L'ambiente si tutela con le indagini, non imponendo alle Procure obblighi cartacei di informativa

di Gianfranco AMENDOLA

Primo mistero: nel 2010 l'art. 11 della legge n. 136 del 13 agosto 2010 trasferisce alla Procura distrettuale, e quindi al Tribunale distrettuale, la competenza per il delitto di traffico illecito di rifiuti (art. 260 D. Lgs 152/06). Eppure dal 2001 (anno di introduzione del delitto) al 2010 non mi sembra che vi fossero stati problemi da parte delle Procure ordinarie. Tanto è vero che, per quanto mi risulta, le Procure distrettuali di solito delegano le Procure territoriali.

Nel 2013, arriva il secondo delitto contro l'ambiente (combustione illecita di rifiuti) e, con esso, il secondo mistero . L'art. 4 del D. L. 136/2013 convertito con legge n. 6/2014 (cd. terra dei fuochi) modifica l'art. 129 delle norme di attuazione del c.p.p. con un comma 3-ter il quale stabilisce che il P.M., quando esercita l'azione penale per i reati previsti nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero per i reati previsti dal codice penale o da leggi speciali comportanti un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente deve informare il Ministero dell'ambiente e la Regione competente per territorio. A parte che non si capisce la differenza tra pericolo e pregiudizio nè si specifica l'ambito di "ambiente" (anche urbanistica?) sembra addirittura che basta il pericolo astratto perchè, attenzione, se da questi reati deriva un pericolo concreto alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare, il povero P.M., oltre a Ministero ambiente e Regione, deve informare "anche" il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. E non basta una informativa semplice: il P.M. deve indicare le norme di legge che si assumono violate. E c'è un bel lavoro anche per la cancelleria del Tribunale (che spesso, per carenza di personale, non è neppure in grado di provvedere agli adempimenti essenziali), la quale deve trasmettere a tutte le amministrazioni sopra citate "le sentenze ed i provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio".

Il ridicolo è che, come tutti sappiamo, il 90% dei "reati ambientali" che arrivano in Procura è costituito da contravvenzioni di tipo formale o, comunque, per fatti di scarsa rilevanza, la cui comunicazione a chicchessia è totalmente inutile. E, se c'è realmente un pericolo, non risulta certo da queste denunzie che si limitano, appunto, al dato formale. Per fortuna, oggi, proprio per la loro scarsa rilevanza, buona parte di questi reati, vengono "eliminati" prima dell'esercizio della azione penale, o con l'oblazione, o con la "eliminazione" della legge n. 68 o perchè sono di particolare tenuità. Ma le ultime due esimenti sono arrivate dopo il 2013 e, quindi, resta il mistero sulla ratio di questa disposizione del 2013, che, comunque, comporta una moltiplicazione delle carte che girano tra uffici con una assurda perdita di tempo. Certo, è opportuno che, se c'è pericolo rilevante per la salute pubblica o per l'ambiente, le autorità competenti ne siano informate. Ma, di solito, queste autorità sono informate prima della Procura (anche perchè ci pensa la stampa, specie se interviene un provvedimento cautelare) e, comunque, quando c'è pericolo reale per la salute pubblica e per l'ambiente, le Procure e la p.g. hanno sempre informato immediatamente le Autorità politiche ed amministrative competenti, ottenendo addirittura, a volte, il risultato che qualcuna di queste Autorità si è sentita coartata ad intervenire ed ha gridato all'invasione di campo, pretendendo (ed ottenendo) un procedimento disciplinare a carico dell'incauto magistrato. E peraltro, non si capisce, comunque, perchè i reati ambientali con pericolo concreto per la salute devono essere comunicati al Ministero della salute e i reati contro la salute pubblica no.

Andiamo avanti ed arriviamo al terzo mistero del 2015, con la legge n. 68 che finalmente inserisce nel codice penale il capo dei delitti contro l'ambiente. Il nuovo art. 318-quinquies stabilisce addirittura che il povero P.M., se prende notizia di una contravvenzione ambientale di propria iniziativa ovvero la riceve da privati o da pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio diversi dall'organo di vigilanza e dalla polizia giudiziaria, ne dà comunicazione all'organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria per fare "eliminare" la contravvenzione. Insomma, fa da passacarte. Ma non basta. Il comma 7 dell'art. 1 della legge 68 inserisce i nuovi delitti nell'ambito dell'art. 118-bis delle norme di attuazione del c.p.p. , e stabilisce che il Procuratore della Repubblica, quando procede a indagini per i delitti di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico di materiale ad alta radioattività ovvero per associazione a delinquere o associazione di tipo mafioso finalizzate a commettere taluno dei nuovi delitti, ne dà notizia al procuratore generale presso la corte di appello nonché all’Agenzia delle entrate ai fini dei necessari accertamenti. E che, per gli stessi delitti, con l'aggiunta del delitto di traffico illecito di rifiuti (di competenza della Procura Distrettuale), il Procuratore della Repubblica deve anche dare notizia al Procuratore nazionale antimafia.

Qui mi fermo. Rilevo solo che quest'attivismo del legislatore in campo ambientale sarebbe stato meglio indirizzato se avesse razionalizzato la assurda normativa esistente, depenalizzando tutte le contravvenzioni formali o scarsamente rilevanti; creando, invece, fattispecie di delitti chiare, determinate e non equivoche (per intendersi, ad esempio, senza "compromissioni o deterioramenti significativi e misurabili", senza "alterazioni irreversibili" o "la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa", senza disastri ambientali "abusivi", e senza scrivere, nel secondo comma dell'art. 452-quinquies, che le pene sono diminuite per chi, cagionando per colpa un inquinamento o un disastro ambientale, abbia provocato il pericolo di un inquinamento o un disastro ambientale).

Resta il mistero sulla ratio di queste modifiche, e solo per i reati ambientali. Forse il legislatore non ritiene affidabili le Procure territoriali e preferisce marciare verso una gerarchizzazione per i delitti ambientali. Ma, se anche avesse questa (errata) convinzione, allora avrebbe fatto meglio a prevedere, ad esempio, una Procura nazionale per l'ambiente; perchè, così. moltiplica solo le carte, non i risultati.

Ma soprattutto spero, per carità di patria, che chi fa queste leggi non conosca lo stato comatoso delle Procure e degli uffici giudiziari per la allucinante e vergognosa carenza di personale in cui sono tenute. Perchè questa è troppo spesso l'alternativa: o la Procura fa indagini serie sui delitti ambientali (e sappiamo quante ce ne vogliono vista la pessima fattura dei nuovi delitti) oppure impegna le sue scarse risorse a fare comunicazioni, statistiche ed informative a destra e a manca, inclusa la polizia giudiziaria.