Palazzo Aymerich, i vincoli storico-culturali devono essere adeguatamente motivati
di Stefano DELIPERI
Rilevante pronunciamento del Consiglio di Stato in materia di vincolo storico-culturale e adeguata motivazione.
La sentenza Cons. Stato, Sez. VI, 3 settembre 2013, n. 4399 ha riformato la sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 19 febbraio 2010, n. 203 e ha accolto il ricorso in appello della D.A.C. s.r.l., società immobiliare che aveva presentato un programma urbanistico integrato per il Palazzo Aymerich, semi-distrutto dai bombardamenti aerei alleati del 1943, nel centro storico di Cagliari (quartiere Castello).
L’inizio dei lavori (2006) in base a concessione edilizia comunale n. 808/2006 venne interrotto da provvedimenti cautelari da parte della locale Soprintendenza per i Beni architettonici, per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e, in seguito, dal decreto della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna 20 luglio 2007, n. 77 con il quale è stata effettuata la dichiarazione di interesse culturale, ai sensi dell’art. 10, comma 3°, lettera a, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.
I Giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto incompleta e incongrua l’istruttoria svolta dalla locale Soprintendenza e fatta propria dalla competente Direzione regionale, in quanto gli elementi evidenziati “non siano sufficienti a supportare la dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene, essendo assolutamente necessario, in tale prospettiva, lo svolgimento di un’attività istruttoria più completa, funzionale a mettere in evidenza la sicura rilevanza culturale del bene da sottoporre a regime vincolistico”.
Infatti, i “beni culturali” oggetto della specifica dichiarazione “contemplati dall’art. 10, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, devono evidenziare un interesse particolarmente importante del bene sul piano storico, archeologico o etnoantropologico dato che, altrimenti, non potrebbe trovare giustificazione quel regime vincolistico di matrice pubblicistica che viene a limitare significativamente le ordinarie prerogative spettanti al legittimo proprietario”.
Secondo i Giudici amministrativi di secondo grado, non sarebbe comprovata la partecipazione del noto architetto Gateano Cima al rimaneggiamento del Palazzo Aymerich nel corso dell’800 (partecipazione non confermata nemmeno dalla relazione istruttoria), tantomeno sono state effettuate quelle indagini stratigrafiche atte a verificare la permanenza di elementi di epoca medievale, mentre la “determinazione di vincolo appare poco coerente con le conclusioni raggiunte dalla stessa Soprintendenza in sede di esame del programma di recupero del centro storico cittadino, ove la soluzione condivisa dalla autorità preposta alla tutela dei beni culturali è stata quella di sottoporre a speciale tutela il solo palazzo Decandia, posto nelle vicinanze”. Non può nemmeno riconoscersi “valenza decisiva all’elemento topografico, … per contro estraneo ai contenuti della proposta di vincolo e del tutto neutro ai fini della rilevanza culturale del singolo bene, non potendo a tal fine rilevare la sua collocazione nel centro storico cittadino, trattandosi di elemento indifferenziato e non discriminante, comune ad ogni altro immobile sito nella cinta muraria della città antica e come tale non utile a sostanziare il corredo motivazionale dell’atto di vincolo”, necessariamente da basarsi su “obiettivi e pregnanti elementi, specifici dell’immobile considerato, che illustrino un particolare e specifico pregio o che attestino, se non l’unicità dell’edificio, quantomeno la sua valenza testimoniale di un tipico e ben determinato stile architettonico”.
La carenza dell’istruttoria si conferma come uno dei principali “rischi” della procedura di dichiarazione dell’interesse culturale, aspetto da curare con estrema attenzione per un’efficace tutela del patrimonio del Bel Paese (vds. Cons. Stato, sez. VI, 5 ottobre 2004, n. 6488; Cons. Stato, sez. VI, 22 gennaio 2004, n. 161; Cons. Stato, sez. VI, n. 1179/1998, in Cons. Stato, 1998, I, p. 1311; Cons. Stato, sez. VI, n. 640/1982, in Cons. Stato, 1982, I, p. 1568; vds. anche Volpe, Commento agli articoli da 12 a 16 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in “Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio”, a cura di G. Leone e A. L. Tarasco, Cedam, Padova, 2006).
dott. Stefano Deliperi
N. 04399/2013REG.PROV.COLL.
N. 03092/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3092 del 2011, proposto dalla società Dac s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Sergio Segneri, con domicilio eletto presso la signora Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;
contro
Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni archeologici e per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le Province di Cagliari e di Oristano, in persona dei rispettivi rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI: SEZIONE II n. 203/2010, resa tra le parti, concernente il riconoscimento del particolare interesse storico-artistico di Palazzo Aymerich
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni culturali per le Province di Cagliari e Oristano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 12 luglio 2013, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Segneri per la società appellante e l’avvocato dello Stato Volpe;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La società D.A.C. s.r.l impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Sardegna 19 febbraio 2010 n.203 che ha dichiarato in parte improcedibile ed in parte ha respinto il ricorso (ed i susseguenti motivi aggiunti) dalla stessa proposto per l’annullamento del decreto 20 luglio 2007 n. 77 (nonché dei provvedimenti presupposti e conseguenti) con il quale il Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna ha dichiarato di interesse particolarmente importante l’immobile sito in Cagliari, tra la via dei Genovesi e la via Lamarmora, denominato Palazzo Aymerich, di proprietà di essa società appellante.
