Cass. Sez. III n. 34853 del 9 sett. 2009 (Ud. 08 apr.2009)
Pres. Lupo Est.Franco Ric. Piccinini
Alimenti. Controlli e analisi.

Le modalità di svolgimento dei controlli e delle analisi per l\'accertamento di penali responsabilità in materia di commercio di prodotti alimentari deteriorabili, dirette ad assicurare le garanzie difensive, non possono essere derogate da atti amministrativi regionali che prevedano il prelievo di un numero di aliquote del campione da analizzare inferiore alle tre o quattro previste dalla legge statale.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 08/04/2009
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 823
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 2038/2009
ha pronunciato la seguente:



SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Piccinini Vittorio, nato a Forti il 25.3.1937;
avverso la sentenza emessa il 20 febbraio 2008 dal giudice del tribunale di Perugia;
udita nella pubblica udienza dell\'8 aprile 2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCO Amedeo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l\'annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
udito il difensore avv. ANDREIS Gianclaudio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Perugia dichiarò Piccinini Vittorio, quale legale rappresentante della soc. Avicoop di Cesena, colpevole del reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), per avere commercializzato una confezione di petto di pollo nociva e invasa da parassiti, perché contenente batteri del tipo Campylobacter portatori di salmonellosi, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
L\'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione del D.Lgs. n. 123 del 1993 e dell\'art. 223 disp. att. c.p.p. in relazione alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d), e manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che la sentenza impugnata non chiarisce se nel supermercato al momento del prelevamento vi fossero una o più confezioni del prodotto in questione, ma ha solo specificato che fu prelevata una sola aliquota perché si trattava di prodotto sigillato. Però il fatto che il prodotto fosse sigillato non escludeva che ci potessero essere altre confezioni che potevano essere prelevate per formare tutte le aliquote. Vi è quindi mancanza di motivazione sulla correttezza della procedura eseguita. Rileva che il prodotto in questione rientrava nell\'ambito di applicazione del D.M. 16 dicembre 1993 e quindi il laboratorio, avendo accertato la non conformità, doveva procedere a comunicare all\'interessato il giorno della seconda analisi, ai sensi dell\'art. 223 disp. att. c.p.p.. Dovevano comunque essere prelevate più aliquote, mentre non è esatto che non si potessero formare più aliquote del campione per rispetto dell\'asepsi. In ogni caso è di fondamentale importanza la ripetizione della prima analisi, essendo notoria l\'incertezza delle analisi microbiologiche. L\'analisi unica, anche se garantita, non può essere parificata alla revisione o ripetizione delle analisi sia per motivi scientifici sia perché sarebbe oneroso economicamente per l\'azienda mandare un suo tecnico in laboratori anche lontani per assistere ad un\'unica analisi.
2) erronea applicazione della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. d). Lamenta che, in assenza di limiti di tollerabilità prefissati, la presenza accertata solo qualitativamente e non quantitativamente del batterio non comportava lo stato di nocività del prodotto. La sola presenza del germe non poteva perciò considerarsi fattore di rischio. In tal modo si è ritenuto il reato in questione come reato di pericolo astratto, a prescindere da ogni valutazione sulla concreta possibilità di nocumento per la salute, mentre la nocività deve essere reale e non astratta. Il giudice ha poi errato anche laddove, dopo aver ammesso che si trattava di batterio termolabile incapace di sopravvivere a temperature superiori a 50 - 55 gradi, ha ritenuto irrilevante che il petto di pollo venisse venduto con l\'avvertimento da consumersi previa cottura e che la cottura valeva a scongiurare qualsiasi rischio. Il giudice non ha invero considerato che il petto di pollo è un prodotto che viene consumato sempre e solo previa cottura, la quale quindi costituisce un trattamento necessario, cui procedono tutti gli acquirenti. In tal modo il giudice ha di nuovo considerato il reato come di pericolo astratto.
