Cass. Sez. III n. 27071 del 4 luglio 2008 (Ud 20 mag 2008)
Pres. Onorato Est. Petti Ric. Cornalba
Acque. Effluenti di allevamento

L\'assimilazione delle acque reflue provenienti da imprese agricole o da allevamenti di bestiame a quelle domestiche si riferisce ai casi in cui vi sia uno scarico diretto tramite condotta. Solo in tale caso, ossia in mancanza di spandimento sul suolo degli effluenti derivanti dall\'attività agricola o di allevamento del bestiame, era ed è applicabile la disciplina prevista per gli scarichi domestici, ricorrendo le altre condizioni previste dalla legge per l\'assimilazione . La raccolta in vasca configura una vera e propria raccolta di rifiuti che doveva essere autorizzata. L\'eventuale utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento riguarda la successiva fase del recupero zootecnico che è cosa diversa dallo scarico ed ha una propria disciplina distinta e separata da esso e prescinde da esso. L\'eventuale utilizzazione agronomica dei reflui non esclude l\'autorizzazione per lo stoccaggio nella vasca, in quanto la pratica della fertirrigazione prescinde dalle modalità di gestione delle acque reflue di un allevamento, sia che esse siano o no soggette alla normativa sui rifiuti o a quella sulle acque , ed in quest\'ultimo caso indipendentemente dalla classificazione dello scarico come industriale o domestico.
In fatto
Con sentenza del 10 settembre del 2007, La corte d’appello di Milano, confermava quella resa dal tribunale monocratico di Lodi del 19 luglio del 2005, con cui Cornalba Davide e Cornalba Domenico erano stati condannati alla pena di mesi tre di arresto ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno nei confronti delle costituite parti civili, quali responsabili, in concorso di circostanze attenuanti generiche: a) del reato di cui agli artt 81 capo V, 110 c.p. 51 comma secondo decreto legislativo n 22 del 1997 per avere, nella qualità di titolari dell’omonima impresa agricola, abbandonato con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso rifiuti speciali non pericolosi , costituiti da reflui zootecnici aziendali, sui terreni di proprietà della società Ghione . Fatto commesso in Salerano sul Lambro fino al 6 giugno del 2003;
b) del reato di cui agli artt 110 e 650 c.p. per avere, in concorso tra loro, omesso di osservare un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni d’igiene e segnatamente l’ordinanza sindacale del 18 novembre del 2002, con cui si intimava la sospensione di ogni attività di sversamento e smaltimento di liquami .Fatto commesso fino al 4 giugno del 2003.
Il fatto in base alle decisioni dei giudici del merito va ricostruito nella maniera seguente:
gli agenti della polizia provinciale intervenuti nelle date indicate nel capo d’imputazione presso la Cascina Ghione di proprietà di Giuseppe Besozzi notarono uno spandimento di liquami che aveva formato sul suolo di proprietà della società anzidetta una sorta di palude di reflui zootecnici. Questi provenivano da una vasca di contenimento dell’allevamento suinicolo dei prevenuti. Tale vasca al momento del sopralluogo era stata svuotata. Gli inquirenti precisarono che all’epoca erano in atto lavori di posa in opera di tubi e che la quantità di reflui aveva oltrepassato il canale di scolo ed era defluita verso il fiume Lambro.
A fondamento della decisione la corte ambrosiana osservava che alla fattispecie, come puntualmente precisato dal tribunale, era applicabile la disciplina sui rifiuti e non quella sulle acque di cui al decreto legislativo n. 152 del 1999; che si era accertato che i rifiuti liquidi erano sversati sul terreno della società Ghione senza il rispetto di alcun parametro agronomico; che i prevenuti non avevano ottenuto alcun permesso di utilizzazione agronomica di quei rifiuti; che essi non erano assimilabili ai reflui domestici; che il reato di cui all’articolo 650 c.p. era configurabile perché il provvedimento sindacale era stato legittimamente adottato per ragioni di igiene.
Ricorrono per cassazione i due imputati per mezzo del difensore deducendo:
inosservanza delle norme incriminatici per avere i giudici del merito, sull’erronea premessa che l’attività di allevamento non fosse assimilabile a quella agricola, ritenuto applicabile la disciplina sui rifiuti invece di quella di cui all’art. 59 comma 11 del decreto legislativo n 152 del 1999;
mancanza di motivazione in ordine all’esclusione della natura agricola dell’attività esercitata dagli imputati;
la violazione dell’articolo 38 e degli artt 54 comma 7 e 59 comma 11 e 62 comma 10 del decreto legislativo n 152 del 1999 dei quali è stata illegittimamente esclusa l’applicazione sulla premessa che mancavano i decreti attuativi, posto che a tale mancanza era destinato a supplire l’articolo 62 comma 10 del citato decreto;
la violazione dell’articolo 650 c.p. che non era applicabile alla fattispecie perché il fatto era sanzionato da una specifica norma costituita dall’articolo 106 del R.D. 383 del 1934 da considerarsi depenalizzata;
la prescrizione dei reati;
l’illegittimità della condanna al risarcimento del danno, quale conseguenza dell’illegittimità dell’affermazione di responsabilità.
