TAR Lombardia (BS), Sez. II, n. 303, del 26 marzo 2014
Ambiente in genere.L’attività estrattiva non deve comportare conseguenze negative per l’ambiente
Si osserva in generale che l’aspettativa delle imprese cavatrici alla prosecuzione dell’attività di scavo è da ritenersi meritevole di considerazione, perché in questo modo si mantiene integro il tessuto produttivo e viene salvaguardata l’occupazione, a vantaggio del benessere collettivo. L’argomento dell’utilità collettiva si fonda tuttavia su alcune ipotesi implicite, e può essere utilizzato solo se tali ipotesi siano soddisfatte. Una di queste è che l’escavazione abbia un autonomo significato economico, perché riferita a volumi di materiale effettivamente necessari sul mercato, un’altra è che non vi siano conseguenze negative specifiche per l’ambiente. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00303/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00483/2005 REG.RIC.
N. 00562/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 483 del 2005, proposto da:
FIN-BETON SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Giacomo Bonomi, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Vittorio Emanuele II 60;
contro
REGIONE LOMBARDIA, rappresentata e difesa dall'avv. Viviana Fidani, con domicilio eletto presso l’avv. Donatella Mento in Brescia, via Cipro 30;
nei confronti di
PROVINCIA DI BRESCIA, rappresentata e difesa dagli avv. Magda Poli, Katiuscia Bugatti e Gisella Donati, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, piazza Paolo VI;
COMUNE DI CHIARI, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Diaz 13/C;
e con l'intervento di
(ad adiuvandum)
STUDIO MIDOLO CRISTARELLA & ASSOCIATI, rappresentato e difeso dagli avv. Giuliano Rizzardi e Giacomo Bonomi, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, via Vittorio Emanuele II 60;
sul ricorso numero di registro generale 562 del 2005, proposto da:
FIN-BETON SRL, rappresentata e difesa dall'avv. Giacomo Bonomi, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Vittorio Emanuele II 60;
contro
COMUNE DI CHIARI, rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, via Diaz 13/C;
ANTONIO MARCHINA, in qualità di dirigente del Settore Territorio e Ambiente, non costituitosi in giudizio;
e con l'intervento di
(ad adiuvandum)
STUDIO MIDOLO CRISTARELLA & ASSOCIATI, rappresentato e difeso dagli avv. Giuliano Rizzardi e Giacomo Bonomi, con domicilio eletto presso il secondo in Brescia, via Vittorio Emanuele II 60;
per l'annullamento
(a) quanto al ricorso n. 483 del 2005:
- della DCR n. 7/1114 del 25 novembre 2004 (approvazione del piano cave per la Provincia di Brescia nei settori sabbie e ghiaie);
- della proposta di piano formulata dalla giunta regionale mediante la DGR n. 7/14577 del 13 ottobre 2003;
- del parere del Comitato tecnico consultivo regionale per le attività estrattive n. 1777 del 23 luglio 2003;
- della DCP n. 30 del 27 settembre 2002 (adozione del piano cave);
- del parere espresso dalla Commissione consiliare III della Provincia in data 30 luglio 2002;
- del parere espresso dalla Consulta provinciale per le attività estrattive, allegato alla DCP n. 30/2002;
(b) quanto al ricorso n. 562 del 2005:
- del provvedimento del dirigente del Settore Territorio e Ambiente prot. n. 018840/3535 dell’11 febbraio 2005, con il quale è stato negato il permesso di costruire in sanatoria relativamente alle opere funzionali all’attività estrattiva;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia, della Provincia di Brescia, e del Comune di Chiari;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2013 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Considerato quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La società ricorrente Fin-Beton srl (in precedenza Betongamma srl), con atto notificato il 30 marzo 2005 e depositato il 14 aprile 2005, ha impugnato, nei limiti del proprio interesse, gli atti con i quali è stato istruito, adottato e approvato il piano cave per la Provincia di Brescia per i settori sabbie e ghiaie (ricorso n. 483/2005).
