Consiglio di Stato, Sez. IV n. 5450 del 24 ottobre 2012
Urbanistica. Presupposti certificato di agibilità. Prescrizioni di convenzioni urbanistiche.
Ai sensi dell’art. 24, I° co, del T.U. n. 380/2001 il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, ma tale accertamento ha proprio l’integrale conformità delle opere realizzate al progetto approvato come presupposto giuridico di ammissibilità dell’istanza stessa alla successiva istruttoria di merito. Le convenzioni urbanistiche, per la loro natura, di "accordi sostitutivi" del provvedimento ai sensi dell'art. 11, comma 5, l. n. 241 del 1990, determinano, l'assetto della parte del territorio in considerazione e sono destinate ad inserire gli edifici realizzandi in un contesto compiutamente integrato. Le relative prescrizioni regolano in via definitiva, con efficacia "erga omnes" e a tempo indeterminato il complessivo assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio comunale interessata dall'intervento. Per questo i fabbricati realizzati nell’ambito di tali convenzioni non possono essere procedimentalmente e funzionalmente disgiunti dalla realizzazione delle relative opere di urbanizzazione previste a tal fine, come dimostra il fatto che queste possono essere accettate dai Comuni soltanto a seguito dell'esito favorevole del relativo collaudo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 05450/2012REG.PROV.COLL.
N. 10544/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10544 del 2011, proposto da:
Vegagest Immobiliare Societa' di Gestione del Risparmio Spa in Pr. e Nq Soc. Gest. Fondo Comune "Europa Immobiliare n.1", rappresentata e difesa dagli avv. Angelo Clarizia, Ugo Molinari, Mauro Pisapia, con domicilio eletto presso Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
Acqua Marcia Immobiliare Srl, Investimenti Edilizi Italiani Srl, Pescheria Edilizia Srl, rappresentati e difesi dall'avv. Stefano Vinti, con domicilio eletto presso Stefano Vinti in Roma, via Emilia, 88;
nei confronti di
Comune di Roma, rappresentato e difeso per legge dall'avv. Rodolfo Murra, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II BIS n. 09212/2011, resa tra le parti, concernente rilascio certificato di agibilita' dell'immobile.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Acqua Marcia Immobiliare Srl, di Investimenti Edilizi Italiani Srl, di Pescheria Edilizia Srl e di Comune di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia, Mauro Pisapia, Corinna Fedeli in sostituzione di Stefano Vinti e Rodolfo Murra;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Si deve premettere che l’appellante, Società di gestione del risparmio nel settore c.d. “real estate”, aveva sottoscritto una promessa di vendita di due immobili con destinazione commerciale-servizi per conto di un Fondo di investimento, in esecuzione dei permessi di costruire previsti, tra l’altro, nella “Convenzione urbanistica Piano di Assetto di piazza dei Navigatori e via Giustiniano Imperatore”, ai sensi dell’art. 34 del T.u. n. 267/2000 e s.m.i. stipulata il 25 marzo 2004 tra le originarie società proprietarie e Comune di Roma.
Con successivo separato accordo integrativo del preliminare, la stipula degli atti definitivi di compravendita era stata subordinata dalle parti, tra l’altro, al completamento degli edifici entro il 31 dicembre 2010, ed all’ottenimento di “…ogni titolo abilitativo… ” valido efficace e “…necessario ed opportuno per il completamento di detta edificazione….. e ad effettuare con esito positivo tutti i collaudi strutturali e impiantistici degli immobili ”entro una data non successiva al termine finale.
L’istanza di agibilità per il Comparto Z 1 dell’edificio di piazza dei Navigatori veniva ritenuta inammissibile dal Comune di Roma, mentre quella concernente l’immobile di via di Santa Petronilla (Comparto Z 3) era ritenuta carente di alcuni documenti.
In entrambi i casi il Comune aveva affermato che la mancanza dei collaudi delle opere di urbanizzazione erano il presupposto previsto dalla convenzione urbanistica per il rilascio delle istanze di agibilità.
Su ricorso di primo grado delle Società odierne appellate, il TAR del Lazio:
a) ha dichiarato, in linea preliminare, il difetto di legittimazione della Vegagest a spiegare intervento ad opponendum in primo grado;
b) ha annullato rispettivamente:
--- il provvedimento del Comune di Roma del 25 novembre 2010, con cui è stata “archiviata” la domanda di rilascio del certificato di agibilità dell’immobile sito in Roma, piazza dei Navigatori, presentata dalle predette società in data 20 febbraio 2009 ma protocollata dal Dip. IX il successivo 1° aprile 2009, n. 22238;
--- il provvedimento del 18 novembre 2010, con cui è stata richiesta -- a pena di archiviazione -- la documentazione per il rilascio del certificato di agibilità dell’immobile di via di Santa Petronilla, n. 8 – Comparto Z3, richiesto dalla società Peschiera Edilizia Srl il 20 settembre 2010, ma protocollata dal Dip IX il successivo 3 novembre 2010 n. 65171;
--- la nota dell’U.O. Procedimenti Edilizi Speciali, Servizio 1° Agibilità, prot. 24040 del 25 marzo 2011, con cui il rilascio del certificato di agibilità del Comparto Z1 doveva essere subordinato ad alcune rettifiche e all’ottenimento del collaudo finale anche delle opere di urbanizzazione;
--- la nota dell’U.O. Procedimenti Edilizi Speciali, Servizio 1° Agibilità, prot. 24038 del 25 marzo 2011, con cui il rilascio del certificato di agibilità del Comparto Z3 è stato subordinato ad alcune rettifiche e all’ottenimento del collaudo finale delle opere di urbanizzazione;
c) ha ritenuto la formazione del silenzio di cui all’art. 25, comma 4 del DPR n. 380 del 2001, in relazione alle domande di rilascio del certificato di agibilità suindicate.
d) ha respinto la domanda risarcitoria per genericità.
