Cass. Sez. III n. 30171 del 14 luglio 2015 (Cc  4 giu 2015)
Presidente: Mannino Estensore: Ramacci Imputato: P.M. in proc. Serafini
Beni Ambientali.Realizzazione di opere nella fascia di rispetto demaniale

In tema di tutela delle zone sottoposte a vincolo paesaggistico, in caso di realizzazione di opere nella cd. fascia di rispetto del demanio marittimo, è necessaria una specifica autorizzazione distinta da quella demaniale, sicchè l'eventuale rilascio di quest'ultima non esclude il reato paesaggistico, qualora la realizzazione di un intervento, idoneo ad incidere sullo stato originario dei luoghi sottoposti a protezione, non sia stata preceduta dalla predetta autorizzazione.



RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7/10/2014 ha respinto l'appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia avverso l'ordinanza con la quale, in data 13/6/2014, il Giudice per le indagini preliminari di quel Tribunale aveva rigettato la richiesta di sequestro preventivo di alcuni manufatti nei confronti di SERAFINI Claudia, in relazione ai reati di cui agli artt. 54 e 1161 c.n. e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 per l'occupazione, senza valido titolo, di circa 340 mq di suolo pubblico facente parte del demanio marittimo, mediante la costruzione di tre tettoie, una torretta di avvistamento, la recinzione di un'area, una passerella ed il posizionamento di casse in legno per deposito attrezzi, una rastrelliera per tavole da surf e 2 porte da "beach soccer", opere che venivano realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico senza la preventiva autorizzazione dell'ente preposto alla tutela del vincolo (accertato in Fiumicino, il 23/5/2014).
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che sia preclusa, al giudice ordinario, la possibilità di valutare la legittimità della convenzione stipulata tra l'indagata e l'amministrazione comunale ed avente ad oggetto una porzione di demanio marittimo limitrofa a quella già regolarmente occupata, per il fatto che il giudice amministrativo avrebbe riconosciuto la legittimità di diversa ed analoga convenzione stipulata da altro soggetto con il medesimo comune.
Osserva, a tale proposito, che erroneamente il Tribunale avrebbe ritenuto già passata in giudicato la richiamata sentenza del giudice amministrativo e che, in ogni caso, l'effetto preclusivo del giudicato amministrativo nel processo penale avrebbe potuto prodursi solo nel caso in cui la decisione avesse riguardato i medesimi atti amministrativi e gli specifici profili di illegittimità oggetto di valutazione da parte del giudice penale, circostanza non verificatasi nella fattispecie.
3. Con un secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell'art. 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale rigettato l'appello anche
per l'assenza dell'elemento soggettivo del reato, rispetto al quale l'accertamento in ordine alla sua sussistenza o meno sarebbe estranea all'adozione della misura cautelare reale.
4. Con un terzo motivo di ricorso rileva che, in punto di assenza dell'elemento soggettivo del reato, la motivazione dell'ordinanza impugnata risulterebbe meramente apparente, avendo il Tribunale fatto esclusivo riferimento, al fine di escluderne la sussistenza, ad una sentenza del giudice amministrativo riguardante, altro atto ed altro soggetto ed emessa in data successiva a quella di commissione dei reati.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. 5. In data 8/5/2015 la difesa dell'indagata ha depositato memoria nella quale, illustrate le proprie ragioni, chiede il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati. Va preliminarmente rilevato che, come è noto, questa Corte non ha accesso agli atti del procedimento diversi dal provvedimento impugnato e dal ricorso, sicché, stante l'assenza di particolari specificazioni, la scansione fattuale e procedimentale della vicenda (peraltro comune a più procedimenti separati, aventi ad oggetto posizioni analoghe) può essere solo sommariamente ricostruita, ricavandosi che il Pubblico Ministero procedente ha richiesto il sequestro sul presupposto che l'indagata, già legittima concessionaria di una parte di arenile, ne avrebbe occupato un'ulteriore porzione limitrofa senza valido titolo, mediante la realizzazione di alcuni manufatti in assenza della preventiva autorizzazione paesaggistica.
L'assenza di valido titolo per l'occupazione dell'area demaniale, inoltre, sarebbe stata ipotizzata in quanto la convenzione tra indagata ed amministrazione comunale sarebbe stata stipulata sulla base di un bando di gara adottato dal Comune di Fiumicino in contrasto con il piano di utilizzo degli arenili (PUA) approvato dalla Regione Lazio, contrasto ben noto allo stesso Comune, il quale aveva infatti inutilmente richiesto alla Regione l'estensione del PUA già approvato.
Ritiene inoltre la Procura che il riferimento alla Delib. Regione Lazio n. 1161 del 2001, operato dal Comune, sarebbe incongruo, riferendosi solo alla spiaggia pubblica, non oggetto di concessione e non riguarderebbe, comunque, la realizzazione dei manufatti e la convenzione stipulata non risponderebbe alle indicazioni del punto 16 della richiamata Delib. regionale, potendosi invece qualificare come concessione - contratto, manifestamente illegittima per la palese difformità dal PUA.
Il G.I.P., tuttavia, ha ritenuto di non dover concedere la misura cautelare richiesta sul presupposto che il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2794/2014, avrebbe esaminato una situazione pressoché identica, ritenendo la legittimità di analoga convenzione stipulata dalla medesima amministrazione con altro soggetto. Il Tribunale concorda con tali conclusioni, osservando che la decisione del Consiglio di Stato, pur essendo impugnabile per cassazione per motivi di giurisdizione, non consente di escludere il legittimo affidamento del cittadino sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a disposizione dall'ordinamento cui fa riferimento la giurisprudenza di questa Corte e che, in ogni caso, esclude la illiceità della condotta, sotto il profilo soggettivo, in relazione agli esiti del giudizio amministrativo, nel quale era stata riconosciuta la legittimità del sostanziale "ampliamento" della precedente concessione demaniale.
2. Così sommariamente ricostruita, per quanto possibile, la vicenda in esame, deve osservarsi come tanto il provvedimento impugnato quanto il ricorso, concentrano l'attenzione soltanto sulla prima delle violazioni contestate, quella concernente l'occupazione, ritenuta abusiva, del suolo demaniale, tralasciando ogni considerazione sulla ulteriore contestazione concernente la violazione paesaggistica, la quale ha una sua autonomia rispetto alla violazione del codice della navigazione, con la quale, infatti, concorre, stante la diversità del bene giuridico protetto e presuppone, per la lecita realizzazione di interventi in zone sottoposte a vincolo, un'autorizzazione specifica, diversa da quella demaniale (cfr. Sez. 3, n. 7248 del 27/1/2004, Gargano, Rv. 227568), che deve precedere l'esecuzione dell'intervento ed in assenza della quale la realizzazione di interventi idonei ad incidere negativamente sull'originario assetto dei luoghi sottoposti a protezione configura il reato, che può, di per sè, legittimare il sequestro preventivo, a tal fine rilevando la sola esistenza di una struttura abusiva che integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente all'essere l'edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione all'utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3, n. 42363 del 18/9/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/3/2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 30932 del 19/5/2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 2, n. 23681 del 14/5/2008, Cristallo, Rv. 240621; Sez. 3, n. 43880 del 30/9/2004, Macino, Rv. 230184; Sez. 3, n. 32247 del 12/6/2003, Berardi, Rv. 226158). 3. Nulla essendosi osservato, dunque, in merito alla violazione paesaggistica, l'ambito di cognizione di questa Corte resta limitato alla questione, prospettata nel primo motivo di ricorso, dell'effetto preclusivo del giudicato amministrativo nel processo penale o, comunque, dell'incidenza della pronuncia del giudice amministrativo su questione analoga ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
4. Da quanto è dato rilevare dal tenore del provvedimento impugnato, sembra che tanto il G.I.P. quanto il Tribunale abbiano trovato nella decisione del Consiglio di Stato un insormontabile ostacolo, preclusivo di ogni valutazione, in sede penale, sulla validità ed efficacia del titolo abilitativo in forza del quale è stata occupata l'area demaniale, ma così non è.
Questa Corte ha, infatti, affermato che al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale solo nel caso in cui sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo e che tale preclusione non si estende, però, ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 1, n. 11596 del 11/1/2011, P.G. in proc. Keller, Rv. 249871). Si osservava infatti in quell'occasione che, sebbene le pronunce definitive del giudice amministrativo costituiscano un limite al potere del giudice penale di valutare la legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell'illecito penale (si richiamava, a tale proposito, Sez. 3, n. 54 del 11/1/1996, Ciaburri, Rv. 204622), deve comunque considerarsi l'autonomia della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa e la assoluta rilevanza ed inderogabilità del potere del giudice ordinario di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, con la conseguenza che l'effetto preclusivo resta confinato ai casi in cui un provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo passato in giudicato abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell'atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale, richiamando, per le diverse ipotesi, quanto già affermato in materia di processo esecutivo, sulla esclusiva rilevanza del giudicato amministrativo rispetto alle questioni dedotte ed effettivamente decise e non anche a quelle deducibili (richiamandosi, su tale specifico punto, Sez. 1, n. 30496 del 3/6/2010, Nicolini, Rv. 248319). Tali conclusioni sono state ribadite in una successiva pronuncia (Sez. 4, n. 46471 del 20/9/2012, P.M. in proc. Valentini e altro, Rv. 253919), dando atto di un orientamento, ritenuto ormai consolidato, il quale considera la vincolatività solo tendenziale del giudicato amministrativo nel processo penale, come peraltro ribadito in una ancor più recente decisione di questa Sezione (Sez. 3, n. 44077 del 18/7/2014, Scotto Di Clemente, Rv. 260612), che ha ritenuto immune da censure il provvedimento impugnato con il quale era stato confermato il sequestro preventivo di uno stabilimento balneare per il reato previsto dagli artt. 54 e 1161 c.n. previa disapplicazione della concessione demaniale ritenuta illegittima perché priva di durata determinabile, a fronte di una pronuncia del T.A.R. che si era limitata a verificare, ed escludere, che detta concessione dovesse essere dichiarata "scaduta".
I principi affermati nelle pronunce appena ricordate sono pienamente condivisi dal Collegio.
5. Ciò posto, deve rilevarsi come, nel provvedimento impugnato, il Tribunale abbia ritenuto vincolante una decisione del giudice amministrativo che ha trattato una questione attinente ad una fattispecie definita "identica" a quella sottoposta al suo esame. Una simile affermazione, tuttavia, si pone in contrasto con quanto precisato in tema dalla giurisprudenza di questa Corte sopra ricordata e si risolve in una sostanziale abdicazione del potere- dovere dei giudici del gravame cautelare di verificare la validità ed efficacia dello specifico titolo abilitativo rilasciato all'indagata per l'occupazione di un determinato spazio demaniale, non potendo spiegare alcun effetto nel procedimento penale una valutazione che il giudice amministrativo ha effettuato con riferimento a situazioni che, sebbene analoghe, hanno comunque riguardato soggetti e circostanze diverse.
La decisione del Consiglio di Stato (Sez. 4 n. 2794 del 4/3/2014) prende invero in esame tre appelli riuniti e riguarda una concessione demaniale marittima per il Punto 15 del PUA, assentita dal comune di Fiumicino alla società "MOAI" e, pur considerando il procedimento amministrativo che ha condotto al rilascio di altre concessioni oltre a quella relativa alla predetta società, concerne soltanto quest'ultima e non può quindi spiegare alcun effetto, come precisato nelle sentenze in precedenza ricordate, riguardo ad un altro titolo concessorio, relativo ad una diversa area demaniale, il cui rilascio ad un differente concessionario evidentemente presuppone, pur in presenza di un'unica procedura concorsuale di aggiudicazione, quantomeno particolari valutazioni che riguardano, ad esempio, l'idoneità di quel soggetto, le modalità di gestione dell'area, le caratteristiche delle infrastrutture ed ogni altro aspetto strettamente correlato a quello specifico rapporto tra amministrazione e concessionario e non ad altri.
Di tale evenienza avrebbero quindi dovuto tenere conto i giudici dell'appello.
La estraneità della questione trattata dal giudice amministrativo rispetto a quella sottoposta all'esame del Tribunale risulta peraltro assorbente rispetto all'ulteriore questione dell'effettivo passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato.
6. È appena il caso di rilevare, peraltro, che, una volta esclusa ogni incidenza della sentenza 2794/2014 del Consiglio di Stato sul caso in esame, la verifica della legittimità dell'occupazione dell'area demaniale avrebbe dovuto essere effettuata tenendo comunque conto del fatto che la natura sommaria del giudizio cautelare impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei procedimenti amministrativi, in quanto l'accertamento dell'esistenza del fumus dei reati è fondato sulle prospettazioni della pubblica accusa, che non appaiano errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile dalla difesa (cfr. Sez. 3, n. 20571 del 28/4/2010, Alberti, Rv. 247189).
7. Per ciò che riguarda, inoltre, la questione concernente l'elemento soggettivo del reato, di cui trattano il secondo ed il terzo motivo di ricorso, osserva il Collegio che è stata correttamente richiamata dal ricorrente la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all'adozione della misura cautelare reale (Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, Orsi, Rv. 257383; Sez. 6, n. 10618 del 23/2/2010, P.M. in proc. Olivieri, Rv. 246415; Sez. 1, n. 15298 del 4/4/2006, Bonura, Rv. 234212 ed altre prec. conf.), tanto è vero che si è anche affermato come il controllo demandato al giudice del riesame sulla concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria secondo il parametro del fumus del reato può riguardare anche l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo (Sez. 6, n. 16153 del 6/2/2014, Di Salvo, Rv. 259337; Sez. 2, n. 2808 del 2/10/2008, (dep. 2009), Bedino, Rv. 242650; Sez. 4, n. 23944 del 21/5/2008, Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1, n. 21736 del 11/5/2007, Chiarella, Rv. 236474. Si veda anche Corte Cost. ord. 157, 18 aprile 2007, menzionata in gran parte delle ricordate decisioni).
Alla luce dei richiamati principi devono pertanto ritenersi del tutto inconferenti i richiami, effettuati dal Tribunale, al fine di escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, alla sentenza 2794/2014 del Consiglio di Stato per la sua estraneità alla vicenda in esame e considerando anche, come osservato dal Pubblico Ministero ricorrente che la stessa è comunque successiva alla data di commissione del reato, cosicché non si vede quale incidenza essa avrebbe potuto avere su una condotta precedentemente accertata. 8. ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame da effettuarsi alla luce dei richiamati principi giurisdizionali.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma. Così deciso in Roma, il 4 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2015