L’appellante deduce la erroneità della gravata sentenza e ne chiede la riforma rilevando, tra l’altro, che la stessa non avrebbe tenuto conto della dedotta carenza istruttoria del procedimento appositivo del vincolo, resa ancor più evidente dalla contraddittorietà tra le determinazioni assunte dalla Soprintendenza cagliaritana in sede di approvazione del Piano di recupero del centro storico, favorevole alla riedificazione del palazzo e quelle compendiate negli atti impositivi del vincolo sull’immobile. La società appellante reitera inoltre il motivo di censura, già dedotto in primo grado, della non rituale comunicazione d’avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di interesse culturale sul bene nonché della mancata adozione del provvedimento conclusivo appositivo del vincolo storico-artistico sul bene nel rispetto del termine previsto dalla legge.
Conclude l’appellante per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado e per l’annullamento, in riforma della impugnata sentenza, degli atti in prime cure gravati.
Si sono costituite in giudizio le appellate Amministrazioni per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
All’udienza del 12 luglio 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2. L’appello è fondato e va accolto nei sensi di cui appresso.
La causa riguarda la legittimità del procedimento di dichiarazione di interesse culturale dell’immobile denominato Palazzo Aymerich ed in particolare della dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene resa, a conclusione del procedimento, dal Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. a) del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.
3.- Giova premettere, in fatto, che l’area edificabile, posta nel Comune di Cagliari ove attualmente si trovano soltanto frammenti dell’antico Palazzo Aymerich, andato quasi integralmente distrutto durante i bombardamenti del 1945, ricade nel programma integrato del centro storico di Cagliari, avente valenza di piano attuativo, approvato dal Comune di Cagliari con deliberazione consiliare 25 marzo 2003 n. 10.
3.1 -La disciplina normativa del programma urbanistico integrato, approvata in sede di conferenza di servizi anche dalla appellata Autorità soprintendentizia, prevede la ricostruzione del palazzo nella sua originaria consistenza, con il ripristino dell’antico percorso pedonale denominato “Portico-Laconi” e con l’obbligo, per il soggetto attuatore, di cedere gratuitamente al Comune di Cagliari una parte del realizzando edificio, previa la stipula di apposita convenzione.
Sulla base di tale disciplina urbanistica, la società D.A.C., odierna appellante, ha presentato quale proprietaria dell’area un progetto per la ricostruzione del Palazzo che, previa autorizzazione paesaggistica, è stato assentito con concessione edilizia 25 luglio 2006 n. 808.
La Soprintendenza appellata, coinvolta nel procedimento autorizzatorio paesaggistico, secondo il modello procedimentale all’epoca vigente, non ha ravvisato ragioni per far luogo all’annullamento del titolo paesaggistico rilasciato dall’Autorità locale.
3.2- Dopo aver stipulato apposita convenzione con il Comune di Cagliari per la cessione di una parte dell’erigendo palazzo da destinare a “laboratorio per il centro storico, uffici per la circoscrizione e residenza temporanea”, la società D.A.C. ha avviato i lavori di recupero urbanistico dell’area; tuttavia, poco tempo dopo l’inizio di detti lavori, la Soprintendenza ai beni culturali di Cagliari ne ha disposto la sospensione al fine di esaminare il progetto esecutivo nonchè le modalità di attuazione dell’intervento. Con provvedimento del 19 dicembre 2006 la stessa Soprintendenza ha rilasciato il nulla-osta alla ripresa dei lavori a condizione che le escavazioni fossero effettuate sotto il controllo di propri tecnici di fiducia, stante la possibilità di rinvenire nell’area preesistenze affioranti.
3.3 - Il 27 dicembre 2006 è stata comunicata alla società appellante, unitamente ad un nuovo ordine di sospensione dei lavori, la nota 20 dicembre 2006, con la quale la stessa Soprintendenza comunicava l’avvio del procedimento preordinato al riconoscimento del particolare interesse storico artistico, ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. a), 13, comma 1 e 14, comma 1 del d.lgs. n. 42 del 2004 “della porzione che ancora si conserva del palazzo Aymerich” con la motivazione che la stessa “potrebbe includere importanti resti di epoca medioevale nella sua parte basamentale, mentre in elevazione presenta le caratteristiche compositive dovute all’intervento dell’art. Cima della metà dell’800”.