L’appello, oltre a riproporre le eccezioni preliminari già introdotte in primo grado, è affidato alla deduzione nel merito di numerose doglianze relative in sostanza alla violazione del T.U. n.380/2001, con cui denuncia l’erroneità delle affermazioni della sentenza per cui:
__ I. sarebbe intervenuta la formazione del silenzio assenso di cui all’articolo 25 del T.U. dell’edilizia, in quanto l’istanza sarebbe stata corredata dalla prescritta documentazione (pagina 13 della sentenza);
__ II. i provvedimenti impugnati in primo grado non richiamerebbero la carenza di documenti strettamente prescritti dalla legge per il rilascio del certificato di agibilità, ma sarebbero riferiti alla mancata allegazione del collaudo delle opere di urbanizzazione e quindi ad asserite inadempienze della Convenzione (pagine 14.15 della sentenza);
__ III. il profilo urbanistico-edilizio non potrebbe mai assumere rilievo ai fini dell’agibilità in quanto il certificato di agibilità sarebbe finalizzato esclusivamente al “… controllo di tipo igienico sanitario escludendo qualsiasi riferimento alla conformità dell’edificio al progetto approvato”;
__ IV. il mancato completamente e collaudo delle opere di urbanizzazione imposte dalla convenzione sarebbe a tal fine irrilevante, atteso che si tratterebbe di aspetti urbanistici e “di profili di natura contrattuale per aspetti di sicurezza e igienico-sanitari non incidenti sulla formazione del silenzio-assenso riguardo alla domanda di agibilità”;
V. il Comune, avendo richiesto modifiche progettuali alle urbanizzazioni, avrebbe inciso sui tempi di svolgimento della loro realizzazione, sicché, in ragione della natura negoziale della convenzione secondo i principi di buona fede e correttezza, l’esercizio dello jus varianti avrebbe dovuto essere adeguatamente motivato e non avrebbe potuto incidere in modo arbitrario nello svolgimento dei procedimenti amministrativi connessi, compreso quello per il rilascio dell’agibilità, il quale sarebbe un “atto dovuto”(cfr.pagg. 16-17 sent.).
Si sono costituite in giudizio le società controinteressate che, con prima memoria per la discussione, hanno eccepito:
-- in linea preliminare, il difetto di legittimazione di Vegagest ad appellare la sentenza, in relazione alla strumentalità del suo interesse che sarebbe al di fuori di ogni rapporto pubblicistico, ed unicamente fondato sul tentativo di sostenere le proprie pretese civilistiche di tipo risarcitorio;
-- l’intervenuta improcedibilità dell’appello a seguito: dell’acquiescenza prestata alla decisione di primo grado dal Comune; della sopravvenuta carenza di interesse; ovvero comunque della cessazione della materia di contendere.
Nel merito ha sottolineato la fondatezza del ricorso di primo grado e comunque l’inconferenza delle argomentazioni dell’appellante.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale che, con memoria per la discussione, ha eccepito la correttezza del comportamento dell’amministrazione e, comunque, la necessità che, ai fini del rilascio del certificato di collaudo, dovessero essere collaudate anche le opere pubbliche di urbanizzazione primaria.
Con memoria per la discussione l’appellante Vegagest ha sottolineato le argomentazioni a sostegno delle proprie tesi, insistendo per l’accoglimento dell’appello.
Con due separate memorie le società appellate hanno replicato analiticamente alle tesi difensive delle controparti insistendo per il rigetto dell’appello.
Chiamata all'udienza pubblica, dopo aver udito i patrocinatori delle parti che hanno insistito nelle proprie tesi, la causa è stata ritenuta in decisione.
DIRITTO
___ 1.§. Nell’ordine logico delle questioni, devono essere esaminate unitariamente le eccezioni preliminari:
___ 1.§.1. Per le società appellate, l’acquiescenza prestata dall’amministrazione alla decisione di primo grado avrebbe determinato l’improcedibilità dell’appello che sarebbe dimostrata:
-- dall’emissione in data 19 dicembre 2011 dei certificati di agibilità richiesti dalle odierne ricorrenti;
-- dalla mancata impugnativa da parte del Comune della sentenza del Tar.
La natura di “intervento dipendente” che sarebbe alla base della legittimazione processuale dell’appellante, farebbe sì che l’appello introdotto a sostegno delle posizioni espresse in primo grado dall’amministrazione comunale, sarebbe divenuto improcedibile, una volta che quest’ultima aveva prestato acquiescenza ad una decisione che la vedeva soccombente. L’appello invece surrogherebbe indebitamente le posizioni espresse nel corso dell’intervento ad opponendum in primo grado di chi era stato estromesso dalla decisione impugnata.
___ 1.§.2. Sarebbe comunque sopravvenuta la carenza di interesse alla decisione dell’appello perché la sentenza del Tar Lazio, essendo fondata sul ritenuto accertamento del silenzio-assenso, sarebbe stata comunque auto-esecutiva, per cui, sotto il profilo giuridico-amministrativo, non sarebbero stati nemmeno necessari i certificati di agibilità successivamente rilasciati.
___ 1.§.3. Infine si sarebbe comunque verificata la cessazione della materia del contendere: perché i predetti certificati di agibilità, peraltro impugnati dalla Vegagest spa innanzi al Tar, sarebbero al momento pienamente efficaci, il che determinerebbe la sopravvenuta carenza di interesse da parte all’appellante nella presente sede.
L’interesse vantato dalle appellate, proprio in ragione dell’esistenza di nuovi provvedimenti integralmente satisfattivi, sarebbe stato, infatti, pienamente soddisfatto: il che avrebbe reso inutile l’eventuale riforma della sentenza che ha accolto il loro primo gravame.
___ 1.§.4. Le predette eccezioni vanno tutte respinte.
Come è noto, nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto nuova, che comunque muta radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso.
Tale sopravvenienza deve, però, essere tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, per avere fatto venire meno per il ricorrente o per l’appellante qualsiasi residua utilità della pronuncia del giudice, anche soltanto strumentale o morale (cfr. Consiglio di Stato sez. V 13 aprile 2012 n. 2116).
Per ciò che concerne l’improcedibilità, si deve notare che le determinazioni dirigenziali (versate in atti dall’appellante alle lettere B. e C del deposito del 21 maggio 2012) appaiono una mera ed apodittica esecuzione della sentenza impugnata in questa sede, come è evidente dalla loro scarna motivazione.
Entrambe sono del tutto prive di un’autonoma motivazione e di una specifica valutazione dei presupposti del rispettivo atto e, soprattutto, mancano della dichiarazione espressa di voler condividere e fare proprie le conclusioni della sentenza. Tali determinazioni, peraltro fuori dall’oggetto del presente giudizio, appaiono strettamente ed indissolubilmente collegate con la sentenza impugna di cui costituiscono l’esecuzione.
Costituiscono manifestamente un’attività doverosa di mera esecuzione della sentenza, che appare esclusivamente motivata -- anche in relazione all’entità ed all’importanza degli immobili -- dalla duplice esigenza, da un lato, di evitare possibili responsabilità patrimoniali dell’Amministrazione, e dall’altro, di assicurare comunque la certezza delle situazioni giuridiche.
