Sul dire e sul fare ambientale: recenti novità normative (cenni)

di Alberto PIEROBON

 

 

Ed eccoci arrivati al cosiddetto “decreto del fare”, ossia alla Legge 9 agosto 2013, n. 98 di conversione, con modificazioni, del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilascio dell'economia” che qui rassegniamo per quanto riguarda la parte ambientale (con riserva di ulteriori e/o specifici approfondimenti per ogni singola tematica: acqua; terre e rocce da scavo; atmosfera; norme ordinamentali; norme su procedure e semplificazioni; etc.).

La prima impressione è che trattasi di interventi normativi perlopiù di sapore lobbistico sorti dall'esigenza di evitare intoppi e/o problemi giudiziali, visto e considerando che, come vedremo, la giurisprudenza sui vari argomenti si è manifestata in modo non uniforme, talvolta con interpretazioni per così dire “preoccupanti” dal punto di vista dei specifici interessi (non stiamo qui a dire se tali orientamenti siano – o meno – fondati o che: ognuno alla fine tragga autonomamente le proprie conclusioni sulla base degli elementi di giudizio che si cercheranno qui di fornire).

Ecco che, come primo, generalissimo aspetto, secondo una lettura logica si può rilevare che il “fare” non è tale per sé stesso, bensì è una conseguenza di un “dire” giuridico (della lex) che quasi si oppone ad un altro dire altrettanto giuridico (dello jus) sul medesimo fare.

In linea generale, infatti, occorre (anche in questa lettura) muovere dalla logica poichè “ Non si è ancora compreso che la logica formale rappresenta il quadro più generale entro cui gli altri linguaggi si sviluppano. Essa è una tecnica del ragionamento” (P. SAVONA, Che cos'è l'economia, Piacenza, 1999,pag. 25).

Ragion per cui evitando la dispersione (che qui certo non manca....) normativa, ove “il pensare si lascia catturare dalla molteplicità irrilevante di certi dettagli” (L.MORTARI, Aver cura di sé, Milano, 2009, pag. 128) cercheremo di andare, per quanto possibile, all'essenziale, alleggerendosi dalle “pesantezze”, affrontando le novità di cui trattasi come prima illustrazione delle stesse, ovvero come una lettura propedeutica ad una analisi di valore ed esperenziale della materia che saranno sviluppati in successivi interventi su questa Rivista.

Cercheremo,altresì, di approcciarci alla complessa tematica con un “pensiero nomade”,ossia “capace di attraversare paesaggi e culture differenti, di confrontarsi con l'aperto, portandosi appresso il necessario per dialogare con l'altro” (ibidem,pag. 153).

Donde, sorge in noi spontanea una domanda: ma il fare ambientale per come qui rappresentato (ossia nell'enfatico “decreto del fare”) non è forse, sempre, lo stesso “fare” (di prima), che si spaccia però per “il fare” (generale, grintoso, salvifico, complessivo, utile al Paese) solamente per un venir meno (almeno negli intenti) di burocrazia e/o per emanciparlo dalla ingabbiatura amministrativa e normativa e/o (ancor più evidente) per evitare di farsi ostacolare e/o paralizzare dalla giurisprudenza?

Che grandi temi sono questi! Quanta pulsazione essi provocano! E, implicitamente, quanti valori (e costruzione della loro gerarchia) si vogliono così instillare e sedimentare in noi!

Ma, allora (tornando p.c.d. “a bomba”) che cosa c'è di nuovo se il nostro legislatore invece di sparare delle cannonate (come si dovrebbe – ci si perdoni il bisticcio - “fare” in questa delicata contingenza storico-sociale, quasi bellica) sembra qui usare solo la cerbottana?

Non si dica che è solo questione di ridimensionare la italica tendenza al legalismo esasperato, il quale pervero –e obiettivamente – sembra essere ormai fuori controllo e soperchiante (in ogni settore, non solo quello ambientale).

