Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5337, del 8 novembre 2013
Ambiente in genere.Ponte su un fiume torrente o corso d'acqua è pertinenza del bene demaniale naturale
La funzione principale ed essenziale di un ponte realizzato su un fiume, torrente o corso d'acqua, è appunto il suo scavalcamento e quindi è innegabile che l'opera costituisca anzitutto e in modo fondamentale una pertinenza del bene demaniale, essendo posta a durevole servizio di questo, e a questo incorporata attraverso l'appoggio stabile sulle sue sponde. Deve quindi convenirsi in ordine al negativo accertamento della proprietà privata del ponte, in quanto pertinenza di bene del demanio naturale e necessario e quindi ad esso appartenente. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
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N. 05337/2013REG.PROV.COLL.
N. 01758/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1758 del 2011, proposto da:
Roberto Corsi, Antonio Corsi, Maria Antonietta Mazzucchi, rappresentati e difesi dagli avv.ti Stefano Gattamelata e Alberto Maria Floridi e presso lo studio del primo elettivamente domiciliati in Roma, alla via Monte di Fiore n. 22, per mandato a margine dell’appello
contro
Comune di Segni, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Boazzelli e presso lo studio di questi elettivamente domiciliato in Roma, alla via Montello n. 30, per mandato a margine della memoria di costituzione nel giudizio d’appello;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II bis, n. 33983 del 24 novembre 2010, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 1106/2010, -proposto dagli interessati in riassunzione di giudizio civile a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili n. 23670/2009 -recante declaratoria della giurisdizione amministrativa a risoluzione di conflitto negativo di giurisdizione-, inteso all’accertamento dell’inesistenza di valido titolo del Comune di Segni a esercitare atti di disposizione su un ponte sul fiume Sacco, insistente sulla proprietà degli interessati, ivi compresa l’apprensione sine titulo e la sua demolizione, nonché per la declaratoria della proprietà privata del ponte e per il risarcimento del danno cagionato dall’illegittimo spoglio del possesso perpetrato dal Comune di Segni
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Segni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2012 il Cons. Leonardo Spagnoletti e uditi l’avv. Stefano Gattamelata per gli appellanti Roberto Corsi, Antonio Corsi, Maria Antonietta Mazzucchi e l’avv. Claudio Boazzelli per l’appellato Comune di Segni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.) Roberto Corsi e i coniugi Antonio Corsi e Maria Antonietta Mazzucchi sono proprietari di un vasto appezzamento di suolo di circa sessanta ettari, destinato all’esercizio di azienda agricola, percorso da fiume Sacco e scavalcato da un ponte che consentiva altresì di congiungere i due tratti di una strada poderale.
Il Comune di Segni, con deliberazioni di Giunta municipale n. 158 e n. 159 del 27 novembre 2001, rispettivamente approvata il progetto esecutivo e definitivo per la realizzazione di un asse viario trasversale di collegamento della S.S. Casilina con le SS.PP. dei Gavignanesi, Consolare latina, Traiana e con la S.S. Carpinetana, con declaratoria di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, e autorizzava l’occupazione temporanea d’urgenza degli immobili interessati ai lavori fra cui una porzione dei suoli appartenenti agli interessati.
Questi ultimi con ricorso integrato da motivi aggiunti (rivolti alla successiva deliberazione di Giunta municipale n. 87 dell’11 luglio 2002) impugnavano gli atti del procedimento ablativo, assumendo che il ponte, di cui si affermavano proprietari, non fosse stato erroneamente compreso tra i beni da espropriare.
A seguito della reiezione dell’istanza cautelare, i lavori avevano svolgimento e il ponte era demolito e costruito secondo le indicazioni del progetto di realizzazione dell’asse viario.
Con sentenza n. 1060/2006 il T.A.R. Lazio rigettava il ricorso e i motivi aggiunti e, quanto alla rivendicata proprietà del ponte evidenziava che la controversa questione -il Comune aveva a sua volta dedotto la natura demaniale del bene- non poteva essere risolta incidenter tantum richiedendo apposita definizione dinanzi all’A.G.O.
