TAR Piemonte, Sez. I. n. 578, del 8 maggio 2013
Beni Ambientali.Calcolo fascia di rispetto corsi d’acqua dai confini incerti

La disposizione dettata dall’art. 1 lett. c) L. 431/1985 sottopone a vincolo paesaggistico i fiumi, i torrenti e i corsi d’acqua e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 mt. ciascuna. La misurazione della fascia di rispetto deve partire dagli elementi predetti (sponde o piede degli argini) e, solo ove gli stessi siano incerti, dal punto nel quale si colloca il livello di piena ordinaria, che include le sponde, le rive interne e l’area del corso fluviale soggetta ad essere sommersa dalla piena. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00578/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00557/1999 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 557 del 1999, proposto da: 
Telecom Italia S.p.A. Gia' Tim Telecom Italia Mobile S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Montanaro e Marco Siniscalco, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, via del Carmine, 2;

contro

Comune Rocca Grimalda, rappresentato e difeso dagli avv.ti Paolo Monti, Giuseppe Greppi e Giorgio Razeto, con domicilio eletto presso Antonio Fiore in Torino, corso Alcide De Gasperi, 21;

per l'annullamento

dell'ordinanza n. 189 (prot. n. 932) del 3.3.1999, notificata a mezzo del servizio postale in data 8.3.1999 e pervenuta il 12.3.1999, con la quale si irroga a TIM la sanzione pecuniaria di L. 115.205.000, ai sensi dell'art. 15 della Legge 1947/1939 e dell'art. 16 L.R. 20/1989;

nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune Rocca Grimalda;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 aprile 2013 il dott. Giovanni Pescatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1) Con autorizzazione amministrativa n. 20 in data 12 agosto 1997, il Comune di Rocca Grimalda ha rilasciato alla Società ricorrente il permesso per "installazione impianto radiomobile su palo metallico".

L'autorizzazione n. 20 è stata successivamente annullata in autotutela dal Comune, con provvedimento n. 375 in data 29 gennaio 1999, sul rilievo che l'impianto sarebbe stato realizzato senza il necessario nulla osta regionale, ai sensi della disciplina vincolistica, in quanto posizionato a meno di 150 mt. dal torrente Orba e quindi in area soggetta a vincolo ambientale (secondo la disciplina ora contenuta nel D.Lgs. 4212004, ma all'epoca ancora da riferire alla L. 1497 l 1939 e alla L. 431 l 1985, c.d. "Legge Galasso").

La società ricorrente ha impugnato il provvedimento comunale di annullamento in autotutela dell'autorizzazione comunale, con ricorso iscritto ad R.G. n. 512/1999, dichiarato improcedibile con sentenza passata in giudicato (n. 1567/2001).

Con ordinanza n. 189 in data 3 marzo 1999, il Comune ha inoltre irrogato alla società la sanzione pecuniaria di Lire 115.205.000, indicando l'applicazione dell'art. 15 L. 1497 l 1939 e dell'art. 16 L.R. 20/1989, relativamente al presunto abuso paesaggistico.

L'ordinanza applicativa della sanzione pecuniaria è oggetto del presente giudizio, giunto a decisione all’udienza del 18.04.2013, dopo la reiezione dell’istanza cautelare di sospensiva.

2) La parte ricorrente ha censurato il provvedimento sanzionatorio per vizi derivati dall’atto di annullamento dell’autorizzazione edilizia n. 20/1997 e per vizi propri.

Quanto ai primi, la società Telecom ha contestato: I) la sussistenza stessa del vincolo ambientale, non configurandosi a suo dire una distanza del manufatto dall’alveo del fiume inferiore a 150 metri; II) la mancata applicazione dell’art. 11 L. 1497/1939, dal quale si desumerebbe la non necessità della preventiva autorizzazione paesaggistica; III) la violazione degli artt. 7 e 10 L. 241/1990, non avendo il Comune motivato la propria determinazione alle luce delle osservazioni formulate dalla ricorrente; IV) la violazione dell’art. 94 TU 523/1904, avendo l’amministrazione individuato gli argini del fiume senza osservare il contraddittorio con la società interessata; V) la mancata valutazione dell’autonomia dei due procedimenti, volti rispettivamente al rilascio dell’autorizzazione edilizia e dell’autorizzazione paesaggistica, sicché la mancata definizione del secondo non varrebbe a invalidare il primo; VI) la contraddittorietà tra l’atto impugnato e il parere della C.I.E., basato su tavole del P.R.G. che non contenevano indicazioni sulla presenza del vincolo paesaggistico.