Questo legalismo nella nostra cultura sembra infatti (allo stato) essere inevitabile, ineludibile, imprescindibile per come è stato voluto il meccanismo di fabbricazione normativo (come soggetti, come procedure, come tempi, come rimedi, etc. etc.). Ma grande importanza (almeno strategicamente e metodologicamente) riveste la scelta del “modello” di intervento e/o cambiamento che qui rimane entro la tendenza alla maggiore spinta codificatoria, verso un microcosmo ordinamentale e normativo, utilizzando criteri di emergenzialità, di specialità, etc., rifuggendo da altre possibilità e/o alternative (come vedremo nelle nostre prossime analisi).

Gli operatori – è evidente a noi tutti - continuano ad essere in una perenne e trepida attesa che il nostro mitico legislatore (che sia di destra o di sinistra, poco importa ormai) dispensi occasioni e/o manifesti aperture formali e -soprattutto - certe rispetto alle loro situazioni e/o interessi.

Ma la nostra cultura (anche giuridica) è complessa e raffinata e nel (vieppiù) tutelare beni e soggetti del nostro ordinamento, non può pensare di tornare ai “bei tempi andati” vagheggiati da nostalgici superficiali, che si rifanno ai testi legislativi (addirittura) del 1865 e dintorni (che vengono osannati per chiarezza e semplicità: ma trascurando che erano tali in quanto frutto di – ed esigenziali a - una epoca e di una situazione assai diversa dall'attuale!) ove erano liberamente attingibili – se non producibili - dai soggetti interessati le energie selvagge di un tempo, in una quasi incontrollata libertà economica e dei servizi, etc.

Ora, - è altresì evidente - lo Stato come forma e modello è in forte crisi, anche il diritto sembra agonizzante, e l'apparato burocratico viene sempre più inteso (anche simbolicamente) come un ostacolo, se non come un vero e proprio nemico (ricorrente sono le frasi in tal senso pronunciate da imprenditori, associazioni di categoria, professionisti e altri ancora che ne sottolineano la voracità, la assurdità, la ingiustificatezza dell'esistere di apparati, soggetti, enti e procedure e così via). Anche la magistratura sta pagando questo scotto, per un verso o per l'altro (nonostante tentativi di portare nel nostro ordinamento anche visioni del common law, dove i giudici hanno altro ruolo, peso e posizione in quell'ordinamento).

Di tanto dobbiamo prendere obiettivamente ed umilmente atto, in attesa dell'avvento di (e prima ancora di teorizzazioni su) cambiamenti non superficiali, fors'anche (auspicabilmente, se non necessariamente) di portata “storica” e di sostanza, ovvero cambiamenti di paradigma e di modello.

Ma, sempre per limitarci ad una lettura che comunque un intento pratico deve avere, ci sono altri aspetti che vanno qui considerati e che limitano i nostri approcci, conoscenze e pure le soluzioni al fare.

Ad esempio la dilagante specializzazione. Anche qui basti osservare come “La nostra cultura si è avventurata in un processo di specializzazione dal quale non emergerà mai più (cosicchè, paradossalmente: N.d.R.) ipotesi e osservazioni notevolissime possono venire dal ''dilettante'', dal generalista o dall'amatore” (G. STEINER, La lezione dei maestri, Milano, 2004, pag. 70).

Ecco che in questo contesto (in questa “abbuffata” normativa e nella confusione metodologica) una lettura speciosa e pedante della norma diventa – a nostro modesto avviso - fuorviante,tra altro rischiando (volendo parodiare E. OPOCHER) di rimanere imbrigliati “tra i tumulti e le risse di questo mondo”(che vanno affrontate e capite per capire donde nasce la tale disposizione di legge o talune interpretazioni o le varie posizioni giurisprudenziali e così via).

Siamo – questa la nostra impressione - in una piena orgia confondente tra chi (e cosa) viene definito e il definiente, dove il nominalismo (del dire giuridico) diventa quantomeno sospetto nel volere un certo fare che però, appunto, sembra essere il fare di prima (si badi: non – evidentemente - tutto il fare, bensì un fare selezionato,un fare utilitaristico per certuni, etc.).

