Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1712, del 26 marzo 2013
Urbanistica.Mutamento di destinazione d'uso

Il sopravvenire di una disciplina urbanistica, in assenza di atti di assensi del Comune a istanze di mutamento di destinazione non può ex sé mutare le destinazioni formalizzate a catasto. Infatti il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie catastali possono anche aversi mutamenti di fatto, ma che, come tali, sono irrilevanti sul piano urbanistico. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

 

N. 01712/2013REG.PROV.COLL.

N. 07291/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7291 del 2010, proposto da: 
Irces S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Santarelli, Giuseppe Ramadori, Gianluca Borghi, con domicilio eletto presso Stefano Santarelli in Roma, via Asiago, 8;

contro

Comune di Genova, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriele Pafundi, Maria Paola Pessagno, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4; Comune di Genova - Dir. Urban Lab, Sviluppo Urbanistico Territorio - Settore Edilizia Privata, Comune di Genova - Dir. Territorio Sviluppo Economico e Ambiente - Settore Urbanistica, Comune di Genova - Dir. Territorio Mobilita' Sviluppo Economico Ambiente - Settore Edilizia Privata;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 03941/2010, resa tra le parti, concernente diniego variante in corso d'opera relativa a progetto di ristrutturazione edificio;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Genova;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 gennaio 2013 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Gianluca Borghi, Stefano Santarelli e Gabriele Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame la società I.R.C.E.S. s.r.l. chiede l’annullamento della sentenza con cui il TAR ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento del diniego di variante ad un permesso di costruire n. 101/2007, rilasciato ad una società dante causa dell’odierna appellante, concernente lavori di ristrutturazione di un immobile con cui si chiedeva l’innalzamento di un ulteriore piano (in luogo della creazione di una soletta intermedia all’altezza di un precedente soppalco) in conseguenza del recupero ai fini residenziali del 100% (in luogo del 70 % in origine previsto) della superficie agibile relativa al piano seminterrato, da convertirsi ad autorimessa, che in precedenza era adibito a funzione di “opificio” vietata nel nuovo PUC.

La decisione impugnata è affidata al rilievo per cui:

-- la stessa ricorrente, in sede di richiesta del permesso di costruire, aveva ricondotto la destinazione d’uso dell’immobile ad una funzione vietata nella sottozona BB, proprio sulla base della classificazione catastale (D/1 – opificio) del locale a piano terreno (cfr. la relazione tecnico -illustrativa al progetto di variante in corso d’opera, doc. 8 delle produzioni 17.7.2009 di parte comunale, p. 2);

-- il problema della corretta individuazione della destinazione d’uso di un immobile, ai sensi dell’art. 13 L.R. Liguria 6.6.2008, n. 16, è stato risolto dall’amministrazione comunale nel senso che, in difetto di un titolo abilitativo originario o sopravvenuto, essendo il locale da tempo inutilizzato all’anno 2000 di approvazione del PUC, dovesse necessariamente farsi riferimento alla classificazione attribuita in sede di primo accatastamento “ad opificio”, e dunque ad una funzione vietata nella sottozona BB;

-- tale conclusione non cambierebbe anche volendo considerare il contratto di locazione in essere tra l’originaria proprietà e la Società Cooperativa Ligure Calzature e Pelletterie tra il 1981 ed il 1993 (prorogato, in forza di scrittura privata del 6.9.1993, fino al 31.5.1997, docc. 6, 7 ed 8 delle produzioni 15.5.2009 dell’appellante) che destinava i locali “ad uso esclusivo di deposito non a contatto con il pubblico degli utenti e di consumatori”. Per il TAR si tratterebbe di una destinazione pienamente sussumibile nella funzione “depositi e commercio all’ingrosso” riconducibile alla categoria “industria, artigianato, movimentazione e distribuzione all’ingrosso delle merci” (ex art. 43 punto 4.9 delle N.T.A. del P.U.C., doc. 18 delle produzioni 17.7.2009 di parte comunale), anch’essa vietata nella sottozona BB;

-- sarebbe stato dirimente il fatto che alla data di approvazione del P.U.C. il locale era inutilizzato;

-- la disposizione dell’art. 13 L.R. 6.6.2008, n. 16, nella parte in cui dà rilievo alla destinazione d’uso in essere alla data di approvazione dello strumento urbanistico generale vigente, farebbe riferimento a destinazioni comunque risultanti da atti giuridici;

-- un qualsiasi uso “di mero fatto”, oltre a contrastare con elementari esigenze di certezza giuridica, finirebbe col rendere irrazionale la norma anteponendo, con ogni intuibile effetto, utilizzi occasionali o addirittura incongrui, alle formali destinazioni giuridicamente consolidatesi nel tempo (T.A.R. Liguria, I, 25.1.2005, n. 85).