Quanto ai vizi propri dell’ordinanza impugnata n. 189 del 3 marzo 1999, la ricorrente ha lamentato: VII) la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, in violazione dell’art. 7 L. 241/1990; VIII) il difetto di istruttoria e di motivazione in punto quantificazione della sanzione; XI) l’illegittimità costituzionale – in relazione agli artt. 3 e 117 della Costituzione - dell’art. 16 L.R. 20/1989, assunto come base normativa per il calcolo della sanzione pecuniaria.

3) La parte resistente, oltre a contestare gli assunti avversari, ha eccepito in via preliminare il difetto di giurisdizione di questo giudice, ritenendo la materia delle sanzioni meramente afflittive (che cioè si accompagnano, senza sostituirlo, all’obbligo di rimessa in pristino dei luoghi) attratta alla giurisdizione del giudice ordinario.

L’eccezione è argomentata sulla base dell’indirizzo interpretativo per cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, in tema di sanzioni amministrative, va fondato sulla distinzione tra sanzioni cc.dd. ripristinatorie o restitutorie, destinate a realizzare il medesimo interesse pubblico al cui soddisfacimento è preordinata la funzione amministrativa assistita dalla sanzione e nei confronti delle quali la posizione soggettiva ha natura e consistenza di interesse legittimo; e sanzioni afflittive o punitive, volte a garantire solo il rispetto della norma posta a tutela dell'interesse pubblico, e nei cui confronti vi è una posizione di diritto soggettivo, tutelabile innanzi al giudice ordinario (cfr., ex multis, Cons. St. sez. V, 27 giugno 2012, n. 3786; Cass. civ., sez. un., 26 novembre 2008, n. 2816; sez. un., 2 luglio 2008, n. 18040; sez. un., 16 febbraio 2006, n. 63; Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2007, n. 6474; T.A.R. Milano sez. I, 10 gennaio 2012, n. 52; T.A.R. Bari sez. II, 22 ottobre 2010, n. 3792).

Nel caso di specie, risulterebbe ben evidente, a detta della parte resistente, che la sanzione irrogata alla società Telecom si configura come tout court punitiva, posto che l’obbligo di pagamento con essa imposto non costituisce sotto alcun profilo lo strumento per ripristinare lo stato dei luoghi, obiettivo al quale sovrintende l’art. 16, comma 7, L.R. 20/1989 (il quale dispone che “oltre alle sanzioni previste dal presente articolo è fatto obbligo di ripristinare i luoghi nel rispetto delle indicazioni che sono formulate in apposito decreto del Presidente della Giunta regionale; a tal fine il Sindaco è tenuto a inviare al Presidente della Giunta regionale copia del verbale riportante l'oggetto di violazione”).

4) L’eccezione preliminare non appare fondata.

Il Collegio ritiene che il principio richiamato dalla difesa del Comune, valevole in via generale per le tutte le sanzioni amministrative, non sia però applicabile nel caso di sanzioni connesse all'uso del territorio, atteso che tutte le controversie relative a tale materia rientrano, in base all'art. 133, n. 1, lett. f), del codice del processo amministrativo, nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Lo stesso art. 6 del D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150, nel disciplinare le controversie previste dall'articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, attribuite generalmente alla competenza del giudice ordinario, fa al riguardo "salve le competenze stabilite da altre disposizioni di legge", fra le quali certamente rientra quella ora all'esame.