Qui l'unico sforzo erculeo del legislatore sembra essere stato quello di mettere d'accordo le (invero solo alcune) istanze lobbistiche (non stiamo criticando la lobbistica “sana”: che è utile e che fa meglio capire, da parte di chi sa fare, come vanno le cose e/o come si dovrebbero fare...).

Ma questo “fare” è (a nostro modesto avviso) veramente una coda normativa che testardemente resiste alle questioni di fondo del nostro sistema (anche ambientale), ancora irrisolte.

Inoltre, come sprezzantemente osservava GOETHE “chi può fa. Chi non può insegna” e (qualche buontempone ha aggiunto) “chi non sa insegnare, insegna a insegnare” (ibidem, pag. 70).

E torniamo – ci si perdoni se ci attardiamo in questa introduzione - al punto ancora trascurato, eluso, negletto dagli operatori, professionisti e legislatori tutti: il bisogno – nonostante i particolarismi, nonostante la tecnicità, nonostante la specializzazione - di una seria fondazione teorica (in proposito ci permettiamo rinviare ai contributi contenuti nel “Nuovo Manuale di diritto e gestione Ambientale”, Rimini, 2012).

Infatti (e peraltro), “La complessità dei problemi sollevati dalla crisi ecologica impone di andare oltre l'approccio tecnicistico, fondato sulla convinzione che esista una soluzione tecnica, per praticare una problematizzazione quanto più radicale possibile (…) proprio la tendenza a nutrirsi di continue e inedite contaminazioni concettuali e metodologiche (è invece: N.d.R.) la matrice generativa inevitabile di una forma di elaborazione culturale che, qual è quella ecologica, mira a disegnare un nuovo paradigma del pensare, del sentire e dell'agire” ( così, condivisibilmente, L. MORTARI, Ecologicamente pensando, Milano, 1998, pag. 14).

Abbiamo accennato che solo alcuni temi (alcuni “fare”) sono stati toccati dalla novella normativa (da questo “dire”), in buona sintesi essi riguardano:

- ACQUE;

- TERRE E ROCCE DA SCAVO;

- ATMOSFERA;

- COMMISSARIAMENTI IN MATERIA DI RIFIUTI E BONIFICHE;

- GEOTERMIA.

Per quanto riguarda le ACQUE l'intervento legislativo viene giustificato (pare ipocritamente) dal rispetto dei principi di risparmio idrico, cioè dagli obiettivi generali di tutela , di risparmio e di conservazione delle risorse idriche.

In realtà (come accennavamo) la questione nasce da una diversa giurisprudenza amministrativa ove si assiste ad una bipartizione: parte di essa si esprime per ritenere le acque emunte ricadenti nell'ambito della disciplina bonifiche (vedasi oltre) e quindi quali rifiuti liquidi (vedi, ad esempio, la famiglia CER 19.13 di cui all'allegato “D” alla parte IV del D. Lgs. 152/2006 sss.mm. ii), una altra parte, invece, sostanzialmente considera queste acque come acque di processo e quindi non li attrae entro la disciplina dei rifiuti.

Il legislatore qui interviene per evitare (come si legge dalla documentazione parlamentare relativa al decreto legge e sua conversione in legge) appesantimenti delle procedure amministrative e le laboriose procedure di bonifica.

In pratica si interviene sull'art. 243 (acque di falda) del D.Lgs. 152/2006 stabilendo che per le acque emunte i limiti che venivano applicati alla fase dello scarico, sono quelli delle acque reflue industriali (assimilate quindi). Nel nuovo comma 4 del citato articolo si dispone che ciò si considera per le acque convogliate in un sistema stabile di collettamento, senza soluzione di continuità, dal punto di prelievo a quello di immissione - previo trattamento - in depurazione. L'intervento sulle acque di falda nei siti contaminati non può avvenire solo in caso di rischio sanitario, ma per tutte le situazioni, talchè si specificano gli interventi ammissibili (non senza lasciare dubbi). Si ammettono (novità sintomatica) “reiterati cicli” anche per il trattamento intermedio, non solo per le fasi di emungimento e di reimissione dell'acqua, con la sola eccezione del divieto di reimissione delle acque emunte nell'acquifero se contengono altre acque di scarico o altre sostanze (si veda anche quanto stabilito in ordine alla riduzione dei carichi inquinanti, alla determinazione in massa dei valori limiti di immissione degli scarichi negli impianti di trattamento delle acque di falda contaminate, etc.);

Sull'ATMOSFERA: sostanzialmente non si prevede la necessità di autorizzazione per gli impianti ad inquinamento scarsamente significativo (qui la categoria degli agricoltori sembra essere decisamente la più beneficiata).

Quindi si interviene sul titolo I, parte V^ del D.Lgs. 152/2006, in particolare sull'art. 269 e , coerentemente sulla parte I, dell'allegato IV sempre della parte V^ cit. D.Lgs. (art. 272, comma 1) aggiungendo, appunto, agli impianti scarsamente significativi e non autorizzabili: i silos per materiali vegetali; gli impianti di essiccamento del materiale vegetale agricolo o di servizio con diversa potenza termica ivi precisata; le cantine che trasformano uve fino a 600 tonnellate giorno, e aceto e bevande fermentate con produzione annua di 250 ettolitri per i distillati e di 1000 tonnellate annue per gli altri; i frantoi; gli allevamenti in ambienti aperti sotto un certo numero di capi. Parimenti viene a modificarsi la parte II^ dell'all. IV°, parte V^, del D.Lgs. 152/2006 ove si prevedono apposite autorizzazioni in forma semplificata e le modalità di adesione a tali atti autorizzativi ex art. 272, comma 2.

Per quanto riguarda le norme (“di carattere prevalentemente ordinamentali” così si evince dalle relazioni parlamentari) relative ai COMMISSARI AD ACTA si tratta di questioni risalenti (si tratta di un “fare” che è un continuare a fare, evitando gli strali comunitari) riguardanti il Lazio (la città di Roma in primis) e la Regione Campania (la città di Napoli in primis).

E' superfluo stare qui a ricordare (in quanto drammaticamente note) le vicende sulla crisi nella gestione dei rifiuti in quelle Regioni, in particolare per lo smaltimento (si veda la altrettanto nota – e discussa - situazione della conferibilità dei rifiuti in discarica previo trattamento di cui alle recenti sentenze del Consiglio di Stato, alla posizione manifestata dal MATTM, etc.).

Il movente di questo fare (a parte una migliore precisazione di taluni poteri commissariali che si spingono fino alla messa in esercizio di impianti anche di recupero; alla predisposizione di sistemi premiali e di compensazione per gli enti locali; al modello alternativo di cui all'art. 200, comma 7 del D.Lgs. 152/2006 che dovrebbe essere deciso tramite il piano di gestione dalle Regioni non dai commissari! Etc.) è di evitare (o ridurre i rischi, o i costi de) le procedure di infrazione comunitarie: per Roma si veda la procedura n. 2011/4021 con deferimento alla Corte di Giustizia europea del 21 marzo 2013; per la Regione Campania si vedano: la procedura di infrazione comunitaria 2007/2195 e la sentenza Corte di Giustizia causa C-297/08 del 4 marzo 2010, nonchè la sentenza del Tribunale cause riunite T-99/08 e T-308/09 del 19 aprile 2013, le quali ultime hanno impedito il riconoscimento/liquidazione alla Regione Campania dei fondi europei di cui ai POR e ha dichiarato inadempiente l'Italia.

Ecco che il legislatore impedisce, nelle more del completamento degli impianti previsti (che dovevano essere avviati ancora tempo fa: nessuno qui risponde per l'inerzia, ritardi o che?) l'importazione in regione (per massimo 2 anni) di rifiuti speciali e di rifiuti urbani pericolosi per i quali, come sappiamo, vige la non obbligatoria autosufficienza bacinale, poiché viene riconosciuta (anche in una interpretazione costituzionale di cui a diverse sentenze della Corte Costituzionale) la loro libera circolazione nel territorio nazionale (con intersezione dei principi di prossimità e di specializzazione impiantistica); la possibilità di addivenire ad accordi di programma ex art. 34 del D.Lgs. 267/2000 ss.mm.ii. e dell'art. 15 della Legge 241/1990, etc. Questo è il fare.... che, come detto, viene rifatto e si rifà.

Per gli IMPIANTI GEOTERMICI PILOTA: si dispone che essi rientrano nella competenza statale (cfr. art.1 del D.lgs. 11 febbraio 2010, n.22 recante “Riassetto e normativa in materia di ricerca e coltivazione delle risorse geotermiche, a norma dell'art. 27, comma 28, della Legge 23 luglio 2009, n.99”) aggiornando, coerentemente, gli allegati della parte II^ del D.Lgs. n. 152/2006 ove essi vengono assoggettati alla VIA statale (vedi all. II°, non quindi allegati III° e IV° riferiti a regioni e provincie autonome di Trento e di Bolzano), escludendoli dal controllo sui pericoli incidenti rilevanti connessi alle sostanze pericolose (vedi l'art. 4 del D.Lgs. n. 334/1999, cosiddetta “normativa Seveso”, attuativa della direttiva 96/82/CE).

Viene poi stabilita la non necessità del permesso di costruire (cfr. art. 3 del D.P.R. n.380/2001 ovvero del Testo Unico Edilizio) per gli INTERVENTI DI NUOVA COSTRUZIONE che consistono in installazioni posizionate con temporaneo ancoraggio al suolo all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale (varia, diversa), per la sosta e il soggiorno dei turisti. Ciò deriva da questioni interpretative che avevano cagionato sequestri e blocco di attività. Ancora, si tratta di un fare che è non concreto, ma una rivisitazione giuridica onde evitare gli strali della giurisprudenza “avversa” (in realtà il “dire” sul “dire” legislativo: e qui dovremmo entrare nel modello di fabbricazione del diritto – non solo della legge - e delle sue varianti).

Un intervento davvero sintomatico del decreto fare (come “fare” generale per l'economia complessiva del Paese) riguarda il PASTAZZO (art.41-ter: disciplina del pastazzo) quale sottoprodotto della lavorazione degli agrumi ad uso agricolo e zootecnico dove si prevede che il MATTM emani ex art. 184-bis, comma 2 del D.Lgs. 152/2006 un apposito decreto (passepartout) ovvero dando certezza (a certe condizioni) che questo pastazzo sia considerato un sottoprodotto e quindi un non rifiuto. Anche qui l'intervento nasce dalla sentenza Cassazione 4 luglio 2013, n.28764 e,probabilmente, grazie allo zelo (con un indubbio seguito parlamentare) degli operatori del settore (arance).

Grande tema (mai sopito) rimane sempre quello delle TERRE E ROCCE DA SCAVO. Sulla problematicità dei materiali di riporto, ovvero sulla possibile presenza di rifiuti nel terreno, il contenzioso è proliferante stante l'esclusione dei riporti ex art. 185 del D.Lgs. 152/2006 ss.mmii.. In proposito si veda (come anche citato nella documentazione parlamentare) la sentenza della Cassazione penale 19 aprile 2013,n. 18265 per la quale non si considera “suolo” il materiale terroso misto a rifiuti. Era già stato evidenziato (ex multis L. MUSUMECI, Bonifiche siti inquinati: luci e ombre dei nuovi interventi normativi, Rifiuti, Milano, nov-dic. 2012, pagg. 24-25) che le analisi di rischio fossero delle procedure applicabili al suolo e non al materiale di riporto per obiettivi limiti nella individuazione chimico-fisica (per esempio: stante la granulometria grossolana del materiale in parola, l'accertamento analitico che è riferito al materiale con diametro di 2 cm. Comporta un effetto di diluizione nell'accertamento della contaminazione!).

La dottrina giuridica si è soffermata, finora, a ricostruzioni p.c.d. Storiche ( o diacroniche), prendendo l'abbrivio dall'originario art. 186 del D.Lgs. n.152/2006, passando per le “correzioni” del D.Lgs. 4/2008 (vedi anche l'art. 184) e poi al D.Lgs. n. 205/2010 col nuovo art. 184-bis, ancora, sulla claudicanza dell'art. 186 (giusto quanto dispone l'art. 39/4 cit. D.Lgs. 205/2010), con l'avvento integrativo (e confondente) dell'art. 49 del decreto legge n.1/2012, convertito in Legge n.27/2012 (che modifica art. 39 cit. D.Lgs. 205 e che stabilisce all'art. 186 che il MATTM emani un regolamento sui sottoprodotti delle terre e rocce da scavo), l'art. 3 del decreto legge n.2/2012 recante “misure straordinarie e urgenti in materia ambientale”, convertito, con modificazioni, in Legge 24 marzo 2012,n. 28 (che nel decreto fare il comma 3 dell'art. 41-bis novella per le matrici di riporto: vedasi oltre), all'art. 17-bis del decreto legge n.74/2012, che, con riferimento agli eventi sismici Emilia, Lombardia e Veneto del maggio 2012 prevede la non applicabilità del D.M. n.161/2012, e, appunto, al D.M. n.161/2012 che amplia il campo di intervento. Ma, ancora, si vedano: il decreto legge 26 aprile 2013, n.43 convertito in Legge 24 giugno 2013, n.71 sulle emergenze varie (il cui art. 8-bis introduce deroghe alle terre e rocce da scavo per i cantieri di piccole dimensioni dell'art. 186), ora abrogato dal comma 6 dell'art. 41-bis del “decreto fare”, poiché uguale alle previsioni di cui all' art.41 , comma 2, del medesimo decreto).

Insomma un vero e proprio guazzabuglio dove si cercava di tirare fuori una disciplina più o meno sensata soprattutto con riguardo ai piccoli cantieri (inferiori a 6000 metri cubi) e ai sottoprodotti da terre e rocce da scavo, per evitare di incappare in problematiche giudiziali penali, oltre a invocarsi il “criterio di proporzionalità degli interventi alle dimensioni delle opere interessate”.

L'art. 41 bis del decreto fare dispone, quindi, “ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo” (possibile che non si possa, a questo punto, riscrivere tutta la normativa de qua, in chiave testunificante?!).

Si richiama l'art. 266, comma 7, del D.Lgs. n.152/2006 che riguarda le disposizioni finali riferite ai piccoli cantieri per i quali non si applica il D.M. n.161/2012 (già il MATTM con nota del 14 novembre 2012 aveva però chiarito il punto) ma (alle condizioni “a”-”c”: si veda soprattutto la “b”) l'art. 184-bis ovvero la qualifica di sottoprodotti . Le prefate condizioni (quantità da utilizzarsi; tempi previsti; sito di deposito) vanno attestate dal proponente-produttore con dichiarazione responsabile (ex DPR n.445/2000) e poi (ex post) come conferma dell'utilizzabilità del materiale.

Si precisa, inoltre, che il D.M. n.161/2012 integra il D.Lgs. 152/2006 nella definizione dei materiali da scavo.

Inoltre, il DM 161/2012 non si applica alle ipotesi di cui all'art. 109 (commi 1-5) del medesimo D.Lgs. n.152/2006. Queste precisazioni sono interessanti dal punto di vista della tecnica (e fragilità) del legislatore che sembra temere (ancora una volta) diverse interpretazioni (ovvero le scuri) giurisprudenziali.

Sulle matrici di riporto la novella del comma 3, dell'art. 41-bis del decreto fare introduce (vedi supra quanto osservato in proposito) metodiche sui materiali granulari richiamando l'art. 9 . D.M. 5 febbraio 1998. I materiali di origine antropica e i test di cessione per accertare contaminazioni devono quindi utilizzare queste metodiche.

Il D.M. n. 161/2012 non si applica, ma ai fini dell'applicazione dell'art. 185, comma 1 del D.Lgs. n.152/2006 che esclude questi materiali dalla parte IV^ del D. Lgs. 152/2006, alle condizioni di cui alle lettere “b” (terreno in situ) e “c” (solo non consumato).

Il suolo (cfr art. 3, comma 1 del decreto legge n.2/2012) ricomprende anche le matrici di materiale di riporto, guardando se essi siano conformi (o meno) ai limiti dei test di cessione di cui all'art.9 cit. D.M. 1998.

Ove essi siano conformi (entro i limiti) basta rispettare la normativa sulle bonifiche e siti contaminati.

Ove essi non siano conformi abbiamo le seguenti alternative: 1) rimozione dei rifiuti; 2) si deve riportare a conformità test con trattamento per l'eliminazione dei contaminanti; 3) la messa in sicurezza permanente con le migliori tecniche disponibili e con costi sostenibili per usare l'area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute.

Si precisa che i costi sono integralmente a carico dei soggetti richiedenti per quanto attiene alle verifiche da effettuarsi (art.3, nuovo comma 3 bis del decreto legge n. 2/2012). Per le opere e le attività non soggette ad AIA e VIA si applica la nuova normativa (vedi comma 2-bis dell'art. 184 bis). Si afferma la salvezza degli accordi di bonifica e di risanamento già stipulati.

Abbiamo poi (per completezza di quanto è emerso in questo ultimo periodo nell'ambito della materi ambientale) altre norme esterne al “decreto fare”, con riserva di intervenire sulle stesse in modo analitico e partitamente (fermo restando la necessaria visione di insieme e il “pensiero nomade” di cui si è supra accennato).

SISTRI: l'art. 11 del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 (in vigore dal 1° settembre 2013) ha stabilito (nonostante quanto è stato più volte segnalato circa la fragilità del sistema e pure sulle criticabili modalità del suo “affidamento”, sulle rilevantissime e ingiustificate spendite erariali, etc. etc.) la partenza del SISTRI.

Ciò avverrà solamente (come avevamo anche noi auspicato, quale male minore, in un nostro intervento di mesi fa in questa rivista) per i rifiuti pericolosi.

Più esattamente l'adesione al SISTRI diventa obbligatoria dall'1 ottobre 2013 per i "gestori" , non per i "produttori" di rifiuti pericolosi, che inizieranno ad utilizzarlo dalla data del 03 marzo 2014.

Questa diversa “scansione” diventa problematica operativamente: come dovrà infatti procedere un gestore allorquando si recherà da un cliente a ritirare un rifiuto pericoloso? Il gestore, infatti, compilerà la scheda-SISTRI ma il cliente che farà?
Inoltre, nonostante tutte le difficoltà che sono sorte in fase di sperimentazione, sembra che non sia stato cambiato nulla nel sistema, limitandosi ad abbassare la p.c.d. “soglia” dei fruitori del SISTRI.

Anche volendo ipotizzare che i problemi tecnici del SISTRI riguardavano il suo solo sottodimensionamento con riferimento alla platea dei soggetti obbligati, cosa succederà dal 3 marzo 2014 quando gli utilizzatori del SISTRI diventeranno moltissimi? Non osiamo pensare che, ancora, si dovrà bloccare il SISTRI in un qualche modo o in una sua parcellizzazione, sospensione, modifica, etc. etc.....


LEGGE COMUNITARIA 2013 (CENNI): la Legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n.97), interviene (al fine di evitare l'insorgere o l'applicazione di infrazioni comunitarie) su diverse tematiche ambientali sulle quali la normativa domestica non avrebbe correttamente recepito le relative direttive comunitarie.

Ne diamo qui un primo accenno riservandoci, prossimamente, un apposito intervento analitico:

- sulla valutazione e gestione dei rischi da alluvioni : restringendo il campo applicativo delle alluvioni ai soli allagamenti derivanti da impianti fognari (per cui ne sono esclusi gli allagamenti cagionati dai soli eventi meteorologici); assoggettando, in presenza di talune caratteristiche, i piani di gestione del rischio di alluvioni alla VAS (valutazione ambientale strategica), etc.;

- sulla gestione dei rifiuti delle attività estrattive, si rafforza il diritto di partecipazione e di informazione del pubblico al processo decisionale relativo ai depositi dei rifiuti di estrazione e alla gestione dei piani d’emergenza in ciò coinvolgendo l'autorità competente che può anche azionarsi direttamente a tal fine;

- il MATTM (Ministero dell’Ambiente, del Territorio e della Tutela del Mare) assume la ricerca di metodi di riciclaggio ecocompatibili, con un buon rapporto costi/efficacia per tutti i tipi di pile ed accumulatori. Il riciclaggio può avvenire anche con spedizioni transfrontaliere. Lo smaltimento dei residui di pile e accumulatori industriali e per veicoli potrà avvenire solo se previamente trattati. E' vietata l'immissione nel mercato di pile ed accumulatori contenenti sostanze pericolose;

- sui RAEE è stato modificato l’allegato 1B, elencante (ancorchè in via esemplificativa e non esaustiva) i prodotti assoggettati al regime dei RAEE, intervenendo poi sulla raccolta dei RAEE e sulla loro gestione. Più esattamente, i distributori possono effettuare la raccolta dei propri RAEE (nel loro punto di vendita) purchè sia funzionale al loro trasporto,dovendosi però rispettare tre condizioni: 1) provenienza: dai nuclei domestici; 2) periodicità/quantitativi: 1 mese o 3500 Kg; 3) modalità: il luogo di deposito deve essere idoneo, protetto dagli agenti atmosferici (acqua, vento, etc.). In tal senso vanno riviste anche le modalità di gestione dei Centri di Raccolta;

- sulla VIA si prevede (entro sei mesi) l'emanazione di un prossimo decreto relativo alle procedure da adottarsi, con l’emanazione di linee guida finalizzate all’individuazione dei criteri e delle soglie per l’assoggettamento alla VIA. Le Regioni potranno poi (nei successivi tre mesi) intervenire nel definire criteri e soglie della VIA, in assenza delle quali le tipologie progettuali individuate nell’allegato IV saranno comunque sottoposte alla verifica di assoggettabilità;

- acque: si prevede un inventario dei rilasci da fonte diffusa, degli scarichi e delle perdite, con riferimento alle sole sostanze prioritarie; individuando le zone vulnerabili da nitrati (con l'obbligatorietà delle loro revisioni/completamento); v'è l’obbligo per le regioni di riesaminare e/o rivedere, se del caso, i programmi d’azione obbligatori almeno ogni quattro anni; si specificano i criteri per il monitoraggio e la classificazione dei corpi idrici superficiali e sotterranei; il rilevamento delle caratteristiche dei bacini idrografici; l’analisi dell’impatto esercitato dall’attività antropica, etc.;

- sul risarcimento del danno ambientale, si modifica (tra altro) il testo unico ambientale in particolare col nuovo articolo 298-bis, che introduce la responsabilità oggettiva risarcitoria, rispetto alla precedente ipotesi della responsabilità per dolo o colpa grave.

Torneremo sull'argomento (e su tutte queste “novità”) in modo analitico, dedicando prossimi contributi in questa rivista.

 

---------

pubblicato in gazzetta enti locali on line si ringraziano Autore ed Editore