Gli interessati, a quel punto, promuovevano giudizio civile dinanzi al Tribunale di Velletri inteso a accertare l’inesistenza di valido titolo in capo all’Amministrazione comunale in ordine al compimento di atti di disposizione sul ponte, in funzione della declaranda proprietà privata del medesimo, se del caso in applicazione dell’istituto dell’immemorabile o anche in funzione di intervenuta usucapione.
A seguito di sentenza del Tribunale di Velletri di declinatoria della giurisdizione, il conflitto negativo reale di giurisdizione era portato alla cognizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con sentenza n. 23670/2009 lo risolveva statuendo che la controversia apparteneva alla giurisdizione amministrativa.
Con il ricorso in primo grado n.r. 1106/2010 il giudizio è stato quindi riassunto dinanzi al T.A.R. per il Lazio, formulandosi cumulative domande di accertamento dell’inesistenza di valido titolo dell'Amministrazione comunale a esercitare atti di disposizione del ponte (ivi compresa l’apprensione sine titulo e la sua demolizione), di accertamento e declaratoria della proprietà privata del ponte e di risarcimento del danno cagionato dall’illegittimo spoglio del possesso e dalla demolizione, indicato quest'ultimo in € 450.000,00 quanto al valore del bene, in € 470.000,00 per danno da lucro cessante e in € 20.000,00 per ciascuno dei proprietari quanto al danno morale.
Con la sentenza n. 33983 del 24 novembre 2010 il ricorso è stato rigettato, con scrupolosa e argomentata ricostruzione della vicenda processuale e dei suoi profili giuridico-fattuali, sul rilievo che il ponte è opera accessoria che, quando anche sia stata costruita ab immemorabile da privati, -circostanza peraltro non provata, e che peraltro avrebbe comunque richiesto il rilascio di concessione amministrativa da parte della competente autorità-, e sia stata utilizzata da privati, nondimeno rientra nell’ambito del demanio idrico in quanto opera accessoria e pertinenziale al corso d’acqua.
Con appello notificato il 23 febbraio 2011 e depositato l’8 marzo 2011, gli interessati hanno impugnato la predetta sentenza, deducendo in sintesi, senza rubricazione di motivi:
l’erroneità e contraddittorietà del rilievo in ordine alla natura demaniale del ponte in quanto costituente accessione e pertinenza del fiume Sacco, poiché esso in effetti ha funzione principale o esclusiva di collegare i due tratti della strada poderale incontestatamente privata, non concorre in alcun modo a regolamentare il regime delle acque, come apoditticamente asserito dal primo giudice, le sue “testate” poggiavano sulla proprietà degli interessati, l’ordinamento non vieta ma anzi consente la realizzazione, ad opera di privati, di opere nell’alveo di fiumi, torrenti, rivi, scolatoi, canali demaniali, ivi compresi i ponti, sia pure con autorizzazione amministrativa che però riguarda il corso d’acqua pubblico e non già il manufatto;
d’altro canto, sia la costruzione ad opera dei privati che la conseguente proprietà del ponte hanno risalenza storica tale che deve operare nel caso di specie l’istituto dell’immemorabile, e quindi la presunzione di corrispondenza del possesso da parte dei privati a titolo legittimo, ciò che implica che avrebbe dovuto essere il Comune, anche in funzione della domanda principale formulata (actio negatoria) a fornire la prova dell’esistenza del proprio diritto a compiere atti di disposizione del bene, e della sua proprietà; peraltro qualora il bene fosse demaniale esso apparterrebbe allo Stato con attribuzione alla Regione delle relative funzioni amministrative delegate, con l’esigenza per il Comune di Segni di acquisire le relative autorizzazioni alla demolizione e ricostruzione.
Il Comune appellato, a sua volta, con la memoria di costituzione e con i successivi scritti difensivi, ha dedotto l’infondatezza dell’appello, ribadendo la natura demaniale del ponte, quale pertinenza di bene demaniale, nonché quale opera idraulica, a prescindere dalla indimostrata costruzione a opera di privati e dell’inesistente prova di specifica autorizzazione alla sua realizzazione, dovendosi quindi escludere ogni rilievo all’invocato istituto dell’immemorabile come anche la possibilità di acquisto per usucapione, non potendo assumere ex se l’inerzia dell’amministrazione alcuna valenza giuridica ai fini della sdemanializzazione dell’opera.
Con memorie difensive e di replica gli appellanti hanno ribadito e ulteriormente illustrato le proprie censure, insistendo per l’accoglimento del gravame.
All’udienza pubblica del 30 ottobre 2012 l’appello è stato discusso e riservato per la decisione.
2.) L'appello in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato, con la conferma della sentenza impugnata.
2.1) Il tema centrale della controversia attiene all'accertamento dell'illegittimità dell'attività amministrativa relativa all'apprensione e demolizione, in difetto di provvedimento di occupazione e di inclusione nell'elenco dei beni da espropriare, di un ponte sul fiume Sacco, del quale gli interessati rivendicano la proprietà ab immemorabile, realizzata nell'ambito dell'esecuzione lavori pubblici afferenti alla costruzione di un asse viario trasversale di collegamento della S.S. Casilina con le SS.PP. dei Gavignanesi, Consolare latina, Traiana e con la S.S. Carpinetana.
La domanda risarcitoria è infatti del tutto consequenziale al predetto accertamento, al quale si riconnette, come questione pregiudiziale, la verifica della proprietà pubblica o privata del manufatto.
In tal senso deve intendersi quanto osservato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 23690 del 9 novembre 2009, che ha risolto il conflitto negativo reale di giurisdizione sorto tra il T.A.R. per il Lazio e il Tribunale di Velletri.
La Corte regolatrice ha ivi statuito che:
"... la questione della appartenenza del ponte si poneva, non come un accertamento volto a stabilire esclusivamente chi fosse proprietario del ponte, ma come un accertamento necessario al fine di valutare se sussistesse la denunciata illegittimità dell'attività espropriativa posta in essere dalla pubblica amministrazione.
Anche dinanzi al giudice ordinario gli attuali ricorrenti non si sono limitati a chiedere al giudice di accertare chi fosse proprietario del ponte, ma di accertare l'inesistenza di un valido titolo in capo al Comune di Segni per l'esercizio di atti di disposizione sul ponte posto sul fiume (OMISSIS) e venisse accertata la proprietà, in capo agli attori, del ponte stesso, il che equivale a chiedere di accertare se la P.A., potesse procedere legittimamente alla demolizione del ponte senza includerlo tra i beni oggetto del provvedimento di occupazione di urgenza.
In siffatto contesto non si può ritenere, come vorrebbero i ricorrenti, che la questione della appartenenza del ponte deve essere devoluta alla cognizione del giudice ordinario, atteso che nel caso in questione la controversia non si esaurisce nell'indagine sulla titolarità della proprietà (in tal caso non vi è dubbio che la controversia apparterrebbe alla giurisdizione del giudice ordinario), ma ha ad oggetto la legittimità del procedimento espropriativo avviato dalla Pubblica Amministrazione per la realizzazione di un'opera dichiarata di pubblica utilità, cui si addebita di non avere incluso nel provvedimento di occupazione di urgenza un ponte, che i ricorrenti affermano essere di loro proprietà.
Tale controversia, introdotta per la prima volta dinanzi al T.A.R. nel 2002 (la causa promossa dinanzi al giudice ordinario è stata introdotta nel 2004), appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (che si estende anche a questioni che involgono diritti soggettivi - art. 103 della Costituzione) ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, come sostituito dalla L. n. 205 del 2000, art. 7, come emendati dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 204 del 2004, 281 del 2004 e 191 del 2006, venendo in considerazione, nel caso che ne occupa, comportamenti della P.A. riconducibili all'esercizio di un pubblico potere.