Deve, pertanto, concludersi che in sede di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo possa esaminare anche la legittimità dei provvedimenti di determinazione e di liquidazione delle sanzioni previste dalla normativa di settore, in quanto nella nozione di "uso del territorio" non sembra possibile distinguere tra provvedimenti autorizzativi e sanzionatori, stante la strumentalità dei secondi rispetto ai primi, e ciò a maggior ragione quando l'entità di dette sanzioni non è fissata direttamente dalla legge, ma è determinata in via discrezionale dall'Amministrazione ed è rapportata al valore delle opere abusive (T.A.R. Pescara sez. I, 09 febbraio 2012, n. 45; T.A.R. Trentino Alto Adige, Trento 7 aprile 2011, n. 108, T.A.R. Bari sez. III, 27 ottobre 2010, n. 3830; T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. I, 3 agosto 2010, n. 29665, e T.A.R. Latina, 13 gennaio 2009, n. 23).

5) Nel merito, il ricorso è solo parzialmente fondato.

Va innanzitutto respinto il primo motivo di censura.

Nella sua argomentazione, la parte ricorrente prende le mosse dalla disposizione dettata dall’art. 1 lett. c) L. 431/1985 che sottopone a vincolo paesaggistico i fiumi, i torrenti e i corsi d’acqua e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 mt. ciascuna. Sottolinea, quindi, come la misurazione della fascia di rispetto debba dipartire dagli elementi predetti (sponde o piede degli argini) e, solo ove gli stessi siano incerti, dal punto nel quale si colloca il livello di piena ordinaria. Conclude, infine, che il provvedimento impugnato avrebbe violato il menzionato criterio, in quanto avrebbe fatto riferimento al limite demaniale riportato sulla cartografia catastale, determinato, in mancanza di una sua evidenza in sito, attraverso il riferimento “a capisaldi inamovibili e a punti fiduciari catastali” (cfr. relaz. arch. Gandino del 14.10.1998).

Va tuttavia rilevato che, in corso di giudizio, il Comune di Rocca Grimalda ha depositato (in allegato alla memoria 13.03.2013) una relazione tecnica a firma del responsabile del servizio tecnico comunale, nella quale si dà atto della ragionevolezza del limite demaniale come termine di misurazione della fascia di 150 mt.: nella relazione si evidenzia come plurimi elementi di indagine planimetrica e geomorfologica confermino la corretta individuazione, attraverso il criterio del limite demaniale, del terrazzo alluvionale intermedio (indicato con la sigla TA2) come sede del flusso idrico durante gli eventi di piena ordinaria. Il documento tecnico in esame appare risolutivo, pertanto, in quanto i rilievi ivi contenuti - in alcun modo confutati dalla società ricorrente - dimostrano che la misurazione effettuata dal Comune, pur riferendosi al limite demaniale, ha individuato il livello della piena ordinaria, che include le sponde, le rive interne e l’area del corso fluviale soggetta ad essere sommersa dalla piena (cfr. Cass. civile sez. un., 13 novembre 2012, n. 19703), e dal quale, per giurisprudenza pacifica, va misurata la fascia di protezione di m. 150 sottoposta a vincolo paesaggistico ex art. 1 lett. c) l. 8 agosto 1985 n. 431 (cfr. Pretura Reggio Emilia, 15 maggio 1992).

In altri termini, la prima misurazione posta a base dei provvedimenti comunali, pur assunta sulla base di rilievi topografici, è risultata corretta anche alla stregua delle indagini condotte in loco, in quanto coincidente con l’effettiva linea del livello di piena ordinaria, da assumere quale termine del computo della fascia di rispetto di 150 mt..

La società ricorrente invoca un diverso criterio di misurazione, che assume a riferimento non già il limite della piena ordinaria ma l’argine artificiale ubicato sulla sponda olografica destra. Si tratta tuttavia di riferimento improprio, poiché il calcolo dal piede esterno dell'argine è legittimo solo se quest'ultimo esplica una funzione analoga alla sponda nel contenimento delle piene ordinarie (Pretura Cremona, 24 settembre 1990).

