Pres. Papa Est. Mancini Ric. Cannavò
Aria. Articolo 674 c.p. ed odori molesti
Devono considerarsi comprese tra le emissioni di gas vapori o fumo anche le esalazioni di odore moleste, nauseanti o puzzolenti ove presentino un carattere non del tutto momentaneo e siano intollerabili o almeno idonee a cagionare un fastidio fisico apprezzabile
Svolgimento del processo
Con sentenza del 18 gennaio 2005 il tribunale di Roma ha condannato Cannavò Rosario alla pena di euro 100,00 di ammenda oltre alle spese del processo ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile per il reato di cui all’art. 674 c.p. in quanto, essendo proprietario di impianto di depurazione di acque di scarico al sevizio di civile abitazione, provocava emissioni maleodoranti atte a molestare le persone.
A tale conclusione il giudicante è pervenuto sulla scorta delle deposizioni raccolte, segnatamente quelle dei soggetti estranei alla annosa vertenza che da tempo anche in sede civilistica contrapponeva imputato e parte lesa.
A seguito della rottura dell’impianto di depurazione delle acque fognarie l’imputato, comproprietario del relativo impianto e proprietario esclusivo del terreno dove era ubicata la fossa biologica, non aveva provveduto alle necessarie riparazioni ed anzi aveva creato un fossato che correva proprio lungo il confine fra le due proprietà - la sua e quella della parte civile - ed incanalava i liquami fuoriusciti.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore ricordando in primo luogo che all’atto dell’acquisto da parte della persona offesa di una porzione di immobile che egli stesso le aveva ceduto l’acquirente si era impegnato a rendere del tutto autonomi gli impianti della proprietà acquisita ma tale obbligo non aveva mai assolto in tal modo generando una annosa vertenza.
Peraltro nel corso del tempo i residenti nella confinante proprietà della parte lesa erano aumentati e ciò aveva determinato un sovraccarico dell’impianto fognario.
In altre parole la sopravvenuta inadeguatezza dell’impianto doveva ricollegarsi a fatto ascrivibile a quest’ultima, che peraltro era proprietaria per un terzo dell’impianto stesso. Senza dimenticare che la Corte di appello civile aveva ordinato proprio alla parte offesa di scollegare il manufatto realizzato, peraltro abusivamente, dall’impianto fognario comune.
Inoltre ad avviso del ricorrente è rimasto del tutto non provato che il ricorrente abbia effettuato lo scavo e la diversa opinione espressa dal giudicante appare il risultato di un vero e proprio travisamento della prova dovendosi anche considerare che i miasmi denunciati investivano non solo la presunta parte offesa ma anche lo stesso imputato, in particolare in presenza di determinate condizioni atmosferiche.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto deve essere dichiarato inammissibile.
Deve premettersi che non è contestato l’effettivo accadimento dell’evento descritto nel capo di imputazione e cioè la produzione di emissioni maleodoranti atte a molestare le persone.
Ed invero solo l’imputato ha parlato di una situazione sostanzialmente tollerabile da tale punto di vista mentre invece testi qualificati quale il funzionario della ASL che ha proceduto a due accessi in loco hanno riferito di miasmi “tremendi”, di una situazione invivibile, di una intollerabile canalizzazione dei liquami.
Correttamente il giudicante ha fondato su tali deposizioni la propria decisione al riguardo.
Inoltre neppure è contestabile la qualificazione giuridica dell’evento per effetto della quale quest’ultimo e la condotta da cui è scaturito sono stati sussunti sotto la previsione dell’art. 674 c.p. essendo ciò avvenuto in conformità al più recente orientamento di questa Corte Suprema in forza del quale (v. Cass. sez. III, n. 771 del 1995 Rv 201228) “devono considerarsi comprese tra le emissioni di gas vapori o fumo anche le esalazioni di odore moleste, nauseanti o puzzolenti ove presentino un carattere non del tutto momentaneo e siano intollerabili o almeno idonee a cagionare un fastidio fisico apprezzabile...”).
Anche sul punto la motivazione è esauriente e persuasiva posto che non esclude che la rottura dell’impianto fognario possa essere avvenuta per cause accidentali (ed eventualmente anche per l’aumentato numero delle persone residenti nell’immobile della parte civile) ma poi correttamente concentra la propria attenzione - per ricavarne un motivato giudizio di responsabilità dell’imputato - sul fatto che la fuoriuscita dei liquami è avvenuta nel terreno di sua esclusiva proprietà e per la canalizzazione degli stessi, fra diverse possibili soluzioni, egli ha finito con lo effettuare uno scavo proprio al confine con la proprietà del vicino.
Questi rilievi sono evidentemente assorbenti (non appare inutile ricordare che la contravvenzione di cui si tratta rientra fra quelle che concernono la incolumità delle persone e ciò avrebbe dovuto indurre l’imputato a procedere immediatamente alla riparazione del guasto, prodottosi nel terreno di sua esclusiva proprietà salvo in seguito rivalersi per le spese con il vicino, e comunque a non aggravare la situazione scegliendo per la canalizzazione dei liquami una zona non a confine) di ogni altra questione, in particolare di quella avente risvolti meramente civilistici relativa al fatto che la stessa parte civile era comproprietaria per un terzo dell’impianto fognario e non aveva provveduto (ma al riguardo ha offerto una sua giustificazione) a crearsene uno autonomo.
In definitiva le censure mosse contro la impugnata sentenza sono palesemente non condivisibili.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della prevista sanzione amministrativa, liquidata equitativamente come da dispositivo.