Cass. Sez. III n. 35752 del 19 luglio 2017 (Ud 30 mag 2017)
Presidente: Savani Estensore: Aceto Imputato: Favero
Aria.Gestore di stabilimento o impianto
L'autorizzazione alle emissioni in atmosfera deve essere effettivamente richiesta dal «gestore che intende installare uno stabilimento nuovo o trasferire un impianto da un luogo ad un altro» (art. 269, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006). Il reato di cui all'art. 279, d.lgs. n. 152 del 2006, è reato proprio del "gestore". "Gestore" è, per definizione, «la persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa l'installazione o l'esercizio dello stabilimento e che è responsabile dell'applicazione dei limiti e delle prescrizioni disciplinate» dal d.lgs. n. 152, cit. (art. 268, comma 1, lett. n). "Gestore", nel caso di specie, è la società di capitali (persona giuridica) e, dunque, chi ne ha la legale rappresentanza.
RITENUTO IN FATTO
1. Il sig. Rino Favero ricorre per l'annullamento della sentenza del 20/09/2016 del Tribunale di Padova che lo ha condannato alla pena di 1.700,00 euro di ammenda per il reato continuato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen., 137, comma 14, e 279, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006, perché, quale legale rappresentante della società «Agricola Padana S.r.l.», con insediamento zootecnico in Barbona (PD), esercitava l'allevamento di bovini senza la prescritta autorizzazione alle emissioni in atmosfera, nonché per aver effettuato l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento senza averne dato comunicazione alla Provincia competente. Il fatto è contesto come accertato in Barbona il 16/07/2013.
1.1.Con il primo motivo, deducendo che non è stata accertata la sua qualifica di gestore effettivo dell'insediamento e lamentando che la sua condanna si fonda sulla sola legale rappresentanza della società, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'inosservanza degli artt. 269 e 279, d.lgs. n. 152 del 2006.
1.2.Con il secondo motivo, lamentando la mancanza di prova della utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l'inosservanza dell'art. 137, d.lgs. n. 152 del 2006..
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.Il ricorso è inammissibile perché generico e totalmente infondato.
3. Il primo motivo è generico e totalmente infondato.
3.1.L'imputato premette in fatto che, pur essendo legale rappresentante della società «Agricola Padana S.r.l.» (motivo per il quale è stato ritenuto penalmente responsabile), «di fatto presso la stalla venivano trovate altre persone preposte allo svolgimento delle attività economiche proprie della società nonché preposte alla gestione stessa» e deduce, in diritto, che soggetto obbligato a chiedere l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera è il «gestore».
3.2.0sserva il Collegio che l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera deve essere effettivamente richiesta dal «gestore che intende installare uno stabilimento nuovo o trasferire un impianto da un luogo ad un altro» (art. 269, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006; nel senso che il reato di cui all'art. 279, d.lgs. n. 152 del 2006, è reato proprio del "gestore", si vedano Sez. 3, n. 48456 del 27/10/2015, Preti, Rv. 266130; Sez. 3, n. 27260 del 11/01/2012, Pastore, Rv. 253048). "Gestore" è, per definizione, «la persona fisica o giuridica che ha potere decisionale circa l'installazione o l'esercizio dello stabilimento e che è responsabile dell'applicazione dei limiti e delle prescrizioni disciplinate» dal d.lgs. n. 152, cit. (art. 268, comma 1, lett. n). "Gestore", nel caso di specie, è la società di capitali (persona giuridica) e, dunque, chi ne ha la legale rappresentanza (nel senso che in caso di persona giuridica "gestore" è il suo legale rappresentante, cfr. Sez. 3, n. 43246 del 13/07/2016, Contin, Rv. 268084).
3.3. Il ricorrente, nel citare a sostegno delle sue deduzioni la sentenza Sez. 3, n. 48456 del 2015, cade nell'errore di intendere il "gestore" esclusivamente come colui il quale di fatto esercita i poteri di gestione (appunto) dell'impresa, al di là (ed a discapito) della sua formale titolarità o legale rappresentanza. Sennonché, tanto nel caso scrutinato dalla sentenza citata dal ricorrente, quanto in quello oggetto della sentenza Sez. 3, n. 27260 del 2012, imputati erano persone diverse dal titolare dell'attività d'impresa o dal legale rappresentante della società e la riaffermazione del principio era valsa ad escludere la responsabilità di chi non essendo il titolare dell'attività non ne era nemmeno il dominus vero e proprio. Peraltro ove con l'eccezione difensiva si vuol dedurre la radicale dissociazione tra la legale rappresentanza dell'ente e la sua gestione di fatto, da un lato essa è decisamente generica e inammissibilmente supportata da allegazioni fattuali, dall'altro non esclude automaticamente - così come formulata - il concorso dell'amministratore di diritto con quello di fatto.
4. Il secondo motivo è generico.
4.1.Le acque reflue provenienti da imprese dedite all'allevamento di bestiame sono assimilate, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, alle acque reflue domestiche (art. 101, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall'art. 2, comma 8, d.lgs. n. 4 del 2008), sicché gli scarichi provenienti da detti insediamenti sono penalmente irrilevanti anche se non autorizzati (Sez. 3, n. 28452 del 07/04/2009, Corsanto, Rv. 244513; Sez. 3, n. 9488 del 29/01/2009, Battisti, Rv. 243112; Sez. 3, n. 26532 del 21/05/2008, Calderone, Rv. 240552). Resta invece penalmente rilevante l'utilizzazione agronomica dei reflui medesimi al di fuori dei casi o dei limiti consentiti, integrando il reato di cui all'art. 137, comma quattordicesimo, d.lgs. n. 152 del 2006 (Sez. 3, n. 26532 del 2008, cit.).
4.2. Il Tribunale afferma che gli effluenti dell'allevamento sono stati utilizzati a fini agronomici richiamando gli esiti degli accertamenti e delle attività di controllo indicati in sentenza. L'imputato, che non eccepisce il vizio di travisamento della prova, oppone lo scarico delle acque reflue come una mera eventualità, alternativa alla condotta ipotizzata, formulata persino in termini dubitativi, senza nemmeno allegare elementi di fatto precisi, in tesi sottoposti alla valutazione del giudice e non considerati affatto.
5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 30/05/2017.