Corte Costituzionale sent.209 del 18 luglio 2014
Oggetto: Ambiente - Norme della Regione Campania - Autorizzazione agli scarichi di acque reflue - Domanda di autorizzazione - Obbligo a provvedere entro 60 giorni, decorsi i quali l'autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi 60 giorni, salvo revoca; Bilancio e contabilità pubblica - Sanità pubblica - Norme della Regione Campania - Aziende sanitarie locali - Obbligo di sottoscrivere con strutture autorizzate, nelle more dell'accreditamento istituzionale, contratti per le attività di cure palliative ai malati terminali-hospice, in base a tariffe da approvarsi dalla Giunta regionale; Ambiente - Norme della Regione Campania - Scarichi in corpi idrici superficiali - Istruttoria e autorizzazione - Prevista concessione dell'autorizzazione, salvo revoca, in caso di mancata decisione negativa nel termine di 60 giorni, prorogato di ulteriori 60 giorni. Ambiente - Caccia - Norme della Regione Campania - Autorizzazione alla Giunta regionale a disciplinare con regolamento il calendario venatorio e il relativo regolamento, su base triennale, sentita la Commissione consiliare permanente competente per materia; Sanità pubblica - Norme della Regione Campania - Accreditamento di strutture sanitarie e socio-sanitarie private - Domande eccedenti il fabbisogno programmato a livello regionale - Previsione che debba tenersi conto dell'ordine cronologico di acquisizione delle pregresse istanze di accreditamento istituzionale presentate ai sensi dei regolamenti 3/2006 e 1/2007, ferma restando la procedura di accreditamento in esubero disciplinata dai medesimi regolamenti; Strutture destinate a erogare prestazioni di assistenza palliativa ai malati terminali (hospice) e di assistenza a disabili e anziani non autosufficienti (Residenze Sanitarie Assistenziali), già autorizzate all'esercizio - Facoltà di operare in regime di accreditamento, fermo restando il successivo rispetto delle procedure per la conferma dell'accreditamento.
Dispositivo: illegittimità costituzionale - illegittimità costituzionale parziale - non fondatezza - estinzione del processo
SENTENZA N. 209
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Sabino CASSESE; Giudici : Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 250, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011); dell’art. 1, commi 5 e 8, della legge della Regione Campania 5 maggio 2011, n. 7 (Modifiche della legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9, concernente il rischio sismico, della legge regionale 25 agosto 1989, n. 15, concernente l’ordinamento amministrativo del consiglio regionale, della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, concernente la materia della gestione dei rifiuti, della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7, concernente l’ordinamento contabile della regione Campania, della legge regionale 28 novembre 2008, n. 16, e della legge regionale 3 novembre 1994, n. 32, concernenti il riordino del servizio sanitario regionale e della legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria regionale 2011) e dell’art. 1, commi 19 e 35, della legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati l’11-18 maggio, il 23-27 giugno e il 3-7 ottobre 2011, depositati in cancelleria il 17 maggio, il 30 giugno ed il 7 ottobre 2011 e rispettivamente iscritti ai numeri 45, 62 e 119 del registro ricorsi 2011.
Visti gli atti di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2014 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi gli avvocati dello Stato Diego Giordano e Barbara Tidore per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Beniamino Caravita di Toritto e Almerina Bove per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato l’11-18 maggio 2011 e depositato il successivo 17 maggio 2011 (reg. ric. n. 45 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011), tra le quali l’art. 1, comma 250. In ordine all’impugnazione di quest’ultima disposizione, oggetto del presente giudizio, il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.– In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato ha osservato come il censurato art. 1, comma 250, disponga che «La domanda di autorizzazione di cui al comma 7 dell’articolo 124 del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), è presentata al comune ovvero all’autorità d’ambito se lo scarico è in pubblica fognatura. L’autorità competente provvede entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda. Se detta autorità risulta inadempiente nei termini sopra indicati, l’autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi sessanta giorni, salvo revoca. Per le finalità delle richiamate norme, le Commissioni consiliari regionali Ambiente e Territorio approvano la disciplina degli scarichi Categorie produttive assimilabili, di cui alla delibera di Giunta regionale 6 agosto 2008, n. 1350».
L’art. 1, comma 250, della legge reg. n. 4 del 2011, pertanto, fissa in 60 giorni il termine entro il quale l’autorità preposta, individuata nel Comune, può negare il rilascio dell’autorizzazione allo scarico, statuendo altresì che, in caso di inutile decorso di tale termine, l’autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi 60 giorni, salvo revoca.
L’art. 124, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) fissa, invece, il termine perentorio di 90 giorni per la concessione dell’autorizzazione.