2. Costituiscono oggetto di impugnazione, in particolare, la DCR n. 7/1114 del 25 novembre 2004 (approvazione del piano cave), la DGR n. 7/14577 del 13 ottobre 2003 (proposta di piano formulata dalla giunta regionale), il parere del Comitato tecnico consultivo regionale per le attività estrattive n. 1777 del 23 luglio 2003, la DCP n. 30 del 27 settembre 2002 (adozione del piano cave), il parere espresso dalla Commissione consiliare III della Provincia in data 30 luglio 2002, e il parere espresso dalla Consulta provinciale per le attività estrattive (allegato alla DCP n. 30/2002).
3. L’attività della ricorrente consiste nella coltivazione di una cava di inerti (CP-11) nel polo estrattivo situato in località Rizza nel Comune di Chiari. Oltre alla vera e propria escavazione la ricorrente effettua sul posto alcune lavorazioni per la produzione di conglomerato cementizio.
4. In vista della predisposizione e dell’approvazione del nuovo piano cave provinciale la ricorrente aveva chiesto un ampliamento del polo estrattivo esistente o il ricollocamento dell’attività in un nuovo ambito estrattivo nel limitrofo Comune di Urago d’Oglio. Nella fase provinciale della procedura, al momento dell’elaborazione della proposta del nuovo piano cave (v. DGP n. 471 del 15 ottobre 2001), è stato in effetti previsto, per consentire alla ricorrente la prosecuzione dell’attività estrattiva, l’inserimento di una cava di recupero (CR-1) come estensione di quella in via di esaurimento, con una produzione complessiva di materiale pari a 320.000 mc. La ricorrente aveva poi presentato in data 21 dicembre 2001 un’osservazione (protocollata al n. 60), chiedendo (i) una modifica della destinazione finale del terreno da agricola/naturalistica a produttiva, almeno per le aree occupate dagli impianti e dalle strutture di servizio, e (ii) una maggiore profondità di scavo. Il Comune di Chiari con un’osservazione presentata l’8 gennaio 2002 (protocollata al n. 105) si era invece dichiarato contrario alla cava di recupero e al cambio di destinazione, da un lato ricordando la gestione insoddisfacente del sito e le ripetute violazioni di norme e prescrizioni da parte della ricorrente, e dall’altro sottolineando la necessità di vincolare il piano di recupero dell’area al ripristino ambientale definitivo, previa stipula di apposita convenzione tra la ricorrente e l’amministrazione comunale.
5. Nella corso della successiva istruttoria, gli uffici provinciali hanno controdedotto all’osservazione della ricorrente, qualificando entrambe le richieste come non accoglibili. Le aspettative della ricorrente sono poi ulteriormente peggiorate, in quanto la Commissione consiliare III nella riunione del 30 luglio 2002 ha proposto lo stralcio integrale della cava CR-1 e la ripartizione del materiale estraibile tra i piccoli cavatori. Il consiglio provinciale ha condiviso questa impostazione, anche in considerazione del parere della Consulta provinciale per le attività estrattive, e conseguentemente nella DCP n. 30/2002 (adozione del piano cave) la cava di recupero chiesta dalla ricorrente non è stata inserita.