I motivi sono stati ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata il 23 aprile del 2008, con cui si è ribadita la prescrizione dei reati.

IN DIRITTO
Il collegio rileva che tutti i reati si sono estinti per prescrizione essendo maturato alla data del 4 dicembre del 2007 il termine massimo prorogabile, secondo la disciplina, applicabile alla fattispecie ratione temporis, vigente prima della riforma introdotta con la legge n 251 del 2005.
I motivi, ancorché infondati, non possono considerarsi manifestamente tali perché pongono delicate questioni sulla linea discriminatoria tra la disciplina sui rifiuti e quella sulle acque, nonché sull’applicabilità della fertirrigazione.
In presenza di una causa estintiva del reato l’analisi delle questioni dedotte va necessariamente circoscritta, nei limiti propri del giudizio di legittimità, all’eventuale sussistenza di una causa di proscioglimento più favorevole di quella della declaratoria di estinzione del reato ed all’eventuale conferma delle statuizioni civili.
Il collegio ritiene che la decisione impugnata ai fini delle statuizioni civili possa essere confermata perché non v’è dubbio sull’illiceità penale del fatto.
Invero alla fattispecie non è applicabile né la disciplina sugli scarichi né quella sull’utilizzazione agronomica dei reflui.
Non è applicabile la prima per la mancanza di uno scarico tramite condotta o comunque stabile canalizzazione. Invero l’assimilazione delle acque reflue provenienti da imprese agricole o da allevamenti di bestiame a quelle domestiche si riferisce ai casi in cui vi sia uno scarico diretto tramite condotta. Solo in tale caso, ossia in mancanza di spandimento sul suolo degli effluenti derivanti dall’attività agricola o di allevamento del bestiame, era ed è applicabile la disciplina prevista per gli scarichi domestici, ricorrendo le altre condizioni previste dalla legge per l’assimilazione . Come precisato nella parte narrativa quei reflui erano raccolti prima in una vasca e poi sparsi sul terreno. Orbene la raccolta nella vasca configura una vera e propria raccolta di rifiuti che doveva essere autorizzata. L’eventuale utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento riguardava la successiva fase del recupero zootecnico che è cosa diversa dallo scarico ed ha una propria disciplina distinta e separata da esso e prescinde da esso. L’eventuale utilizzazione agronomica di quei reflui non escludeva l’autorizzazione per lo stoccaggio nella vasca, in quanto la pratica della fertirrigazione prescinde dalle modalità di gestione delle acque reflue di un allevamento, sia che esse siano o no soggette alla normativa sui rifiuti o a quella sulle acque , ed in quest’ultimo caso indipendentemente dalla classificazione dello scarico come industriale o domestico. Ma nella fattispecie, a prescindere pure dalla circostanza che il decreto attuativo dell’articolo 38 del decreto legislativo n 152 del 1999 (ora articolo 102 del T.U. n 152 del 2006) è stato emanato il 7 aprile del 2006 e che il piano di utilizzazione agronomica presentato dai prevenuti non è stato approvato, non si può parlare di fertirrigazione del suolo allorché, come è avvenuto nella fattispecie, i liquami vengono abbandonati alla rinfusa senza possibilità di assorbimento da parte del terreno, dando luogo a ruscellamenti, acquitrini o addirittura a paludi putrescenti, che non assolvevano la funzione, propria della fertirrigazione, di rendere i campi prosperi; anzi, come risulta dalla sentenza impugnata, hanno danneggiato il raccolto. In questi casi non si versa in ipotesi di fertirrigazione ma di abbandono di rifiuti (Cass. n 5229 del 1991; Cass. 3 dicembre 1999, Gobetti) sia in base alla normativa previgente che a quell’attuale.
La riprova dell’illiceità della fertirrigazione si desume dalla stessa ordinanza sindacale che è stata legittimamente adottata dal sindaco, per l’esistenza di urgenti ragioni di igiene e che non risulta impugnata dagli interessati. L’articolo 106 del R.D. 3 marzo 1934 n 383 , richiamato nel ricorso, si riferiva ai casi d’inosservanza dei provvedimenti ivi contemplati i quali, a differenza di quelli ai quali fa riferimento l’articolo 650 c.p., che sono caratterizzati da motivi contingenti ed urgenti, avevano natura di provvedimenti di ordinaria attuazione di leggi e regolamenti. La materia è ora regolata dagli artt 50 e 54 del decreto legislativo n 267 del 2000.
Le statuizioni civili possono essere confermate essendo stata accertata l’illiceità del fatto.