Anche solo in relazione a quest’ultimo profilo, quindi, la lettera di recesso dal preliminare del 10.1.2011 non faceva affatto perdere a Vegagest la legittimazione ad appellare.
In ogni caso tali determinazioni avrebbero potuto determinare l’improcedibilità di un eventuale appello introdotto dall’Amministrazione soccombente, ma non certamente quello del controinteressato.
Si deve poi escludere che il mancato appello da parte dell’amministrazione determinerebbe un’acquiescenza opponibile al soggetto terzo che si assume vulnerato dalla decisione di primo grado. In tale ipotesi, infatti, l’acquiescenza non muterebbe sostanzialmente la posizione soggettiva dell’appellante, che era interveniente ad opponendum in primo grado.
Pertanto in pendenza dell’appello sulla sentenza del controinteressato, il mancato appello dell’amministrazione soccombente non è idonea a determinare il sopravvenuto difetto di interesse.
Se così non fosse, si finirebbe per vanificare l’utilità e la necessità del giudizio d’appello per l’odierno appellante.
Quanto poi all’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse, si ricorda che, come si diceva, secondo le regole generali, la relativa declaratoria può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o diritto che sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza per l’appellante, anche sotto il profilo meramente morale e strumentale. La relativa indagine deve essere condotta dal giudice con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria di improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell'obbligo di pronunciare sulla domanda (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V 02 febbraio 2012 n. 538).
In presenza di nuovi provvedimenti, meramente esecutivi della decisione di primo grado, l’interventore ad opponendum ben può continuare a tutelare le proprie posizioni soggettive in secondo grado qualora lamenti la lesione dei suoi legittimi interessi lesi dalla decisione del Tar di annullamento di provvedimenti a lui favorevoli.
Sulla scia delle considerazioni che precedono, deve escludersi che si sia verificata la cessazione della materia del contendere nei riguardi dell’appellante per effetto dei sopravvenuti provvedimenti di agibilità, in quanto essendo essi, lo si ripete, il frutto di un’attività dell’Amministrazione esclusivamente esecutiva dalle statuizioni del giudice, di per sé non erano affatto idonei a determinare alcuna cessazione della materia del contendere nei confronti dell’appellante, che, in tali ipotesi, mantiene intatto il suo diritto ad una pronuncia del giudice d’appello sulla sentenza di primo grado che pregiudichi i suoi interessi.
Si deve , in definitiva, affermare l’inconferenza, sul piano dei presupposti processuali, dei sopravvenuti certificati di agibilità ai fini del presente giudizio e quindi si deve concludere per la piena ammissibilità dell’appello.
___ 2.§. Sempre in linea preliminare va esaminata anche l’eccezione introdotta in primo grado dalla Vegagest, e non esaminata dal Tar, in conseguenza della declaratoria di inammissibilità dell’intervento dell’odierna appellante. In particolare, per l’appellante sarebbero inammissibile il ricorso in primo grado, perché:
-- i provvedimenti di non accoglimento delle domande di agibilità, impugnati con il ricorso introduttivo, non avrebbero potuto essere considerati effettivamente lesivi della posizione delle originarie ricorrenti, in quanto non contenevano un formale diniego delle istanze formulate ma erano motivati con gravi carenze documentali;
-- analogamente, i provvedimenti del 25 marzo 2011, impugnati con i motivi aggiunti, sarebbero stati privi di una determinazione negativa definitiva e quindi non erano idoneo ad essere lesivi.
In sostanza la lesione delle posizioni odierne non si sarebbero ancora concretizzate in quanto non si trattava di dinieghi, ma di provvedimenti interlocutori.
L’eccezione va disattesa.
In linea generale ogni determinazione amministrativa idonea a produrre un effettivo arresto procedimentale è immediatamente lesiva di posizioni giuridiche esterne, quando non abbia natura temporaneamente interlocutoria ma assuma un contenuto obiettivamente reiettivo dell'istanza del privato. Il rinvio del soddisfacimento dell'interesse ad un momento futuro ed incerto determina, infatti, un arresto a tempo indeterminato del procedimento amministrativo, che di per sé diventa, concretamente lesivo della posizione giuridica dell'interessato (cfr. Consiglio di Stato sez. V 03 maggio 2012 n. 2530; Consiglio di Stato sez. IV 31 marzo 2012 n. 1913).
Non vi sono dubbi che qui, indipendentemente dalle ragioni di diritto cui sono stati affidati dall’Amministrazione i provvedimenti gravati in primo grado, sia l’ “archiviazione”, sia la richiesta di integrazioni documentali si risolvevano entrambe in un sostanziale arresto procedimentale.
Come tali entrambe integravano un fattore di lesività delle posizioni delle Società appellate, il cui gravame di primo grado era quindi in ogni caso pienamente ammissibile.
___ 3.§. Con il suo primo motivo di carattere processuale, la Vegagest Immobiliare Spa lamenta l’erroneità della dichiarazione di inammissibilità dell’intervento esplicato in primo grado pronunciata dal TAR, sul duplice rilievo per cui l’interesse perseguito sarebbe di natura sostanzialmente privatistica e quindi “… non sarebbe rinvenibile in capo al soggetto interveniente un interesse relativo alla questione pubblicistica del rilascio del certificato di agibilità degli immobili in questione”, che invece sarebbe stato attivato in “funzione strumentale” .
Assume per contro la Vegagest che:
-- il rapporto civilistico rappresenta proprio il presupposto giuridico che qualificava e differenziava l’autonoma posizione della società, rispetto al quisque de populo, e che rendeva giuridicamente rilevante la sua posizione con riguardo alla controversia in questione.
Il controinteressato pregiudicato dall’esito del giudizio è sempre legittimato a proporre appello contro la relativa sentenza.
La società appellante, in quanto promissaria acquirente, era comunque titolare di un interesse specifico all’accertamento delle effettive condizioni di sicurezza igienico-sanitarie e di conformità edilizia-urbanistiche degli immobili, anche al fine di evitare possibili sanzioni da parte della stessa amministrazione comunale. Non si tratterebbe di sostanza di un mero interesse privatistico, essendo quest’ultimo direttamente collegato con la c.d. “questione pubblicistica” concernente l’agibilità delle opere realizzate nei due comparti interessati.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato avrebbe sempre affermato che lo stretto legame tra promissario acquirente e le vicende pubbliche riguardanti l’immobile medesimo è tale da consentire una diretta tutela innanzi al giudice amministrativo da parte di chi si è impegnato ad acquistare il bene. Pertanto deve essere riconosciuto lo specifico interesse dell’acquirente all’acquisto di un immobile perfettamente conforme alla normativa urbanistica ed edilizia (a tal fine invoca Consiglio di Stato: Sezione V 24 ottobre 1996 n.275; Sezione V 28 settembre 2011 n. 5391; Sezione V 22 febbraio 2007 n. 958;ecc.).
