Corte costituzionale sent. 7/10/2015
Norme impugnate: Art. 1, c. 1°, della legge della Regione Veneto 22/10/2014, n. 30.
Oggetto: Ambiente - Norme della Regione Veneto - Modifica a legge regionale 6 settembre 1991, n. 24 (Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt) - Modifiche di linee esistenti per variazioni di tracciato inferiore a 500 metri, trasformazione di linee con conduttori nudi in linee con cavo aereo, adeguamenti alle tensioni di esercizio normalizzate e sostituzioni dei componenti - Estensione a tali interventi dell'obbligo di autorizzazione a condizione che gli stessi non comportino variazioni alla natura del progetto precedentemente approvato né incremento della potenza già autorizzata e non ricadano in zone soggette a tutela dei beni culturali e del paesaggio ai sensi del decreto legislativo 22/01/2004 n. 42 e successive modificazioni - Prevista salvezza dell'obbligo di progettazione tecnica e relativo collaudo.
Dispositivo: illegittimità costituzionale - inammissibilità
SENTENZA N. 215
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto 22 ottobre 2014, n. 30 (Modifica della legge regionale 6 settembre 1991, n. 24 “Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-24 dicembre 2014, depositato in cancelleria il 30 dicembre 2014 ed iscritto al n. 93 del registro ricorsi 2014.
Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2015 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 22-24 dicembre 2014, depositato il 30 dicembre 2014 e iscritto al n. 93 del registro ricorsi del 2014, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto 22 ottobre 2014, n. 30 (Modifica della legge regionale 6 settembre 1991, n. 24 “Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt”), per violazione dell’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 ottobre 2003, n. 290, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
La norma ha sostituito il comma 6 dell’art. 2 della legge regionale 6 settembre 1991, n. 24, con il seguente: «6. Non sono soggette all’obbligo dell’autorizzazione le modifiche di linee esistenti per variazioni di tracciato inferiore a 500 m., le trasformazioni di linee con conduttori nudi in linee con cavo aereo, gli adeguamenti alle tensioni di esercizio normalizzate e le sostituzioni dei componenti, a condizione che tali interventi non comportino variazioni alla natura del progetto precedentemente approvato né incremento della potenza già autorizzata e non ricadano in zone soggette a tutela dei beni culturali e del paesaggio ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni. È in ogni caso fatto salvo l’obbligo di progettazione tecnica e relativo collaudo».
Osserva il ricorrente che tale nuova disposizione regionale ha inserito nella previgente disciplina relativa a tutte le linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt una esenzione dall’autorizzazione (oltre che per interventi di manutenzione o sostituzione di componenti, anche) per tutte la varianti di tracciato che non superino i 500 metri.
Sennonché, ove tale esenzione fosse ritenuta applicabile anche agli elettrodotti facenti parte della Rete di trasmissione nazionale (RTN), la disposizione regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003. Tale articolo, infatti, stabilisce che la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica sono soggetti ad autorizzazione unica rilasciata dall’autorità statale (comma 1) e non di quella regionale; prevede altresì l’esenzione dall’autorizzazione per alcune ipotesi di interventi sostitutivi e di manutenzione degli elettrodotti (in particolare, quelli «consistenti nella riparazione, nella rimozione e nella sostituzione di componenti di linea, quali, a titolo esemplificativo, sostegni, conduttori, funi di guardia, catene, isolatori, morsetteria, sfere di segnalazione, impianti di terra, con elementi di caratteristiche analoghe, anche in ragione delle evoluzioni tecnologiche»), ma senza ricomprendervi anche le varianti di tracciato (comma 4-quinquies).