Per quanto precede va dichiarato che spetta al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, stabilire se il ponte in questione sia di proprietà pubblica o privata".
E' evidente, peraltro, che l'accertamento relativo al regime proprietario del manufatto, ossia se appartenente al demanio o ai privati, inclina poi necessariamente in uno o altro senso la decisione in ordine alle altre domande proposte, poiché l'eventuale acclarata demanialità del bene escluderebbe in radice l'invocata illegittimità della sua occupazione e demolizione e la fondatezza della domanda risarcitoria.
2.2) Il T.A.R del Lazio ha rigettato il ricorso in primo grado muovendo da alcuni capisaldi concettuali:
- l'incontestabile demanialità del fiume Sacco ai sensi dell'art. 822 cod. civ., quale bene appartenente al demanio idrico;
- la natura e la relazione di pertinenzialità tra il ponte e il corso d'acqua pubblico, e quindi l'assoggettamento del bene pertinenziale al regime del bene principale, ossia al regime proprio dei beni demaniali;
- la conseguente insuscettività del ponte di poter essere acquisito alla sfera giuridica proprietaria degli interessati, ancorché esso sia stato in ipotesi costruito da privati, tenuto conto che la sua stessa costruzione non poteva essere eseguita se non in forza di concessione amministrativa, della quale esula la prova;
- l'irrilevanza dell'invocato istituto dell'immemorabile (di cui pure si evidenzia la carente prova), che poteva, al limite, legittimare un uso particolare del manufatto non già il suo acquisto in contrasto col regime giuridico dei beni demaniali.
2.3) In effetti, e a prescindere dalle invocate dichiarazioni di terzi, l'ultimo rilievo non appare condivisibile quanto alla rilevata carente prova del possesso ab immemorabile, poiché se l'istituto si caratterizza per una risalenza nel tempo di situazioni fattuali -da cui si presume l'esistenza di un titolo legittimo corrispondente- delle quali tuttavia non vi è traccia documentale, ossia come pure rileva il T.A.R. di una situazione "cuius memoria non extat", è evidente che non può esigersene una prova diversa dalla situazione di fatto in se e per se considerata.
In sostanza, l'istituto dell'immemorabile realizza una fattispecie analoga, per dir così, alla regola di legittimazione relativa al possesso di beni mobili non registrati di cui all'art. 1153 cod. civ., che costituisce trascrizione del principio, fissato dal codice civile napoleonico, secondo cui " en fait de meublespossession vaut titre", altrimenti qualificata come "prescription istantanée".
L'immemorabile, da questo angolo visuale, è in qualche modo simmetrica nel senso che, come in relazione a beni mobili (non registrati) la proprietà si acquista mediante possesso di buona fede anche se trasferita a non domino, così per i beni immobili essa si acquisiva in funzione del possesso protratto per un tempo così lungo da non conservarsene memoria né nei contemporanei né in forma documentale riferibile agli avi.
Il declino dell'istituto e il suo ripudio nelle codificazioni ottocentesche si ricollega all'impianto di un sistema di documentazione cartolare della proprietà fondiaria (libri fondiari, catasti) e si propaga dal codice civile napoleonico (art. 691, che quanto alle servitù non apparenti stabilì che "...la possession même immémoriale ne suffit pas pour les établir") a quello del Regno di Sardegna (art. 649 "...il possesso benché immemoriale non basta a stabilirle"), poi trasfuso letteralmente nell'art. 630 del codice civile del Regno d'Italia del 1865 (art. 630 che dopo aver stabilito, al comma 1, che "le servitù continue non apparenti e le servitù discontinue, siano o non siano apparenti, non possono stabilirsi che mediante un titolo", aggiungeva, al comma 2 che "il possesso, benché immemorabile, non basta a stabilirle").
In effetti, l'esclusione dell'ulteriore rilevanza dell'immemorabile fu desunta, oltre che dalla richiamata disposizione dell'art. 630 comma 2 del codice civile del 1865, dal compiuto sistema di prescrizioni estintive e dalla disciplina dell'usucapione, nonché dalla norma di chiusura dell'art. 48 delle correlate disposizioni di attuazione, a tenore della quale nelle materie oggetto del codice "...cessano di aver forza dal giorno dell'attuazione del medesimo tutte le altre leggi generali o speciali, come pure gli usi o le consuetudini, a cui il codice stesso espressamente non si riferisca".
Né la mancanza, nel codice civile del 1942, di una disposizione analoga a quella dell'art. 630 poté rappresentare argomentazione esegetica sufficiente a suffragarne il richiamo in vita.
E' noto, invece, che da una serie specifica di disposizioni si argomentò la perdurante esistenza dell'immemorabile nell'ambito dei rapporti relativi a beni pubblici, e in particolare:
- dall'art. 2 del r.d. 15 maggio 1884, n. 2503 con riferimento al possesso di diritti esclusivi di pesca;
- dal successivo art. 23 del r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604, sempre in tema di diritti esclusivi di pesca;
- dall'art. 2 della legge 16 giugno 1927, n. 1766, di conversione dei rr.dd. 22 maggio 1924, n. 751, 28 agosto 1924, n. 1484 e 16 maggio 1926, n. 895, in materia di usi civici.
2.4) Tanto premesso, deve però evidenziarsi come l'applicabilità dell'istituto quale modo di acquisto e di prova della proprietà deve rapportarsi, inevitabilmente, al tipo peculiare del bene demaniale, nel senso che non può non annettersi rilievo alla distinzione tra demanio naturale e necessario edemanio artificiale e accidentale, poiché nella prima ipotesi sono le stesse caratteristiche fisico-funzionali del bene che ne connotano lo statuto, escludendo che sul medesimo possa accamparsi altro che un eventuale uso particolare, sia o meno assistito da specifico titolo concessorio.
In effetti, già nel codice civile del 1865 l'art. 427 ricomprendeva nel demanio pubblico, oltre "le strade nazionali, il lido del mare, i porti, i seni, le spiagge, i fiumi e torrenti, le fosse, i bastioni delle piazze da guerra e delle fortezze" e il successivo art. 430 ne escludeva l'alienabilità (salvo il passaggio di terreni delle fortificazioni e delle piazze da guerra che perdessero tale destinazione al regime dei beni patrimoniali dello Stato, ai sensi dell'art. 429).
Il codice civile del 1942, con più articolata elencazione, all'art. 822 comma 1 ha ribadito la demanialità, per quanto qui interessa, di fiumi, torrenti, oltre che dei laghi e delle altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia, e all'art. 823 ne ha escluso l'alienabilità e altresì la possibilità di "...possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano".
Coerente alla demanialità delle acque pubbliche, e tra di esse di fiumi e torrenti, è il regime giuridico, coevo all'emanazione del codice civile del 1865, della legge sulle opere pubbliche 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, con i divieti relativi ad opere dei privati su alvei, sponde e argini (art. 168), l'assoggettamento a "... speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte.." di alcune opere precipuamente indicate, tra cui "La ricostruzione, tuttoché senza variazioni di posizione e forma, delle chiuse stabili ed incili delle derivazioni, di ponti, ponti canali, botti sotterranee e simili esistenti negli alvei dei fiumi, torrenti, rivi, scolatori pubblici e canali demaniali" (art. 169 comma 1 lettera k). e a "...ispeciale autorizzazione del Ministero dei lavori pubblici, e sotto la osservanza delle condizioni dal medesimo imposte..." di altre opere tra cui "Le nuove costruzioninell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatori pubblici o canali demaniali, di chiuse ed altra opera stabile per le derivazioni, di ponti, ponti canali e botti sotterranee, non che le innovazioni intorno alle opere di questo genere già esistenti" (art. 170).