L’assunto è fondato.
Nel processo amministrativo la legittimazione al ricorso presuppone il riconoscimento dell'esistenza di una situazione giuridica attiva giuridicamente differenziata -- come tale protetta dall'ordinamento -- che deve essere sempre immediatamente riferita ad un bene della vita oggetto della funzione svolta dall'Amministrazione. Tale posizione però quasi mai è “di diritto pubblico” (altrimenti sconfinerebbe nell’azione popolare) ma attiene propriamente alla tutela degli interessi personali che si assumono vulnerati dal provvedimento, ovvero dalla sentenza che l’annulla.
Deve perciò aderirsi integralmente all’orientamento favorevole alla piena legittimazione di una società promissaria acquirente di immobili a far valere le proprie ragioni circa l’eventuale inidoneità dell’edificazione per la non conformità della costruzione, ovvero, come nel caso, per la mancanza del formale certificato di abitabilità.
Con riferimento all’ipotesi in esame, l’interesse ad impugnare la decisione che contesta il diniego dell’agibilità stessa degli edifici interessati non ha carattere secondario e strumentale in quanto l’appello:
-- non tende ad ottenere una “pronuncia di principio”, ma l’immediato annullamento della sentenza pregiudicante direttamente ed irrimediabilmente la sua posizione giuridica;
-- è l'unico rimedio all'asserita erroneità della decisione, da cui deriva una lesione attuale e diretta del bene -- sempre privato – che si intende tutelare dall'incidenza negativa delle statuizioni contenute nella sentenza.
Non si tratta quindi né di un interesse di mero fatto e neppure di un interesse giuridicamente estraneo all’ambito proprio del processo amministrativo.
La Vegagest S.p.A. era ancora promissaria acquirente e quindi era controinteressata necessaria in primo grado, ed anche successivamente al recesso dal preliminare; aveva comunque i requisiti per poter continuare ad esplicare intervento ad opponendum in primo grado ai sensi dell’art. 28 secondo comma del c.p.a. .
Di conseguenza, a prescindere dalle vicende dell'eventuale giudizio civile sul contratto preliminare, sussiste in ogni caso, in capo all’appellante, in quanto promissario acquirente degli edifici, l'interesse attuale, personale e diretto ad appellare la sentenza intervenuta su ricorso del promittente alienante, al solo fine di evitarne l'acquisto per l’eventuale mancanza di agibilità del fabbricato dedotto in preliminare, o comunque per far dichiarare l’illegittimità della realizzazione, al fine della non attribuibilità della responsabilità per la mancata conclusione del contratto definitivo in sede civile.
Ed anche se l’appellante volesse avvantaggiarsi della vicenda in esame, allo scopo di evitare la notoria crisi delle locazioni del terziario a Roma, tali profili non mutano la sostanza delle cose e sono del tutto irrilevanti sul presente piano processuale, in quanto deve riconoscersi alla Vegagest Spa la titolarità di una “posizione giuridica autonoma”, che l’art.102 del c.p.a. richiede a chi propone appello.
In definitiva deve essere affermata l’erroneità della sentenza relativamente alla pronuncia di inammissibilità dell’intervento ad opponendum in primo grado e deve essere affermata la piena legittimazione dell’odierna appellante al presente gravame.
___ 4.§. Nel merito, l’appello pone numerose rubriche di censura a loro volta sostanzialmente articolate su diversi profili, punti e sotto-punti (in verità variamente rubricati) che tuttavia devono essere raggruppate ed esaminati come segue.
___ 5. La prima rubrica sub A) (pag. 44 atto introduttivo) è suddivisa in due profili che per la loro intima connessione logica, possono essere unitariamente considerati.
___ 5.§.1. Per la Vegagest Spa tutto l’impianto della sentenza appellata muoverebbe dall’errore di fondo per cui, ai fini dell’agibilità, rileverebbero esclusivamente i profili di sicurezza e di igienico-sanitari con l’esclusione degli aspetti della conformità urbanistico-edilizia della costruzione.
Secondo l’appellante a parte il difetto, comunque, dei requisiti igienico-sanitari e di sicurezza nelle opere realizzate, la giurisprudenza avrebbe affermato che il certificato di agibilità è sottoposto alla condizione che l’attività costruttiva sia conforme non solo alle disposizioni di natura igienico-sanitari, ma anche a quelle di natura specificamente edilizia, come indica chiaramente la lettera dell’articolo 25 lettera b) del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380.
___ 5.§.2. L’asserita erronea irrilevanza dei profili urbanistici ha, di conseguenza, condotto il Tar all’erronea conclusione per cui la mancata realizzazione di gran parte delle opere di urbanizzazione, previste solo dall’articolo 16 della Convenzione stessa, non avrebbe potuto condizionare il rilascio del certificato di agibilità. Al contrario per l’appellante sarebbe evidente che, in relazione alla destinazione terziaria e commerciale degli edifici, le opere di urbanizzazione quali la viabilità di accesso ed i parcheggi destinati agli utenti avrebbero dovuto essere considerati quali elementi essenziali imprescindibili per la stessa fruibilità degli immobili.
___ 5.§.3. Entrambi gli assunti meritano di essere favorevolmente considerati.
L’istituto dell’abitabilità per le residenze e dell’agibilità per gli usi non abitativi, originariamente introdotto con l’ art. 221 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265 (T.U. Leggi Sanitarie), era diretta ad accertare che “…che la costruzione sia stata eseguita in conformità del progetto approvato, che i muri siano convenientemente prosciugati e che non sussistano altre cause di insalubrità”.
Tale disposizione, fu confermata dalla norma di semplificazione procedimentale di cui all’art.4 del D.P.R. 22 aprile 1994 , n. 425 (abrogato dall'art. 136, comma 2, d.p.r. n. 380/2001) per cui “.. il direttore dei lavori che deve certificare, sotto la propria responsabilità, la conformità rispetto al progetto approvato, l'avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti”.