6. La stessa impostazione, dopo alterne vicende, è risultata confermata al termine del segmento regionale della procedura. In particolare, la ricorrente in data 21 marzo 2003 aveva chiesto alla Regione il reinserimento della cava CR-1, o in alternativa il ricollocamento dell’attività di estrazione nel Comune di Urago d’Oglio. La seconda richiesta è stata immediatamente respinta dall’UO Attività Estrattive, in quanto non motivata tecnicamente. La prima è stata invece accolta, almeno inizialmente, con l’inserimento della cava CR-1 (divenuta Rg-3) assieme ad altre sette cave di recupero negli elaborati tecnici dell’UO Attività Estrattive. Tale soluzione è stata poi avallata dal Comitato tecnico consultivo regionale per le attività estrattive nel parere n. 1772 del 28 maggio 2003. Il Comitato ha però cambiato orientamento nel parere n. 1777 del 23 luglio 2003, decidendo di stralciare la cava di recupero della ricorrente e altre due cave dello stesso tipo (Rg-2, Rg-8) sul presupposto che gli interventi di ripristino ambientale dei siti delle cave cessate possono comunque essere realizzati ai sensi dell’art. 39 della LR 8 agosto 1998 n. 14 anche mediante l’asportazione di materiale. La giunta regionale, nel formulare la proposta definitiva del piano cave (v. DGR n. 7/14577 del 13 ottobre 2003), ha inserito le cinque cave di recupero approvate dal Comitato (Rg-1, Rg-4, Rg-5, Rg-6, Rg-7), escludendo le altre (Rg-2, Rg-3, Rg-8). Il consiglio regionale, intervenendo in senso restrittivo al momento dell’approvazione definitiva del piano cave (v. DCR n. 7/1114 del 25 novembre 2004), ha cancellato tutte le cave di recupero, tranne una (Rg-7).
7. Di conseguenza, il piano cave è stato approvato senza la cava di recupero chiesta dalla ricorrente e senza le modificazioni esposte dalla stessa via alternativa o in subordine.
8. Le censure mosse dalla ricorrente al piano cave possono essere sintetizzate come segue: (i) difetto di motivazione e di istruttoria per quanto riguarda la richiesta di ricollocamento dell’attività estrattiva in un altro Comune; (ii) difetto di motivazione e contraddittorietà in relazione allo stralcio della cava di recupero; (iii) sviamento, che emergerebbe dalla posizione contraria mantenuta dal Comune di Chiari nel corso della procedura nonostante i contatti intervenuti tra le parti (v. conferenza di servizi del 26 giugno 2001).
9. La ricorrente ha cercato di stabilizzare la destinazione estrattiva e produttiva dell’area della vecchia cava anche mediante un diverso strumento, ossia chiedendo in data 4 settembre 2003 il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria riferito alle opere destinate all’attività estrattiva e alle lavorazioni connesse (uffici, pesa, impianto di betonaggio, impianto di selezione inerti, cabina di trasformazione, impianto di frantumazione, magazzini). Il Comune di Chiari ha però negato il titolo edilizio con provvedimento del dirigente del Settore Territorio e Ambiente dell’11 febbraio 2005, affermando che tali opere e impianti hanno un intrinseco carattere temporaneo e comunque non possono rimanere al loro posto una volta che il piano cave abbia cancellato il polo estrattivo.
10. Contro questo provvedimento la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato l’11 aprile 2005 e depositato il 2 maggio 2005 (ricorso n. 562/2005). Le censure sono così sintetizzabili: (i) violazione degli art. 35 e 39 della LR 14/1998, in quanto la permanenza delle strutture produttive è consentita anche dopo la cessazione della cava di produzione, essendo ammessa l’estrazione di materiale anche nella fase del riassetto e del ripristino ambientale; (ii) travisamento dei fatti e del quadro normativo, in quanto il mantenimento di un impianto di betonaggio in un contesto agricolo sarebbe compatibile sia con la temporanea prosecuzione dell’attività estrattiva sia con le esigenze di ripristino ambientale dei luoghi.
11. Più recentemente si sono verificati, anche per iniziativa della ricorrente, significativi mutamenti nella destinazione urbanistica dei terreni dove è situata la cava. La ricorrente ha infatti proposto al Comune (11 aprile 2007) un piano integrato di intervento (PII) da approvare in variante al PRG. Il sito estrattivo era in precedenza classificato in zona D8 (aree interessate da attività estrattive assoggettate a progetto di recupero ambientale). Il progetto del PII ha previsto la formazione di un lotto edificabile, destinato a ospitare la nuova caserma dei carabinieri e i relativi alloggi di servizio. Il Comune con deliberazione giuntale n. 73 del 22 maggio 2007 ha espresso parere preliminare favorevole, e con deliberazione consiliare n. 56 del 18 luglio 2008 ha disposto l’adozione del PII in variante al PRG. Le previsioni del PII adottato sono state poi recepite nel PGT (v. art. 33.14 del piano delle regole: PII-P-16/2008, ex cava Fin-Beton). Occorre peraltro sottolineare che la Provincia nel formulare il parere di compatibilità al PTCP ha espressamente fatto riserva di emettere un successivo parere per il PII in questione, escludendolo quindi dal giudizio di compatibilità, in attesa di una concertazione (la medesima posizione è stata ribadita nel verbale di concertazione del 26 ottobre 2009).
12. La Regione, la Provincia e il Comune si sono costituiti in giudizio nel ricorso n. 483/2005, eccependone l’improcedibilità e chiedendo nel merito la reiezione delle domande formulate dalla ricorrente. Il Comune si è costituito nel ricorso n. 562/2005, chiedendone la reiezione.
13. Con decreto di omologazione del Tribunale di Brescia del 5 ottobre 2012 la ricorrente è stata ammessa al concordato preventivo (per cessione dei beni) ai sensi dell’art. 180 del RD 16 marzo 1942 n. 267. Il liquidatore giudiziale è intervenuto ad adiuvandum in entrambi i ricorsi con atti notificati il 5 aprile 2013 e depositati l’8 aprile 2013, facendo proprie le argomentazioni e le domande della ricorrente.
14. La connessione tra il contenzioso sul piano cave e quello riguardante la destinazione dell’area oggetto dell’attività estrattiva impone la riunione dei ricorsi e la loro trattazione congiunta.
15. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni.
Sull’eccezione di improcedibilità
16. Il ricorso n. 483/2005 relativo al piano cave ha come obiettivo la prosecuzione dell’attività estrattiva in due forme tra loro alternative, ossia tramite la creazione di una cava di recupero nel sito della preesistente cava di produzione situata nel Comune di Chiari oppure mediante l’introduzione di un nuovo ambito estrattivo nel Comune di Urago d’Oglio.
17. Gli sviluppi nella destinazione urbanistica del polo estrattivo preesistente possono astrattamente far venire meno l’interesse a una pronuncia sulla prima domanda, in quanto la presentazione di un PII residenziale implica l’abbandono del progetto di coltivazione della cava relativamente alle residue potenzialità estrattive. Peraltro, la Provincia ha bloccato la parte del PGT che ha riprodotto le previsioni del PII, con il risultato di rendere precaria la posizione negoziata dalla ricorrente con il Comune. Questo implica che se cade la nuova soluzione urbanistica cade parimenti anche la rinuncia a coltivare la cava. Occorre precisare che le vicende collegate a un’eventuale bonifica del sito (v. l’osservazione n. 105 presentata dal Comune l’8 gennaio 2002, contenente critiche alla gestione della vecchia cava) non sono ostative alla ripresa della coltivazione, perché la bonifica e l’escavazione potrebbero essere coordinate in un unico progetto di recupero dell’area, e anzi proprio dal materiale scavato potrebbero derivare le risorse necessarie per realizzare la bonifica. L’interesse a una pronuncia di merito non può dirsi quindi definitivamente cancellato dagli sviluppi urbanistici finora intervenuti. Per le stesse ragioni deve essere deciso nel merito anche il ricorso n. 562/2005, il quale tenta di stabilizzare l’utilizzazione estrattiva e produttiva dell’area della vecchia cava proprio sul presupposto che non acquistino efficacia le recenti modifiche alla zonizzazione urbanistica.
18. Nessuna conseguenza può poi avere la nuova destinazione urbanistica dei terreni situati nel Comune di Chiari sull’aspettativa a proseguire l’attività in un nuovo ambito estrattivo nel Comune di Urago d’Oglio. Si tratta di questioni non direttamente correlate, in quanto la sistemazione del sito della vecchia cava sarebbe comunque stata necessaria anche nell’ipotesi di ricollocamento dell’attività della ricorrente in un diverso ambito estrattivo. Neppure per questa parte della controversia è dunque venuto meno l’interesse a una pronuncia di merito.
Circa il contenuto del piano cave: l’istanza di ricollocamento
19. Esaminando il punto relativo alla richiesta di ricollocamento in un altro Comune, si osserva in generale che l’aspettativa delle imprese cavatrici alla prosecuzione dell’attività di scavo è da ritenersi meritevole di considerazione, perché in questo modo si mantiene integro il tessuto produttivo e viene salvaguardata l’occupazione, a vantaggio del benessere collettivo. L’argomento dell’utilità collettiva si fonda tuttavia su alcune ipotesi implicite, e può essere utilizzato solo se tali ipotesi siano soddisfatte. Una di queste è che l’escavazione abbia un autonomo significato economico, perché riferita a volumi di materiale effettivamente necessari sul mercato, un’altra è che non vi siano conseguenze negative specifiche per l’ambiente (v. TAR Brescia Sez. II 23 settembre 2013 n. 792).
20. Questi profili devono essere documentati dall’impresa cavatrice, la quale non può riversare sugli uffici provinciali e regionali l’onere di dimostrare la sostenibilità tecnica dell’istanza di creazione di un ambito estrattivo sostitutivo della vecchia cava. È piuttosto l’impresa cavatrice che deve attivarsi per prima depositando documentazione tecnica idonea a provare sia la presenza di un giacimento sfruttabile, sia le esigenze del mercato, sia la sostenibilità ambientale del nuovo sito estrattivo. Parallelamente, una volta instaurato il giudizio contro il diniego opposto dall’amministrazione, spetta all’impresa cavatrice, in qualità di parte ricorrente, dimostrare che gli elementi tecnici forniti a suo tempo in allegato all’istanza di ricollocamento, se correttamente valutati dagli uffici competenti e dagli organi politici, avrebbero dovuto condurre alla creazione dell’ambito estrattivo richiesto. Nel presente giudizio questa prova non è fornita (vi sono soltanto dei cenni nel doc. 13 della ricorrente), e dunque la sinteticità della motivazione degli uffici regionali non può costituire sintomo di illegittimità della decisione negativa.
Circa il contenuto del piano cave: la cava di recupero
21. La creazione di una cava di recupero come prosecuzione della vecchia cava di produzione è stata oggetto di valutazioni opposte nel corso della procedura. Alla fine è risultata prevalente la posizione espressa dal Comitato tecnico consultivo regionale per le attività estrattive nel parere n. 1777 del 23 luglio 2003, applicata coerentemente dal consiglio regionale con la decisione di cancellare quasi tutte le cave di recupero rimaste nello schema del piano cave. I ripensamenti, specie all’interno di un procedimento lungo e caratterizzato da una pluralità di apporti istruttori, non devono essere visti con sfavore. In realtà, si tratta di elementi del tutto fisiologici, se ciascuno dei soggetti intervenienti utilizza la stessa metodologia, ossia se una proposizione fondata su valutazioni tecniche viene sostituita da un’altra che si fa carico di approfondire le valutazioni della precedente senza creare salti logici. In questi termini lo ius variandi si deve ritenere sempre ammesso.
22. Nello specifico, la decisione di stralciare la cava di recupero inizialmente concessa alla ricorrente (tanto nella fase provinciale quanto in quella regionale) non ha come esito inevitabile l’interruzione immediata dell’attività estrattiva.
23. L’art. 39 della LR 14/1998 consente infatti la prosecuzione dello scavo di materiale anche all’interno degli interventi di ripristino ambientale delle cave cessate. Questa soluzione indebolisce certamente la posizione dell’impresa cavatrice, perché la costringe a negoziare il contenuto e le modalità della residua attività estrattiva con l’amministrazione comunale, e a occuparsi immediatamente della graduale sistemazione del sito di cava. Qualora fosse prevista una cava di recupero, invece, l’impresa cavatrice potrebbe proseguire nella propria attività come se disponesse di una cava di produzione, in quanto con questa formula si individua sostanzialmente una proroga della cava esistente, anche con l’aggiunta di nuove aree di scavo, per sfruttare interamente il potenziale di un giacimento, compresa la parte meno pregiata del materiale, prima di procedere al definitivo ripristino ambientale.
