Cass. Sez. III n. 5576 del 9 febbraio 2023 (UP 12 ott 2022)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Rogato
Ambiente in genere.Procedura estintiva delle contravvenzioni
L’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, pone una precisa linea di confine di tale meccanismo estintivo rispetto alla fattispecie “premiale” prevista, dall’art. 452-decies cod. pen. (ravvedimento operoso), a beneficio degli autori dei delitti ivi previsti, definendo l’ambito di applicazione delle successive norme alle sole contravvenzioni sanzionate dal medesimo decreto n. 152, cit., a condizione che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette. Il danno (o il pericolo concreto e attuale di danno) ostativo alla estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale non si identifica con il "danno ambientale" di cui all'art. 300, d.lgs. n. 152 del 2006, potendo avere dimensioni e consistenza minori e riguardare, oltre le risorse naturali, anche quelle urbanistiche o paesaggistiche protette. Deve pertanto essere respinta la tesi della sostanziale obbligatorietà dell’adozione, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, della procedura estintiva, poiché l’interpretazione letterale deve essere coniugata con quella sistematica, non potendosi prescindere dal presupposto applicativo dell’intera procedura chiaramente preteso dalla norma di apertura dell’intera parte VI bis: l’assenza, come detto, del danno o del pericolo di danno. Ragionare diversamente porterebbe alla conclusione della sostanziale superfluità dell’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006.
RITENUTO IN FATTO
1. I sigg.ri Pasquale Rogato e Giuseppe Rogato ricorrono per l’annullamento della sentenza del 19/10/2021 del Tribunale di Termini Imerese che li ha dichiarati colpevoli del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 279, comma 1 (in relazione all’art. 269, comma 8), d.lgs. n. 152 del 2006, e li ha condannati alla pena di 3.000,00 euro di ammenda ciascuno.
1.1. Con il primo motivo deducono la violazione degli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, non essendo stata messa in atto la procedura amministrativa finalizzata all’estinzione del reato. Di conseguenza il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare non doversi procedere nei loro confronti perché l’azione non doveva iniziare, né proseguire.
1.2. Con il secondo motivo deducono la violazione degli artt. 190, 468, 499 e 507 cod. proc. pen., in relazione al tema probatorio della natura sostanziale della modifica apportata allo stabilimento.
1.3. Con il terzo motivo deducono la violazione dell’art. 268, comma 1, lett. m-bis), d.lgs. n. 152 del 2006, e il vizio di motivazione mancante o manifestamente illogica in relazione alla natura sostanziale della modifica apportata allo stabilimento
1.4. Con il quarto motivo deducono il vizio di omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. I ricorsi sono infondati.
3. I ricorrenti sono stati dichiarati penalmente responsabili del reato loro ascritto perché, quali legali rappresentanti della società «Cinozoo Tre “R” S.r.l.», esercente attiva di produzione di mangimi per animali, avevano violato le prescrizioni contenute nell’autorizzazione unica ambientale n. 288/2017 apportando modifiche sostanziali allo stabilimento, installando, in particolare, la zona di macinazione in posizione diversa da quella prevista nonché un’attività di selezione sementi con punti di emissione non previsti (così la rubrica).
3.1. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta che l’11/10/2018, personale della Polizia Provinciale Ambiente della Provincia Regionale di Palermo aveva effettuato un sopralluogo presso lo stabilimento della società dei ricorrenti all’esito del quale erano stati accertati: a) la presenza di quattro silos di stoccaggio non previsti nella planimetria dell’impianto autorizzato, oltre ad un punto E3 non autorizzato; b) il collegamento, al sementificio, di tre ulteriori silos non riportati nella planimetria. Dopo il sopralluogo, la società aveva chiesto (ed ottenuto) una nuova autorizzazione unica ambientale.
3.2. Il Tribunale ha così tratto il convincimento che si trattasse «di modifiche sostanziali dello stabilimento, con la creazione di nuovi punti di immissione in atmosfera, nuovi silos, e la creazione di una nuova e rilevante parte di impianto, certamente idoneo, per le variazioni apportate, a determinare un danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche e paesaggistiche protette, tanto da determinare la stessa ditta, a seguito del sopralluogo dell’11.10.2018, recependo i rilievi formulati, a chiedere nuova autorizzazione sulla base della nuova situazione, poi effettivamente rilasciata nell’anno 2020» (pag. 5 della sentenza).