Il precetto è stato infine riprodotto nell’art. 25 lett. b) che pone, tra i presupposti necessari dell’istanza di agibilità, la necessaria allegazione di una …“ dichiarazione sottoscritta dallo stesso richiedente il certificato di agibilità, di conformità dell'opera rispetto al progetto approvato”.
Pertanto, ai sensi dell’art. 24, I° co, del T.U. n. 380/2001 il certificato di agibilità attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, ma tale accertamento ha proprio l’integrale conformità delle opere realizzate al progetto approvato come presupposto giuridico di ammissibilità dell’istanza stessa alla successiva istruttoria di merito.
In ragione della lettera delle disposizioni sopra ricordate, appaiono assolutamente erronei i precedenti dei TAR (isolati e comunque i risalenti nel tempo) per i quali il certificato di agibilità sarebbe finalizzato solo al controllo di tipo igienico-sanitario, con esclusione di qualsiasi riferimento alla conformità dell’edificio al progetto approvato.
In tale scia, si deve poi annotare che la sentenza impugnata richiama in modo assolutamente fuorviante la decisione della Sez. V di questo Consiglio Stato 30 aprile 2009 n. 2760, che afferma esattamente il contrario di quanto il TAR vorrebbe fargli dire. In tale sentenza, infatti, si specifica testualmente che è:
”… la stessa legge ad individuare, nella necessaria conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie, il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del suddetto certificato.
… Ancor prima della logica giuridica è d'altronde la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualunque destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata (corretto uso del suolo, difesa dell'ambiente, salubrità degli abitati, sicurezza e stabilità delle costruzioni, ecc.).” (così la sentenza n. 2760 cit.).
Del tutto inconferente al presente contendere è al riguardo anche il riferimento nella sentenza all’art. 26 del T.U.E.D., secondo cui il rilascio del certificato di agibilità non impedisce l’esercizio del potere dell’Amministrazione di dichiarazione di inagibilità.
Tale disposizione è infatti manifestamente diretta all’ipotesi che successivamente si verifichi il venir meno dei requisiti igienico sanitari previsti dall’art. 222 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265: si tratta dunque di una norma di ordine pubblico che non ha rilievo procedimentale, ma carattere sostanziale, essendo finalizzata alla successiva tutela degli interessi generali alla sicurezza ed alla salubrità degli immobili.
Quanto al secondo profilo erroneamente il TAR afferma, a fondamento della sua decisione, che si dovrebbe distinguere tra i “due aspetti, quello pubblicistico e quello privatistico” e checomunque “… il mancato completamento delle opere di urbanizzazione riguarda profili di natura contrattuale non incidenti sugli aspetti di sicurezza e igienico-sanitari e sulla formazione del silenzio assenso riguardo la domanda di agibilità.”
Esattamente l’appellante afferma, infatti, che l’accertamento della piena conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie ed alle prescrizioni del permesso di costruire (ma anche, come si vedrà, alle disposizioni della convenzione urbanistica) costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità. In conseguenza ha ragione Vegagest quando contesta il presupposto logico e giuridico delle affermazioni che il TAR ha posto a fondamento della ritenuta formazione del silenzio assenso.
Né convince al riguardo la corrispondente eccezione, mossa dalle società appellate, per cui il mancato rilascio del certificato di agibilità sarebbe connesso all’interpretazione di una convenzione civilistica stipulata tra la parte privata e il Comune.
L'accordo di programma, introdotto dall'art. 27, l. 8 giugno 1990 n. 142, e ora disciplinato dall'art. 34, t.u. 18 agosto 2000 n. 267 è un istituto finalizzato alla definizione ed attuazione, con eventuale incidenza sugli strumenti urbanistici, di opere, interventi o programmi che richiedono per la loro completa realizzazione l'azione integrata e coordinata di comuni, province e regioni, di amministrazioni statali o di altri soggetti pubblici (cfr. Consiglio Stato sez. IV 21 novembre 2005 n. 6467).
Si deve perciò assolutamente escludere che la convenzione urbanistica possa essere ragguagliata ad un regolamento negoziale di diritto privato, in quanto si tratta di uno strumento specifico che, sotto il profilo sistematico, deve essere ricondotto agli artt. 11, comma 5, e 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per cui ad essi si applicano “ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili (art. 11, 2° co L. n.241/1990).
E ciò è indirettamente dimostrato anche sul piano processuale dalla disposizione di cui all’art. 131, primo comma, lett. a) n. 2 del c.p.a., che riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le questioni relative alla“… formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni…”, per cui non può mai darsi alcun rilievo al fatto che la domanda abbia ad oggetto l'accertamento di un inadempimento contrattuale (cfr. Cass. Civ.Sez. Unite, 14 marzo 2011, n. 5923).
In tale direzione è dunque evidente che restano attratte nella sfera pubblicistica tutte le prescrizioni e le disposizioni concordate in quella sede con il soggetto realizzatore dell’intervento finalizzato al perseguimento di quel complesso di interessi pubblici che sono coinvolti da interventi edilizi di comparto, anche alla luce dei quali l’Amministrazione deve valutare la positiva realizzazione di tutti gli adempimenti convenuti.
Le convenzioni urbanistiche, per la loro natura, di "accordi sostitutivi" del provvedimento ai sensi dell'art. 11, comma 5, l. n. 241 del 1990 (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 16 febbraio 2011 n. 1014), determinano, infatti, l'assetto della parte del territorio in considerazione e sono destinate ad inserire gli edifici realizzandi in un contesto compiutamente integrato.
Le relative prescrizioni regolano -- in via definitiva, con efficacia "erga omnes" e a tempo indeterminato -- il complessivo assetto urbanistico ed edilizio della porzione di territorio comunale interessata dall'intervento.
Per questo i fabbricati realizzati nell’ambito di tali convenzioni non possono essere procedimentalmente e funzionalmente disgiunti dalla realizzazione delle relative opere di urbanizzazione previste a tal fine (come dimostra il fatto che queste possono essere accettate dai Comuni soltanto a seguito dell'esito favorevole del relativo collaudo: cfr. Consiglio Stato, Sez. V 30 aprile 2009 n. 2768).
Nel caso in esame, deve dunque escludersi che le disposizioni, ed in particolare quelle dell’art. 16 della Convenzione, afferissero solo al versante dei rapporti di carattere obbligatorio tra Comune e società appellanti, ma al contrario quelle prescrizioni disciplinavano tutti gli aspetti -- strettamente attinenti al rapporto pubblicistico -- del procedimento amministrativo di realizzazione del relativo comparto.