Secondo il ricorrente, anche nella eventualità in cui la norma impugnata si riferisse ai soli elettrodotti non facenti parte della RTN, la stessa si porrebbe comunque in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’Allegato III, lettera z), e all’Allegato IV, punto 7., lettera z), della Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), secondo cui le linee (elettrodotti) non facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale con potenza superiore a 100.000 volt rientrano nei progetti di competenza regionale da assoggettare a valutazione di impatto ambientale (VIA) o a verifica di assoggettabilità a VIA, a seconda della lunghezza del tracciato (rispettivamente, se superiore a 10 km oppure se superiore a 3 km); nonché in relazione all’Allegato III, lettera ag, e all’Allegato IV, punto 8., lettera t), della Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui le modifiche o estensioni dei medesimi progetti sopra citati sono soggetti rispettivamente a VIA («ove la modifica o l’estensione di per sé sono conformi agli eventuali limiti stabiliti nel presente allegato»), oppure a verifica di assoggettabilità a VIA (nei casi in cui gli stessi «possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente»).
Dalle disposizioni statali appena richiamate conseguirebbe il principio per cui le variazioni di tracciato, sia pure di scarsa entità (inferiori a 500 metri), non potrebbero essere aprioristicamente escluse da qualsiasi forma di valutazione ambientale, in quanto lo specifico contesto localizzativo oggetto della variante di tracciato potrebbe determinare situazioni di incompatibilità con la tutela ambientale (si fa l’esempio dei siti di importanza comunitaria, cosiddetti SIC, e delle zone speciali di conservazione, cosiddette ZSC). Di contro, la norma regionale impugnata, disponendo una generalizzata deroga all’obbligo di autorizzazione per le modifiche di tracciato inferiori a 500 metri (con l’unica condizione che «tali interventi […] non ricadano in zone soggette a tutela dei beni culturali e del paesaggio ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni»), avrebbe indebitamente ristretto il campo di applicazione della disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale, violando di conseguenza la potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente».
2.– Il 19 febbraio 2015 si è costituita in giudizio la Regione Veneto, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, in quanto la disposizione impugnata sarebbe in parte qua riproduttiva della precedente disciplina regionale (mai oggetto in passato di impugnazione avanti la Corte costituzionale), la quale già escludeva l’obbligo del provvedimento autorizzatorio in caso di modifiche di linee esistenti per variazioni di tracciato inferiore a 500 metri.
La novella, infatti, si limiterebbe: a estendere l’esclusione dall’obbligo di autorizzazione alle «trasformazioni di linee con conduttori nudi in linee con cavo aereo»; a potenziare i limiti alla deroga autorizzatoria, prevedendo un generale divieto di incremento della potenza già autorizzata e facendo sempre salvo l’obbligo di progettazione tecnica e relativo collaudo; a rettificare il riferimento anacronistico alla legge sui beni culturali del 1939, sostituendolo con il richiamo al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
Cosicché, non essendoci stata alcuna «soluzione della continuità precettiva», l’impugnazione da parte dello Stato di una norma regionale riproduttiva di una norma previgente mai impugnata dovrebbe dichiararsi inammissibile. Difetterebbe persino l’interesse del Presidente del Consiglio dei ministri a coltivare l’impugnazione, dal momento che, qualora la questione di costituzionalità venisse accolta, rivivrebbe la norma regionale previgente avente il medesimo contenuto precettivo tacciato oggi di illegittimità, per di più privo della tutela aggiuntiva assicurata ai valori ambientali dal testo attualmente in vigore (sotto forma di obblighi di progettazione e di collaudo, di divieto di incremento di potenza e rispetto alla sopravvenuta legislazione vincolistica).
Nel merito, secondo la Regione le questioni di costituzionalità sollevate sarebbero comunque infondate.
Con riguardo al primo motivo di incostituzionalità, essa critica l’erroneo presupposto interpretativo da cui avrebbe preso le mosse il ricorso. La piana esegesi della norma impugnata consentirebbe, infatti, di escludere dal suo ambito di applicazione gli elettrodotti facenti parte della RTN, senza alcuna possibilità di interferenza con le competenze statali (contemplate dall’invocato art. 1-sexies, comma l, del d.l. n. 239 del 2003).