In conclusione, essendosi la misurazione comunale basata sul limite della piena ordinaria, risulta infondata la contestazione della correttezza del criterio di misurazione applicato. D’altra parte, la società ricorrente non ha in alcun modo contrastato le risultanze dell’indagine geomorfologica che hanno condotto a fornire conferma della correttezza del criterio applicato (in particolare per quanto attiene alla individuazione della linea di piena ordinaria, dalla quale si diparte la fascia di protezione dei 150 mt).

6) Va altresì respinto il secondo motivo di ricorso, inteso a negare la necessità della previa autorizzazione paesaggistica ai fini dell’avvio dei lavori di edificazione del palo portantenne, sulla base del disposto dell’art. 11 L. 1497/1939.

Tale assunto è contraddetto dall’art. 10 della L.R. 3 aprile 1989 n. 20, ove si prevede che “al fine della tutela dei beni ambientali, chiunque voglia intraprendere nei territori o sui beni immobili dichiarati di notevole interesse pubblico, ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, e dell'art. 9 della L.R. 5 dicembre 1977, n. 56, e successive modifiche ed integrazioni, nonché inclusi nelle categorie di cui all'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431, lavori che possano modificarne o alternarne lo stato fisico o l'aspetto, deve astenersi dall'iniziare i lavori sino a che non abbia ottenuta l'autorizzazione ai sensi della presente legge”.

7) Il sesto motivo attiene ad asseriti aspetti di contraddittorietà tra l’atto impugnato e il parere della C.I.E.. Tale contraddittorietà deriverebbe dal fatto che in sede di istruttoria procedimentale relativa al rilascio dell’autorizzazione n. 20/1997, l’amministrazione avrebbe assunto le proprie determinazioni sulla base delle tavole del P.R.G., che non contenevano indicazioni sulla presenza del vincolo paesaggistico. Viceversa, la presenza del vincolo sarebbe emersa solo nel successivo atto di irrogazione della sanzione amministrativa, assunto sulla base di nuovi e ulteriori elementi istruttori.

La censura non appare pertinente, in quanto non tiene conto della diversità dei presupposti sottesi ai due procedimenti, rispettivamente volti al rilascio dell’autorizzazione edilizia e all’osservanza dell’autorizzazione paesaggistica. Questo dato differenziale spiega perché nel secondo procedimento siano stati presi in considerazione elementi istruttori non valutati ai fini del precedente provvedimento edilizio. In ogni caso, appare improprio argomentare l’invalidità di un provvedimento per incoerenza con un precedente provvedimento difforme, laddove quest’ultimo risulti non legittimamente assunto.

8) Il quinto motivo di ricorso evidenzia sotto altro profilo l’autonomia dei due procedimenti edilizio e paesaggistico, per concludere che la mancata definizione del secondo non costituirebbe motivo di invalidazione dell’atto conclusivo del primo.

Anche questo profilo di censura non appare fondato. L’asserita autonomia tra i due procedimenti, come intesa dalla parte ricorrente, è contraddetta dal già citato art. 10 L.R. 20/1989, il quale condiziona l’avvio dei lavori al previo conseguimento dell'autorizzazione paesaggistica.

Va inoltre precisato, ad ulteriore confutazione del motivo di ricorso, che il principio di autonomia invocato dalla parte ricorrente consente sì il rilascio della concessione edilizia anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, con il limite, tuttavia, che la concessione resta inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. Resta fermo, pertanto, che la mancanza di un'autorizzazione paesaggistica non consente l’esecuzione delle opere e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori e sanzionatori (cfr. T.A.R. Piemonte sez. I, 07 novembre 2012, n. 1166).

La sanzione per cui è causa è stata adottata sulla base di quest’ultimo assunto, ai sensi dell’art. 16 comma 3 L.R. 20/89.

9) Vanno accolti, invece, il terzo e l’ottavo motivo di ricorso.

Sebbene non siano mancate la comunicazione di avvio del procedimento e l’instaurazione del contraddittorio con la parte privata, ai sensi degli artt. 94 TU 523/1904 e 7 L. 241/1990 (disposizioni citate con i motivi di ricorso IV e VII; si veda la nota del 31.12.1998), risulta invece essere stata sostanzialmente elusa la disposizione di cui all’art. 10, lett. b) L. 241/1990.