Non si deve in vero dimenticare che l'esecuzione diretta delle predette opere da parte del concessionario è una scelta discrezionale dell'Amministrazione comunale, la quale, in tali casi, conserva la facoltà di procedere alla verifica ed alla congruità delle opere di urbanizzazione realizzate.
In un paese civile, onde evitare la creazione di comparti carenti delle necessarie infrastrutture, il completamento delle opere di urbanizzazione costituisce dunque un presupposto comunque indefettibilmente necessario per l’agibilità degli immobili realizzati nell’ambito di una convenzione urbanistica che li contempla.
In conseguenza, ai fini del rilascio dell’agibilità è sempre necessario l'accertamento della loro conformità al progetto approvato in esecuzione della convenzione medesima.
In tale scia, il collaudo -- anche per lotti funzionali e secondo modalità stabilite nella medesima convenzione urbanistica -- deve avvenire unitariamente sia per le opere di edilizia privata che per le relative opere di urbanizzazione.
Proprio il carattere di integralità dell’ intervento, che sia unitariamente previsto e disciplinato dalla convenzione, rende, dunque, necessaria la verifica della conformità urbanistico-edilizia dei fabbricati di pertinenza del privato, in tutt’uno con la congruità tecnica delle opere destinate ad integrare la relativa dotazione di pubblici servizi.
Per questo legittimamente l’art. 16, secondo comma della convenzione, subordinava espressamente “il rilascio dei certificati di agibilità al collaudo finale favorevole, anche per lotti funzionali,delle previste opere di urbanizzazione”.
Al riguardo, siccome “in claris non fit interpretatio”, del tutto erroneamente dunque il TAR (cfr. pag. 15), con l’artificioso riferimento ad erronei “profili di carattere contrattuale”, ha ritenuto di poter interpretare la predetta disposizione in aperto contrasto con il suo manifesto significato letterale.
Inoltre è inconferente, ai fini dell’agibilità de quo, l’ulteriore rilievo del TAR per cui restava ferma “…tuttavia la possibilità per il Comune di eseguire direttamente le opere mancanti utilizzando ove occorra la garanzia fideiussoria”, in quanto tale ipotesi si riferisce ad un inadempimento anche parziale di carattere definitivo, che qui comunque non ricorre.
Esattamente il Comune ha quindi posposto l’emanazione del relativo certificato all’effettivo completamento e collaudo delle opere di urbanizzazioni in senso sostanziale.
In definitiva sul punto entrambe le doglianze sono fondate e, anche sotto i predetti profili, la sentenza impugnata deve essere annullata.
___ 6.§. Nell’ordine logico delle questioni deve poi essere affrontata l’ultima doglianza (lett. C. pag. 73) con cui l’appellante Vegagest contesta l’erroneità delle considerazioni del Tar che avrebbe ritenuta arbitraria la richiesta del Comune di alcune modifiche progettuali, senza tener in alcun conto che:
-- la variazione concerneva in realtà solo una quota della viabilità, mentre le opere di urbanizzazione non realizzate dall’appellate concernerebbero una consistente parte delle opere di urbanizzazione anche primaria;
-- tale jus variandi era espressamente previsto nella convenzione, in particolare all’articolo 6, senza che fossero prescritte sanzioni per il suo esercizio da parte dell’Amministrazione comunale;
-- la loro entità era tale che i tempi di realizzazione, anche considerando le richieste di variazione, apparivano comunque del tutto compatibili e coerenti con la durata della convenzione, che sarebbe andata a scadere il 29 luglio 2014.
Anche tale censura può essere condivisa.
La possibilità di modifiche progettuali alle urbanizzazioni (ed in particolare alle opere di viabilità, non meglio specificate dalle parti) era prevista dalla Convenzione, per cui in tale ipotesi il Comune aveva legittimamente utilizzato una facoltà giuridicamente contemplata. In tal senso, secondo il vecchio brocardo “qui iure suo utitur neminem laedit”, appare erroneo parlare di arbitrarietà delle richieste senza circostanziare la relativa affermazione.
Qui non vi è poi alcuna prova che la vessatorietà in concreto delle richieste potesse essere considerata la vera causale dei ritardi.
In ogni caso, se l’entità delle richieste di modifiche avesse assunto i connotati di una “condizione vessatoria ed impossibile” allora le appellate avrebbero dovuto gravare le relative richieste, ai sensi del ricordato art. 133 del c.p.a. , comprovando in quella sede l’incidenza delle modifiche a condizionare il programma cronologico di sviluppo delle attività di costruzione.
___ 7.§. Con una seconda rubrica sostanziale di censura sub B) la Vegagest deduce differenti ma connessi profili di censura, tutti attinenti al punto della decisione con cui il TAR ha concluso per l’intervenuta formazione del silenzio assenso.
___ 7.§.1.1. Erroneamente il TAR avrebbe affermato che, al momento della richiesta del 18 novembre 2010 n. 68.849, di integrazione documentale del Comune per il comparto Z3, sarebbe già decorso il termine di 15 giorni. Tale richiesta sarebbe del 3 novembre 2010 e comunque sarebbe intervenuta tempestivamente nel termine dei 60 giorni previsto dall’art. 25, quinto comma del T.U. n.380, decorrenti dal pervenimento all’ufficio comunale dell’istanza di agibilità, spedita con raccomandata del 13 ottobre 2010.
___ 7.§.1.2. Erroneamente il Tar avrebbe computato il termine di 30 giorni in ragione dell’asserita presenza del parere dell’ASL (pagina 15 della sentenza). Il certificato cui fa riferimento il primo giudice sarebbe in realtà quello allegato al permesso di costruire del 2004 e del 2006, mentre ai sensi dell’articolo 5, co., lettera a)” del T.U. dell’edilizia, per la dimidiazione del termine è necessario lo specifico parere successivo alla realizzazione delle opere edilizie “ai fini del rilascio del certificato di agibilità”, la cui redazione attesta cioè l’avvenuto accertamento dei profili igienico-sanitari dell’opera come realizzata.
Tale parere non sarebbe affatto stato allegato alle domande di rilascio di certificati.
___ 7.§.1.3. Per il TAR, il Comune avrebbe richiesto documenti irrilevanti e comunque non previsti dalla legge, ma solo dalla citata convenzione, mentre, al contrario, per l’appellante i documenti richiesti sarebbero comunque stati imposti dalla norma e quindi indispensabili ai fini dell’agibilità.