Inoltre, l’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), statuisce l’inapplicabilità del «silenzio-assenso» alla materia ambientale, nella quale, ad avviso del ricorrente, andrebbe compresa la disciplina delle autorizzazioni allo scarico delle acque reflue.
Si ricorda, poi, che l’art. 29 della stessa legge n. 241 del 1990, come sostituito dall’art. 19 della legge 11 febbraio 2005 n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), statuisce al comma 2 che «Le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come definite dai principi stabiliti dalla presente legge».
Tale disposizione, secondo il ricorrente, non consentirebbe, quindi, alle Regioni di intervenire diminuendo i livelli di tutela ambientale, come invece avverrebbe con la censurata disposizione della legge reg. n. 4 del 2011, in quanto l’istituto del silenzio-assenso, previsto dalla legge campana, oltre tutto alla scadenza di un termine di decisione più breve rispetto a quello previsto dalla legge statale, inciderebbe negativamente sul grado di salvaguardia dell’ambiente.
In proposito, l’Avvocatura generale dello Stato rammentata la giurisprudenza costituzionale secondo cui la previsione di un termine di decisione più breve di quello fissato dal legislatore statale costituisce «evidente violazione di un livello di tutela [nella specie:] dell’ambiente uniforme» che «altera il rapporto fra i due interessi che il termine stesso è destinato a soddisfare e cioè quello dell’amministrazione all’esercizio del controllo preventivo e quello dell’interessato ad ottenere l’autorizzazione in tempi ragionevoli, in un modo che risulta lesivo dell’interesse pubblico alla tutela [nella specie:] dell’ambiente, in violazione dei predetti parametri» (sentenza n. 315 del 2009).
Conclusivamente la norma regionale oggetto di impugnazione, secondo il ricorrente, pone l’interesse ambientale in una posizione deteriore sotto due diversi profili che, quanto agli effetti, si sommano l’uno all’altro. Il primo è costituito dal termine inferiore (60 giorni anziché 90) previsto dal legislatore regionale rispetto a quello stabilito dal legislatore statale per la decisione sulla domanda di autorizzazione allo scarico; il secondo è l’effetto che consegue al decorso del termine, cui il legislatore regionale riconnette addirittura la temporanea concessione dell’autorizzazione per un termine di 60 giorni, salvo revoca. In definitiva appare palese, ad avviso del ricorrente, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., trattandosi di normativa afferente alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», in ordine alla quale sussiste la competenza legislativa statale esclusiva, e nella quale il legislatore regionale è intervenuto non per ampliare i livelli di tutela ai sensi dell’art. 29 della legge n. 241 del 1990, ma per diminuirli.
1.2.– Con atto depositato in data 27 giugno 2011, si è costituita in giudizio la Regione Campania e ha chiesto che le sollevate questioni di legittimità costituzionale vengano dichiarate inammissibili o infondate.
1.3.– Con memoria depositata in data 15 febbraio 2012, la resistente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per genericità della delibera di autorizzazione all’impugnazione che non conteneva le specifiche disposizioni della legge regionale da impugnare.
1.4.– In data 21 febbraio 2012, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato la relazione ministeriale richiamata nella delibera di impugnazione della Presidenza del Consiglio dei ministri, contenente l’indicazione delle specifiche disposizioni della legge regionale da impugnare.
1.5.– Con memoria depositata in data 30 aprile 2012, la difesa regionale ha ricordato che questa Corte (sentenza n. 234 del 2010) ha affermato come lo stesso legislatore statale abbia autorizzato forme alternative di scelta dell’organo competente a rilasciare l’autorizzazione allo scarico di acque reflue. Inoltre, ha rimarcato che le prescrizioni della Regione Campania, sul termine per la decisione sull’istanza di autorizzazione e sulla formazione di un provvisorio silenzio-assenso, non potrebbero considerarsi limitative del livello di tutela dell’ambiente.
2.– Con ricorso notificato il 23-27 giugno 2011 e depositato il successivo 30 giugno (reg. ric. n. 62 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, commi 5 e 8, della legge della Regione Campania 5 maggio 2011, n. 7 (Modifiche della legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9, concernente il rischio sismico, della legge regionale 25 agosto 1989, n. 15, concernente l’ordinamento amministrativo del consiglio regionale, della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, concernente la materia della gestione dei rifiuti, della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7, concernente l’ordinamento contabile della regione Campania, della legge regionale 28 novembre 2008, n. 16, e della legge regionale 3 novembre 1994, n. 32, concernenti il riordino del servizio sanitario regionale e della legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria regionale 2011), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
2.1.– In particolare, l’art. 1, comma 5, della legge reg. n. 7 del 2011 stabilisce che: «[i]l comma 5 dell’articolo 8 della legge regionale 28 novembre 2008, n. 16 (Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo), è sostituito dal seguente: “5. Nelle more dell’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e socio-sanitarie, le aziende sanitarie locali devono sottoscrivere, con le strutture autorizzate ai sensi della delibera della Giunta regionale della Campania n. 7301 del 31 dicembre 2001, contratti per le attività di cure palliative ai malati terminali-hospice. La Giunta regionale provvede all’approvazione delle tariffe entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.”».
Ad avviso del ricorrente, la disposizione censurata comporterebbe oneri, sottesi alla prevista conclusione obbligatoria dei contratti per la fornitura di servizi di cure palliative, non sottoposti ai limiti di spesa previsti dall’art. 1, comma 796, lettere a), b) e t), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), che costituiscono principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica» ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Inoltre, la prevista conclusione dei contratti predetti con strutture autorizzate ma non accreditate non assicurerebbe i livelli minimi di tutela della salute garantiti dagli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421). Le citate disposizioni, infatti, prevedono requisiti che le strutture devono soddisfare al fine di ottenere l’accreditamento, che potrebbero non avere quelle autorizzate all’esercizio di attività sanitaria, le quali non hanno ancora ottenuto l’accreditamento definitivo, con conseguente violazione, anche sotto questo ulteriore profilo, dell’art. 117, terzo comma, Cost.
2.2.– L’art. 1, comma 8, della medesima legge reg. n. 7 del 2011 dispone che: «[i] comuni competenti in materia di scarichi in corpi idrici superficiali possono avvalersi della provincia, all’interno del cui territorio ricadono, ai fini dell’esercizio delle funzioni trasferite ai sensi del comma 250 dell’articolo 1 della legge regionale n. 4 del 2011. I comuni, qualora intendano avvalersi per l’istruttoria degli uffici e del personale della provincia, possono stipulare con tale ente apposita convenzione».
Ad avviso del ricorrente, tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, richiamando l’art. 1, comma 250, della legge reg. n. 4 del 2011 – che stabilisce un termine di sessanta giorni per la decisione sulla domanda di autorizzazione allo scarico, scaduto il quale l’autorizzazione si intende provvisoriamente concessa per sessanta giorni – fissa un livello di tutela inferiore a quello stabilito dalla legislazione statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» e, segnatamente, dall’art. 124, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, che fissa in novanta giorni il termine per provvedere sulla domanda di autorizzazione allo scarico, e dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che statuisce l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio-assenso alla materia ambientale.
2.3.– Con atto depositato in data 29 luglio 2011, si è costituita la Regione Campania, rimarcando l’inammissibilità e l’infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
2.4.– Con memoria depositata in data 19 gennaio 2012, la resistente ha chiesto che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere a seguito di sopravvenuti interventi del legislatore regionale sulle disposizioni impugnate. In particolare, ha evidenziato che l’art. 1, comma 35, della legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale), ha novellato nuovamente l’art. 8, comma 5, della legge reg. n. 16 del 2008. Successivamente l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania 14 dicembre 2011, n. 23 (Modifiche alla legge regionale 15 marzo 2011, n. 4 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011), ha ulteriormente modificato l’art. 1, comma 237-octodecies della legge reg. n. 4 del 2011, che a sua volta aveva modificato l’art. 8, comma 5, della legge reg. n. 16 del 2008. Con quest’ultima modifica, si è specificato che le strutture autorizzate ad operare in regime di accreditamento provvisorio devono essere in possesso dei requisiti ulteriori per l’accreditamento istituzionale.
2.5.– Con memoria depositata in data 2 febbraio 2012, la Regione Campania ha insistito perché venga dichiarata cessata la materia del contendere, illustrando ulteriormente le modifiche intervenute alle disposizioni impugnate. In particolare, ha sottolineato che l’art. 52, comma 13, della legge della Regione Campania 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del Bilancio Annuale 2012 e Pluriennale 2012-2014 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2012) ha abrogato l’impugnato art. 1, comma 8, della legge reg. n. 7 del 2011.
2.6.– Con atto depositato in data 27 luglio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato integralmente all’impugnazione proposta con il ricorso n. 62 del 2011.
2.7.– Con atto depositato in data 20 settembre 2012, la Regione Campania ha accettato la rinuncia.
3.– Con ricorso notificato il 3-7 ottobre 2011 e depositato il successivo 7 ottobre (reg. ric. n. 119 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, commi 19 e 35 – quest’ultimo nella parte in cui introduce l’art. 1, commi 237-nonies e 237-octodecies, della legge reg. Campania n. 4 del 2011 – , della legge reg. Campania n. 14 del 2011, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
3.1.– In particolare, l’art. 1, comma 19, della legge reg. n. 14 del 2011 prevede che: «[l]a Giunta regionale è autorizzata a disciplinare con regolamento il calendario venatorio della Regione Campania e relativo regolamento, sentita la Commissione consiliare permanente competente per materia, in base alla competenza legislativa della Regione nella materia della caccia, in conformità al titolo V della parte seconda della Costituzione ed in osservanza dei seguenti criteri generali: a) validità triennale del calendario venatorio regionale; b) tutela della fauna selvatica e delle produzioni agricole; c) rispetto della vigente normativa nazionale e regionale incidente in materia; d) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa».
Il ricorrente rammenta come l’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) preveda che le Regioni possano intervenire nella regolamentazione dei periodi dell’attività venatoria per determinate specie e in relazione alle situazioni ambientali delle diverse realtà territoriali. Le modalità dell’intervento sono regolate dai commi 2, 3 e 4 della medesima disposizione che, tuttavia, non sono espressamente richiamati dalla norma regionale impugnata, la quale invece prevede l’emanazione di un calendario venatorio secondo cadenze temporali (un triennio) ritenute incompatibili con le cadenze (annuali) previste dalla legislazione statale. A parere del ricorrente, quindi, la legge regionale campana si tradurrebbe in una violazione della disciplina statale che delimita il periodo entro il quale è consentito l’esercizio dell’attività venatoria. In tal senso è richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale le norme statali di cui sopra rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, vincolanti per il legislatore regionale (sentenza n. 191 del 2011), di tal che il loro mancato rispetto determina la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 1, comma 35, della medesima legge reg. n. 14 del 2011, nella parte in cui introduce l’art. 1, commi 237-nonies e 237-octodecies, all’art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011.
In particolare, il citato comma 237-nonies prevede che, ove il numero delle domande di accreditamento istituzionale presentate dalle strutture sanitarie e socio-sanitarie private ecceda il fabbisogno regionale programmato, si tenga conto dell’ordine cronologico di acquisizione delle istanze. Secondo il ricorrente, simile disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la disposizione regionale contrasterebbe con il principio fondamentale stabilito dall’art. 8-quater, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992 che, in caso di superamento dei limiti di volume di attività prevista dalla programmazione sanitaria nazionale, prevede la revoca dell’accreditamento in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato da strutture pubbliche, private non lucrative e private lucrative.
Il comma 237-octodecies modifica il testo dell’art. 8, comma 5, della legge reg. n. 16 del 2008, prevedendo che, al fine di colmare le carenze regionali di offerta, le strutture destinate a erogare prestazioni di assistenza palliativa, operino in regime di accreditamento fermo il rispetto della procedura per l’accreditamento definitivo.
Questa disposizione violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto un simile intervento regionale in materia di accreditamento sanitario esulerebbe dal riparto di competenze fissato dalla norma costituzionale, poiché consentirebbe l’operatività di strutture prive dei requisiti necessari per l’accreditamento medesimo.
3.3.– Con atto depositato in data 11 novembre 2011, si è costituita in giudizio la Regione Campania e ha chiesto che le sollevate questioni di legittimità costituzionale vengano dichiarate inammissibili o infondate.
3.4.– Come già ricordato, l’art. 1, comma 1, della legge reg. n. 23 del 2011 ha ulteriormente modificato l’art. 1, comma 237-octodecies citato – che a sua volta aveva modificato l’art. 8, comma 5, della legge reg. n. 16 del 2008 – specificando che le strutture autorizzate ad operare in regime di accreditamento provvisorio devono essere in possesso dei requisiti ulteriori per l’accreditamento istituzionale.
3.5.– Con memoria depositata in data 30 aprile 2012, la Regione Campania ha chiesto che le questioni sollevate vengano dichiarate inammissibili in quanto le doglianze sarebbero meramente assertive della violazione dei parametri. In ogni caso le censure, ad avviso della resistente, sarebbero comunque infondate. In proposito la Regione ha rimarcato che la legislazione statale non prefigurerebbe alcuna incompatibilità con un’articolazione pluriennale del calendario venatorio, sempre che sia assicurata l’audizione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (d’ora innanzi ISPRA), come è appunto garantito dalla legge campana.
3.6.– Con atto depositato in data 4 luglio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso «nei termini e nei limiti di cui alla delibera stessa». La delibera prevede espressamente la rinuncia «limitatamente all’articolo 1, comma 35, nella parte in cui introduce il comma 237-octodecies, della legge della Regione Campania n. 14 del 4 agosto 2011».
3.7.– Con atto depositato in data 26 luglio 2012, la Regione Campania ha accettato la rinuncia.
3.8.– Successivamente è intervenuto l’art. 24, comma 1, della legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina dell’attività venatoria in Campania), stabilendo in particolare che «La Giunta regionale, […] entro e non oltre il 15 giugno, pubblica il calendario regionale ed il regolamento relativo all’intera annata venatoria per i periodi e per le specie previste dall’articolo 15, con la indicazione del numero massimo dei capi da abbattere per ciascuna giornata di caccia».
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato l’11-18 maggio 2011 e depositato il successivo 17 maggio 2011 (reg. ric. n. 45 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato varie disposizioni della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011), tra le quali l’art. 1, comma 250.
In particolare il ricorrente ha ritenuto che la disposizione censurata, stabilendo un termine di sessanta giorni per la decisione sulla domanda di autorizzazione allo scarico, scaduto il quale l’autorizzazione si intende provvisoriamente concessa per sessanta giorni, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto fisserebbe un livello di tutela inferiore a quello stabilito dalla legislazione statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, segnatamente dall’art. 124, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che fissa in novanta giorni il termine per provvedere sulla domanda di autorizzazione allo scarico, e dall’art. 20, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che statuisce l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio-assenso alla materia ambientale.
2.– Con ricorso notificato il 23-27 giugno 2011 e depositato il successivo 30 giugno (reg. ric. n. 62 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, commi 5 e 8, della legge della Regione Campania 5 maggio 2011, n. 7 (Modifiche della legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9, concernente il rischio sismico, della legge regionale 25 agosto 1989, n. 15, concernente l’ordinamento amministrativo del consiglio regionale, della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, concernente la materia della gestione dei rifiuti, della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7, concernente l’ordinamento contabile della regione Campania, della legge regionale 28 novembre 2008, n. 16, e della legge regionale 3 novembre 1994, n. 32, concernenti il riordino del servizio sanitario regionale e della legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria regionale 2011), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
In particolare, il ricorrente osserva che l’art. 1, comma 8, della legge reg. n. 7 del 2011, nel consentire ai Comuni di avvalersi delle Province ai fini della decisione sulle istanze di autorizzazione allo scarico di acque reflue, richiama l’art. 1, comma 250, della legge reg. n. 4 del 2011, disposizione che, come detto, stabilisce un termine di sessanta giorni per la decisione sulla domanda di autorizzazione allo scarico, scaduto il quale l’autorizzazione si intende provvisoriamente concessa per sessanta giorni, salvo revoca. Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene, quindi, che, attraverso il predetto richiamo normativo, si estenda anche all’impugnato art. 1, comma 8, il medesimo vizio di illegittimità costituzionale che colpisce la disposizione richiamata, la quale fissa un livello di tutela inferiore a quello stabilito dalla legislazione statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», segnatamente dall’art. 124, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, che stabilisce in novanta giorni il termine per provvedere sulla domanda di autorizzazione allo scarico, e dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che statuisce l’inapplicabilità dell’istituto del silenzio-assenso alla materia ambientale.
Quanto all’art. 1, comma 5, della legge reg. n. 7 del 2011, il ricorrente ritiene che la prevista conclusione obbligatoria di contratti, per la fornitura di cure palliative da parte delle aziende sanitarie locali, abbia introdotto oneri non rispettosi dei limiti di spesa previsti dall’art. 1, comma 796, lettere a), b) e t), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), costituenti principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. Inoltre, la medesima disposizione, prevedendo la conclusione dei contratti con strutture sanitarie autorizzate, ma non accreditate, non assicurerebbe i livelli minimi di tutela della salute garantiti dagli artt. 8, 8-bis, 8-ter e 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) attraverso i requisiti, in essi previsti, per l’ottenimento dell’accreditamento, con conseguente ulteriore violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. anche sotto questo profilo.
3.– Con ricorso notificato il 3-7 ottobre 2011 e depositato il successivo 7 ottobre (reg. ric. n. 119 del 2011), il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, commi 19 e 35 – quest’ultimo nella parte in cui introduce l’art. 1, commi 237-nonies e 237-octodecies, della legge reg. Campania n. 4 del 2011 – della legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
In particolare, l’impugnato art. 1, comma 19, prevede che: «[l]a Giunta regionale è autorizzata a disciplinare con regolamento il calendario venatorio della Regione Campania e relativo regolamento, sentita la Commissione consiliare permanente competente per materia, in base alla competenza legislativa della Regione nella materia della caccia, in conformità al titolo V della parte seconda della Costituzione ed in osservanza dei seguenti criteri generali: a) validità triennale del calendario venatorio regionale; b) tutela della fauna selvatica e delle produzioni agricole; c) rispetto della vigente normativa nazionale e regionale incidente in materia; d) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa».
Il ricorrente ravvisa una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la disposizione censurata autorizza la Giunta regionale a disciplinare con regolamento il calendario venatorio della Regione Campania per una durata triennale, mentre le disposizioni statali di cui all’art. 18, commi 2, 3 e 4 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) richiedono che il calendario venatorio sia approvato con cadenza annuale.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha poi impugnato anche l’art. 1, comma 35, della legge reg. Campania n. 14 del 2011, nella parte in cui introduce, nell’art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011, il comma 237-nonies, secondo cui, se il numero delle domande di accreditamento istituzionale presentate dalle strutture sanitarie e socio-sanitarie private eccede il fabbisogno regionale programmato, si deve tener conto dell’ordine cronologico di acquisizione delle istanze. La medesima disposizione è impugnata altresì nella parte in cui introduce, nell’art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011, il comma 237-octodecies che, modificando l’art. 8, comma 5, della legge della Regione Campania 28 novembre 2008, n. 16 (Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo), stabilisce che, al fine di colmare le carenze regionali di offerta, le strutture destinate a erogare prestazioni di assistenza palliativa operano in regime di accreditamento, fermo il rispetto della procedura per l’accreditamento definitivo.
Quanto al comma 237-nonies, il ricorrente ritiene che esso violi il principio fondamentale stabilito dall’art. 8-quater, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992, secondo cui, in caso di superamento dei limiti di volume di attività prevista dalla programmazione sanitaria nazionale, la revoca dell’accreditamento deve essere operata in misura proporzionale al concorso a tale superamento apportato da strutture pubbliche, private non lucrative e private lucrative.
In ordine al citato comma 237-octodecies, il Presidente del Consiglio dei ministri reputa che esso violi l’art. 117, terzo comma, Cost., perché costituirebbe un intervento regionale in materia di accreditamento sanitario, tale da contravvenire al riparto di competenze fissato dall’art. 117, terzo comma, Cost. in materia di «tutela della salute».
4.– Occorre preliminarmente disporre la riunione dei giudizi introdotti con i ricorsi di cui sopra, in quanto tra loro collegati e implicanti la soluzione di questioni affini.
5.– Sempre in via preliminare deve rilevarsi che le impugnazioni proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 62 del 2011, indicato in epigrafe, sono state oggetto di rinuncia da parte del ricorrente, con atto depositato in data 27 luglio 2012. Poiché la rinuncia è stata accettata dalla Regione Campania con atto depositato in data 20 settembre 2012, il relativo giudizio deve essere dichiarato estinto.
In data 4 luglio 2012, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato un ulteriore atto di rinuncia, relativo all’impugnazione proposta con il ricorso n. 119 del 2011, indicato in epigrafe, «nei termini e nei limiti di cui alla delibera stessa». Quest’ultima prevede espressamente la rinuncia «limitatamente all’articolo 1, comma 35, nella parte in cui introduce il comma 237-octodecies della legge della regione Campania n. 4 del 15 marzo 2011». Poiché, con atto depositato in data 26 luglio 2012, la Regione Campania ha accettato la rinuncia, il relativo giudizio deve parimenti essere dichiarato estinto, limitatamente alla questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto il citato art. 1, comma 35, della legge reg. n. 14 del 2011 nella parte in cui introduce l’art. 1, comma 237-octodecies, nella legge reg. n. 4 del 2011.
6.– Ancora in via preliminare va osservato, in relazione al ricorso n. 45 del 2011 indicato in epigrafe, che la Regione Campania ne ha eccepito l’inammissibilità, per genericità della delibera di autorizzazione all’impugnazione che non conterrebbe le specifiche disposizioni della legge regionale da impugnare.
Tuttavia le disposizioni regionali impugnate – compreso l’art. 1, comma 250, della legge reg. n. 4 del 2011 oggetto del presente giudizio – e i motivi delle relative censure risultano indicati nella relazione ministeriale, richiamata nella delibera di autorizzazione all’impugnazione.
La citata relazione ministeriale non era stata originariamente depositata unitamente al ricorso e il deposito è intervenuto solo successivamente, in data 21 febbraio 2012, su richiesta del relatore, insieme alla istanza di discussione in udienza pubblica.
Orbene, secondo la giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 134 del 2004), la delibera di autorizzazione all’impugnazione deve soddisfare, a pena di inammissibilità, l’onere di indicare le specifiche disposizioni di legge da impugnare almeno quando, come nella specie, la legge abbia un contenuto disomogeneo. La stessa giurisprudenza riconosce, però, la possibilità che la delibera possa essere integrata per relationem attraverso il richiamo alla relazione ministeriale, acquisibile anche d’ufficio da questa Corte, senza che ciò menomi i diritti di difesa.
L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Campania con riferimento al citato ricorso n. 45 del 2011, deve perciò considerarsi non fondata all’esito dell’intervenuta acquisizione della relazione ministeriale. In tal senso deve pure richiamarsi quanto questa Corte ha già osservato nella sentenza n. 141 del 2014, con la quale, decidendo su altre questioni proposte nel medesimo ricorso (reg. ric. n. 45 del 2011), è stata respinta analoga eccezione di inammissibilità. Più precisamente, nella citata sentenza, la Corte ha affermato che «il necessario grado di determinatezza della delibera nell’individuazione delle disposizioni da impugnare emerge chiaramente dalla delibera stessa, che indica i commi da impugnare, sia pure in taluni casi aggregandoli, e richiama, seppur in sintesi, la materia disciplinata, nonché le ragioni della pretesa incostituzionalità ed i parametri asseritamente violati (sentenze n. 220, n. 246 e n. 309 del 2013)».
Parimenti infondate sono le censure d’inammissibilità del ricorso n. 119 del 2011, indicato in epigrafe, per genericità delle doglianze, dovendosi invece ritenere, proprio sulla base della narrativa che precede, che le medesime siano supportate da una sufficiente, ancorché sintetica, esposizione delle ragioni per le quali il Presidente del Consiglio dei ministri ha ritenuto che le disposizioni regionali impugnate violino i plurimi parametri costituzionali precisamente indicati.
7.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 250, della legge reg. Campania n. 4 del 2011, è fondata.
La disposizione censurata, infatti, stabilisce un termine di sessanta giorni per la decisione sulla domanda di autorizzazione allo scarico di acque reflue in fognatura e prevede altresì che, scaduto detto termine, l’autorizzazione si intende provvisoriamente concessa per sessanta giorni, salvo revoca.
Questa Corte ha già precisato che la disciplina degli scarichi in fognatura attiene alla materia dell’ambiente, di competenza esclusiva statale (ex plurimis, sentenze n. 187 e n. 44 del 2011). Di conseguenza, alle Regioni non è consentito intervenire in tale ambito, specie se l’effetto è la diminuzione dei livelli di tutela stabiliti dallo Stato (ex plurimis, sentenza n. 225 del 2009). Questa Corte ha inoltre già avuto occasione di precisare che la previsione del silenzio-assenso dell’amministrazione alla scadenza di un termine più breve, rispetto a quello stabilito dalla legislazione statale, per la decisione su istanze di autorizzazione, determina livelli inferiori di tutela in materia ambientale (ex plurimis, sentenza n. 315 del 2009), con conseguente illegittimità delle relative disposizioni regionali.
Pertanto, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa regionale, l’art. 1, comma 250, della legge reg. Campania n. 4 del 2011, è costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto determina livelli di tutela ambientale inferiori rispetto a quelli previsti dalla legge statale, segnatamente dall’art. 124, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 – che fissa, invece, il termine perentorio di 90 giorni per la concessione dell’autorizzazione – e dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990, che esclude l’applicabilità del «silenzio-assenso» alla materia ambientale.
8.– Parimenti fondata è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 19, della legge reg. n. 14 del 2011.
La disposizione censurata prevede, come detto, che la «Giunta regionale è autorizzata a disciplinare con regolamento il calendario venatorio della Regione Campania e relativo regolamento, sentita la Commissione consiliare permanente competente per materia, in base alla competenza legislativa della Regione nella materia della caccia, in conformità al titolo V della parte seconda della Costituzione ed in osservanza dei seguenti criteri generali: a) validità triennale del calendario venatorio regionale; b) tutela della fauna selvatica e delle produzioni agricole; c) rispetto della vigente normativa nazionale e regionale incidente in materia; d) perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa».
Le censure si appuntano sulla cadenza triennale anziché annuale del calendario, di tal che, così precisato il thema decidendum, si deve circoscrivere l’oggetto della censura alla sola lettera a) dell’art. 1, comma 19, della citata legge reg. n. 14 del 2011.
Questa Corte si è già ripetutamente occupata di leggi regionali che consentono alle rispettive Giunte di fissare un calendario venatorio con cadenza triennale (ex plurimis, sentenza n. 116 del 2012), ravvisando un contrasto con l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, secondo cui le «Regioni, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica [ora Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, d’ora innanzi «ISPRA»] (…) pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria (...)». Con tale formula, infatti, la disposizione statale «esige che il calendario venatorio sia pubblicato entro il 15 giugno di ogni anno, vale a dire con cadenza annuale» (sentenze n. 116 e n. 20 del 2012). Detta interpretazione appare coerente, oltre che con la ricorrenza delle stagioni di caccia, con l’esigenza che la rilevazione delle situazioni ambientali locali, che si pone alla base delle deroghe alla generale disciplina statale in tema di specie cacciabili e di periodi di esercizio venatorio, abbia luogo – anche tramite il prescritto parere dell’ISPRA – con cadenze non eccessivamente diluite nel tempo, così da garantire un costante adeguamento del calendario al mutare di tali situazioni. In simile prospettiva, la previsione dell’efficacia triennale del calendario venatorio regionale viene, quindi, ad indebolire «il “regime di flessibilità” (...) che deve assicurarne un pronto adattamento alle sopravvenute diverse condizioni di fatto» (sentenza n. 105 del 2012).
È pur vero che, dopo l’impugnazione, il legislatore regionale è nuovamente intervenuto in materia, segnatamente con l’art. 24, comma 1, della legge della Regione Campania 9 agosto 2012, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina dell’attività venatoria in Campania), stabilendo in particolare che «La Giunta regionale, (…) entro e non oltre il 15 giugno, pubblica il calendario regionale ed il regolamento relativo all’intera annata venatoria per i periodi e per le specie previste dall’articolo 15, con la indicazione del numero massimo dei capi da abbattere per ciascuna giornata di caccia». Tuttavia, la Regione non ha in alcun modo dimostrato che la disposizione impugnata non sia stata applicata, di tal che, considerato che la modifica alla disciplina è stata adottata più di un anno dopo l’entrata in vigore della censurata disposizione, il vulnus, rappresentato dalla previsione del potere di adottare un calendario triennale, deve ritenersi già verificato, con conseguente impossibilità di dichiarare cessata, sul punto, la materia del contendere.
L’art. 1, comma 19, lettera a), della legge reg. n. 14 del 2011 deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto stabilisce la validità triennale del calendario venatorio regionale, anziché annuale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
9.– La questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 1, comma 35, della legge reg. n. 14 del 2011, nella parte in cui introduce il comma 237-nonies all’art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011 non è fondata.
La disposizione regionale impugnata indica l’ordine cronologico quale criterio di cui tenere conto nella selezione delle strutture sanitarie private cui accordare l’accreditamento istituzionale in caso di domande in numero superiore al fabbisogno sanitario della Regione. Essa si applica alle sole strutture private, con la conseguenza che solo all’interno di tale categoria di strutture ha rilievo il criterio cronologico di acquisizione delle pregresse istanze di accreditamento istituzionale, ferma restando l’applicazione del principio generale stabilito dalla legislazione statale, all’art. 8-quater, comma 8, del d.lgs. n. 502 del 1992, della riduzione delle domande in eccesso, da effettuarsi in misura proporzionale tra strutture pubbliche, private non lucrative e private lucrative.
In base a tale interpretazione – che, invero, é l’unica percorribile, posto che il criterio cronologico è previsto, appunto, per le sole strutture private lucrative e non per quelle pubbliche o private non lucrative – la norma non determina alcun vulnus al principio fondamentale della materia allegato dal ricorrente.
La sollevata questione di legittimità costituzionale deve, quindi, ritenersi non fondata per erroneità del presupposto interpretativo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 250, della legge della Regione Campania 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania – Legge finanziaria regionale 2011), nella parte in cui prevede che «L’autorità competente provvede entro sessanta giorni dalla ricezione della domanda. Se detta autorità risulta inadempiente nei termini sopra indicati, l’autorizzazione si intende temporaneamente concessa per i successivi sessanta giorni, salvo revoca»;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 19, lettera a), della legge della Regione Campania 4 agosto 2011, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale);
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 35, della legge reg. n. 14 del 2011, nella parte in cui introduce il comma 237-nonies all’art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 119 del 2011);
4) dichiara estinto, relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 5 e 8, della legge della Regione Campania 5 maggio 2011, n. 7 (Modifiche della legge regionale 7 gennaio 1983, n. 9, concernente il rischio sismico, della legge regionale 25 agosto 1989, n. 15, concernente l’ordinamento amministrativo del consiglio regionale, della legge regionale 28 marzo 2007, n. 4, concernente la materia della gestione dei rifiuti, della legge regionale 30 aprile 2002, n. 7, concernente l’ordinamento contabile della regione Campania, della legge regionale 28 novembre 2008, n. 16, e della legge regionale 3 novembre 1994, n. 32, concernenti il riordino del servizio sanitario regionale e della legge regionale 15 marzo 2011, n. 4, concernente la legge finanziaria regionale 2011), il giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 62 del 2011);
5) dichiara estinto, relativamente alle sole questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 35, della legge reg. n. 14 del 2011, nella parte in cui introduce il comma 237-octodecies all’art. 1 della legge reg. n. 4 del 2011, il giudizio promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 119 del 2011).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI