscritta al n. 300 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Udito nella camera di consiglio del 22 maggio 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 17 luglio 2012, iscritta al n. 300 del registro ordinanze 2012, il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione prima, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, commi 6, 6-bis, 6-ter, della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione ed in relazione all’art. 14, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
1.1. – Il rimettente, in punto di fatto, espone che le ricorrenti del giudizio principale, Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature Ong Onlus, Animalisti Italiani Onlus, Lega per l’abolizione della caccia Onlus, hanno impugnato gli atti con i quali la Regione Abruzzo ha approvato il calendario venatorio 2011 – 2012 e ne hanno chiesto l’annullamento. L’amministrazione regionale resistente si è costituita e all’esito dell’udienza di discussione, il ricorso è stato parzialmente deciso con sentenza, che ha accolto taluni motivi, annullando di conseguenza i relativi capi del provvedimento, e ha rigettato le altre censure.
1.2 – Per la definizione del giudizio residua il motivo con il quale le ricorrenti censurano il Capo F del calendario impugnato, che disciplina l’attività venatoria nell’ambito del comparto unico sulla fauna migratoria.
2. – Il TAR Abruzzo rileva che l’istituto del comparto unico sulla fauna migratoria è previsto dall’art. 43, comma 6, nonché dal comma 6-bis, che dispone l’iscrizione di diritto al comparto unico dei cacciatori iscritti ad un ambito territoriale di caccia (ATC) abruzzese o residenti in Regione, e dal comma 6-ter, che disciplina le giornate settimanali di caccia consentite.
I tre commi hanno sostituito il precedente comma 6 – già modificato una prima volta dall’art. 128, comma 25, della legge regionale 26 aprile 2004, n. 15 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo – legge finanziaria regionale 2004) – per effetto della sostituzione disposta dall’art. 5 della legge regionale 28 luglio 2004, n. 21 (Modifiche ed integrazioni alla L.R. n. 15/2004: Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2004 e pluriennale 2004-2006 della Regione Abruzzo – legge finanziaria regionale 2004). Il comma 6 è stato poi modificato dall’art. 106 della legge regionale 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo – legge finanziaria regionale 2005).
2.1. – Le associazioni ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità delle previsioni del calendario venatorio, in quanto disattendono immotivatamente una contraria indicazione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e comunque perché applicative di una norma ritenuta costituzionalmente illegittima, della quale hanno chiesto fosse sollevata la relativa questione.
2.2 – Con la sentenza parziale il TAR Abruzzo ha ritenuto infondato il primo aspetto della censura, poiché il comparto unico è istituito direttamente dalla legge regionale, di cui l’impugnato calendario costituisce provvedimento meramente applicativo e l’amministrazione resistente è vincolata dalla previsione legale che fa coincidere l’intero territorio regionale con un unico comparto venatorio, sia pure ai limitati fini della caccia alle specie migratorie. Ha invece ritenuto rilevante la questione di costituzionalità, poiché la legittimità della previsione del provvedimento impugnato sarebbe interamente dipendente dalla legittimità costituzionale della norma di cui costituisce applicazione. Sul punto, il TAR Abruzzo richiama la giurisprudenza costituzionale, secondo la quale il fatto che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo «non impedisce […] di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogniqualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum, separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi (cfr. sentenze n. 263 del 1994 e n. 128 del 1998)».
2.3. – Con la richiamata sentenza il TAR, quindi, tenuto conto del carattere periodico e dell’efficacia stagionale del provvedimento impugnato, ha riconosciuto la persistenza dell’interesse dei ricorrenti alla decisione, anche se l’atto ha esaurito i suoi effetti nel corso del giudizio. È stato altresì riconosciuto l’interesse alla decisione sui singoli motivi in quanto coinvolgenti capi autonomi del calendario tendenzialmente in grado di riprodursi in quello successivo. In particolare sussisterebbe l’interesse alla pronuncia sullo specifico punto in esame, visto che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma regionale determinerebbe l’annullamento della connessa previsione dell’atto impugnato e precluderebbe la futura possibilità di consentire l’esercizio venatorio nell’ambito del comparto unico.