4. Tanto premesso, il primo ed il secondo motivo sono infondati.
4.1. La parte VI bis del d.lgs. n. 152 del 2006 - Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale, contenente gli artt. da 318-bis a 318-octies - è stata introdotta dall’art. 1, comma 9, legge n. 68 del 2015, la stessa legge che ha inserito il titolo sesto-bis del libro secondo del codice penale - intitolato “delitti contro l’ambiente”.
4.2. L’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006, pone una precisa linea di confine di tale meccanismo estintivo rispetto alla fattispecie “premiale” prevista, dall’art. 452-decies cod. pen. (ravvedimento operoso), a beneficio degli autori dei delitti ivi previsti, definendo l’ambito di applicazione delle successive norme alle sole contravvenzioni sanzionate dal medesimo decreto n. 152, cit., a condizione che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.
4.3. Il danno (o il pericolo concreto e attuale di danno) ostativo alla estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale non si identifica con il "danno ambientale" di cui all'art. 300, d.lgs. n. 152 del 2006, potendo avere dimensioni e consistenza minori e riguardare, oltre le risorse naturali, anche quelle urbanistiche o paesaggistiche protette (Sez. 3, n. 25528 dell’11/12/2020, Mastrangelo, Rv. 281733 - 01).
4.4. Deve pertanto essere respinta la tesi difensiva della sostanziale obbligatorietà dell’adozione, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, della procedura estintiva, tesi riduttivamente fondata sull’interpretazione letterale dell’art. 318-ter, d.lgs. n. 152 del 2006, che, utilizzando il presente indicativo, imporrebbe l’incondizionata adozione delle prescrizioni (“l’organo di vigilanza….la polizia giudiziaria…impartisce). L’interpretazione letterale deve essere coniugata con quella sistematica, non potendosi prescindere dal presupposto applicativo dell’intera procedura chiaramente preteso dalla norma di apertura dell’intera parte VI bis: l’assenza, come detto, del danno o del pericolo di danno. Ragionare diversamente porterebbe alla conclusione della sostanziale superfluità dell’art. 318-bis, d.lgs. n. 152 del 2006.
4.5. Nè è vero che in questo modo «si finirebbe per subordinare l’accesso alla procedura estintiva della contravvenzione alla assoluta discrezionalità di tali soggetti [organo di vigilanza/polizia giudiziaria], non sottoposta ad alcun adeguato controllo giurisdizionale e con esiti evidentemente discriminatori»: immotivate decisioni dell’organo di vigilanza/polizia giudiziaria spalancano le porte, in tesi difensiva, all’arbitrio.
4.6. Ora, a parte il fatto che i ricorrenti non spiegano, nei fatti, in cosa sarebbe consistita questa ingiusta discriminazione e quale sia l’errore nel quale sarebbe incorso l’UPG dell’organo di vigilanza, essi non considerano che il sindacato sulla correttezza dell'operato dell'organo di vigilanza/polizia giudiziaria può (e deve) essere effettuato dal giudice penale; prova ne sia che l'adempimento tardivo (purché congruo) della prescrizione (e dunque l'inadempimento) oppure l'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall'organo di vigilanza (e, dunque, in violazione delle prescrizioni specificamente impartite) non ostano alla possibilità del contravventore di accedere all'oblazione (ancorché pagabile in misura superiore) sia in sede di indagini preliminari, sia in sede dibattimentale (art. 318-septies, d.lgs. n. 152 del 2006). Del resto, il giudice è tenuto a verificare in ogni momento la sussistenza dei presupposti non tanto del corretto esercizio dell'azione quanto delle condizioni che consentono al contravventore di beneficiare del meccanismo estintivo del reato al di fuori dei casi previsti dall'art. 162-bis cod. pen.
