Cass. Sez. III n. 13730 del 6 aprile 2016 (Ud 12 gen 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Liberati Imputato: Principato
Beni ambientali.Accertamento di compatibilità paesaggistica

In tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l'accertamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti l'applicazione del cosiddetto condono ambientale. (Fattispecie relativa alla realizzazione di un intervento edilizio che comportava l'aumento di superfici utili e volumi, con conseguente ritenuta inapplicabilità del condono ambientale nonostante l'intervenuto rilascio del parere di compatibilità paesaggistica).


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell'8 gennaio 2015 la Corte d'appello di Palermo ha respinto l'impugnazione proposta da Anna Maria Principato nei confronti della sentenza del Tribunale di Agrigento del 2 maggio 2013, con cui era stata condannata alla pena di mesi tre e giorni 25 di arresto ed euro 22.400 di ammenda per i reati di cui agli artt. 44 lett. C, 93, 94 e 95 d.P.R. 380/2001 e 181 d.lgs. 42/2004 (per avere realizzato, in zona sismica e sottoposta a vincolo archeologico, in assenza del permesso a costruire e della autorizzazione della Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali, e senza dare avviso all'Ufficio del Genio civile, opere edili consistite nel tamponamento di una veranda, mediante vetrate installate sui muri di parapetto e realizzazione di una parete in muratura).
La Corte d'appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ne ha escluso l'eccepita nullità per violazione dell'art. 522 cod. proc. pen., sulla base del rilievo che la condotta esaminata dal primo giudice, e su cui l'imputata aveva avuto ampia possibilità di difendersi, era quella specificata nel capo di imputazione.
E' stata, inoltre, esclusa anche la dedotta prescrizione degli illeciti (fondata sul rilievo che la veranda realizzata dall'imputata fosse risalente al 1995), in quanto l'oggetto dell'abuso contestato non era costituito dall'immobile preesistente, bensì dalla creazione di un nuovo vano, mediante chiusura della veranda con vetrate installate sui muri del parapetto su due lati e con nuove murature su un altro, costituente ampliamento del fabbricato oggetto dell'istanza di condono edilizio presentata dalla Principato nel 1995.
È stata, inoltre, condivisa la disapplicazione compiuta dal primo giudice della concessione in sanatoria rilasciata dal Comune di Agrigento, riferentesi, tra l'altro, al precedente immobile, ed anche dell'accertamento di compatibilità paesaggistica rilasciato dalla Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali, di cui sono stati ritenuti carenti i presupposti di fatto.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la Principato mediante il suo difensore, affidandolo a sei motivi.

2.1. Con il primo motivo ha lamentato violazione di legge penale, per la violazione dell'art. 522 cod. proc. pen., già denunciata con l'atto d'appello, per il contrasto tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, e vizio di motivazione al riguardo.

2.2. Con il secondo motivo ha lamentato violazione di legge penale, in relazione agli artt. 93 e 95 d.P.R. 380/2001, e processuale, in relazione all'art. 530 cod. proc. pen., ribadendo il rilievo, disatteso dalla Corte d'appello, secondo cui la apposizione di due vetrate su un manufatto preesistente, non integrava le contestate violazioni alla normativa antisismica quali ravvisate da entrambi i giudici di merito.

2.3. Con il terzo motivo ha denunciato violazione di legge processuale e vizio di motivazione, per l'insufficiente considerazione del parere di compatibilità ambientale espresso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali, ed anche la mancanza di motivazione in ordine alla sua disapplicazione per carenza dei relativi presupposti di fatto.

2.4. Con il quarto motivo ha lamentato vizio di motivazione, in relazione alla determinazione della misura della pena, di cui non era stata fornita alcuna spiegazione, né dal Tribunale di Agrigento né dalla Corte d'appello di Palermo.

2.5.Con il quinto motivo ha denunciato violazione di legge processuale e vizio motivazionale in relazione alla omessa dichiarazione della prescrizione dei reati, in quanto i lavori edili, alla data del sopralluogo dei vigili urbani, compiuto il 19 febbraio 2011, erano stati ultimati.

2.6. Con il sesto motivo ha denunciato ulteriore violazione di legge processuale e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di eliminazione della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione del manufatto, in relazione alla quale non era stato tenuto in adeguato conto il parere di compatibilità ambientale espresso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunziata violazione di legge per la difformità tra il fatto come contestato e quello ritenuto in entrambe le sentenze di merito, è manifestamente infondato, in quanto la ricorrente venne tratta a giudizio innanzi al Tribunale di Agrigento per rispondere della "tompagnatura di una veranda posta sul versante Sud con vetrate installate sui muri di parapetto alti mt. 0,80 circa, sui lati Sud ed Est, ed in muratura sul lato Ovest" ed in relazione a tale condotta, determinante, sostanzialmente, la realizzazione di un nuovo vano, destinato a cucina e sala da pranzo (comportante aumento di volume e di superficie utile), è stata affermata la sua responsabilità, con la conseguente insussistenza della violazione dell'art. 522 cod. proc. pen. prospettata dalla ricorrente, giacché, con accertamento in fatto che risulta immune da vizi e che non è stato, comunque, espressamente censurato, il Tribunale accertò la realizzazione da parte della Principato di un nuovo vano mediante le condotte contestate (e cioè attraverso la chiusura di una veranda preesistente mediante la realizzazione di due pareti finestrate e di una parete in muratura, con la realizzazione di una cucina e sala da pranzo ed aumento di cubatura e superficie), senza alcuna estensione o aggiunta rispetto ai fatti indicati nella imputazione.

2. Il secondo motivo di ricorso, mediante il quale è stata prospettata la insussistenza della violazione della normativa antisismica in considerazione della entità delle opere realizzate (che consisterebbero nella sola apposizione di vetrate) risulta inammissibile, essendo fondato esclusivamente su generiche censure relative agli accertamenti in punto di fatto compiuti dai giudici di merito (circa le opere effettivamente realizzate e la loro qualificazione), nonostante sia stata accertata anche la realizzazione di una parete in muratura, come tale integrante violazione degli artt. 93 e 95 d.P.R. 380/2001, negata dal ricorrente solamente sulla base di una diversa ricostruzione dei fatti, disgiunta da un esame critico delle motivazioni delle due decisioni di merito, come tale inammissibile in sede di legittimità.

3. Privo di censure specifiche alle valutazioni di entrambi i giudici di merito, e dunque generico e privo della necessaria specificità, risulta il terzo motivo, in quanto la ricorrente mediante tale motivo si è limitata a censurare la decisione di ritenere sussistente anche la violazione dell'art. 181, comma 1 bis, d.lgs. 42/2004 nonostante il successivo parere di compatibilità ambientale reso dalla Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali, senza affrontare in modo critico gli argomenti posti a fondamento della ritenuta sussistenza di tale reato nonostante detto parere. Tale valutazione, fondata sull'aumento di volume o, almeno, di superficie utile, conseguente alla realizzazione delle opere oggetto di contestazione e sulla equivocità del parere di compatibilità paesaggistica espresso dalla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Agrigento (in quanto riferito alla originaria domanda di sanatoria presentata al Comune di Agrigento il 5 aprile 1995 ma riportante in allegato gli elaborati progettuali con le modifiche eseguite in epoca successiva, tra cui la chiusura della veranda), non è stata censurata in alcun modo dalla ricorrente, né sotto il profilo dell'accertamento in punto di fatto che la sorregge, né quanto alla ritenuta inefficacia del parere di compatibilità paesaggistica, che costituisce applicazione del principio della non vincolatività delle valutazioni della competente autorità amministrativa in ordine alla sussistenza del reato. La giurisprudenza di legittimità ha, invero, da tempo chiarito che "in tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilità paesaggistica non determina automaticamente la non punibilità dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l'accertamento dei presupposti di fatto e giuridici legittimanti l'applicazione del cosiddetto condono ambientale" (Sez. 3, 27 maggio 2008, n. 27750; conformi Sez. 3, 19 settembre 2013, n. 44189; Sez. 3, 29 novembre 2011-13 gennaio 2012, n. 889). La ricorrente, invece, ha prospettato un automatismo che non corrisponde al dettato normativo. L'emissione del provvedimento di compatibilità ambientale da parte della Pubblica Amministrazione non elide il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza dei presupposti del condono ambientale in termini di fatto e di diritto, e, nel caso di specie, la ricorrente, realizzando un nuovo vano, destinato ad un utilizzo abitativo, ha posto in essere un intervento che ha comportato aumento di superfici utili e volumi, con la conseguente inapplicabilità del 4 (k condono ambientale, cui consegue anche l'inammissibilità del relativo motivo di ricorso, che con tali considerazioni ha omesso di confrontarsi.

4. La misura della pena è stata dal Tribunale determinata tenendo conto delle proporzioni non irrilevanti dell'aumento volumetrico rispetto alle dimensioni esigue del fabbricato principale e tale valutazione, condivisa dalla Corte d'appello, non è stata oggetto di specifica censura da parte della ricorrente, che con il quarto motivo si è limitata genericamente a lamentare l'eccessività della pena, senza affrontare in modo critico tale motivazione od indicarne illogicità o contraddizioni, con la conseguente inammissibilità anche di tale motivo di ricorso, per difetto della necessaria specificità.

5. Del pari inammissibile, anche a questo proposito per difetto della necessaria specificità, risulta il quinto motivo, con il quale è stato censurato il mancato rilievo della estinzione dei reati per compiuta prescrizione già al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, in quanto la ricorrente si è limitata, anche sotto tale profilo, ad affermare l'avvenuta ultimazione delle opere da epoca anteriore al sopralluogo compiuto dai vigili urbani il 19 febbraio 2011, omettendo di considerare in alcun modo le valutazioni di segno contrario contenute nella sentenza di primo grado e richiamate in quella di appello, nelle quali sono stati evidenziati i plurimi elementi a sostegno della recente realizzazione delle opere e del loro non integrale completamento (recente tinteggiatura delle pareti, recente fattura della cucina in muratura, presenza di tracce di cemento in prossimità delle prese di corrente e delle vetrate, presenza sul luogo di materiali da costruzione, ponteggi e attrezzature), con la conseguente inammissibilità anche di tale motivo per mancanza della necessaria specificità, a fronte degli specifici elementi in fatto e delle puntuali considerazioni logiche circa la recente realizzazione delle opere ed il loro non integrale completamento.

6. Infine anche il sesto motivo, mediante il quale sono state denunciate la;1, violazione di legge processuale e vizio di motivazione, in relazione alla subordinazione della sospensione condizionale della pena alle demolizione delle opere abusive, risulta inammissibile, essendo fondato sul rilascio del medesimo parere di compatibilità ambientale, in relazione al quale la ricorrente ha nuovamente omesso qualsiasi considerazione circa la ritenuta inefficacia dello stesso.

7. In conclusione il ricorso in esame deve essere dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7 - 13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 a favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 12/1/2016