Se, infatti, da un lato l'obbligo procedimentale di assicurare il contraddittorio partecipativo non implica la confutazione puntuale di tutte le osservazioni svolte dall'interessato, ciò non toglie che il provvedimento amministrativo vada corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibile le ragioni del mancato adeguamento dell'azione dell'amministrazione alle deduzioni difensive del privato (T.A.R. Friuli Venezia Giulia sez. I, 02 febbraio 2013, n. 44; T.A.R. Catanzaro sez. I, 24 gennaio 2013, n. 72; Cons. St. sez. V, 10 settembre 2009, n. 5424). Tale sforzo esplicativo è mancato nella specie, atteso che nella motivazione del provvedimento non è individuabile alcun passaggio argomentativo di replica alle deduzioni della parte interessata, sicché può affermarsi che l’amministrazione - ferma la correttezza del metodo di calcolo adottato (già esaminata con riferimento al primo motivo di ricorso) - non ha in alcun modo illustrato le ragioni delle proprie determinazioni, tenendo nel dovuto conto le osservazioni svolte in proposito dalla ricorrente.

10) Per analogo difetto motivazionale va censurata l'applicazione della sanzione pecuniaria, stante la mancata indicazione dei criteri seguiti nella determinazione del suo importo (sull'obbligo di enunciare i criteri seguiti per la concreta quantificazione della somma cfr. T.A.R. Reggio Calabria, 06 maggio 2002, n. 255; Tar Lazio, II, 28 aprile 1995 n. 757; Tar Friuli V.G., 20 marzo 1992 n. 95; T.A.R. Molise, 08 marzo 1983, n. 30; Tar Napoli, 10 febbraio 1982 n. 112).

L’assenza di una chiara indicazione delle disposizioni normative di riferimento (non desumibili dal cumulativo richiamo dell’art. 15 L. 1497/1939 e dell’art. 16 L.R. 20/89, che prevedono criteri difformi) e dei concreti parametri di quantificazione della somma, non individuabili neppure per relationem ad atti della fase istruttoria, non rende intellegibile il meccanismo attraverso il quale si è pervenuti alla stima posta a base del provvedimento sanzionatorio.

La lettura del calcolo estimativo prodotto solo nel corso del giudizio (doc. 5 fasc. resist.), se non vale a sanare il difetto di motivazione, per altro verso dà prova della complessità del computo e della conseguente esigenza di una sua compiuta illustrazione in sede motivazionale.

Resta da rilevare che il principio di inammissibilità dell’integrazione della motivazione nel corso del giudizio non viene meno, anche nelle interpretazioni giurisprudenziali che tendono a temperarlo in relazione al disposto del comma 2 dell’art. 21 octies L. 241/1990, laddove - come nel caso in esame - le ragioni del provvedimento non risultino chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato e non possa dirsi, pertanto, che l’omissione di motivazione (successivamente esternata) non abbia leso il diritto di difesa dell’interessato.

Restano assorbite le ulteriori contestazioni sulla legittimità dei criteri di calcolo, in quanto sviluppate sulla base di parametri di conteggio allegati solo in sede processuale e come tali non integranti motivazione del provvedimento impugnato.

Il ricorso deve essere accolto, pertanto, per i profili e nei limiti sopra segnalati.

Restano salve le ulteriori e meglio motivate determinazioni che l'Amministrazione vorrà assumere per definire l’esito dell’iter procedimentale.

La domanda di risarcimento del danno va invece respinta, poiché allo stato nessun pregiudizio irreversibile può configurarsi per la società ricorrente, in attesa del definitivo compimento del procedimento sanzionatorio.

Stante l’esito della lite, si ravvisano giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l'Amministrazione adotterà in merito.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 18 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:

Lanfranco Balucani, Presidente

Paola Malanetto, Primo Referendario

Giovanni Pescatore, Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 08/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)