2.4. – Sulla non manifesta infondatezza il giudice rimettente osserva che l’art. 43, commi 6, 6-bis e 6-ter, della legge regionale n. 10 del 2004 sarebbe in evidente contrasto con l’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992, il quale dispone che «le Regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell’articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni sub-provinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali».
La previsione di un unico comparto regionale sarebbe allora in palese contrasto sia con la prescritta dimensione sub provinciale dell’ambito venatorio, sia con l’esigenza di assicurare la naturale omogeneità di ciascun ambito. La norma statale non consentirebbe, infatti, una regolamentazione regionale derogatoria in funzione della caccia alle specie migratorie.
Sul punto il TAR Abruzzo richiama la sentenza n. 4 del 2000, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma regionale contenente la previsione di ambiti venatori di dimensioni provinciali, sul rilievo che il legislatore statale non solo ha voluto, attraverso la più ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio, ma ha inteso, altresì, attraverso il richiamo ai confini naturali, conferire specifico rilievo anche alla dimensione propria della comunità locale, in chiave di gestione, responsabilità e controllo del corretto svolgimento dell’attività venatoria e quindi ritenendo «incostituzionale la disposizione […] la quale […] consente l’indiscriminato esercizio della caccia alla selvaggina migratoria in tutti gli ambiti. È evidente, infatti, che tale norma non garantisce minimamente quella equilibrata distribuzione dei cacciatori nell’esercizio dell’attività venatoria, che costituisce uno degli obiettivi fondamentali della normativa in materia, alla stregua segnatamente dell’art. 14 della legge n. 157 del 1992».
Poiché tale previsione sarebbe ascrivibile al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica vincolante per le Regioni, il contrasto con l’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992 evidenzierebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Considerato in diritto
1. – Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione prima, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 43, commi 6, 6-bis e 6-ter, della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, ed in relazione all’art. 14, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
Quest’ultima norma ha introdotto, per assicurare la naturale omogeneità degli ambienti venatori, la nozione di ambito di caccia «di dimensioni subprovinciali».
La questione di legittimità è stata sollevata nel corso di un giudizio amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione, da parte di associazioni ambientaliste, degli atti con cui è stato approvato dalla Regione Abruzzo il calendario venatorio 2011-2012. Dal momento che detto calendario venatorio risulterebbe meramente attuativo delle disposizioni censurate, il rimettente deduce la necessaria pregiudizialità dello scrutinio di legittimità costituzionale delle stesse. Queste ultime – a suo avviso – contrasterebbero con la normativa statale per il fatto di prevedere un unico comparto regionale in luogo di quelli di dimensioni subprovinciali prescritti dall’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992.
2. – Nei termini proposti dal giudice rimettente la questione è fondata.
L’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992 dispone che: «Le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell’articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali».
Questa Corte ha già chiarito che con la legge n. 157 del 1992 il legislatore statale «ha inteso perseguire un punto di equilibrio tra il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l’interesse – pure considerato lecito e meritevole di tutela – all’esercizio dell’attività venatoria, attraverso la previsione di penetranti forme di programmazione dell’attività di caccia» (sentenza n. 4 del 2000).
In tale prospettiva risulta momento qualificante la valorizzazione delle caratteristiche di omogeneità, dal punto di vista naturalistico, dei territori nei quali si esercita la caccia. Tali caratteristiche devono essere adeguatamente considerate dalle Regioni «in vista della delimitazione degli ambiti territoriali di caccia, giusta l’art. 14, comma 1, della medesima legge, il quale dispone che le Regioni, con apposite norme, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali. Come è dato evincere da quest’ultima previsione, aspetto rilevante, nel disegno del legislatore statale, è, perciò, quello della realizzazione di uno stretto vincolo tra il cacciatore ed il territorio nel quale esso è autorizzato ad esercitare l’attività venatoria. Di qui, la configurazione in via legislativa di ripartizioni territoriali quanto più vicine possibile agli interessati, in ragione, per l’appunto, della prevista dimensione sub-provinciale degli ambiti di caccia, valorizzando, al tempo stesso, il ruolo della comunità che, in quel territorio, è insediata e che è primariamente chiamata, attraverso gli organi direttivi degli ambiti, nella composizione di cui al comma 10 del medesimo art. 14, a gestire le risorse faunistiche» (citata sentenza n. 4 del 2000).
I principi fissati dalla legislazione statale, così come specificati dalla richiamata pronuncia di questa Corte, non sono stati rispettati, nel caso in esame, dalla legislazione regionale. L’art. 43, con riguardo alla parte impugnata, dispone che: «6. Ai soli fini dell’esercizio dell’attività venatoria da appostamento alla fauna selvatica migratoria, per il periodo ricompreso tra il 1° ottobre e la conclusione della stagione venatoria resta comunque limitata al bimestre ottobre-novembre la possibilità di consentire la fruizione di cinque giornate venatorie settimanali, il territorio agro-silvo-pastorale della Regione Abruzzo è considerato comprensorio faunistico omogeneo ed il territorio ove è consentito l’esercizio dell’attività venatoria costituisce un unico ambito territoriale di caccia, ai sensi del comma 6 dell’art. 10 della legge n. 157/1992, di dimensioni regionali, denominato “comparto unico regionale per l’esercizio della caccia) da appostamento alla migratoria”. 6-bis. Sono iscritti di diritto al comparto unico regionale per l’esercizio della caccia da appostamento alla migratoria esclusivamente i cacciatori iscritti ad un ATC abruzzese o residenti in Regione. 6-ter. La Giunta regionale, sentiti l’OFR e la consulta regionale della caccia, può consentire, nel periodo 1° ottobre - 30 novembre, limitatamente all’esercizio dell’attività venatoria da appostamento alla fauna selvatica migratoria, la fruizione fino a cinque giornate di caccia settimanali, fermo restando il silenzio venatorio nelle giornate di martedì e venerdì».
Il contenuto dei tre commi impugnati risulta in evidente contrasto con il modello desumibile dall’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992, sia per la mancata scansione in ambiti venatori subprovinciali dell’intero territorio regionale, sia per l’omessa considerazione delle peculiarità ambientali, naturalistiche e umane afferenti ai singoli contesti territoriali.
Mentre il legislatore statale ha voluto, attraverso la ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori sul territorio, e, attraverso il richiamo ai confini naturali, conferire specifico rilievo – in chiave di gestione, responsabilità e controllo del corretto svolgimento dell’attività venatoria – alla dimensione della comunità locale, più ristretta e più legata sotto il profilo storico e ambientale alle particolarità del territorio, le disposizioni impugnate hanno disatteso queste finalità, prevedendo un indistinto accorpamento territoriale e soggettivo delle attività di caccia nei confronti delle specie migratorie.
In definitiva, la previsione di un unico comparto regionale pone in essere una deroga non consentita alla regolamentazione della caccia alle specie migratorie contenuta nell’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992.
L’illegittimità costituzionale delle prescrizioni inerenti all’istituzione del comparto unico si riverbera anche sui requisiti soggettivi e sulle modalità temporali di svolgimento della caccia previsti nei tre commi impugnati, in quanto riferiti ad attività venatoria in siffatto non consentito ambito, indipendentemente dalla verifica di quanto disposto sul punto dalla legislazione statale.
Essendo in contrasto con la salvaguardia del nucleo minimo di tutela della fauna selvatica vincolante per le Regioni, previsto dall’art. 14, comma 1, della legge n. 157 del 1992, i commi 6, 6-bis e 6-ter dell’art. 43, della legge reg. Abruzzo n. 10 del 2004 devono essere pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 43, commi 6, 6-bis e 6-ter, della legge della Regione Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio dell'attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la tutela dell’ambiente).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 giugno 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI