Cass. Sez. III n. 13459 del 2 aprile 2007 (Ud.12-01-2007)
Pres. Lupo E. Est. Ianniello A. Imputato: Baldi e altro.
(Rigetta, App. Firenze, 28 ottobre 2005)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Domanda di compatibilità paesaggistica - Ai fini del cd. condono ambientale - Sospensione del procedimento - Impossibilità - Fondamento.

In materia paesaggistica, la presentazione all'autorità preposta alla gestione del vincolo della domanda di compatibilità paesaggistica al fine di ottenere la estinzione del reato di cui all'art. 181 D.Lgs. n. 42 del 2004 ai sensi dell'art. 1, comma trentasettesimo, della legge 15 dicembre 2004 n. 308 (cosiddetto condono paesaggistico), non consente la sospensione del procedimento relativo ai reati paesaggistici in mancanza di una espressa previsione in tale senso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 12/01/2007
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 00060
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 015499/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BALDI QUINTILIO N. IL 11/12/1945;
2) MASSAI NARA N. IL 28/04/1949;
avverso SENTENZA del 28/10/2005 CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. IANNIELLO ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO G., che ha concluso per inammissibile il ricorso;
Udito il difensori avv. Pino Giampiero (Arezzo).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 28 ottobre 2005, la Corte d'appello di Firenze ha confermato integralmente la sentenza in data 31 maggio 2004, con la quale il Tribunale di Arezzo aveva dichiarato Baldi Quintino e Massai Nara colpevoli del reato di cui agli artt. 81 cpv., 110 c.p., D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, comma 1 e L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, comma 1, lett. c) per avere realizzato abusivamente in economia, (come accertato in Arezzo il 10 marzo 2003), in un'area soggetta a vincolo paesistico-ambientale e idrologico, uno scavo finalizzato alla costruzione di una piscina delle dimensioni di mt. 15 x 8,60 e altezza da mt. 1,20 a mt. 2,20, un capanno in legno ad uso pollaio delle dimensioni di mt. 3,70 x 3,20 x 1,90 di altezza, nonché parte di una recinzione ed un annesso agricolo avente le dimensioni di mt. 5,50 x 4,50 x 3,00 di altezza, con il riporto di 50 metri cubi circa di materiale lapideo e terroso proveniente da sterro a meno di dieci metri dall'alveo del torrente Castro in violazione del R.D. 25 luglio 1904, n. 523, art. 96.
Riconosciute a Nara Massai le attenuanti generiche, il Tribunale aveva condannato il Baldi alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 10.000,00 di ammenda e la Massai alla pena di mesi due e giorni venti di arresto e Euro 8.000,00 di ammenda, ordinando la remissione in pristino dello stato dei luoghi (pena sospesa per la Massai condizionata alla demolizione dei manufatti abusivi e alla remissione in pristino dello stato dei luoghi) e sostituendo nei confronti del Baldi la pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente, determinando pertanto la pena complessiva in Euro 14.650,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza propongono un unico ricorso gli imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
1) - l'inosservanza e/o l'erronea applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, commi 25 e 36 convertito nella L. n. 326 del 2003, per non aver provveduto alla sospensione obbligatoria del giudizio penale.
Già nel corso del giudizio di primo grado, gli imputati avevano infatti presentato la domanda di condono, prevista da tale legge, in ordine all'abuso contestato, chiedendo la sospensione del giudizio penale.
I ricorrenti deducono al riguardo che, nonostante che tale sospensione debba considerarsi obbligatoria e addirittura automatica, i giudici, sia di primo che di secondo grado, l'avevano negata, erroneamente ritenendo che l'effetto sospensivo fosse subordinato alla verifica da parte loro della sussistenza in astratto dei requisiti richiesti per fruire del condono e compiendo quindi valutazioni che la legge vuole riservate all'esclusivo apprezzamento della Pubblica Amministrazione.
Viceversa, nel caso in esame, il Tribunale e la Corte territoriale, preso atto della presentazione della domanda di sanatoria e dell'avvenuto pagamento della prescritta oblazione, avrebbero dovuto sospendere il giudizio in attesa del decorso di 36 mesi dal pagamento dell'oblazione, per dichiarare poi l'estinzione del reato in applicazione della L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 36. I ricorrenti deducono inoltre che nel corso del giudizio di appello era intervenuta la L. 15 dicembre 2004, n. 308, che aveva consentito di sanare anche le opere abusive realizzate in zone soggette a vincoli, sulla base dell'accertamento della loro compatibilità ambientale.
Gli imputati avevano presentato nei termini (31 gennaio 2005) anche questa domanda, ribadendo, anche alla stregua di essa, la richiesta di sospensione del giudizio, che la Corte avrebbe negato in maniera del tutto illogica.
2) l'inosservanza e/o l'erronea applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 39 che prevede comunque l'estinzione dei reati edilizi, anche nell'ipotesi di mancato conseguimento della sanatoria amministrativa. 3) ancora l'inosservanza e/o l'erronea applicazione della legge:
anche voler ritenere che la sospensione non sia automatica, ma consenta il controllo da parte del giudice penale in ordine alla presenza in astratto dei requisiti temporali e volumetrici indicati dall'art. 32 cit., comma 25, i giudici di merito si sarebbero spinti oltre la valutazione di tali due condizioni giungendo ad un ambito valutativo riservato alla P.A. e esclusivamente funzionale alla concessione della sanatoria in via amministrativa. Ciò in quanto ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 39 l'estinzione del reato e quindi il condono penale può riguardare anche abusi non suscettibili di sanatoria amministrativa, e quindi non assumerebbe rilievo ai fini di esso l'insanabilità assoluta o quella condizionata al n.o. paesaggistico, o la tipologia delle opere (residenziale o meno). Se si fossero attenuti all'ambito valutativo loro assegnato, i giudici avrebbero dovuto ritenere il condono astrattamente ammissibile, perché la L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 25 non distingue tra opere residenziali e non e i manufatti erano da considerare terminati al 31 marzo 2003 ai sensi del combinato disposto della L n. 47 del 1985, art. 31, comma 2 e art. 43, u.c., data la situazione dell'opera al momento del sequestro del 10 marzo 2003.
I ricorrenti non negano al riguardo che la sola piscina non era ultimata al momento del sequestro del 10 marzo 2003 ma deducono l'erroneità della valutazione operata dalla Corte d'appello, secondo la quale l'opera non avrebbe potuto essere ultimata entro il 31 marzo 2003, richiamando in proposito la norma di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 43 u.c. ignorata dai giudici di merito.
4 - la violazione delle norme sul c.d. condono ambientale (della citata L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37), che consentirebbero l'estinzione dei reati in parola anche in ordine ad abusi edilizi in zone soggette a vincolo paesaggistico e idraulico.
La Corte non avrebbe, al riguardo, tenuto adeguato conto della presentazione della richiesta di accertamento di compatibilità ambientale, coi conseguenti possibili effetti estintivi. 5 - ancora la violazione di legge quanto alla determinazione della pena, in ragione della mancata concessione della sospensione condizionale della pena per il Baldi nonché della condizione illegittimamente apposta alla sospensione condizionale della pena per Massai.
Sul primo punto, la sospensione condizionale sarebbe stata possibile, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, in ragione del fatto che uno dei due reati in astratto complessivamente impeditivi era stato amnistiato.
I ricorrenti concludono pertanto chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni consequenziale provvedimento. All'udienza del 12 gennaio 2007 le parti hanno concluso come in epigrafe indicato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo, Cass. sez. 3^, 29 settembre 2006 n. 32529 e 11 gennaio 2006 n. 563), poiché il D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 25, convertito nella L. n. 326 del 2003 (come già la L. n. 724 del 1994, art. 39), subordina l'applicazione della L. n. 47 del 1985, interi capi 4 e 5 all'esistenza dei requisiti prescritti perché l'opera possa essere condonata, l'art. 38 di quest'ultima legge, richiamato alle condizioni indicate dal D.L. del 2003, art. 32, comma 36 si applica esclusivamente per le opere che abbiano oggettivamente i requisiti di condonabilità stabiliti.
Coerentemente, anche la L. n. 47 del 1985, art. 39 che prevedeva l'estinzione dei reati conseguente alla mera effettuazione dell'oblazione, "qualora le opere non possano conseguire la sanatoria", non può più trovare applicazione in assenza dei prescritti requisiti di condonabilità (cfr., ex plurimis, Cass. 26 agosto 2004 n. 35084).
A ciò consegue, in linea col principio ricavabile dalla sentenza delle S.U. di questa Corte 24 novembre 1999 n. 22 e ad evidenti fini di economicità dei giudizi, che la sospensione del processo penale ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 44 o ex art. 38 presuppone il controllo positivo del giudice in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la concedibilità in astratto del condono (cfr. anche la citata Cass. sez. 3^ 26 agosto 2004 n. 35084), vale dire in linea di massima con la sola esclusione dell'accertamento della congruità dell'oblazione.
I ricorrenti contestano questa interpretazione della L. n. 326 del 2003, rilevando in essa una disciplina separata dei requisiti necessari alla sanatoria amministrativa degli abusi edilizi rispetto a quella relativa al condono penale e richiamando quanto al riguardo argomentato da Corte Costituzionale 28 giugno 2004 n. 196 svolgendo alcune considerazioni generali in ordine al nuovo condono edilizio, che i giudici di merito avrebbero sottovalutato.
Al riguardo l'argomento non appare necessariamente in contrasto con la giurisprudenza citata di questa Corte.
La sentenza citata della Corte costituzionale si muove sulla base della sollecitazione proveniente dalla denuncia da parte di alcune Regioni della violazione, ad opera della legge in esame, del sistema costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni. Essa, pur dando atto che la legge prevede condizioni possibilmente più restrittive per ciò che riguarda la sanatoria amministrativa degli abusi (in quanto affidate alla formazione di un titolo abilitativo in sanatoria da parte dei Comuni) rispetto a quelle previste per il condono penale, dichiara parzialmente incostituzionali, per violazione dell'art. 117 Cost., comma 3, alcune norme della medesima laddove non consentono "l'articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante amministrativo".
Il che non esclude la necessità, ai fini penalistici, anche per quanto stabilito al D.L. n. 269 2003, art. 32, comma 36 o dalla L. n. 47 del 1985, art. 39 della ricorrenza dei requisiti stabiliti, per quanto qui interessa, al citato art. 32, commi 25 e 26 che pertanto il giudice penale ha il potere-dovere di valutare anche al fine di procedere alla sospensione del processo in caso di avvenuta presentazione della domanda di condono.
Correttamente pertanto i giudici di merito hanno escluso la sospensione del processo a seguito della presentazione da parte degli imputati della richiesta di condono di cui alla L. 24 novembre 2003, n. 326, in quanto hanno esattamente ritenuto che gli immobili oggetto della stessa non erano condonabili ai fini penalistici per molteplici ragioni.
Anzitutto in quanto trattavasi di opere nuove non residenziali, mentre ai sensi della legge, art. 32, comma 25 la sanatoria concerneva opere nuove relative a nuove costruzioni residenziali o integrazioni e modificazioni di opere preesistenti, residenziali o non (cfr., tra le altre, Cass. 24 marzo 2004 n. 14436 e 29 gennaio 2004 n. 3358).
Inoltre, le opere erano state realizzate in zona soggetta a vincoli paesaggistici ed ideologici e non erano riconducibili alle tipologie in proposito condonabili. Secondo infatti la giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., ad es., Cass. 10 maggio 2005 n. 33297), nelle aree sottoposte a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesaggistici, la L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 26, lett. a) ammette la possibilità di ottenere il condono unicamente per gli interventi edilizi di minore rilevanza relativi alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell'allegato 1 alla legge (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), previo parere favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
Ed infine la condonabilità era nel caso in esame altresì esclusa, quantomeno con riferimento alle opere diverse dalla piscina, dal carattere assoluto del vincolo idrogeologico imposto alla zona in cui erano state realizzate.
Per quanto riguarda poi la presentazione della richiesta di accertamento della compatibilità ambientale delle opere in questione, ai sensi della L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 37 ad essa la legge medesima non riconnette la sospensione del processo penale relativo ai reati paesaggistico-ambientali che potrebbero essere - comunque essi solo e non anche i reati urbanistici, come esplicitamente indicato dalla legge - estinti per effetto di tale accertamento (al riguardo, cfr., da ultimo, Cass. 12 aprile 2006 n. 12923 e 13 settembre 2005 n. 33297), per cui correttamente i giudici di merito hanno anche in questo caso negato la richiesta sospensione.
Incidendo infatti la sospensione del processo sulla regola di rilievo costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, essa può essere disposta unicamente dalla legge e a tutela di altri valori di eguale rilievo costituzionale.
Alla stregua delle considerazioni esposte le prime quattro censure del ricorso, relative alla mancata sospensione del processo in attesa del condono e dell'accertamento di compatibilità ambientale delle opere contestate e alla mancata dichiarazione conseguente di estinzione dei reati di cui ai capi di imputazione, appaiono infondate.
Infine manifestamente infondata appare l'ultima censura, relativa alla determinazione della pena, alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena per il Baldi e quanto alla condizione apposta alla sospensione condizionale della pena per la Massai.
Il primo e ultimo rilievo sono infatti formulati del tutto genericamente senza alcun sviluppo argomentativo, in relazione ad una pena correttamente determinata sulla base dei parametri di cui all'art. 133 c.p. nonché alla subordinazione della sospensione condizionale della pena per la Massai alla demolizione dei manufatti abusivi e alla remissione in pristino dello stato dei luoghi, come reso possibile dalla previsione di cui all'art. 165, comma 1 del medesimo codice.
Il secondo rilievo, sviluppato nell'ultima pagina del ricorso con l'argomento che uno dei due reati che nel loro complesso impedirebbero la concessione della sospensione condizionale della pena sarebbe estinto per amnistia, è manifestamente infondato, avendo i giudici di merito accertato che trattasi di amnistia impropria (avendo riguardato un reato commesso il 27 novembre 1972, per il quale era già intervenuta sentenza di condanna in data 16 giugno 1976 e interessato all'amnistia di cui al D.P.R. 18 dicembre 1981 n. 744), che ai sensi dell'art. 151 c.p. comporta unicamente la cessazione dell'esecuzione della condanna e delle pene accessorie, mentre non fa venir meno gli altri effetti penali della condanna, tra i quali rientra anche l'impossibilità di ottenere la sospensione condizionale della pena o la reiterazione della stessa cfr., tra le altre, Cass. sez. 1^, 24 novembre 2004 n. 45521; 5 aprile 1995 n. 432; sez. 3^, 19 luglio 1993 n. 1486; sez. 2^, 31 maggio 1990 n. 7606).
Concludendo, il ricorso va respinto con la conseguente condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2007