Cass. Sez. III n. 13925 del 7 maggio 2020 (CC 17 gen 2020)
Pres. Izzo Est. Ramacci Ric. C.
Ambiente in genere.Condotte impeditive dell'uso pubblico del demanio marittimo

Le condotte impeditive dell'uso pubblico del demanio marittimo, sanzionate dall'art. 1161 cod. nav., possono incidere anche sulle servitù di pubblico passaggio, costituite attraverso l'utilizzazione da parte della collettività degli accessi all'area demaniale marittima protrattasi per il tempo necessario all'usucapione


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Taranto, con ordinanza del 7 giugno 2019 ha rigettato l'appello proposto nell'interesse di Pietro C. avverso l'ordinanza del GIP in data 6 maggio 2019, con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto con decreto dello stesso giudice il 21 settembre 2018 - avente ad oggetto il cancello di ingresso e la relativa area di sedime della carrareccia che attraversa un compendio immobiliare di proprietà del medesimo C. fino a raggiungimento di un manufatto denominato Torre Mattoni - in relazione al reato di cui agli artt. 55 e 1161 cod. nav., ipotizzati perché, realizzando lungo il perimetro dell'area di sua proprietà una recinzione costituita da paletti in legno e rete metallica, questi occupava abusivamente un'area del demanio marittimo estesa su 14.000 metri quadrati circa e, altresì, impediva l'uso pubblico del demanio, in quanto la recinzione precludeva in maniera assoluta l'accesso alla riserva naturale statale “Stornara” ed alla “Torre Mattoni” che costituisce parte integrante della riserva e ne  impediva la pubblica fruizione e quella dei Carabinieri forestali, corpo preposto alla tutela ed alla gestione dell'area, trattandosi di fondo intercluso all'interno di proprietà e, pertanto, non raggiungibile altrimenti (in Ginosa, fino al 6 agosto 2018, con permanenza).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con il primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che il Tribunale, nell'integrare la carente motivazione del provvedimento di rigetto del GIP, si sarebbe spinto oltre i limiti del devoluto, giungendo a rilevare l'esistenza di una servitù pubblica mai considerata in precedenza e, soprattutto, esclusa da provvedimenti amministrativi intervenuti nella vicenda connessa a quella oggetto di imputazione, oltre che da una pronuncia del TAR Puglia ormai definitiva.
Rileva, a tale proposito, che dal tenore del provvedimento impugnato emergerebbe che il Tribunale avrebbe, da un lato, stravolto e in gran parte ignorato le ragioni precedentemente affermate per l'applicazione della misura, specie per quanto attiene al periculum in mora ed alla pertinenzialità dei beni oggetto di sequestro e, dall'altro, avrebbe debordato i limiti dell'integrazione, giungendo ad un vero e proprio nuovo accertamento fattuale estraneo alle devoluzioni della difesa e non considerato nei precedenti provvedimenti, compreso quello d'urgenza del Pubblico Ministero.
Tale travalicamento dei limiti imposti al potere integrativo del Tribunale, aggiunge, avrebbe comportato l'affermazione dell'esistenza di una servitù di passaggio pubblica per accesso al mare insistente sulla sua proprietà.

3. Con il secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione all'affermazione del Tribunale circa l'esistenza della servitù pubblica di passaggio, difettando non soltanto qualsivoglia atto costitutivo di ricognizione documentale dimostrativo di tale esistenza, ma anche per l'assenza di tutti i requisiti di fatto e di diritto richiesti per l'accertamento giudiziale di tale servitù.
Assume, altresì, che tale affermazione dei giudici dell'appello sarebbe lesiva non soltanto del diritto di proprietà, ma anche del diritto ad un equo processo nella parte in cui viene sostanzialmente ribaltato sul ricorrente l'onere probatorio di dimostrare che il fondo di sua proprietà non è gravato da alcuna servitù.
Rileva, a tale proposito, che gli argomenti posti dal Tribunale a sostegno di tale affermazione non sarebbero supportati da alcuna acquisizione probatoria o indiziaria ed, anzi, sarebbero smentiti dalle produzioni effettuate dalla difesa, nonché da quanto affermato dalla giurisprudenza civile in tema di servitù pubblica di passaggio.
Aggiunge che il riferimento all'utilizzo da parte di un numero indeterminato di cittadini, presente nell'ordinanza impugnata, sarebbe meramente supposto sulla base dello stato dei luoghi risultante dalle planimetrie allegate alla consulenza tecnica della difesa e che l'uso da tempo risalente e, comunque, superiore a quello necessario all'usucapione sarebbe apoditticamente affermato senza tenere in conto le acquisizioni fattuali e documentali prodotte dalle parti.