Anche il definitivo decreto di vincolo del 22 luglio 2007, gravato in primo grado con motivi aggiunti, richiama, a sostegno dell’interesse culturale particolarmente importante del bene, la relazione istruttoria e, con essa, la riconosciuta sussistenza di resti medievali nella parte basamentale dell’edificio nonché l’attribuzione del manufatto al noto architetto Cima, attivo nella metà dell’ottocento.
4.- Ritiene il Collegio che gli elementi indicati dalla Soprintendenza nella proposta di vincolo – per come recepiti nel citato provvedimento definitivo del direttore regionale - non siano sufficienti a supportare la dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene, essendo assolutamente necessario, in tale prospettiva, lo svolgimento di un’attività istruttoria più completa, funzionale a mettere in evidenza la sicura rilevanza culturale del bene da sottoporre a regime vincolistico.
E’ noto che i beni culturali per “dichiarazione amministrativa”, contemplati dall’art. 10, comma 3, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, devono evidenziare un interesse particolarmente importante del bene sul piano storico, archeologico o etnoantropologico dato che, altrimenti, non potrebbe trovare giustificazione quel regime vincolistico di matrice pubblicistica che viene a limitare significativamente le ordinarie prerogative spettanti al legittimo proprietario.
4.1 - Nella impugnata sentenza, il Giudice di primo grado ha ritenuto di disattendere le censure della società DAC srl incentrate sul difetto di istruttoria del procedimento di vincolo, sul rilievo ad un lato della tradizionale intangibilità, nel merito, delle valutazione operate dalla autorità amministrativa preposta all’applicazione del vincolo e, inoltre, in considerazione del fatto che il quadro degli indizi raccolti – e desumibili ex actiis - avrebbe comprovato l’assunto, posto a sostegno del vincolo, della effettiva riferibilità dell’edificio all’opera architettonica del noto architetto Cima.
4.2 -La società appellante, nel censurare la gravata sentenza, ha per contro evidenziato come la stessa relazione storico artistica, costituente il documento fondamentale nel quale sono compendiati gli apprezzamenti tecnico-discrezionali a base della determinazione vincolistica, si sia pronunciata in termini soltanto probabilistici sulla esistenza di una parte basamentale muraria risalente ad epoca medioevale, peraltro di difficile conciliabilità con due elementi oggettivi evidenziati dalla stessa appellante: a) anzitutto, con la conformazione dell’edificio prima del suo crollo, struttura a sei piani fuori terra, con un’altezza che suppone quantomeno la già intervenuta manomissione delle fondamenta murarie; b) in secondo luogo, con il già intervenuto arretramento delle facciate dell’edificio poste su via dei Genovesi e via Lamarmora in occasione degli interventi di ristrutturazione di metà ottocento, finalizzati anche all’allargamento delle strade adiacenti l’immobile di che trattasi. E che inoltre, quanto alla riferibilità della ristrutturazione del palazzo all’opera architettonica del Cima, vi sarebbero forti dubbi riguardo a tale conclusione, come d’altra parte desumibile dalla stessa relazione storico-artistica richiamata integralmente nel decreto di vincolo.
5.- Il Collegio ritiene che le censure d’appello siano meritevoli di favorevole condivisione atteso che le considerazioni espresse dal Giudice di primo grado nonché, nel corso del presente grado di giudizio, dalla difesa erariale, non siano sufficienti a porre gli atti in primo grado impugnati al riparo dalle censure principali di difetto di istruttoria e di motivazione insufficiente articolate dalla società DAC srl fin dal primo grado di giudizio.
Premesso che l’esame di tali motivi di legittimità lascia impregiudicate le valutazioni di merito, di esclusiva spettanza della amministrazione sottese, alla scelta di sottoporre a regime vincolistico l’immobile di che trattasi, il Collegio osserva che, nel caso di specie, risultano poco perspicue e intellegibili, sulla base di quanto emerge dall’esame degli atti e dalle condizioni attuali in cui versa l’immobile, le esigenze poste a sostegno del vincolo imposto sul bene.
In particolare, quanto alla possibilità di attribuire all’opera professionale dell’architetto Cima il rifacimento del palazzo, il Collegio ritiene che gli elementi raccolti nella fase procedimentale istruttoria non siano sufficienti a riconnettere fondamento a tale tesi ricostruttiva, posto che: a) da un lato tale determinazione di vincolo appare poco coerente con le conclusioni raggiunte dalla stessa Soprintendenza in sede di esame del programma di recupero del centro storico cittadino, ove la soluzione condivisa dalla autorità preposta alla tutela dei beni culturali è stata quella di sottoporre a speciale tutela il solo palazzo Decandia, posto nelle vicinanze; b) in ogni caso, anche a ritenere che una resipiscenza sull’interesse culturale del bene non necessitasse, pur a breve distanza temporale dalla prima determinazione, di una articolata motivazione di supporto, resta l’incertezza su quali siano gli elementi architettonici di Palazzo Aymerich immediatamente riferibili all’opera del Cima meritevoli di conservazione e tutela, tenuto conto del fatto che l’immobile è ridotto attualmente a poco più di un rudere.
Inoltre, poiché la ristrutturazione di metà ottocento dell’edificio, assuntivamente riferita al predetto professionista, ha evidentemente comportato la manomissione di significative parti strutturali del palazzo (non escluse le sue parti basamentali che risalirebbero ad epoca medioevale), di ben più antico impianto nobiliare, non è dato evincere dal contenuto proprio del decreto di vincolo - né dalla relazione storico-artistica nello stesso richiamata – come possano conciliarsi le esigenze di valorizzazione e tutela di elementi qualificanti così distonici, i quali supporrebbero ben distinti interventi di recupero, dal contenuto assai eterogeneo tra loro.
6.- Né, ai fini della legittimità del provvedimento di vincolo, appaiono decisivi i rilievi, svolti nella relazione storico artistica a comprova dell’interesse culturale che in ogni caso caratterizzerebbe l’immobile oggetto di vincolo, secondo cui indipendentemente dal fatto che l’edificio possa non essere stato modificato dal Cima in fase di ristrutturazione ottocentesca, o che, ad oggi, non possa essere comprovata, in assenza di specifiche indagini stratigrafiche, la datazione medioevale della parte basamentale, il palazzo in questione, appartenente ad una delle famiglie della nobiltà catalana, stabilitasi definitivamente in Sardegna nel corso del XIV secolo, è storicamente connaturato nel tessuto urbanistico del quartiere da parecchi secoli e, come su esposto, è particolarmente importante mantenere la testimonianza storico-architettonica nella sua presenza nei luoghi dell’antico Kastrum Karalis.
Tale motivazione evidenzia, a parer del Collegio, ulteriori elementi di perplessità e di contraddittorietà, che dimostrano mancanza di compiutezza e concludenza nella attività istruttoria propedeutica alla apposizione del vincolo. Nella stessa relazione, infatti, si dà atto che non risultano eseguiti gli esami stratigrafici che lo stesso documento ritiene indispensabili ai fini dell’accertamento della presenza delle testimonianze medioevali nelle parti basamentali dell’edificio, costituenti una delle ragioni fondanti del regime di vincolo del bene. In secondo luogo, si riconnette valenza decisiva all’elemento topografico, che appare per contro estraneo ai contenuti della proposta di vincolo e del tutto neutro ai fini della rilevanza culturale del singolo bene, non potendo a tal fine rilevare la sua collocazione nel centro storico cittadino, trattandosi di elemento indifferenziato e non discriminante, comune ad ogni altro immobile sito nella cinta muraria della città antica e come tale non utile a sostanziare il corredo motivazionale dell’atto di vincolo. Quest’ultimo infatti non può che basarsi su obiettivi e pregnanti elementi, specifici dell’immobile considerato,che illustrino un particolare e specifico pregio o che attestino, se non l’unicità dell’edificio, quantomeno la sua valenza testimoniale di un tipico e ben determinato stile architettonico.
7.- In definitiva, nella fattispecie in esame, non appare al Collegio che tali elementi di particolare rilevanza culturale dell’immobile ( di cui, anche a giudicare dal materiale fotografico versato in atti, si rinvengono ad oggi limitati resti) siano stati messi in evidenza nel decreto di vincolo e negli atti ad esso presupposti, dai quali emergono al contrario elementi che denotano carenza istruttoria o addirittura profili di contraddittorietà dell’azione amministrativa, secondo quanto si è avuto modo di evidenziare.
L’accoglimento dell’appello e, per quanto di ragione, del ricorso di primo grado sotto i suindicati profili afferenti il difetto di istruttoria procedimentale comporta l’assorbimento dei motivi ulteriori dedotti in primo grado ( e qui riproposti) incentrati su violazioni di carattere formale del procedimento di vincolo, di cui non si ravvisa l’interesse all’autonomo esame.
In definitiva, l’appello va accolto e, in riforma dell’impugnata sentenza ed in accoglimento, per quanto di ragione, dell’originario ricorso, vanno annullati i provvedimenti in primo grado impugnati.
Ricorrono, tuttavia, giusti motivi, tenuto conto della delicatezza degli interessi in gioco, per far luogo alla integrale compensazione tra le parti delle spese e delle competenze del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello ( r.g. n. 3092 del 2011), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso originario di Dac s.r.l., annulla i provvedimenti gravati in primo grado.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)