24. Poiché nelle cave di recupero coesistono due finalità contrapposte (ulteriore sfruttamento del territorio, ripristino ambientale), è necessario che l’individuazione di nuove cave di recupero all’interno del piano cave (possibile ex art. 6 comma 2-d della LR 14/1998) sia effettuata con moderazione, per evitare il rischio della completa assimilazione alle cave di produzione. Il livello decisionale adeguato per coordinare tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti nel segmento finale dello sfruttamento di una cava è invece quello comunale, e prevede un accordo tra l’impresa cavatrice e l’amministrazione comunale, validato mediante autorizzazione regionale o provinciale per quanto riguarda le quantità di materiale asportabile, secondo il meccanismo descritto nell’art. 39 della LR 14/1998.
25. La scelta del piano cave di cancellare la cava di recupero, imponendo così alla ricorrente la ricerca di un accordo con il Comune per contemperare l’estrazione residua e il ripristino ambientale, costituisce un’applicazione corretta del quadro normativo. In concreto, non sembrano esservi neppure indici di sviamento, perché, se è vero che il Comune ha concentrato la propria attenzione (v. l’osservazione n. 105 dell’8 gennaio 2002) più sui problemi ambientali che sulle esigenze produttive della ricorrente, quest’ultima avrebbe comunque potuto presentare un progetto di recupero anche a fini produttivi e impegnare l’amministrazione in un negoziato da condurre secondo buona fede, con la possibilità di far valere in sede giudiziale eventuali profili di responsabilità precontrattuale. Del resto, la ricorrente ha in seguito proposto per l’area della vecchia cava un PII residenziale, che il Comune ha recepito nel PGT. Si tratta di una soluzione del tutto diversa da quella produttiva formulata inizialmente, ma rappresenta la dimostrazione del fatto che il raggiungimento di un accordo soddisfacente per tutte le parti era possibile.
Sulla destinazione urbanistica dell’ex area estrattiva
26. Prima di orientarsi verso la presentazione di un PII residenziale la ricorrente ha cercato di consolidare la destinazione produttiva del sito della vecchia cava chiedendo il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria per le strutture adibite allo scavo e alla lavorazione del materiale. Il diniego opposto dal Comune risulta però giustificato, in quanto da un’utilizzazione provvisoria delle aree a fini estrattivi e produttivi non possono derivare automaticamente effetti irreversibili per il territorio, e tantomeno l’incorporazione nel patrimonio dell’impresa cavatrice di un diritto alla conservazione dell’immobile nella configurazione derivante dallo svolgimento dell’attività estrattiva.
27. Il vincolo del ripristino ambientale, presente fin dall’inizio sulle aree di scavo, impedisce che si consolidino aspettative di questo genere in capo all’impresa cavatrice. Naturalmente, è possibile che al termine dell’attività estrattiva l’area non torni alla precedente condizione di naturalità e invece si evolva urbanisticamente attraverso nuove soluzioni (residenziali, di servizio, anche produttive), ma per ottenere questo risultato è sempre necessario passare per gli strumenti di pianificazione comunale, e dunque occorre un’intesa tra l’amministrazione comunale e l’impresa cavatrice.
28. Come si è visto sopra, un’intesa è stata effettivamente raggiunta, dapprima mediante il PII e poi con il PGT, ma riguarda un’utilizzazione residenziale, non produttiva, dell’area in questione. Se risultasse non realizzabile il disegno del PII, per consolidare la destinazione produttiva sarebbe comunque necessario approvare una variazione in questo senso degli strumenti urbanistici.
Conclusioni
29. I ricorsi, previa riunione, devono essere respinti. Tenuto conto della complessità della vicenda, e della circostanza che le amministrazioni coinvolte nella redazione del piano cave hanno elaborato nel corso della procedura soluzioni differenti, appare giustificata l’integrale compensazione delle spese di giudizio in entrambi i ricorsi.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando, previa riunione, respinge i ricorsi. Spese compensate in entrambi.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere, Estensore
Stefano Tenca, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)