4.7. Nel caso di specie, il Tribunale afferma chiaramente, come visto, che la condotta degli imputati aveva arrecato un danno (o comunque un pericolo concreto e attuale di danno) alle matrici ambientali, urbanistiche e paesaggistiche, validando l’operato della polizia giudiziaria.
4.8. I ricorrenti lamentano (secondo motivo) il mancato accertamento giudiziale delle condizioni legittimanti il ricorso alla procedura estintiva della contravvenzione e la compressione delle facoltà difensive sul punto volte a chiarire se si trattasse di modifica sostanziale dell’impianto o alle conseguenze di tali modifiche.
4.9. Osserva il Collegio che l’indebita compressione, da parte del Presidente del collegio, del diritto dell'imputato ad effettuare l’esame o il controesame testimoniale non determina l'inutilizzabilità delle deposizione ai sensi dell'art. 191 cod. proc. pen., ma integra una nullità relativa ai sensi dell'art. 181 cod. proc. pen., sanata ove la parte presente nulla eccepisca (Sez. 3, n. 14245 del 17/03/2021, Moraca, Rv. 280923 - 01; Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 279063 - 01, secondo cui la generica doglianza sulle modalità di conduzione del dibattimento da parte del presidente del collegio non è deducibile in sede di impugnazione, potendo assumere rilevanza solo se abbia determinato una limitazione del contraddittorio per effetto dell'irrituale compressione dello svolgimento dell'esame e del controesame di una prova testimoniale, a condizione che tale questione sia stata eccepita dalla parte interessata immediatamente dopo il compimento dell’atto).
4.10. Non risulta, né i ricorrenti lo deducono, che la dedotta nullità sia stata tempestivamente eccepita, con quanto ne consegue in termini di (inammissibile) deducibilità in questa sede.
4.11. Nemmeno la violazione dell’art. 507 cod. proc. pen. può essere dedotta in sede di legittimità trattandosi di norma processuale il cui rispetto non è sancito a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza (art. 606, lett. c, cod. proc. pen.).
4.12. La perizia, osserva il Collegio, è mezzo di prova “neutro” che, potendo essere disposto d’ufficio o su richiesta di parte (art. 508 cod. proc. pen.), è sottratto alla disponibilità di queste ultime e rimesso alla discrezionalità del giudice (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 - 01), il quale ben può ritenerla superflua quando pensi di poter giungere alle medesime conclusioni di certezza sulla base di altre e diverse prove (Sez. 5, n. 9047 del 15/06/1999, Larini, Rv. 214295 - 01). La relativa decisione può viziare il percorso argomentativo della sentenza nella parte in cui deve dar conto dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati con riferimento a tutti gli aspetti della regiudicanda: a) accertamento del fatto; b) accertamento dei fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali; c) punibilità e determinazione della pena e/o della misura di sicurezza; d) responsabilità civile derivante da reato (art. 546, comma 1, cod. proc. pen.). Ed è solo in tale contesto che la decisione del giudice può essere sindacata in sede di legittimità nei termini (e nei limiti) fissati dall’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.
4.13. Ora, in virtù del principio del libero convincimento del giudice, la perizia non costituisce l’unico né obbligato strumento per convogliare nel processo il sapere scientifico, né il mezzo di prova tipico-legale previsto a tal fine. Anche la testimonianza “qualificata” (tale è quella resa dal “tecnico accertatore”, così descritto dalla sentenza l’UPG che aveva effettuato l’ispezione) può introdurre nel processo l’informazione necessaria alla decisione; allo stesso modo queste informazioni possono essere rese dal consulente tecnico. Nel caso di specie il CT della difesa è stato sentito ma le sue dichiarazioni sono state ritenute dal Tribunale tali da scalfire il quadro accusatorio (senza che su questo specifico punto vi sia una netta presa di posizione da parte dei ricorrenti).
5. Il terzo motivo è manifestamene infondato (e intrinsecamente contraddittorio).
5.1. Va in primo luogo stigmatizzato il richiamo al contenuto del verbale ispettivo del quale si deduce il travisamento ma che, in violazione del principio di autosufficienza, non è stato allegato al ricorso, sicché la Corte di cassazione non può sindacare la coerenza del fatto descritto in sentenza con la prova indicata come travisata (e non allegata).