4. Con il terzo motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione all'errata inclusione dell'area di confine con la sua proprietà e su cui sarebbe stata installata, senza titolo, la recinzione indicata nel capo di imputazione, nel demanio marittimo e non, invece, come rilevato dalla difesa anche mediante consulenza tecnica, nel demanio statale non marittimo, ritenendo che sul punto il provvedimento impugnato offrirebbe una motivazione meramente apparente, avendo ritenuto l'inconsistenza dei rilievi tecnici difensivi attraverso un mero giudizio di non efficacia che non terrebbe conto di tutti i dati fattuali utilizzati dal consulente tecnico, giungendo peraltro la medesima ordinanza a formulare asserzioni tra loro palesemente contrastanti ed indicative del vizio dell’apparente motivazione.

5. Con il quarto motivo di ricorso deduce la violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza del periculum in mora, nonché alla pertinenzialità dei beni sequestrati con il reato contestato al capo b), nonostante lo stesso Tribunale rilevi che tale reato sarebbe stato compiuto con l'installazione su area demaniale di una recinzione non oggetto di sequestro e che tuttora, secondo l'impostazione accusatoria, impedirebbe l'accesso al demanio marittimo, fornendo così una motivazione meramente apparente nella parte in cui ignora sia quanto espressamente riportato nel provvedimento d'urgenza del Pubblico Ministero ed in quelli del GIP sia, soprattutto, l'apposizione del vincolo cautelare sul sedime del tratturo che attraversa il compendio immobiliare fino al raggiungimento della “Torre Mattoni”.
Si tratterebbe, dunque, di un assunto del tutto illogico che sfocerebbe nella motivazione apparente laddove ignora dati significativi presenti in atti.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il Tribunale ha esaminato le questioni prospettate con l’atto di appello con articolata motivazione oggetto di altrettanto diffuse censure in ricorso.
L’atto di impugnazione lamenta, nel primo motivo di ricorso, il superamento, da parte dei giudici dell’appello, dei limiti del devolutum loro imposti dall’art. 322-bis cod. proc. pen.
Va osservato, a tale proposito, come sia del tutto pacifico che l’appello disciplinato dalla disposizione menzionata è caratterizzato dall’effetto devolutivo.
L’art. 322-bis cod. proc. pen.  richiama infatti, nel secondo comma, le disposizioni dell’art. 310 cod. proc. pen., consentendone l’applicabilità in quanto compatibili.
Tale disposizione, che riguarda l’appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali, rinvia, a sua volta, nel secondo comma, all’articolo 309 cod. proc. pen., disponendo che devono essere osservate le disposizioni in esso contenute in alcuni commi specificamente indicati, tra i quali, tuttavia, non figura il comma nono, che è quello che consente al Tribunale di pronunciarsi sulla riforma del provvedimento (in senso favorevole all’imputato) per motivi diversi da quelli enunciati o confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso (lo ricorda, ad esempio, Sez. 6, n. 15855 del 5/2/2004, Montalto, Rv. 228809).
Si è tuttavia precisato che, in ogni caso, il giudice dell’appello ha comunque l’obbligo di analizzare quella parte della decisione gravata la quale, pur se non attinta dai motivi di appello, sia legata da solida connessione con i punti oggetto di censura da rendere logicamente impossibile una loro valutazione isolata, specificando, altresì, che l’effetto devolutivo non può essere interpretato in senso riduttivo e meccanicistico (Sez. 6, n. 35786 del 21/6/2012, Buttini, Rv. 254392; Sez. 6, n. 10846 del 16/1/2007, Caselli, Rv. 235918; Sez. 3, n. 3482 del 15/10/1996, Balistreri, Rv. 206711).
Più recentemente si è specificato che, nel giudizio d'appello avverso provvedimenti cautelari reali, disciplinato dall'art. 322-bis cod. proc. pen., l'impugnazione innanzi al tribunale ha effetto devolutivo ed attribuisce al giudice del gravame pienezza di cognizione, con la possibilità di rimediare sia alla insufficienza sia alla mancanza di motivazione, non essendo applicabile il diverso principio che, in sede di riesame, impone l'annullamento del provvedimento di sequestro privo di motivazione o non contenente la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento o degli elementi forniti dalla difesa (Sez. 3, n. 58451 del 13/11/2018, Romito, Rv. 275566)
Nella citata pronuncia si è altresì specificato che il particolare obbligo di motivazione di cui all'art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., pur operando anche con riguardo alle misure cautelari reali vale soltanto per il provvedimento applicativo della misura e non anche con riferimento alle altre ordinanze in materia cautelare, come quella emessa dal GIP a fronte dell'istanza di restituzione dei beni sequestrati a norma dell'art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen.       

3. Ciò posto, deve osservarsi che, nella fattispecie, il Tribunale risulta aver fatto buon uso delle norme  processuali applicate e dei principi giurisprudenziali sopra indicati, che questo Collegio condivide, potendosi rilevare, dal tenore dello stesso provvedimento impugnato, che la questione dell’esistenza o meno della servitù, che si assume trattata dai giudici dell’appello oltre  limiti di quanto loro devoluto, era stata introdotta dallo stesso appellante.
Si legge infatti a pag. 8 dell’ordinanza, che nei motivi di appello, al fine di contestare il fatto che la recinzione in sequestro impedisca l’accesso del pubblico al mare, l’odierno ricorrente aveva escluso l’esistenza di una strada pubblica che conduce al mare e la inesistenza di una servitù di passaggio, esercitata dalla collettività da tempo immemorabile, insistente sulla sua proprietà.
Alla successiva pag. 23, nell’esaminare nel dettaglio la questione, viene nuovamente dato esplicitamente atto del fatto che la difesa si era posta il problema, pur negando l’esistenza della servitù pubblica di passaggio e di una strada privata di accesso al mare.
A fronte di tali rilievi il Tribunale ha fornito risposta, senza, dunque, arbitrariamente estendere l’oggetto del giudizio.