3) violazione dell\'art. 530 c.p.p. in relazione agli artt. 42 e 43 c.p.. Lamenta che il giudice ha erroneamente ritenuto irrilevanti le procedure ed i controlli effettuati dall\'azienda. Egli aveva posto in essere tutti gli accorgimenti necessari per osservare la legge e quindi nessun rimprovero poteva essergli mosso. Illogicamente il giudice ha escluso la possibilità che il batterio potesse aver contaminato il prodotto successivamente presso il punto vendita, trattandosi di confezione non ermetica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che il primo motivo sia fondato perché effettivamente la motivazione della sentenza impugnata è poco chiara e contraddittoria sul punto decisivo concernente le modalità di prelevamento del campione da sottoporre ad analisi, non essendo state assolutamente indicate le ragioni per le quali non sarebbe stato possibile prelevare più di una aliquota, ed in particolare non essendo stato nemmeno precisato se nel supermercato vi fossero una o più confezioni del prodotto in questione. La sentenza impugnata si limita infatti ad affermare genericamente che non era possibile prelevare più campioni o più aliquote del campione. Nel verbale di sequestro si legge che fu prelevata una sola confezione di Kg. 2,578 di petto di pollo, e che fu presa una "unica aliquota perché era un prodotto sigillato". Tuttavia, il fatto che il prodotto fosse sigillato evidentemente non escludeva che ci potessero essere altre confezioni che avrebbero potuto essere prelevate per formare tutte le aliquote. Vi è quindi una mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta correttezza della procedura seguita nel corso del prelevamento, perché, da un lato, è manifestamente illogica l\'affermazione che si sarebbe potuta prelevare una sola confezione perché questa era sigillata e, da un altro lato, non è specificato se vi fossero altre confezioni che avrebbero potuto anch\'esse essere prelevate per formare il necessario quantitativo di aliquote. D\'altra parte, oltre che manifestamente illogica, è anche apodittica l\'affermazione che l\'unica confezione prelevata non poteva essere divisa in quattro aliquote (sebbene contenesse ben Kg. 2,578 di petto di pollo) perché l\'apertura della confezione avrebbe potuto causare un rischio di contaminazione. E difatti già l\'ordinanza ministeriale 11 ottobre 1978 (Limiti di cariche microbiche tollerabili in determinate sostanze alimentari e bevande) stabiliva all\'art. 3 che "il prelevamento di sostanze alimentari racchiuse in contenitori di cui si debba procedere all\'apertura all\'atto del prelevamento, deve essere eseguito con adeguata attrezzatura e con le regole dell\'asepsi", precisando al comma 4 che "Il campione prelevato deve essere ripartito... in quattro aliquote". Ciò dimostra in modo inequivoco che, con la dovuta perizia e seguendo le regole legali e quelle dell\'asepsi, è ben possibile, ed anzi doveroso, prelevare il numero corretto di aliquote. Si sarebbe quindi dovuto adeguatamente motivare sulle ragioni per le quali nel caso di specie, invece, non sarebbe stato oggettivamente possibile seguire le normali regole dell\'asepsi e suddividere il campione in quattro aliquote, essendo peraltro evidente che eventuali carenze professionali o strumentali degli accertatoli non potrebbero comunque giustificare la violazione delle regole procedurali e del correlativo diritto di difesa. La circostanza è rilevante perché, quale che sia il tipo di nullità determinata dalla violazione delle norme relative alle modalità di prelevamento del campione ed alle aliquote da prelevare, nella specie la stessa è stata tempestivamente eccepita in limine litis, e quindi non può ritenersi sanata.
Il fatto contestato si è verificato il 10.5.2005, e quindi trova applicazione il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123 (recante Attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari), il cui art. 4, comma 1 (articolo non abrogato dall\'art. 3 D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 193), dispone che "per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili, indicati con decreto del Ministro della sanità, il responsabile del laboratorio provvede ai relativi accertamenti su un\'aliquota del campione ed in caso di non conformità, provvede con tempestività a darne avviso all\'interessato specificando il parametro difforme e la metodica di analisi e comunicando il luogo, il giorno e l\'ora in cui le analisi vanno ripetute limitatamente ai parametri risultati non conformi;
un\'altra aliquota resta di riserva presso il laboratorio per un\'eventuale perizia ordinata dall\'autorità giudiziaria". Questa disposizione - posta da atto avente forza di legge - stabilisce dunque che, in caso di prodotti alimentari deteriorabili, il prodotto deve essere suddiviso in almeno tre aliquote: la prima destinata alla preanalisi, la seconda all\'eventuale ripetizione limitatamente ai parametri che risultino non conformi, e la terza da conservarsi presso il laboratorio per una eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria.
La disposizione è stata poi integrata - e non modificata - dal D.M. 16 dicembre 1993, emanato proprio in forza della delega (o autorizzazione) contenuta nel medesimo D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4. Il decreto ministeriale ha proceduto alla "individuazione delle sostanze alimentari deteriorabili alle quali si applica il regime di controlli microbiologici ufficiali" ed all\'art. 1 ha stabilito che costituiscono, tra gli altri, prodotti alimentari deteriorabili "i prodotti alimentari preconfezionati, destinati come tali al consumatore, il cui periodo di vita commerciale, inferiore a novanta giorni, risulti dalla data di scadenza indicata in etichetta, con la dicitura "da consumarsi entro" (comma 1, lett. a)) e le "carni fresche" (comma 1, lett. c), n. 3). Non vi sono quindi dubbi che nella specie si trattava di prodotto deteriorabile e che quindi dovevano essere seguite le relative procedure.
Al D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 2 il medesimo decreto ha poi stabilito che "per i prodotti alimentari deteriorabili di cui all\'art. 1, comma 1, non essendo possibile effettuare l\'analisi di revisione secondo le modalità di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, il campione prelevato alfine del controllo microbiologico va ripartito dalla persona incaricata del prelievo in quattro aliquote, ciascuna delle quali in quantità congrua per l\'espletamento delle analisi da effettuare. Una delle quattro aliquote, conservate con l\'osservanza delle previsioni previste dall\'art. 1, comma 3, viene consegnata dal prelevatore al detentore del prodotto alimentare unitamente al verbale di prelevamento, mentre le altre tre aliquote vengono consegnate ai laboratori competenti per territorio per l\'effettuazione, su una prima aliquota, degli accertamenti analitici e per la ripetizione, su una seconda aliquota, delle analisi limitatamente ai parametri eventualmente risultati non conformi. L\'ultima aliquota, infine, resta di riserva presso il laboratorio per un\'eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria". Il decreto ministeriale in esame, dunque, ha previsto che, oltre alle tre aliquote già prescritte dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, sia prelevata una quarta aliquota da consegnarsi al detentore del prodotto alimentare per permettere un più compiuto esercizio del diritto di difesa. Tale disposizione non si pone in contrasto col D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, sia perché è stata emanata proprio in forza della delega ivi prevista, sia perché è solo integrativa (e non modificativa) delle disposizioni del decreto legislativo, limitandosi a prescrivere la necessità di una quarta aliquota da consegnare all\'interessato, ossia a porre una prescrizione pienamente conforme al sistema delineato dall\'atto avente forza di legge. Tale previsione, del resto, è conforme anche alla previgente disciplina regolamentare in materia di controlli alimentari, dal momento che già la ricordata ordinanza ministeriale dell\'11 ottobre 1978, sulle cariche microbiche, disponeva (art. 4 e tabella B) che ai fini del campionamento delle sostanze alimentari occorre costituire quattro aliquote del campione prelevato, da destinare al laboratorio di analisi di prima istanza, all\'istituto superiore di sanità per le analisi di revisione, alla autorità giudiziaria per l\'eventuale perizia, ed al produttore.