5.2. L’art. 269, comma 8, d.lgs. n. 152 del 2006 (nella versione vigente pro-tempore) così recitava: «[i]l gestore che intende effettuare una modifica dello stabilimento ne dà comunicazione all'autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presenta, ai sensi del presente articolo, una domanda di autorizzazione. Se la modifica per cui è stata data comunicazione è sostanziale, l'autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di autorizzazione ai sensi del presente articolo. Se la modifica è sostanziale l'autorità competente aggiorna l'autorizzazione dello stabilimento con un'istruttoria limitata agli impianti e alle attività interessati dalla modifica o, a seguito di eventuale apposita istruttoria che dimostri tale esigenza in relazione all'evoluzione della situazione ambientale o delle migliori tecniche disponibili, la rinnova con un'istruttoria estesa all'intero stabilimento. Se la modifica non è sostanziale, l'autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto. Se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere successivamente. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 275, comma 11. Il rinnovo dell'autorizzazione comporta, a differenza dell'aggiornamento, il decorso di un nuovo periodo di quindici anni».
5.3. Ai sensi dell’art. 268, comma 1, lett. m-bis), d.lgs. n. 152, cit., per modifica sostanziale si deve intendere quella «che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse e che possa produrre effetti negativi e significativi sull’ambiente (…) Le regioni e le province autonome possono, nel rispetto della presente definizione, definire ulteriori criteri per la qualificazione delle modifiche sostanziali e indicare modifiche non sostanziali per le quali non vi è l'obbligo di comunicazione di cui all'articolo 269, comma 8»
5.4. Si tratta, all’evidenza, di una valutazione di natura fattuale che non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua, coerente con le prove indicate dal giudice, non manifestamente illogica e non intrinsecamente o estrinsecamente contraddittoria, non essendo indispensabile, come anticipato, una perizia che accerti le conseguenze, sulle matrici ambientali, delle modifiche apportate all’impianto.
5.5. Non è perciò manifestamente illogico dedurre dalla situazione di fatto descritta dal Tribunale (la realizzazione di nuovi punti di immissione in atmosfera e di nuovi silos nonché la creazione di una nuova e rilevante parte di impianto) la conclusione dell’effettivo, tangibile aumento delle emissioni in atmosfera e della idoneità di tali modifiche a determinare un danno o un pericolo concreto alle matrici ambientali.
5.6. E del resto, la tesi difensiva è stata smentita dal fatto che gli stessi ricorrenti hanno dovuto chiedere (ed hanno ottenuto) una nuova autorizzazione.
5.7. Nè, sul diniego dell’applicazione della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto (spiegato dal Tribunale, ancora una volta, con la gravità del danno e del pericolo arrecato all’ambiente e al territorio), vi è una chiara presa di posizione, essendosi i ricorrenti limitati ad affermare che «in ogni caso avrebbe dovuto essere applicato l’art. 131-bis c.p. come espressamente richiesto».
6. E’ del tutto infondato l’ultimo motivo.
6.1. La applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce oggetto di un diritto con il cui mancato riconoscimento il giudice di merito si deve misurare poiché, non diversamente da quelle “tipizzate”, la loro attitudine ad attenuare la pena si deve fondare su fatti concreti. Il loro diniego può essere legittimamente giustificato, come nel caso di specie, con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/2013, Stelitano, Rv. 195339).
6.2. Peraltro, già da prima della suddetta modifica normativa, questa Corte, in tema di attenuanti generiche, aveva affermato il principio di diritto secondo il quale, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l'affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell'imputato volta all'ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; nello stesso senso, più recentemente Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696, che ha ribadito il principio secondo cui il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza).
6.3. Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto l’insussistenza di elementi di valutazione favorevoli, avendo escluso tale valenza alla postuma regolarizzazione dell’impianto, senza che i ricorrenti abbiano dedotto, in questa sede, quali ulteriori, specifici indici di ulteriore attenuazione della pena fossero stati indicati al Tribunale a sostegno della generica richiesta di attenuanti generiche.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12/10/2022.