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INQUINAMENTO ATMOSFERICO ED ATTIVITA’ DI CONTROLLO NELLE AREE DI MARGHERA E MURANO (VENEZIA) di Luca RAMACCI

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L’attività di indagine in materia di inquinamento atmosferico non è particolarmente frequente e, nel complesso panorama delle violazioni di norme ambientali, costituisce quasi un’eccezione. Le difficoltà tecniche che caratterizzano i controlli rendono infatti estremamente difficoltoso l’intervento di personale che, purtroppo frequentemente, non dispone delle specifiche conoscenze tecniche per effettuare le verifiche.

L’attività di analisi, in particolare, presenta notevoli difficoltà operative, richiede tempi anche lunghi e costi non indifferenti.

Tali difficoltà non risultano, tuttavia, limitate alla sola attività di campionamento e controllo delle emissioni, poiché anche la valutazione della semplice rispondenza degli impianti al regime autorizzatorio previsto per le singole tipologie richiede una specifica conoscenza tecnica e la capacità di confrontare le caratteristiche reali dell’impianto con quelle risultanti dalla documentazione esaminata. Nondimeno, anche l’impianto normativo che regola tale particolare materia presenta particolare complessità e difficoltà interpretative.

Se a ciò si aggiunge, poi, la notoria scarsità dei controlli e la ormai cronica inefficienza dei soggetti chiamati ad eseguirli, non sembrerà strano che – in circa tredici anni dall’entrata in vigore del D.p.r. 20388 – siano state emesse dalla Corte di cassazione soltanto trentasei pronunce meritevoli di essere massimate[1].

Come invece potrà osservarsi analizzando i risultati dell’indagine effettuata a Venezia, nell’area industriale di Marghera ed in quella di Murano, le verifiche di singoli impianti, specie se individuati per categoria, consente di avere la chiara percezione della reale situazione e, occorre dirlo, dell’indifferenza di controllori che, nella migliore delle ipotesi, appaiono fin troppo distratt

L’indagine trae origine dai risultati di più vasti accertamenti finalizzati ad individuare lo stato di inquinamento dell’area lagunare veneziana - che, come è noto, rappresenta un ecosistema particolarmente complesso, di notevole estensione e con soli tre accessi al mare aperto – dopo le ripetute ed eclatanti segnalazioni di una nota associazione di protezione ambientale.

A tale scopo venivano commissionate nel periodo 1995 - 1997, dalla Procura Circondariale del capoluogo lagunare, alcune campagne di monitoraggio aventi lo scopo di accertare non solo lo stato effettivo di inquinamento, ma anche la sussistenza di pericoli per la salute pubblica.

Il primo studio[2] prendeva in esame il sedimento lagunare esistente sullo strato superficiale del fondale mediante il prelievo di 53 reperti in 14 diverse zone di campionamento, precedentemente individuate per la successiva ricerca di microinquinanti tossici, con conseguente acquisizione di oltre 1600  dati analitici effettivi” evidenzianti la presenza di sostanze altamente nocive perché cancerogene e/o mutagene.

Le cause dell’inquinamento venivano indicate, per l’area industriale, nella presenza di stabilimenti produttivi in genere e nella utilizzazione, da parte di alcuni di essi, di particolari processi di lavorazione e, per quanto attiene all’area urbana, nelle attività ad essa connesse. In tale ultimo caso, la mancanza di un adeguato sistema fognario contribuisce sensibilmente al degrado dell’ambiente lagunare a seguito dell’immissione di reflui, non trattati, provenienti prevalentemente (ma non esclusivamente a causa della presenza di insediamenti artigianali e produttivi in area urbana) da insediamenti abitativi. 

Ulteriori conseguenze negative sono poi determinate dall’intenso traffico navale, prevalentemente di piccolo cabotaggio e finalizzato al trasporto di merci e persone, al quale veniva attribuita la elevata presenza di residui della combustione dei carburanti e di prodotti del deterioramento delle parti metalliche delle imbarcazioni a contatto con l’acqua.

Con riferimento specifico all’area industriale, si osservava poi che la presenza degli agenti inquinanti non consegue esclusivamente alla immissione di reflui in laguna, ma anche dalla presenza di depositi di rifiuti industriali a contatto con l’acqua.