Quanto alla seconda questione sollevata, l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge regionale già di per sé garantirebbe la piena applicabilità delle norme statali relative alla valutazione d’impatto ambientale, anche in assenza di un espresso richiamo ad esse. Dovrebbe, sul punto, valorizzarsi anche l’«evoluzione storico-normativa della disciplina in parola», la quale sarebbe «sempre stata improntata ad una applicazione rispettosa del dettato costituzionale e della disciplina statale in materia di tutela dell’ambiente».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto, 22 ottobre 2014, n. 30 (Modifica della legge regionale 6 settembre 1991, n. 24 “Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt”), articolando due ordini di censure di illegittimità costituzionale.
Nella parte in cui ha introdotto, con riguardo alle opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt, un’esenzione dall’autorizzazione per le varianti di tracciato che non superino i 500 metri, la norma regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 ottobre 2003, n. 290, il quale stabilisce che, per la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica, la competenza a rilasciare l’autorizzazione è dell’autorità statale e non prevede alcuna esenzione per le varianti di tracciato.
La stessa disposizione impugnata, inoltre, disponendo una generalizzata deroga all’obbligo di autorizzazione per le modifiche di tracciato che non superino i 500 metri, avrebbe operato una indebita restrizione del campo di applicazione della disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), ponendosi così in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’Allegato III, lettera z) e all’Allegato IV, punto 7., lettera z), della Parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nonché in relazione all’Allegato III, lettera ag, e all’Allegato IV, punto 8., lettera t), della Parte seconda del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006.
2.– In via pregiudiziale, la Regione resistente eccepisce che il ricorso sarebbe tardivo in quanto, pur formalmente rivolto contro l’art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 30 del 2014, di modifica del comma 6 dell’art. 2 della legge regionale n. 24 del 2014, in realtà colpirebbe tale ultima norma in parti che non sarebbero state toccate dalle modifiche apportate dalla legge regionale oggi impugnata.
L’eccezione è infondata.
Il fatto che la disposizione originaria modificata da quella ora oggetto di censura non sia stata a suo tempo impugnata dallo Stato non rileva, poiché – anche senza considerare la circostanza che la modifica presenta comunque un contenuto di novità – la nuova disposizione ha l’effetto di reiterare, con la novazione della fonte, la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato. L’omessa impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di precedenti norme regionali, analoghe alle disposizioni oggetto di ricorso, non ha rilievo, dato che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale (si vedano, ex plurimis, sentenze n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011). Né rileva l’argomento sollevato dalla Regione Veneto, secondo cui l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale farebbe comunque rivivere la norma previgente avente il medesimo contenuto precettivo tacciato oggi di illegittimità. Il giudizio promosso in via principale, infatti, «colpisce il testo legislativo, indipendentemente dagli effetti concretamente prodotti» (sentenza n. 195 del 2015).
3.– La prima questione di legittimità costituzionale, concernente la violazione della potestà dello Stato di autorizzare la costruzione e l’esercizio di elettrodotti «facenti parte della rete nazionale di trasporto», è formulata tramite la mera denuncia della violazione di una norma statale interposta (l’art. 1-sexies, comma l, del d.l. n. 239 del 2003), senza che sia indicata la competenza legislativa di cui quest’ultima sarebbe espressione ed è quindi inammissibile.
Ai fini dell’ammissibilità della censura, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe invece dovuto illustrare le ragioni per le quali la disposizione invocata sarebbe espressiva di un principio fondamentale e la materia, attribuita alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, alla quale sarebbe riconducibile.
Peraltro, anche volendo considerare riferito alla questione in esame il parametro costituzionale nell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Cost., evocato nel contesto argomentativo della seconda questione di costituzionalità, relativa, come si vedrà, alla ritenuta indebita restrizione del campo di applicazione della disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale, si tratterebbe comunque di un riferimento erroneo. Pur convergendo infatti, nella fattispecie normativa oggetto dello scrutinio di costituzionalità, interessi di varia natura, come quelli attinenti alla «tutela dell’ambiente» e al «governo del territorio», in essa appare centrale il profilo afferente alla regolamentazione e al controllo delle attività di realizzazione della rete elettrica in vista di un efficiente approvvigionamento dei diversi ambiti territoriali. È dunque corretto ritenere che si verta nella materia, attribuita alla potestà legislativa concorrente, riguardante la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, comma terzo, Cost.).