4. La questione della esistenza o meno della servitù viene ulteriormente presa in considerazione nel secondo motivo di ricorso, del quale occorre tuttavia rilevare l’inammissibilità.
Invero, come emerge dal medesimo atto di impugnazione, il ricorrente risulta avere ben chiaro il fatto che l’articolo 325 cod. proc. pen. consente il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse a norma dell’articolo 322-bis cod. proc. pen. solamente per violazione di legge, perché lo afferma espressamente.
Ciò nonostante, nel motivo di ricorso in esame, così come in quelli successivi, formula censure chiaramente riferibili al vizio di motivazione come è rilevabile, con riferimento al motivo di cui ora si tratta, dalla mera lettura dei contenuti, ove, pur formalmente richiamando la violazione di legge, si rinvengono ampie critiche all’iter argomentativo seguito dal Tribunale per ritenere la sussistenza della servitù.
La motivazione, peraltro, risulta del tutto congrua e riferita ad elementi fattuali ricavati dagli atti del procedimento, che non possono essere oggetto di considerazione in questa sede.
Va d’altronde rilevato come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che le condotte impeditive dell'uso pubblico del demanio marittimo, sanzionate dall'art. 1161 cod. nav., possono incidere anche sulle servitù di pubblico passaggio, costituite attraverso l'utilizzazione da parte della collettività degli accessi all'area demaniale marittima protrattasi per il tempo necessario all'usucapione (Sez. 3, n. 26587 del 14/5/2009, Ignoti e altri, Rv. 244374) e che le argomentazioni sviluppate dal Tribunale paiono tener conto anche dei principi affermati dalla giurisprudenza civile e richiamati dal ricorrente, secondo cui, affinché si costituisca per usucapione una servitù pubblica di passaggio su una strada privata, è necessario che concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati "uti cives" in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un'utilizzazione "uti singuli", cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; 2) l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù; 3) il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione (Sez. 2, n. 28632 del 29/11/2017, Rv. 646531)-

5. Nel caso di specie, come si è detto, il Tribunale ha richiamato alcune circostanze ritenute significative, quali l'esistenza del percorso fino al mare da tempo risalente, superiore comunque a quello previsto dalla legge per l’usucapione, ritenuta indicativa di un uso continuato da parte della collettività, in assenza del quale il tracciato sarebbe stato inglobato dalla vegetazione circostante; la particolare vocazione della zona alla balneazione ed al turismo essendo caratterizzata da un litorale sabbioso, peraltro parte integrante di una riserva naturale; l’esistenza stessa della riserva e l'inserimento dei luoghi in area SIC, così da determinare l'utilizzazione della via di accesso da parte del personale del Corpo Forestale ed ora dei Carabinieri per l'espletamento delle attività di sorveglianza e vigilanza dell'area, nonché per la manutenzione e cura del bosco e l'assenza di altre vie di accesso limitrofe alla porzione di demanio marittimo confinante con la proprietà del ricorrente e al mare, essendo quella più vicina distante circa 2 chilometri.
Nel far ciò, peraltro, il Tribunale ha anche preso compiutamente in considerazione le argomentazioni sviluppate dalla difesa, indicando le ragioni per le quali le stesse debbono ritenersi non condivisibili.
A fronte di ciò, il ricorso formula censure sugli argomenti sviluppati dal Tribunale che si risolvono, però, nella non ammissibile deduzione del vizio di motivazione.

6. Tale peculiarità risulta, ad avviso del Collegio, ancor più evidente nel terzo e quarto motivo di ricorso, ove il ricorrente cerca di porre rimedio al fatto che le censure attengono ancor più palesemente al vizio di motivazione affermando che le illogicità e contraddizioni che, secondo l’assunto difensivo, caratterizzerebbero il provvedimento impugnato, sarebbero così eclatanti da determinare la mera apparenza della motivazione.
Occorre ricordare, a tale proposito, che sul punto si sono espresse anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali, richiamando la giurisprudenza costante, hanno ricordato che “…il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l'apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dall'organo investito del procedimento”  (Sez. U, n. 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692. Conf. Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093. V. anche Sez. 2, n. 18951 del 14/3/2017, Napoli e altro, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893).   
Ciò non è certo avvenuto nel caso in esame, poiché la motivazione del provvedimento impugnato, peraltro ampiamente articolata, non presenta comunque vizi così radicali quali quelli indicati dalla decisione in precedenza richiamata.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende
Così deciso in data 17/1/2020