Un ulteriore e non secondario contributo al complessivo inquinamento dell’area lagunare veniva invece individuato nella ricaduta di sostanze inquinanti immesse in atmosfera dagli impianti esistenti nell’area industriale di Marghera e, seppure in minore quantità, dagli insediamenti esistenti nell’Isola di Murano ed adibiti alla lavorazione del vetro[3].

Una seconda campagna di rilevamenti, eseguiti con mezzi aeronavali, confermava i risultati dei primi accertamenti[4] così come un ulteriore studio[5] evidenziava altre conseguenze dell’inquinamento ed i possibili danni per la salute.

A fronte di tale quadro preoccupante venivano disposte diffuse indagini (tuttora non ultimate) finalizzate ad individuare eventuali responsabilità con particolare riferimento all’inquinamento idrico da insediamenti industriali e da scarichi insistenti nell’area urbana, all’inquinamento da rifiuti ed all’inquinamento atmosferico.

La prima campagna di accertamenti, nel settore che qui interessa, veniva avviata nell’area industriale di Marghera dopo una preventiva verifica delle segnalazioni di reato pervenute nell’arco degli ultimi 18 mesi a seguito della quale si riscontrava che, in tale lasso di tempo, erano state inoltrate dai soggetti adibiti al controllo soltanto 37 notizie di reato per l’intero territorio di competenza (corrispondente all’intera provincia di Venezia) a fronte di oltre 4000 punti di emissione solo nella zona industriale di Marghera (che, occorre ricordarlo, è semplicemente un quartiere anche se di notevole estensione).

Le indagini sono state dunque finalizzate a verificare il rispetto della vigente disciplina in materia di immissioni in atmosfera (D.p.r. 20388) da parte di soggetti aventi stabilimenti o altri impianti fissi per usi industriali o di pubblica utilità che davano luogo ad emissioni inquinanti convogliate o tecnicamente convogliabili costituenti rischio potenziale di inquinamento atmosferico.

Venivano considerati, in  modo particolare, gli insediamenti con impianti esistenti alla data del 1° luglio 1988 appartenenti alle categorie indicate nell’Allegato 1 dal D.P.C.M. 21 Luglio 1989[6] e ciò considerando come le notevoli portate di detti impianti inducano a ritenere che le emissioni generate dagli stessi apportino il maggiore contributo all’inquinamento atmosferico della zona. 

I consulenti nominati[7] effettuavano gli accertamenti unitamente a personale del Nucleo Tutela Ambiente della Sezione di Polizia Giudiziaria della Procura e del personale della Guardia di Finanza – Sezione Operativa Navale di Venezia.

A tale proposito appare utile sottolineare come l’attività di indagine abbia richiesto necessariamente l’intervento di personale di Polizia Giudiziaria unitamente a personale avente specifiche competenze tecniche.

L’apporto della P.G. è stato, in un primo tempo, contenuto nell’espletamento di attività di acquisizione di atti e documentazione dell’attività svolta e, successivamente, si è esteso all’espletamento di atti ulteriori quali l’assistenza all’attività di campionamento e l’esecuzione di provvedimenti del G.I.P. dei quali si dirà più dettagliatamente in seguito.  

La prima attività di verifica ha avuto ad oggetto l’acquisizione di tutta la documentazione relativa agli obblighi amministrativi previsti dal DPR 203/88 presentata dai titolari degli insediamenti all’ente competente  (all’epoca la Regione cui subentrava, successivamente, la Provincia).

Nei casi in cui il controllo documentale dava esito positivo, evidenziando la mancanza dell’autorizzazione o la violazione di altre disposizioni formali, veniva in un primo tempo richiesto il sequestro preventivo “condizionato” degli impianti.  Tale forma di sequestro subordinava l’esecuzione della misura all’effettivo adeguamento degli impianti alla normativa vigente entro un termine prefissato (ed eventualmente prorogabile) ed alla esecuzione, a cura e spese del titolare dell’impianto stesso, ma sotto il diretto controllo dei tecnici e della P.G., dei rilievi analitici dei fumi immessi in atmosfera.

La soluzione si rendeva necessaria in quanto le analisi dei fumi presuppongono il regolare funzionamento degli impianti da controllare, di fatto impossibile in caso di sequestro. Si otteneva, inoltre, la messa a norma in tempi rapidi degli impianti salvaguardando contemporaneamente le esigenze economiche dell’imprenditore che non vedeva interrotta la produzione.

La presenza di sostanze inquinanti o il superamento dei limiti di legge evidenziate dalle analisi nonché il mancato adeguamento amministrativo comportavano l’immediata esecuzione del sequestro prima “sospeso”.

L’accertata rispondenza dell’impianto ai requisiti di legge determinava, al contrario,  la revoca della misura cautelare reale e la possibilità di definire il procedimento penale mediante oblazione o applicazione pena.

All’evidente forzatura interpretativa necessaria per l’adozione del sequestro “condizionato” e, tutto sommato, produttiva di effetti vantaggiosi tanto per l’inquirente che per l’indagato, poneva fine la Corte di cassazione mutando l’orientamento espresso in una precedente pronuncia[8].

Osservava infatti la Corte[9] che “L'istituto del sequestro preventivo non tollera l'apposizione di clausole, quali il termine o la condizione, che alterino struttura, conseguenze e finalità legislativamente determinate come proprie della misura. Non è pertanto ammissibile il c.d. sequestro condizionato la cui esecuzione viene differita e subordinata all'adempimento di specifiche prescrizioni entro un termine prefissato

Venuta meno la possibilità del “sequestro condizionato” si è ovviato mediante l’applicazione dell’articolo 85 disp. att. C.P.P. individuando, di volta in volta, le soluzioni pratiche per consentire l’espletamento del campionamento e delle analisi. 

Va detto, comunque, che l’adozione di tale soluzione ha dato risultati più che soddisfacenti poiché la maggior parte delle aziende controllate ha proceduto all’adeguamento degli impianti oppure, nel caso in cui gli interventi da eseguire risultavano particolarmente dispendiosi, ha definitivamente eliminato gli impianti smantellandoli.

Le  indagini hanno anche evidenziato diversi fatti di rilevanza penale addebitabili ai soggetti preposti alla definizione dei procedimenti amministrativi di autorizzazione in quanto alcuni decreti di autorizzazione erano stati rilasciati in palese contrasto con le norme vigenti, favorendo di fatto i soggetti che li avevano ottenuti.

Nell’ambito dell’indagine riguardante gli insediamenti industriali di Marghera sono stati controllati 53 insediamenti individuati, come si è detto, tra quelli a maggior rischio di inquinamento con un numero complessivo di punti di emissione pari a circa 1200. Secondo i CC.TT. tali impianti forniscono il maggior contributo all’inquinamento atmosferico nella zona industriale di Marghera.

Dall’esame finale dei dati effettuato dai medesimi consulenti[10] è emerso che

-         11 impianti risultavano non più attivi o con impianti dismessi (per questi impianti i consulenti hanno riscontrato un diffuso contrasto con la normativa vigente in quanto operanti con apparecchiature obsolete notevolmente inquinanti  e con valori di emissioni superiori a quelli previsti dalla normativa tecnica).

-         4 impianti risultavano rientrare tra quelle ad inquinamento poco significativo

-         3 impianti risultavano non soggette agli obblighi previsti dal D.p.r. 20388

-         35 impianti risultavano esistenti e con impianti ancora in esercizio

I 35 insediamenti “attivi” sono stati poi sottoposti ad ulteriori  e più approfonditi controlli ottenendo i seguenti risultati:

-         il 69% degli insediamenti (24 su 35) sono risultati in contrasto con la normativa vigente

-         il 31% sono risultati conformi (11 su 35).

In occasione dei controlli sulle aziende non in regola si è accertata la commissione di 66 reati contemplati dalle vigenti disposizioni in tema di inquinamento addebitati ai vari responsabili unitamente ad altre violazioni successivamente riscontrate.

Tali violazioni riguardano prevalentemente gli articoli 24 e 25 del D.p.r. 20388 anche se, in tre casi, si è riscontrata la violazione delle disposizioni in tema di rifiuti (D.p.r. 91582 e D.Lv. 2297).

Occorre precisare che i dati elaborati tengono conto esclusivamente delle violazioni accertate a seguito del primo controllo documentale e dei successivi sopralluoghi poiché il ricorso alla preventiva verifica delle violazioni formali ha fatto sì che l’eventuale superamento di limiti (accertato a seguito delle analisi successive al primo controllo e dovuto a carenze costruttive o funzionali dell’impianto ovvero ad altre cause note solo a seguito dell’indagine) fosse immediatamente eliminato dai responsabili - in alcuni casi addirittura drasticamente mediante la demolizione eo la dismissione dei punti di emissione - con conseguente interruzione della permanenza della violazione e la possibilità di ricorrere a riti alternativi per una o più ipotesi di reato[11].

Non va’ infine sottaciuto che, alla scarsa attenzione per la funzionalità e regolarità degli impianti con riferimento all’ambiente esterno, non raramente si accompagnano situazioni di rischio per la salute dei lavoratori addetti rappresentati dalla obsolescenza degli impianti, dai risultati di precise strategie aziendali o, nella maggior parte dei casi, dalla consapevolezza della scarsità dei controlli. 

Come si è accennato in precedenza, una seconda campagna di verifiche – ad opera dei medesimi Consulenti - ha riguardato anche le vetrerie esistenti in Murano.

Lo scenario presentatosi ai verificatori è del tutto simile a quello riscontrato nell’area di Marghera con alcune minime ma significative distinzioni.

Alla cronica mancanza di verifiche si è riscontrata, talvolta, qualche manifestazione di insofferenza ai controlli: nonostante molte aziende si siano mostrate immediatamente disponibili a provvedere ad un tempestivo adeguamento degli impianti, altre hanno tentato con vari pretesti di ritardare la messa a norma degli impianti reclamando, in alcuni casi, la necessità di un congruo termine per l’adeguamento degli impianti stessi i quali, è il caso di sottolinearlo, sono stati talvolta  riscontrati del tutto privi di sistemi di abbattimento dei fumi eo di impianti idonei a convogliare le emissioni all’esterno dello stabilimento nonostante il tempo trascorso dalla data di entrata in vigore della normativa.

La resistenza all’adeguamento degli impianti si riscontra, di regola, da parte di quei settori produttivi che dispongono di minori risorse economiche e per i quali appare maggiormente vantaggioso affrontare il rischio – del tutto eventuale – di una verifica sfavorevole rispetto all’esborso certo di somme di denaro, anche ingenti, per l’adeguamento degli impianti.

Analoga situazione si è riscontrata nel corso dell’indagine di cui ora si tratta.

Le rimostranze degli imprenditori del vetro hanno tuttavia trovato ascolto tanto che si è provveduto all’emanazione del D.M. 1842000 “Proroga dei termini di adeguamento dei valori limite di emissione per gli impianti di produzione di vetro artistico situati sull’Isola di Murano[12] riguardante tuttavia (come riconosciuto anche da unanime giurisprudenza di merito), i soli impianti “esistenti” secondo la definizione ricavabile dal D.p.r. 20388, come si desume dal tenore dei richiami effettuati a tale normativa[13]. La proroga, alle condizioni indicate nel decreto, è concessa fino al 31 dicembre 2002.

Come ricordato dai CC.TT., le condizioni previste dal D.M. prevedono che il titolare dell’insediamento che intende avvalersi della proroga debba:

-         aver comunicato, entro il 28 giugno 2000, l’adesione all’accordo di programma stipulato in data 15 novembre 1999 fra i vari enti e le associazioni sindacali.

-         aver presentato, entro il 24 novembre 2000, istanza documentata che, tenendo conto delle caratteristiche tecniche e del tasso di utilizzazione degli impianti, descriva le misure che si intendono adottare per l’adeguamento delle emissioni in atmosfera dell’impianto ai valori di cui all’accordo citato.

In tal caso l’Amministrazione Provinciale autorizza la continuazione delle emissioni (art.12 DPR 203/88)  con eventuali prescrizioni.

Le opere impiantistiche e gestionali di cui in precedenza devono, comunque, essere realizzate entro il 31 dicembre 2002 e rispettare, a tale data, i limiti di emissione previsti dall’accordo di programma.

Riguardo a tali limiti, osservano però i consulenti che essi sono più restrittivi, rispetto a quelli stabiliti dal D.M. 12.07.90, mediamente del 63%.

Tale circostanza si presta ad una duplice valutazione. Se da un lato, infatti, come pubblicamente dichiarato dai soggetti interessati, la scelta di valori così restrittivi costituisce una sorta di corrispettivo che i soggetti beneficiati dalla proroga accettano di pagare e che giustifica un siffatto trattamento di favore rispetto ad altri settori produttivi (che, e’ il caso di ricordarlo, interviene dopo oltre un decennio dalla data di entrata in vigore di disposizioni troppo spesso ignorate), dall’altro induce a ritenere non improbabili richieste di ulteriori proroghe[14] giustificate da difficoltà tecniche (peraltro ampiamente prevedibili) connesse alla necessità di raggiungere livelli di abbattimento particolarmente restrittivi. Non si vede, inoltre, come possa risultare vantaggiosa la spesa per interventi di tal genere, sicuramente superiore a quella necessaria per adeguarsi ai limiti già in vigore, in particolar modo per quanti dovessero aver scelto di aderire al disposto del D.M. dopo aver modificato gli impianti a seguito dei controlli subiti.

Va altresì segnalato come, a fronte della prosecuzione della campagna di accertamenti nei confronti degli insediamenti “nuovi” (non rientranti, come si è detto, nel D.M. 1842000 in base alla sua inequivocabile formulazione, riconosciuta anche dalla giurisprudenza di merito), una tempestiva interpretazione autentica dello stesso D.M. inserita nell’articolo 52, comma 12 della  “Finanziaria 2002” ha chiarito che “In deroga al disposto degli articoli 6, 15 e 24 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, i termini per l’adeguamento delle emissioni in atmosfera degli impianti di produzione di vetro artistico situati sull’isola di Murano previsti dall’articolo 1 del decreto del Ministro dell’ambiente del 18 aprile 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 28 aprile 2000, si applicano anche ai nuovi impianti ed a quelli conseguenti a modifica sostanziale o a trasferimento di impianti esistenti, a condizione che ne sia comprovata l’esistenza alla data del 15 novembre 1999 e che abbiano aderito all’accordo di programma nei termini di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del citato decreto del Ministro dell’ambiente del 18 aprile 2000[15]

Venendo all’elaborazione dei dati effettuata dai CC.TT., attraverso la quale la situazione è adeguatamente rappresentata, si osserva che nel caso delle vetrerie gli insediamenti controllati ammontano a 88.

Tra questi,

-         4 vetrerie non sono più esistenti e hanno dismesso gli impianti produttivi;

-         2 vetrerie non sono risultate soggette agli obblighi amministrativi previsti dal DPR. 230/88;

-         82 vetrerie sono risultate come aventi impianti in esercizio

Tra le vetrerie in esercizio, 59 risultano esistenti dal 1° luglio 1988, mentre le restanti 22 hanno installato impianti dopo tale data e quindi rientrano tra i  “nuovi impianti” contemplati dal DPR 203/88 e dal DPCM 21.07.89.

Tutti gli impianti in esercizio, tanto nuovi che esistenti, sono risultati operare in contrasto con le disposizioni del D.p.r. 20388.

Anche in questo caso, come è avvenuto per gli insediamenti industriali dell’area di Marghera, le violazioni contestate riguardano gli articoli 24 e 25 del citato D.p.r. 

Il preventivo esame documentale e l’effettuazione del sopralluogo hanno consentito, anche in questo caso, di limitare gli accertamenti alle violazioni formali isolando e limitando i casi in cui, nel corso delle analisi successive all’adeguamento degli impianti, si sono riscontrati superamenti dei limiti imposti. In tali ipotesi, infatti, al fine di evitare l’applicazione o il ripristino della misura cautelare reale ovvero una maggiore durata dell’interruzione dell’attività conseguente all’applicazione già in essere della misura medesima, i titolari degli impianti hanno quasi sempre  immediatamente provveduto all’eliminazione dell’inconveniente apportando all’impianto le modifiche necessarie.

Resta da osservare, per concludere, come l’adozione del sequestro preventivo unita ad una capillare azione di controllo per tipologia di impianto rappresenti oggi l’unico strumento efficace per contrastare fenomeni diffusi di illegalità dovuti non solo alla volontaria condotta dei titolari degli impianti ma anche ad una distratta gestione del territorio da parte dei soggetti competenti ai controlli.

Luca RAMACCI

 

 



[1] Dati risultanti dal CED – Cassazione su un totale di 46 documenti presenti in archivio alla data del 26112001

[2] A. DI DOMENICO, L. TURRIO BALDASSARRI, G. ZIEMACKI “Relazione di Perizia Tecnica sulla qualità e quantità dell’impatto antropico nella laguna di Venezia

[3] Va altresì aggiunto, per completezza, che le conseguenze dell’inquinamento risultano ulteriormente aggravate ed estendono i loro effetti ben oltre il territorio lagunare a causa del noto  e diffuso fenomeno della pesca abusiva in aree contaminate di molluschi bivalvi successivamente immessi sul mercato nazionale con certificazione sanitaria falsa. Sull’argomento v. L. RAMACCI “Il fenomeno della pesca abusiva dei molluschi nella laguna di Venezia” in Rapporto Ecomafie - Roma 2001 ed. Legambiente (pubblicato anche in www.lexambiente.com)

[4] Trattasi di una “Campagna integrata di telerilevamento della laguna veneta” eseguita dall’ENEA e dalla Guardia di Finanza mediante l’uso di sofisticate apparecchiature elettroniche.

[5] Vladimiro BONAMIN, Alessandro DI DOMENICO, Roberto FANELLI e Luigi TURRIO BALDASSARRI Microinquinanti tossici nella laguna di Venezia – Livelli di contaminazione ed impatto ambientale"

[6] In G.U. n. 171 del 24.7.1989. “ Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni, ai sensi dell’art. 9  della legge 8 luglio 1986, n. 349, per l'attuazione e l'interpretazione del Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, recante  norme  in materia di qualità dell'aria  relativamente  a  specifici agenti inquinanti e di inquinamento prodotto da impianti industriali”

[7] Trattasi del Dott. G. BIELLI e dei PP.II. R. FELICI e L. SCATTO. Il quesito formulato era il seguente “Dicano i consulenti, previa visione della documentazione acquisita, relativa alle ditte di cui agli elenchi in atti e previo eventuale sopralluogo, se sussistano situazioni di contrasto con la normativa tecnica in materia e quanto altro utile ai fini di giustizia. Dicano altresì i consulenti se sia necessario o opportuno per la tutela della salute pubblica l’adozione di particolari provvedimenti e l’effettuazione di prelievi ed analisi delle emissioni”

[8] Cass. Sez. I 2991994, Berton

[9] Cass. Sez. III 1121998, Sartori ed altri in Riv. Pen. n. 41998 con nota di L. RAMACCI “Nuovo indirizzo della cassazione in tema di sequestro preventivo "condizionato""

[10] Gli stessi consulenti hanno curato l’elaborazione statistica dei dati.

[11] In tali casi, data la diversità delle situazioni riscontrate, i CC.TT. hanno omesso la rilevazione statistica dei dati.

[12] In G.U. n. 98 del 28 aprile 2000

[13] Nella premessa al decreto viene  fatto riferimento all’articolo 3, comma 2 del D.p.r. 20388 che, a sua volta, richiama il D.M. 12 luglio 1990 (avente ad oggetto “Linee guida per il contenimento delle emissioni inquinanti degli impianti industriali e la fissazione dei valori limite di emissione”). Tale ultimo D.M., infatti, viene richiamato nella premessa al D.M. 18 aprile 2000 con riferimento particolare all’articolo 5.

[14] A tale proposito merita di essere ricordato quanto già accaduto in tema di scarichi idrici con la Legge 30 aprile 1999 n. 136 mediante la quale venivano riaperti i termini, scaduti tre anni prima dopo 23 anni di proroghe, per la regolarizzazione di alcune tipologie di scarichi con recapito finale nella Laguna di Venezia (che, per espressa ammissione del legislatore, viene individuata come zona meritevole di particolare attenzione tanto da giustificare una legge speciale per la sua salvaguardia).

[15] Le notizie che, sulla stampa locale (“Il Gazzettino” Giovedì, 15 Novembre 2001) preannunciavano l’imminente approvazione della disposizione citata precisavano anche,  senza mezzi termini, che  si trattava di “un emendamento per scongiurare nuovi sequestri”.