Per quanto esposto, il primo mezzo di impugnazione è inammissibile per mancata (sentenza n. 51 del 2006) o, comunque, erronea individuazione del parametro costituzionale (sentenza n. 285 del 2005).
4.– L’Avvocatura generale dello Stato lamenta altresì che il denunciato art. 1, comma 1, della legge reg. Veneto n. 30 del 2014, disponendo una generalizzata deroga all’obbligo di autorizzazione per le modifiche di tracciato inferiori a 500 metri, avrebbe operato un’indebita restrizione del campo di applicazione della disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale, con conseguente violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost.
La questione è fondata.
L’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità a VIA, rientra nella materia della «tutela ambientale» (sentenze n. 234 e n. 225 del 2009), e rappresenta nella disciplina statale, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale (tra le altre, sentenze n. 120 del 2010, n. 249 del 2009 e n. 62 del 2008), comprese la «produzione», il «trasporto» e la «distribuzione nazionale dell’energia» (sentenza n. 88 del 2009).
L’art. 20, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, estende la verifica di assoggettabilità ai progetti «inerenti modifiche dei progetti elencati negli allegati II che comportino effetti negativi apprezzabili per l’ambiente, nonché quelli di cui all’allegato IV secondo le modalità stabilite dalle Regioni e dalle Province autonome, tenendo conto dei commi successivi del presente articolo».
Tra i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità attribuiti alla competenza delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano si annoverano, nell’Allegato IV della Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, oltre agli «elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica, non facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale, con tensione nominale superiore a 100 KV e con tracciato di lunghezza superiore a 3 km» (punto 7., lettera z), anche le «modifiche o estensioni di progetti di cui all’Allegato III o all’Allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente (punto 8., lettera t).
Nella logica del legislatore statale, dunque, la modifica del tracciato degli elettrodotti, anche di scarsa entità, non è aprioristicamente esclusa da qualsiasi forma di controllo preventivo, bensì è assoggettata ad una prognosi da effettuare di volta in volta sulle ripercussioni negative che possano nuocere allo specifico contesto territoriale interessato dall’opera (si pensi, per l’appunto, ai siti di importanza comunitaria ovvero alle zone speciali di conservazione).
La legge regionale impugnata invece, contemplando tra gli interventi esenti da preventiva autorizzazione o da denuncia tutte le varianti di tracciato degli impianti elettrici esistenti inferiori a 500 metri, a prescindere dal loro concreto impatto sui valori ambientali, ha l’effetto di sottrarre automaticamente tali opere anche alla valutazione d’impatto ambientale, la quale costituisce un subprocedimento che necessariamente si innesta (quale suo «presupposto o parte integrante»: si veda l’art. 29 del d.lgs. n. 152 del 2006) nel procedimento (principale) di autorizzazione o approvazione (si veda, per un caso analogo, la sentenza n. 120 del 2010, punto 1.2. del Considerato in diritto). La circostanza che la valutazione d’impatto ambientale non possa esplicarsi quando l’attività sia resa “libera”, nel senso di sottratta a una preventiva autorizzazione, esclude che possa essere seguita la tesi interpretativa suggerita dalla difesa regionale, secondo la quale la norma impugnata presupporrebbe già la «piena applicabilità della normativa statale in materia di tutela dell’ambiente, pur in assenza di un espresso richiamo».
La disposizione regionale impugnata è pertanto costituzionalmente illegittima nella parte in cui ha escluso dall’obbligo dell’autorizzazione le modifiche di linee esistenti per variazioni di tracciato inferiore a 500 metri.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto 22 ottobre 2014, n. 30 (Modifica della legge regionale 6 settembre 1991, n. 24 “Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt”), limitatamente alle parole «le modifiche di linee esistenti per variazioni di tracciato inferiore a 500 m.,»;
2) dichiara inammissibile la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Veneto 22 ottobre 2014, n. 30 (Modifica della legge regionale 6 settembre 1991, n. 24 “Norme in materia di opere concernenti linee e impianti elettrici sino a 150.000 volt”), promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI