Presidente: Lupo E. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: Martinico. P.M. Ciampoli L. (Conf.)
(Dichiara inammissibile, App. Palermo, 4 Aprile 2005)
EDILIZIA - DISCIPLINA URBANISTICA - Condono edilizio - D.L. 269 del 2003 - Opere non condonabili - Sospensione del procedimento ex art. 44 L. n. 47 del 1985 - Non rilevanza ai fini della prescrizione.
La sospensione del procedimento per reati edilizi prevista dall'art. 44 L. 28 febbraio 1985 n. 47, in relazione alla domanda di condono edilizio presentata ex art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con L. 24 novembre 2003 n. 326, non può essere disposta in relazione ad opere non condonabili, con la conseguenza che l'eventuale periodo di sospensione deve essere considerato ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 17/11/2005
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 2089
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 28900/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MARTINICO Salvatore, nato a Trapani il 1 giugno 1961;
avverso la sentenza emessa il 4 aprile 2005 dalla Corte d'Appello di
Palermo;
udita nella Pubblica udienza del 17 novembre 2005 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CIAMPOLI Luigi, che ha concluso per
l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. CAUDULLO Raffaele, in sostituzione dell'avv.
Carlo Ventimiglia.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe la corte d'appello di Palermo
confermò la sentenza emessa il 6 dicembre 2002 dal giudice
del tribunale di Palermo, sezione distaccata di Carini, che aveva
dichiarato Martinico Salvatore colpevole dei reati di cui: a) L. 28
febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c), per avere realizzato, senza
concessione edilizia, una costruzione nel piano attico di un
preesistente edificio consistente in un corpo di m. 4,10 x 2,10 in
muratura e copertura con pannelli isotermici, adibito a servizi
igienici e un corpo di circa mq. 42 a ridosso del precedente costituito
da pannelli isotermici con infissi sulle aperture e copertura con
pannelli isotermici; b) L. 5 novembre 1971, n. 1086, art. 13; c) L. 5
novembre 1971, n. 1086, art. 14; f) del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490,
art. 163, per avere eseguito le dette opere in zona protetta ai sensi
della L. n. 1497 del 1939 senza la previa autorizzazione delle
autorità competenti, e lo aveva condannato alla pena di mesi
uno e giorni venti di arresto ed Euro 12.300,00 di ammenda, con
l'ordine di demolizione delle opere abusive e l'ordine di rimessione in
pristino dello stato dei luoghi e con la sospensione condizionale della
pena subordinata alla demolizione delle opere abusive, mentre aveva
dichiarato estinti per prescrizione i reati di cui all'art. 674 cod.
pen. ed alla L. 2 febbraio 1974, n. 64.
L'imputato propone ricorso per Cassazione deducendo inosservanza e
violazione di legge. Lamenta che il 22 marzo 2004 aveva presentato al
comune domanda di condono per le opere abusive in questione ed aveva
versato la prima rata relativa alla oblazione ed agli oneri accessori.
Aveva quindi depositato la relativa documentazione alla corte d'appello
ed alla udienza dell'08/11/2004 il difensore aveva chiesto di produrre
anche copia dei versamenti della seconda rata. La corte d'appello
avrebbe quindi dovuto sospendere il processo in attesa della
definizione della pratica di condono.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è manifestamente infondato.
Alla udienza dell'8 novembre 2004, dopo diversi rinvii in applicazione
delle recenti norme sul condono edilizio, la corte d'appello dette
espressamente atto che non risultava presentata istanza di sanatoria
edilizia e quindi rinviò il processo alla udienza del 4
aprile 2005, nella quale pronunciò la decisione.
È peraltro anche vero che nel fascicolo della corte
d'appello si trova documentazione attestante l'avvenuta presentazione,
in data 22 marzo 2004, di domanda di condono edilizio con la ricevuta
del versamento della prima rata relativa alla oblazione ed agli oneri
accessori.
Senonché, a parte il fatto che un eventuale errore del
giudice di appello nel non sospendere il processo in attesa della
definizione della domanda di condono edilizio non comporta
nullità della sentenza ma solo il dovere di questa Corte di
disporre essa stessa la sospensione, va rilevato che nella specie non
è riscontrabile alcun errore della Corte d'Appello
perché nessuna sospensione doveva essere disposta e nessuna
sospensione può essere disposta in questa sede in quanto si
tratta di opere non sanabili ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n.
269, art. 32 convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n.
326, poiché abusivamente realizzate in zona sottoposta a
vincolo ai sensi della L. n. 1497 del 1939, e ciò in forza
del comma 27, lett. b), del citato art. 32, secondo cui le opere
abusive non sono comunque suscettibili di condono qualora siano state
realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi
statali e regionali a tutela dei beni ambientali e paesistici qualora
istituiti prima della esecuzione di dette opere. La giurisprudenza di
questa Corte, del resto, ha costantemente affermato il principio che la
sospensione del procedimento ai sensi della L. 28 febbraio 1985, n. 47,
art. 38, in relazione alla domanda di condono edilizio presentata dal
D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ex art. 32, convertito con
modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326, non può
essere disposta nel caso in cui le opere abusive siano state realizzate
su immobili sottoposti a vincolo (Sez. 3^, 13 novembre 2003, Lasi, m.
227.217; Sez. 3^, 9 luglio 2004, Canu, m. 229.630; Sez. 4^, 12 gennaio
2005, Ricci, m. 231.315). Ed invero, la sospensione del procedimento
penale in attesa della definizione della domanda di sanatoria richiede
in ogni caso la previa verifica da parte del giudice della sussistenza
dei requisiti astrattamente previsti dalla legge per la
applicabilità del condono edilizio (Sez. 3^, 25 marzo 2004,
Barreca, m. 229.652).
Nel caso di specie, inoltre, può per completezza rilevarsi
che la domanda di condono si riferisce espressamente ad una "lavanderia
con annesso w.c. in struttura precaria", mentre i giudici del merito
hanno accertato che le opere abusive riguardano un ampliamento
dell'attico ed hanno una struttura stabile e non precaria. Il ricorso
deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza dei motivi.
Trattandosi di opera non condonabile il procedimento non avrebbe dovuto
essere sospeso dalla corte d'appello ai sensi della L. 28 febbraio 1985
n. 47, art. 44. La sospensione erroneamente disposta dal giudice di
appello, quindi, deve essere considerata come inesistente con le ovvie
conseguenze in tema di computo dei termini prescrizionali (Sez. 3^, 13
novembre 2003, Lasi, m. 227.217). Ne consegue che nella specie non
può tenersi conto delle sospensioni disposte dalla Corte
d'Appello dal 26/01/2004 al 04/04/2005. Tenuto quindi conto dei periodi
di sospensioni del corso della prescrizione verificatisi nel giudizio
di primo grado dal 27/05/2002 al 14/10/2002 a causa di rinvii delle
udienze a richiesta della difesa, la prescrizione si è
maturata il 27/09/2004.
Tuttavia, l'inammissibilità del ricorso per Cassazione
preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare
di ufficio, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., l'estinzione del
reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia
della sentenza di appello, ma non dedotta ne' rilevata da quel giudice
(Sez. Un., 22 marzo 2005, Bracale, m. 231.164).
In applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di
inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della
Cassa delle Ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni
di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo
fissare in Euro 500,00.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di
Cassazione, il 17 novembre 2005.
Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2006