Tali disposizioni sono state poi sostanzialmente trasfuse nella più ampia e articolata disciplina di cui al r.d. 25 luglio 1904, n. 523, recante il testo unico delle opere idrauliche delle varie categorie, che - oltre alla generale attribuzione all'autorità amministrativa di cui all'art. 2, ivi compresa "...altra opera qualunque fatta entro gli alvei e contro le sponde"- , all'art. 93 ebbe a sancire che "Nessuno può fare opere nell'alveo dei fiumi, torrenti, rivi, scolatoi pubblici e canali di proprietà demaniale, cioè nello spazio compreso fra le sponde fisse dei medesimi, senza il permesso dell'autorità amministrativa", riproponendo all'art. 96 i divieti assoluti in ordine a una serie di opere, all'art. 97 la subordinazione allo speciale permesso del Prefetto, della ricostruzione, tra l'altro, di ponti (lettera k), e all'art. 98 l'esigenza della speciale autorizzazione dei Ministero, per le nuove costruzioni nell'alveo, ivi compresi i ponti (lettera d).
2.5) Gli appellanti, con suggestiva argomentazione, allo scopo di superare la radicale insuscettività di assoggettamento al regime giuridico proprietario di opera pertinenziale a bene del demanio naturale e necessario, hanno insistito da un lato sulla relazione di pertinenzialità con la strada poderale che attraversa il terreno in funzione di congiungerne i due tratti separati dal corso del fiume Sacco, dall'altro hanno negato che il ponte interferisse con il regime delle acque.
Sennonché la funzione principale ed essenziale di un ponte realizzato su un fiume, torrente o corso d'acqua, è appunto il suo scavalcamento e quindi è innegabile che l'opera costituisca anzitutto e in modo fondamentale una pertinenza del bene demaniale, essendo posta a durevole servizio di questo, e a questo incorporata attraverso l'appoggio stabile sulle sue sponde, oltre che in relazione alla sua insistenza sullo spazio verticale sovrastante l'alveo del corso d'acqua pubblica, non potendo immaginarsi che, per il demanio, non valga la regola che riguarda la proprietà privata, già espressa dal noto brocardo "usque ad sidera, usque ad inferos", ripresa dall'art. 440 del codice civile del 1865 ("Chi ha la proprietà del suolo ha pur quella dello spazio sovrastante e di tutto ciò che si trova sopra o sotto la superficie") e, sia pure in maniera più articolata, dall'art. 840 del codice civile del 1942 ("La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene...": comma 1; "Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle": comma 2).
D'altra parte, è evidente che ogni opera costruita in ambito fluviale, proprio per la sua insistenza sulle sponde non può non incidere sul regime delle acque, comunque interferendo con il loro corso, poiché modifica la larghezza dell'alveo e la conformazione naturale dei suoi argini, e incide sul deflusso delle acque anche in funzione della sua c.d. franchigia, o franco idraulico, sopratutto in caso di piena.
3.) Alla stregua dei rilievi che precedono, deve quindi convenirsi col lineare percorso argomentativo del giudice di primo grado, come integrato dalle osservazioni che precedono, in ordine al negativo accertamento della proprietà privata del ponte, in quanto pertinenza di bene del demanio naturale e necessario e quindi ad esso appartenente, alla conseguente piena legittimità della sua occupazione e della sua non inclusione nell'elenco dei beni privati da espropriare, all'infondatezza infine della domanda risarcitoria proposta.
4.) La relativa novità e particolarità delle questioni esaminate giustifica la compensazione tra le parti delle spese ed onorari anche del giudizio d'appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) così provvede sull'appello in epigrafe n.r. 1758 del 2011:
1) rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione II bis, n. 33983 del 24 novembre 2010;
2) dichiara compensate per intero tra le parti le spese e onorari del giudizio d'appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/11/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)