Si tratta però ora di stabilire se queste previsioni sul numero di aliquote da prelevare (sia quella posta dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4, sia quella posta dal D.M. 16 dicembre 1993) possano ritenersi superate o derogate da atti amministrativi regionali (non aventi forza di legge regionale), che eventualmente prevedano un numero inferiore di aliquote.
Si è infatti rilevato che la L. 19 febbraio 1992, n. 142, art. 52 (legge comunitaria per il 1991) ha stabilito che "l\'organizzazione dei controlli ufficiali dei prodotti alimentari dovrà assumere una distribuzione nazionale territoriale omogenea e adottare gli stessi metodi di controllo sia per i prodotti destinati ad essere commercializzati nel territorio nazionale che per quelli destinati in altro Stato membro o fuori della Comunità" (comma 1) e che "per assicurare il controllo della conformità degli alimenti alla legislazione alimentare in conformità alla direttiva del Consiglio 89/397/CEE, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono appositi programmi che definiscono la natura e la frequenza dei controlli che debbono essere effettuati regolarmente durante un periodo determinato, secondo criteri uniformi emanati ai sensi della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 5" (comma 2). In forza di tale delega ed al fine di emanare i criteri uniformi di cui alla L. 19 gennaio 1992, n. 142, art. 52, comma 2, è stato poi emanato il D.P.R. 14 luglio 1995, contenente l\'"Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e province autonome sui criteri uniformi per l\'elaborazione dei programmi di controllo ufficiale degli alimenti e bevande", il quale stabilisce, all\'art. 1, che le regioni e le province autonome "predispongono appositi programmi per definire la natura e la frequenza dei controlli" secondo criteri uniformi, ed all\'art. 2, comma 5, che "il numero dei campioni da prelevare nel corso dell\'ispezione per gli accertamenti analitici di laboratorio deve corrispondere al volume, alla complessità e alla vulnerabilità igienica della produzione, nonché ad eventuali peculiari necessità emergenti dall\'ispezione".
Si è sostenuto che tale previsione prevarrebbe su quella del D.M. 16 dicembre 1993 e su quella del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, e che quindi gli atti amministrativi regionali (non aventi forza di legge regionale) potrebbero stabilire un numero di aliquote inferiore a quelle previste da questi ultimi due atti normativi statali (cfr. Sez. 3^, 28.6.2006, dep. 13.11.2006, n. 37400, Bigi). Nel caso in esame, il giudice del merito ha ritenuto che fossero appunto applicabili le deliberazioni della giunta regionale umbra che prevedono, secondo quanto afferma la sentenza impugnata, "la possibilità, rimessa sostanzialmente alla discrezionalità degli operatori, di prelevare un\'aliquota unica, nel caso di alimenti con vita commerciale inferiore a 15 giorni o qualora la quantità di matrice sia insufficiente ad allestire le aliquote dovute". Si ritiene però che questa tesi non possa essere seguita e debba invece essere confermato l\'orientamento secondo cui le prescrizioni contenute nel D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, e nel D.M. 16 dicembre 1993 in tema di aliquote minime che devono essere prelevate per le analisi microbiologiche non sono state modificate o superate dal D.P.R. 14 luglio 1995 ne\' tanto meno da eventuali atti amministrativi regionali (cfr. Sez. 3^, 2 marzo 2006, dep. 12.7.2006, n. 24056, Bigi).
Innanzitutto, invero, in questa sede si tratta di stabilire quale sia la disciplina relativa alla procedura per i prelievi e le analisi da seguire ai fini penali, in sede di indagini preliminari e per l\'accertamento di eventuali reati. Non hanno quindi rilievo le norme dettate ad altri fini, quale quello di assicurare una uniformità dei controlli amministrativi per finalità amministrative. Pertanto, poiché le regioni non hanno competenza in materia penale, le eventuali differenti norme regionali in materia di campionamenti e di prelievi devono comunque essere interpretate in via adeguatrice nel senso che esse hanno rilievo solo ai fini amministrativi e che non incidono sulle norme statali disciplinanti le procedure da seguire per l\'accertamento di eventuali reati e pertanto applicabili dal giudice penale nel processo penale.
Questa interpretazione, del resto, corrisponde anche alla lettera ed alla ratto delle disposizioni in questione. La L. 19 gennaio 1992, n. 142, art. 52, infatti, non si proponeva affatto di dettare una nuova disciplina delle garanzie di difesa relative ai prelevamenti dei campioni per le analisi che possano costituire prova anche in sede penale, bensì aveva il differente fine di stabilire su tutto il territorio nazionale una organizzazione omogenea dei controlli amministrativi dei prodotti alimentari, con metodologie di controllo identiche per tutti i prodotti a prescindere dalla loro destinazione. All\'atto di indirizzo e coordinamento previsto dal comma 2 era pertanto demandato di fissare criteri uniformi in ordine alla natura ed alla frequenza dei controlli che debbono essere effettuati in un determinato periodo di tempo. Conseguentemente, l\'atto di indirizzo e coordinamento emanato, in attuazione di tale disposizione, con D.P.R. 14 luglio 1995 ha previsto la predisposizione da parte delle regioni di appositi programmi per definire la natura e la frequenza dei controlli, disponendo infine all\'art. 2, comma 5, che il numero dei campioni da prelevare deve corrispondere al volume, alla complessità e alla vulnerabilità igienica della produzione e ad eventuali necessità emergenti dall\'ispezione.
È quindi evidente come sia la L. 19 gennaio 1992, n. 142, art. 52, sia il D.P.R. 14 luglio 1995 abbiano inteso solo assicurare l\'omogeneità, la natura e la frequenza dei controlli amministrativi sugli alimenti, ma non anche disciplinare le garanzie difensive da applicarsi nel procedimento penale relativamente alle modalità di campionamento o al numero minimo di campioni da prelevare, ovvero derogare alle norme statali che fissano tale numero ai fini penali. Del resto, il citato atto di indirizzo e coordinamento di cui al D.P.R. 14 luglio 1995, all\'art. 2, comma 2, dispone che per i prodotti alimentari di cui al comma 1, lett. a) - che, al n. 6 comprende anche le carni fresche e le carni di pollame - si applicano le norme del D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, nonché le disposizioni e le procedure di controllo recate dalle norme di settore indicate nella tabella 1 (la quale tabella, al n. 4, indica, quali provvedimenti normativi di riferimento per le carni di pollame, il D.P.R. 8 giugno 1982, n. 503 e la direttiva 91/116/CEE). Può inoltre osservarsi che la tesi che qui non si condivide si basa sia sull\'assunto che il D.P.R. 14 luglio 1995 trarrebbe la sua forza ed efficacia dalla L. 19 gennaio 1992, n. 142, art. 52, e sia sull\'assunto, implicito, che tale disposizione legislativa conterrebbe anche una norma che autorizzerebbe il conferimento alle regioni del potere di determinare autonomamente il numero dei campioni e delle aliquote da prelevare. Ma se così fosse, ossia se davvero la L. 19 gennaio 1992, n. 142, art. 52 contenesse una norma siffatta, è facile osservare che tale norma, in virtù del criterio cronologico, sarebbe stata evidentemente abrogata per incompatibilità dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4. Quest\'ultima disposizione, infatti, successiva nel tempo, ha previsto in modo rigido e preciso, per consentire un compiuto esercizio del diritto di difesa, che per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili devono essere prelevate almeno tre aliquote del prodotto e che devono applicarsi le procedure di cui all\'art. 223 c.p.p.. Essa dunque ha abrogato per incompatibilità tutte le norme precedenti che, per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili, eventualmente prevedessero o comunque consentissero il prelevamento di un numero inferiore di aliquote del prodotto, e pertanto anche la ipotizzata norma della L. 19 gennaio 1992, n. 142, art. 52, che, secondo l\'assunto, avrebbe consentito di demandare alle singole regioni di stabilire in modo autonomo il numero delle aliquote.
Ne deriva che il D.P.R. 14 luglio 1995, qualora realmente contenesse una norma che autorizzi le regioni a prevedere autonomamente il numero delle aliquote del campione da prelevare relativamente ai controlli microbiologici dei prodotti alimentari deperibili, sarebbe privo per questo aspetto di un fondamento legislativo. Anzi tale norma dell\'atto di indirizzo e coordinamento sarebbe chiaramente illegittima - e dovrebbe essere disapplicata dal giudice - perché in contrasto con il citato D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123 , art. 4, ossia con una disposizione non solo avente forza di legge, ma addirittura entrata in vigore successivamente alla disposizione legislativa sulla quale l\'atto di indirizzo si fonda.
È anche evidente che tutti gli eventuali atti amministrativi regionali che - sempre in relazione ai controlli microbiologici dei prodotti alimentari deperibili - dovessero prevedere un numero di aliquote del campione inferiore alle quattro previste dal D.M. 16 dicembre 1993 (o alle cinque nell\'ipotesi stabilita dall\'art. 2, comma 2), o comunque alle tre previste dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4, sarebbero - per tale parte - illegittimi e dovrebbero essere disapplicati. Anche volendo ipotizzare, invero, che il D.P.R. 14 luglio 1995 e gli atti amministrativi regionali potessero prevalere sul D.M. 16 dicembre 1993 (ma per le ragioni dianzi indicate ciò deve escludersi), essi comunque non potrebbero porsi in contrasto con il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4, ossia con norme che oltretutto disciplinano una materia (garanzie difensive nell\'ambito del procedimento penale) che esula dalla competenza regionale.
D\'altra parte, l\'illegittimità degli atti amministrativi regionali, nella parte in cui prevedessero un numero inferiore di aliquote anche per i controlli microbiologici in questione, è confermata dalla stessa sentenza impugnata, laddove ammette che l\'atto amministrativo regionale umbro prevederebbe la possibilità in alcune ipotesi di prelevare anche una aliquota unica, e che tale possibilità sarebbe "sostanzialmente rimessa alla discrezionalità degli operatori". È evidente infatti che fondamentali garanzie di difesa previste espressamente dal legislatore nel procedimento penale e nella fase delle indagini preliminari non potrebbero venir meno od essere eluse da una decisione discrezionale degli accertatori, ai quali peraltro il potere sarebbe stato attribuito da un atto amministrativo regionale.
Del resto, la previsione del numero delle aliquote del campione da prelevare è essenziale al sistema previsto dal legislatore per garantire il diritto di difesa anche nel procedimento penale. La disciplina dettata in via generale dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, in materia di vigilanza sanitaria sui prodotti alimentari contemplava per tutti i tipi di prodotti alimentari prelevati: un primo accertamento, di natura tecnico - amministrativa, ad opera dei laboratori all\'uopo autorizzati, che si svolge quindi al di fuori dell\'ambito processuale; la comunicazione all\'interessato dei risultati delle analisi, se a lui sfavorevoli, sì da consentirgli di richiederne la revisione; solo successivamente, in caso di mancata richiesta dell\'interessato o di conferma - in sede di revisione - dei primi risultati, la denuncia all\'autorità giudiziaria. La Corte costituzionale, con sentenza n. 434 del 1990, dichiarò però l\'illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 1, comma 2, nella parte in cui non prevede che, per i casi di analisi su campioni di sostanze alimentari deteriorabili, il laboratorio dia avviso dell\'inizio delle operazioni di analisi alle persone interessate, affinché queste possano presenziare all\'effettuazione delle analisi. L\'art. 223 disp. att. c.p.p. ha poi distinto a seconda che i campioni prelevati ai fini dell\'analisi possano o meno essere oggetto di revisione; nel primo caso (comma 2), rinviando il rispetto dei diritti della difesa alla eventuale fase della revisione, nel secondo caso (comma 1), anticipando tale tutela al momento della prima analisi. Il sistema dei controlli microbiologici sulle sostanze alimentari deteriorabili è stato poi disciplinato in modo specifico dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, il quale, come già rilevato, all\'art. 4, prevede, nel caso di prodotti deteriorabili, che il responsabile del laboratorio provvede alle analisi su una aliquota del campione; in caso di non conformità deve tempestivamente avvisare l\'interessato indicandogli, tra l\'altro, quando e dove le analisi verranno ripetute limitatamente ai parametri risultati non conformi, conservando in laboratorio una terza aliquota del campione per una eventuale perizia ordinata dalla autorità giudiziaria.
In sostanza, al contrario del sistema previsto dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, come modificato dalla sentenza costituzionale n. 434 del 1990, il sistema delineato dal D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, e dal D.M. 16 dicembre 1993 per i prodotti alimentari deteriorabili ivi indicati, partendo dal presupposto che sia impossibile l\'analisi di revisione, impone al laboratorio che abbia accertato nella prima analisi parametri non conformi, di procedere d\'ufficio alla ripetizione dell\'analisi limitatamente ai parametri non conformi, preavvisando la persona interessata.
Proprio per permettere al sistema di funzionare il D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, prevede che debbano essere prelevate tre aliquote del campione (una per la preanalisi; una seconda per la eventuale ripetizione limitatamente ai parametri risultati non conformi; ed una terza per una eventuale perizia giudiziale). Il D.M. 16 dicembre 1993, poi, ampliando le garanzie di difesa, prevede una quarta aliquota da consegnare all\'interessato (ed anche una quinta aliquota in determinate ipotesi).
Ora, se l\'atto amministrativo regionale che preveda una sola aliquota fosse legittimo e dovesse applicarsi, il sistema di garanzie per l\'eventuale imputato non potrebbe più funzionare, perché non sarebbe più possibile consentire la ripetizione dell\'analisi relativamente ai parametri risultati non conformi nella preanalisi amministrativa e nemmeno vi sarebbe più la possibilità per l\'imputato di chiedere e per il giudice di disporre una perizia nel corso del processo penale.
Nè sarebbe possibile sostenere (come fa la sentenza impugnata che ritiene sufficiente una sola aliquota) che la necessità delle tre (o quattro) aliquote del campione venga meno qualora gli accertatoli avvisino l\'interessato del luogo e della data della preanalisi, mettendolo in condizione di parteciparvi con un proprio consulente, sicché non sarebbe più necessaria la "ripetizione dell\'analisi". Il sistema previsto dal legislatore sarebbe infatti ugualmente stravolto. In primo luogo, verrebbe meno una garanzia fondamentale, ossia la possibilità di disporre una perizia nel processo penale. In secondo luogo, l\'eventuale invito all\'interessato di partecipare alla preanalisi ed anche l\'eventuale partecipazione, non farebbero comunque venir meno la necessita di rendere possibile una ripetizione dell\'analisi per i parametri risultati non conformi. È infatti noto che, in ambito microbiologico, i parametri rilevati dalla prima analisi possono risultare difformi, perché, trattandosi di analisi microbiologiche e quindi volte alla ricerca di batteri, ed essendo questi per loro natura disomogenei, le risultanze del primo esame possono non essere confermate nel secondo. L\'attendibilità del risultato di analisi è quindi data anche dalla sua ripetizione. Non è dunque affatto la stessa cosa compiere una sola analisi, sia pure mettendo l\'interessato in condizione di parteciparvi, e compiere invece prima la preanalisi e poi la ripetizione dell\'analisi per i soli parametri risultati non conformi, dato che la doppia analisi da in ogni caso una maggiore garanzia di attendibilità del risultato. Inoltre, la non parificabilità dell\'analisi unica, anche se garantita, alla ripetizione dell\'analisi è determinata anche dal fatto che in quest\'ultima ipotesi si verificherebbero evidenti ed illogiche disparità di trattamento tra gli interessati a seconda della loro diversa capacità economica. Ed infatti, nel caso di un\'unica analisi, sia pure garantita, una qualsiasi azienda del settore, per potersi pienamente difendere, sarebbe costretta ad inviare un proprio consulente o un proprio tecnico presso tutti i laboratori italiani per assistere a tutte le innumerevoli analisi microbiologiche di routine, con evidenti elevati costi economici non da tutte le aziende sopportabili. Quindi, se davvero fosse sufficiente una sola analisi preceduta dal preavviso all\'interessato, quest\'ultimo si troverebbe nell\'alternativa o di sopportare rilevantissimi costi economici per presenziare a tutte indistintamente le analisi oppure di rinunciare a difendersi anche negli eventuali casi di analisi positiva, dal momento che, essendo stato prelevata una sola aliquota del campione, l\'analisi evidentemente non potrebbe più essere ripetuta. È proprio per questo che il legislatore ha previsto in ambito microbiologico un sistema razionale, che contempla sempre una prima analisi e solo all\'esito di questa la eventuale ripetizione, Ed è proprio per questo che anche quell\'affermazione giurisprudenziale secondo cui la mancata ripetizione della prima analisi non è causa di nullità qualora sia stata effettuata una prima analisi garantita, con anticipazione della procedura prevista dall\'art. 223 disp. att. c.p.p., ha espressamente sottolineato che la nullità non si verifica solo a condizione che l\'interessato non abbia avanzato richiesta di ripetizione dell\'analisi (Sez. 3^, 10.5.2005, n. 20510, Chirico, m. 231998). In altri termini anche secondo questa tesi potrebbe pure essere sufficiente una sola analisi garantita, ma deve essere in ogni caso salvaguardata la possibilità per l\'interessato (che abbia o meno partecipato alla prima analisi) di chiedere la ripetizione dell\'analisi, nonché, ovviamente, la possibilità che la ripetizione dell\'analisi sia in concreto effettuata. Ma se deve sempre essere possibile, anche solo a richiesta dell\'interessato, fare una ripetizione dell\'analisi, ciò evidentemente significa che non può essere sufficiente il prelievo di una sola aliquota del campione perché in tal caso, trattandosi in ipotesi di sostanza alimentare deperibile, la ripetizione di analisi non sarebbe mai possibile. Anche sotto tali profili quindi emerge l\'illegittimità - e la conseguente disapplicabilità - di eventuali atti amministrativi regionali che prevedessero, per le analisi microbiologiche di alimenti deteriorabili, il prelievo di una sola aliquota del campione e la nullità ai fini del processo penale di una procedura di accertamento che si fosse risolta nel prelievo di una sola aliquota o comunque di un numero di aliquote inferiore a quello previsto dalla normativa statale.
In conclusione deve essere affermato il seguente principio di diritto:
- la disposizione di cui al D.Lgs. 3 marzo 1993, n. 123, art. 4, comma 1, e quella di cui al D.M. 16 dicembre 1993, art. 2 - che per i controlli microbiologici dei prodotti alimentari deteriorabili stabiliscono rispettivamente l\'obbligo di prelevare tre e quattro aliquote del campione da analizzare - non sono state superate o derogate dal D.P.R. 14 luglio 1995, art. 52, comma 2, ne\' da eventuali atti amministrativi normativi regionali che eventualmente prevedano un numero inferiore di aliquote da prelevare, atti amministrativi che, qualora dovessero incidere sulle garanzie difensive nell\'ambito del procedimento penale, sarebbero illegittimi e dovrebbero essere disapplicati dal giudice. Pertanto, in accoglimento del primo motivo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Perugia, che si uniformerà al principio di diritto dianzi enunciato. Di conseguenza restano assorbiti - ed impregiudicati - il secondo ed il terzo motivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Perugia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 8 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2009