Nella richiesta del 25 novembre 2010, relativa al comparto Z1 mancavano in particolare:
- alcuni documenti richiamati nella dichiarazione sostitutiva dell’architetto Ricci: collaudo del cemento armato; l’idoneità statica; richiesta d’accatastamento; le conformità degli impianti di cui al D. M. n. 37/2008 ivi compresi gli ascensori di cui all’articolo 25 lettera c) T.U. n. 380/2001; certificazione dell’imbocco in fogna; prevenzione incendi; titoli edilizi essenziali alla conformità delle opere e salubrità degli ambienti richiesto dall’articolo di 25 comma primo lettera b.).
Con riferimento invece al comparto Z3 il Comune, in data 18 novembre 2010, aveva analogamente contestato la mancanza: a. della documentazione di accatastamento; b. della dichiarata di conformità degli impianti a gas, degli ascensori e delle caldaie; c. della certificazione di imbocco in fogna, del certificato di prevenzione antincendi o documenti equipollenti, della perizia giurata e dei relativi titoli edilizi.
La stessa elencazione dimostrerebbe l’abbaglio del primo giudice.
___ 7.§.1.4. Con un ulteriore profilo (cfr. pag. 54 atto introduttivo) l’appellante assume che, le istanze di agibilità dovrebbero essere corredate anche da tutti i titoli edilizi rilasciati, così come espressamente disposto all’articolo 22, comma due del testo unico dell’edilizia.
Tale norma del resto sarebbe stata espressamente richiamata dalla stessa Acqua Marcia, la quale, nella domanda di agibilità relativa al comparto, avrebbe dichiarato la conformità dei titoli autorizzativi elencati al punto 1 della perizia giurata, facente parte della documentazione obbligatoria da allegare “alla presente domanda di rilascio del certificato di agibilità”.
Nell’istanza relativa al comparto Z1 non avrebbe potuto essere stata citata la DIA in variante, perché questa era stata richiesta in un momento successivo alla domanda medesima: anche tale profilo dimostrerebbe l’insussistenza dei presupposti per il silenzio assenso.
___ 7.§.1.5. Con un’ulteriore articolato profilo di cui al punto rubricato (2), l’appellante contesta l’affermazione del Tar e le analoghe asserzioni contenute nelle memorie versate in giudizio dalle controparti, per cui alle istanze di agibilità sarebbero stati allegati i prescritti documenti.
Al contrario, per il comparto Z 1 gli atti erano stati prodotti in Comune solo nel febbraio 2011; mentre per il comparto Z3 l’integrazione operata non sarebbe stata ritenuta sufficiente e risolutiva dal Comune, che, con le note il 25 marzo 2011, aveva richiesto ulteriori elementi ritenuti necessari all’agibilità.
La mancata produzione risulterebbe dal fatto che la loro formazione è successiva alla presentazione delle domande. In particolare: -- dai documenti per l’accatastamento dell’edificio del 24 dicembre 2010 risulterebbero “ancora in costruzione” alla data del 4 gennaio 2011i subalterni del fabbricato in argomento; con riferimento alla domanda per il Comparto Z1, i documenti sarebbero successivi al febbraio 2009 di presentazione dell’istanza di abitabilità; - l’assegnazione dei numeri civici sarebbe avvenuta solo il 29 novembre 2010; -- la presa d’atto di ACEA è del 18 giugno 2009; -- la dichiarazione di messa in esercizio degli ascensori è del 4 marzo 2009; -- il collaudo dell’impianto di riscaldamento sarebbe del 25 maggio 2009; - la dichiarazione sostitutiva di atto notorio risulta rilasciata 17 gennaio 2011.
A sua volta per il comparto Z.3, sarebbe successiva all’istanza del 29 settembre 2010 la documentazione concernente rispettivamente: -- l’accatastamento del 17 dicembre 2010; - l’assegnazione dei numeri civici del 29 novembre 2010; -- l’imbocco in fogna del 29 novembre 2010; -- la messa in esercizio degli ascensori del 22-24 dicembre 2010; -- i servizi attività antincendio del 2 dicembre 2010; -- le attestazioni di qualificazione energetica datate 15 dicembre 2010, che erano state trasmesse all’ente competente il 23 dicembre successivo;-- l’atto notorio, che risulta rilasciato solo il 17 gennaio 2011; -- la perizia giurata, che risulta asseverata il 28 dicembre 2010.
In sostanza del tutto incomprensibilmente il Primo Giudice avrebbe omesso qualsiasi valutazione sulla documentazione prodotta in giudizio dall’odierno appellante, obliterando colpevolmente ogni indagine al riguardo, ed avrebbe ritenuto che le società appellanti avessero già prodotto tutta la documentazione necessaria per ottenere – anche in forza di silenzio assenso - la certificazione di agibilità del comparto Z1 al riguardo.
In ogni caso, per quanto riguarda l’istanza di comparto Z1, la stessa, ancorché fosse stata datata 20 febbraio 2009, era stata spedita con raccomandata 14 marzo 2009 ed era pervenuta al protocollo l’ 1 aprile 2009, corredata: della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà; della dichiarazione legale della sussistenza di misure di prevenzione circa le condanne ostative; - di una pagina del permesso di costruire del 21 luglio 2004 n. 817; dei due bollettini di pagamento dei diritti; - della ricevuta di una pagina dell’avvenuta richiesta di svincolo della polizza fideiussoria per i costi di costruzione; - della produzione di una perizia giurata dell’architetto Ricci del 20 febbraio 2009 di nove pagine, priva dell’attestazione di giuramento.
Inoltre l’architetto Ricci, nella dichiarazione sostitutiva allegata alla perizia “non giurata”, faceva riferimento a alcuni documenti tecnici che non sarebbero affatto stati depositati presso gli uffici competenti; ed avrebbe riportato un numero di vani (n. 180) differenti dai n. 174 vani indicati nella nuova perizia -- questa volta regolarmente asseverata -- del 1 febbraio 2011 (pervenuto al Comune in data 16 marzo 2009).
L’incompletezza della costruzione del comparto Z1 al momento dell’istanza di abitabilità (20 febbraio 2009) sarebbe poi indirettamente dimostrata: - dal fatto che nel contratto preliminare sottoscritto in data 29 luglio 2009 (cinque mesi dopo la presentazione della prima istanza di agibilità) le parti dichiaravano che le singole porzioni immobiliari sarebbero state ancora “ in corso di costruzione”; -- dalla presentazione di una di DIA con cui si prevedevano modifica radicale dell’ubicazione delle scale, la chiusura del solaio sovrastante, ecc. ecc..
Analoghe contraddizioni emergerebbero in ordine al comparto Z3, relativamente alla situazione esistente al momento dell’istanza del 20 febbraio 2010: -- la “fine lavori” datata 14 maggio 2010 apparirebbe contraddittoria con la richiesta del 22 aprile 2010 di una nuova DIA, la cui efficacia decorreva solamente successivamente al decorso dei 30 giorni di cui all’articolo 23, comma 1 del d.p.r. 380/2001; -- al 30 luglio 2010 la procedura di accatastamento non si sarebbe ancora conclusa e non era stata rilasciata la relativa rendita; -- sarebbero mancati: la prevenzione incendi; l’allaccio alla fognatura; la perizia giurata attestante la consistenza dei lavori; -- le opere di urbanizzazione primaria e secondaria alla fine del 2010 sarebbero risultate carenti sotto il profilo strutturale ed impiantistico, per cui entrambi i comparti sarebbero tuttora del tutto carenti dei requisiti di sicurezza igienico-sanitari e di conformità urbanistico-edilizia necessari per la dichiarazione di agibilità degli stessi.
La mancanza dei requisiti per il silenzio assenso sarebbe stata dimostrata anche dalle conclusioni della C.T.U. incaricato in sede di ATP promosso dall’odierno appellante, il quale, nel dicembre 2011 avrebbe concluso che:
* relativamente alle opere di urbanizzazione mancherebbe: -- il completamento delle opere dell’ambito di Piazza dei Navigatori”; -- l’allaccio all’acquedotto; -- il collaudo delle stesse; e c’è la comunicazione di fine lavori (salvo il parcheggio P2);
* relativamente al comparto Z 1 mancherebbero : -- il completamento degli edifici (pavimentazioni e tinteggiature); -- le conformità degli ascensori installati nei negozi e della relativa scala mobile; -- il parere di conformità sui progetti per le attività di vendita (art. 87 ex DM n. 37/1998), poi rilasciato solo successivamente (12 gennaio 2011); -- il relativo certificato di conformità e di prevenzione incendi; l’idoneità del prescritto isolamento dal fuoco e dai fumi dei 2 piani (p.t. ed il suo soppalco) dell’edificio Z1, che risulterebbero comunicanti ; - l’impianto di ventilazione artificiale, sebbene prescritto nel parere dell’ASL:
* relativamente al comparto Z3 mancherebbero: -- le pavimentazioni e le tinteggiature; la DIA ai fini antincendio del 2 dicembre 2010 dimostrerebbe che all’ottobre 2010 non era stata presentata la documentazione essenziale; mancherebbe la dichiarazione di conformità delle scale mobili.
___ 7.§.2. Tutte le censure in sostanza concernono l’architrave fondamentale della formazione del silenzio, su cui erroneamente il TAR fonda le proprie conclusioni.
In primo luogo in linea di principio deve ritenersi che, ai fini dell’agibilità, debbano essere prodotti:
-- in caso di permesso di costruire singolo tutti i documenti specificamente prescritti dall’art. 25 del t.u. n.380/2001;
-- in caso di piani esecutivi, oltre ai precedenti atti, devono essere prodotti i collaudi relativi alle opere di urbanizzazione previsti nelle relative convenzioni (come esattamente rilevato dall’appellante con la doglianza di cui al punto 6.14.) .
Ciò perché, come sottolineato anche in precedenza, si tratta di opere che sono destinate a fornire o a completare le necessarie infrastrutture ed ad armonizzare le nuove edificazioni, inscindibilmente collegate al contesto del territorio e dei servizi esistenti.
Pertanto deve necessariamente affermarsi che, nell’ambito di un piano di attuazione del PRG, legittimamente un Comune collega il rilascio dell’agibilità al completamento di tutte le opere di urbanizzazione dedotte nella convenzione urbanistica.
Considerando la vastità e l’ampiezza dei Comparti ricompresi dalla “Convenzione urbanistica Piano di Assetto di piazza dei Navigatori e via Giustiniano Imperatore” deve annotarsi che, se non vi è stata un’inerzia assoluta da parte delle appellate, nondimeno consta una produzione della documentazione tecnico-amministrativa comunque insufficiente ad integrare quella completezza documentale costituente il presupposto giuridicamente necessario per la formazione del silenzio assenso..
Se molte delle certificazioni erano state successivamente prodotte con una data successiva alle istanze, e evidente che esse non potevano concorrere al formarsi del silenzio assenso, ma semmai potevano e dovevano essere comunque valutate nel prosieguo dal Comune ai fini della verifica delle condizioni di agibilità.
In particolare, ad un sommario esame delle allegazioni delle appellate che risulta che non furono tempestivamente prodotti tutti i documenti (collaudo statico, attestazione catastale complessiva dei numeri civici, certificazione dell’imbocco in fognatura, titoli dell’inizio e fine lavori, DIA, certificazioni degli impianti; nulla osta sulle opere di urbanizzazione, ecc. ) imprescindibilmente necessari, appunto, a realizzare la situazione di completezza documentale portato atta a condurre alla formazione del silenzio. Il che determina l’assorbimento nella specie delle censure di cui ai punti ai punti 6.§.1.1.; 6.§.1.2., e 6.§.1.3. .
In definitiva, le istanze di integrazione documentale del Comune avevano determinato l’interruzione, in senso tecnico, del termine di cui al 5° co. dell’art. 25 T.U. n. 380 cit. per la formazione del silenzio, non essendo revocabile in dubbio che la decorrenza del termine dei 30 gg. previsti poteva essere computata solo dalla data del definitivo completamento, ad opera delle appellate, degli incombenti istruttori richiesti e necessari.
Di qui l’erroneità della decisione anche relativamente a tale profilo.
___ 8.§. In conclusione nei sopra esaminati profili, rispetto ai quali restano assorbite tutte le restanti censure, l’appello è fondato e deve essere accolto e, per l’effetto, deve essere dichiarata la legittimità dei provvedimenti impugnati in prime cure e pronunciato l’annullamento della decisione impugnata. Ad altra sede, anche in sede di ritiro da parte del Comune, deve essere rimessa la valutazione dei provvedimenti successivamente rilasciati con carattere meramente esecutivo della sentenza qui demolita.
In relazione alla novità di alcune questioni affrontate che integrano le “speciali circostanze”, le spese possono tuttavia essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
___1. accoglie l'appello, come in epigrafe proposto, e per l’effetto annulla la sentenza di cui in epigrafe.
___ 2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)