L’impresa, con otto diffuse rubriche di gravame, articolate su più profili (contenute in cinquanta pagine solo in virtù di una microscopica dimensione dei caratteri di stampa), lamenta l’erroneità della decisione che avrebbe indebitamente confermato il diniego del Comune al recupero del 100% della superficie agibile del piano seminterrato.

Si è costituito il Comune di Genova che, con le rispettive memorie, ha sinteticamente replicato alle affermazioni di controparte ed insistito per la legittimità di diniego.

A sua volta una società appellante, con due memorie per l’udienza pubblica, ha nuovamente ribadito le medesime argomentazioni sostanziali poste a fondamento della propria pretesa.

Chiamata all'udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è infondato.

Contrariamente a quanto afferma la società appellante, la sentenza impugnata non appare per nulla incongrua, peregrina, superficiale e neppure assunta sulla base di una “normativa approssimativamente compulsata”.

___1.§. Per ragioni di economia espositiva possono essere esaminate la prima, la seconda e la quarta rubrica di gravame con cui si deducono e si ripropongono, sia pure con accenti diversi, censure sostanzialmente del tutto identiche.

___1.§.1. Con il primo motivo di gravame l’appellante denuncia la violazione delle norme del PUC e dell’articolo 13, secondo comma della legge regionale Liguria n. 16/2008.

__ a.) Nella sottozona BB la funzione caratterizzante sarebbe la “residenza” ed i “piccoli esercizi commerciali” per cui le risultanze catastali relative alla destinazione d’uso del piano interrato in argomento, che stata posta a base del diniego dall’amministrazione comunale, avrebbe integrato una destinazione d’uso dell’immobile vietata nella sottozona BB.

Il Tar non avrebbe considerato la norma dell’articolo 13, secondo comma della legge regionale Liguria n. 16/2008 così come interpretata dalla giurisprudenza, per cui la destinazione dovrebbe essere riferita a quella che poteva ritenersi giuridicamente in essere.

___ b.) L’accatastamento sarebbe diretto a fini esclusivamente fiscali e non avrebbe alcun rilievo per determinare la destinazione d’uso ma, semmai, vi avrebbe solo concorso, alla pari di un qualsiasi altro atto pubblico o privato ammesso dall’ordinamento. Del tutto erroneamente il Tar Liguria avrebbe richiamato la sua giurisprudenza senza tener conto che, il medesimo giudice aveva stabilito che (cfr TAR n.85/2005) in caso in assenza o di indeterminatezza dei provvedimenti abilitativi ovvero dei diversi provvedimenti amministrativi rilasciati dalle autorità competenti, la destinazione d’uso avrebbe comunque dovuto essere dedotta anche dagli atti di natura privatistica posti in essere dai proprietari in quanto compatibili con le caratteristiche strutturali ed igienico-sanitarie eccetera, ovvero in mancanza di qualsiasi voglia altro riferimento, anche dal consolidato è comprovato utilizzo di mero fatto”; i dati catastali sono notoriamente poco credibili per cui gli accertamenti materia proprietaria non possono fondarsi su questi ultimi.

___ c.1.) Nel caso, la destinazione d’uso preesistente al rilascio del permesso di costruire n. 101/2007 era inquadrabile tra le “funzioni ammesse”, ed in particolare tra quelle previste all’articolo 43. 4.7 lett. a) n.d.a. del PUC “connettivo urbano”. Di qui l’errore sui presupposti dell’istruttoria che non avrebbe considerato come “funzione di servizi”, quelle in precedenza svolte nei locali in oggetto della cooperativa, e quindi la scorretta interpretazione della predetta norma.

___ c2.) Parimenti inconsistente sarebbe il riferimento alla mancata rilevanza del contratto di locazione “ad uso esclusivo di deposito non a contatto con il pubblico dei consumatori”.

Anche tale funzione sarebbe stata sussumibile con le funzioni di deposito del commercio all’ingrosso, anch’essa vietata nella zona BB. Di qui l’erroneità della sentenza che:

-- non avrebbe tenuto conto degli elementi istruttori forniti dalla ricorrente in appello;

-- non avrebbe tenuto conto che l’attività di una cooperativa senza scopo di lucro non poteva essere ascritta alle attività di “commercio all’ingrosso” che invece sono caratterizzate dallo “scopo di lucro”;

-- avrebbe “del tutto superficialmente decontestualizzato” l’affermazione della società appellante per cui la clausola del contratto di locazione in base alla quale era impedito l’accesso al pubblico, avrebbe avuto solo lo scopo di escludere la debenza del locatore dell’indennità di avviamento di qui all’articolo 34 e 35 della legge n. 392/1978, al momento del rilascio, ma comunque non avrebbe precluso l’esercizio dell’attività di servizio alle persone ed alle imprese proprie del tessuto urbano BB;

-- non avrebbe considerato che ai fini statutari la cooperativa aveva le medesime finalità di servizio;

-- avrebbe rimosso la nota integrativa all’istanza di variante inviata dall’appellante al Comune, con cui la società aveva espressamente chiarito che il piano terreno seminterrato sarebbe stato adibito “a sede sociale di rappresentanza via d’ufficio dove si svolgeva l’attività prevista dallo statuto sociale” della cooperativa.

Inoltre il TAR, in contrasto con le dichiarazioni rese da soggetti a conoscenza dei fatti che essendo estranei sarebbero stati “disinteressati” alla presente vicenda -- con statuizione “del tutto peregrina” -- avrebbe dato rilevanza all’indicazione cartolare dei locali della destinazione “a deposito”.

I locali non sarebbero strutturalmente e tipologicamente in grado di supportare attività artigianale, industriale e nemmeno quella di commercio all’ingrosso.

___ c.3.) La nuova normativa del BB avrebbe consentito il mutamento di funzioni vietate o il loro adeguamento tecnologico per cui la variante sarebbe una perfetta realizzazione e di integrazione di tali finalità.

___ d.) Errata in diritto sarebbe poi l’interpretazione del Tar dell’articolo 13 della L.R. 6 giugno 2008 n. 16 nella parte in cui ha ritenuto che “atti giuridici” sarebbero solo i fatti recepiti da provvedimenti amministrativi comunque aventi una forma particolare e fede pubblica.

Nel caso la locazione ad uso commerciale avrebbe invece potuto essere provato anche per testi, in quanto l’obbligo della forma scritta per tali locazioni era stata imposta solo dal successivo art. 1 della L. n.431/1998. Il mutamento delle condizioni di fatto avrebbe dovuto essere accertato a seguito di una puntuale istruttoria, volta a verificare in che misura lo stesso era utilizzabile a finalità diverse da quelle originarie.

Per il cambio di destinazione, non avrebbe rilievo la non conformità dell’immobile alla nuova disciplina, ma sarebbe dirimente la situazione determinatasi nel tempo ed accertata in modo obiettivo e senza possibilità di equivoci: il mutamento di destinazione sarebbe quello che, pur senza opere, altera la funzione originale dell’immobile per adibirlo di una funzione diversa;

-- erroneamente il giudice non avrebbe tenuto conto che l’individuazione della reale destinazione d’uso dell’immobile poteva essere fatta con ogni mezzo previsto dall’ordinamento; per cui il contratto di locazione avrebbe dimostrato che la destinazione “a deposito” avrebbe avuto i connotati propri della “giuridicità” e quindi non sarebbe un “uso di fatto”, ma sarebbe stato un uso valido ai fini di adibire l’immobile a funzioni diverse da quelle originarie in via stabile.

___ e) Nel caso in esame per definire la destinazione d’uso in essere non potevano essere utili né il titolo abilitativo, né un diverso provvedimento amministrativo previsto dalla legge e neppure il loro utilizzo al momento di approvazione del PUC . Pertanto non sarebbe stato affatto dirimente come ritenuto dal Tar il relativo inutilizzo alla predetta data ma sarebbe stata invece necessaria un’opportuna istruttoria da parte dell’amministrazione circa le ultime modalità di fruizione dei locali.

___1.§.2. Con il secondo motivo si denuncia l’erroneità della decisione sotto diversi profili.

___a) Erroneamente il Tar avrebbe assunto il carattere vincolato del dato catastale, ignorando e violando la normativa regionale che si limitava ad includere il primo come una degli indici di riferimento. Erroneamente il Tar avrebbe affermato che l’articolo 13 avrebbe fatto luogo a criteri di individuati in via gradata, ritenendo che, in presenza di uno, gli altri non avrebbero dovuto costituire oggetto di disamina procedimentale, per cui anche sotto tale punto di vista emergerebbero le carenze istruttorie della decisione. Inoltre essendo l’accatastamento rilevante solo ai fini fiscali, le risultanze catastali non sarebbero state dirimenti per la destinazione degli immobili.

___ c.) Il comune avrebbe dovuto effettuare una corretta applicazione dell’articolo 13 LR n. 6 più volte più citata, che potesse aggiornare la destinazione catastale di un immobile risalente al lontano 1940 attraverso una ricognizione strutturata ed attualizzata.

____1.§.3. Con la quarta rubrica si denuncia l’illegittimità del provvedimento impugnato che sarebbe viziato per illegittimità derivata dal preavviso di rigetto per violazione del cit. art. 13 della legge regionale n. 16/2008 e della legge n.241/1990 sotto diversi profili. Erroneamente il Tar avrebbe negato la destinazione commerciale sotto il profilo urbanistico, in essere tra il 1981 ed il 1997, dell’affittuaria Cooperativa Ligure Pelletterie che era stata provata.

Il Tar avrebbe ripreso il preavviso di rigetto nella parte in cui si sottolineava l’assurda conclusione per cui ogni richiedente potrebbe scegliere la destinazione più opportuna, secondo le proprie esigenze del momento. Tale illazione non avrebbe tenuto conto dei precedenti dello stesso Tar Liguria tutti conforme all’interpretazione (nn.85/05, 444/05, 5/2008) con cui si sarebbe affermato che l’individuazione della destinazione d’uso dell’immobile dovrebbe farsi riferimento al concetto quantitativo e discretivo di “preponderanza”, assimilato al”consolidato e comprovato utilizzo di mero fatto”.

____1.§.4. Se si fosse fatto un corretto riferimento all’effettiva destinazione d’uso del piano seminterrato, quale sarebbe risultato dalla corretta compulsazione degli elementi in fatto e diritto esposti dall’odierna appellante, si sarebbe dovuto ritenere che la superficie abitabile da ridistribuire dello stesso, non avrebbe dovuto limitarsi al 70% ma avrebbe dovuto riguardare il 100% della detta superficie. Per questo l’errata valutazione delle istanze istruttorie avrebbe impedito al TAR di valutare che le finalità della normativa di cui all’articolo BB2 del PUC sarebbero state meglio soddisfatte dalla variante negata che assicurava l’interesse generale alla riqualificazione nel rispetto delle caratteristiche architettoniche di pregio degli edifici degli spazi liberi in quanto, con la variante, la redistribuzione della superficie abitata del piano terreno era prevista a mezzo della sopraelevazione parziale di un piano dell’immobile e la rimodulazione dell’edificio in parola con la creazione di un giardino pensile.

____1.§.5. Tutte le censure sono prive di fondamento.

Sotto il profilo giuridico, la questione della valutabilità ai fini del recupero abitativo del 100% e non al 70 % delle superfici agibili, deve essere inquadrata con riferimento all’art. 63 punto BB2. 2.8 delle N.T.A. del P.U.C. di Genova, in base alla quale “Per gli edifici compatibili, adibiti a funzioni vietate, é ammessa la ristrutturazione solo con cambio d'uso per funzioni ammesse, con riduzione al 70% della S.A.”.

In tale prospettiva l’art. 13 della L.R. Liguria 6.6.2008, n. 16 specifica che “…per destinazione d'uso in atto si intende quella risultante dal pertinente titolo abilitativo ovvero, in mancanza di esso, da diverso provvedimento amministrativo rilasciato ai sensi di legge ovvero, in difetto o in caso di indeterminatezza di tali atti, quella in essere alla data di approvazione dello strumento urbanistico generale vigente o, in subordine, quella attribuita in sede di primo accatastamento, quella risultante da altri documenti probanti ovvero quella desumibile dalle caratteristiche strutturali e tipologiche dell'immobile esistente”.

In base agli ordinari canoni interpretativi la semplice lettura della norma rende dunque evidente che il legislatore regionale ha configurato un sistema “a cascata”, per cui si dà in primo luogo la prevalenza agli atti pubblici dai quali risulta la destinazione legale e, solo in caso di totale assenza, consente di far riferimento ad elementi integrativi, ma pur sempre e solo “risultanti da atti giuridici”, cioè con documenti di prova preesistenti e non formati per l’occasione.

In tale direzione l’espressione “…in subordine...” sta a significare che, in carenza dei precedenti elementi si dovrà ricorrere innanzitutto al “primo accatastamento”.

Solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui neanche tali dati siano utili ad identificare la destinazione d’uso(es. immobili ex agricoli) si può ricorrere ad “…altri documenti probanti…”, ed a chiusura del sistema, in caso si mancanza anche di questi, si potevano tener conto anche delle “caratteristiche strutturali”.

Peraltro, l’impianto della Legge regionale appare in realtà del tutto conforme ai cardini generali della materia. Infatti se, fin dalla legge istitutiva del 1º marzo 1886 n. 3682, le iscrizioni catastali non hanno valore di piena prova ai fini del riconoscimento della proprietà dei beni immobili, tuttavia ciò non toglie che a partire dalla riforma dal 1939 la funzione primaria del Catasto è proprio quella di consentire di individuare la destinazione (anche -- ma non solo -- ai fini fiscali della fissazione della rendita degli immobili) e le singole categorie catastali vengono attribuite ad ogni fabbricato proprio in base alla destinazione urbanistica del permesso edilizio.

In linea di principio quindi non corrisponde dunque affatto a verità che l’accatastamento di un immobile abbia valore ai fini fiscali in quanto, al contrario, le iscrizioni catastali rilevano, ad esempio, anche nelle procedure ablative o similari al fine dell’individuazione del proprietario (ex art. 11, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327); o per l’individuazione dei coefficienti di computo del canone con riferimento alle categorie catastali (ex art. 16 della abrogata L. 27/07/1978, n. 392); ed anche sul piano civilistico, i dati catastali degli immobili ben possono identificare l'immobile trasferito, in caso di alienazione di immobili, e quindi possono valere ad individuare con esattezza il bene oggetto della cessione (cfr. Cassazione civile sez. II 17 febbraio 2012 n. 2369).

In ogni caso, le categorie catastali rilevano ai fini dell’individuazione delle destinazioni delle unità immobiliari ivi censite per cui, in difetto di indicazione nei titoli abilitativi, la precisa ed inequivocabile destinazione catastale costituisce un elemento che non può essere pretermesso o ignorato né dalla P.A. e neppure dai relativi proprietari.

La destinazione d’uso d'uso giuridicamente rilevante di un immobile è unicamente quella prevista da atti amministrativi pubblici, di carattere urbanistico o catastale, dovendosi del tutto escludere il rilievo di un uso di fatto che in concreto si assume sia stato praticato sull'immobile, risultante da circostanza di mero fatto. Tale uso, quantunque si sia protratto nel tempo, è comunque inidoneo a determinare un consolidamento di situazioni ed a modificare ex sé la qualificazione giuridica dell’immobile.

Questo basta per poter concludere che, essendoci una visura catastale risalente al 1940 – tra l’altro allegata al progetto per la concessione originaria dalla stessa proprietà dante causa dell’IRCES – il Comune non doveva, anzi non poteva, affatto prescindere dalle predette risultanze catastali.

Non era dunque affatto necessaria alcuna ulteriore, e particolare, istruttoria a tal riguardo né da parte del Comune e tantomeno da parte del TAR, in quanto non vi era alcuna elemento di incertezza su cui indagare.

Di qui l’assoluta esattezza della motivazione per cui in assenza di titoli abilitativi, l’unico elemento certo al quale fare riferimento per stabilire la destinazione d’uso dell’immobile, inutilizzato al 2000, data di approvazione del Piano urbanistico Comunale- PUC di Genova, era quella attribuita in sede di primo accatastamento, che destinava l’edificio a funzione “opificio D/1” e dunque a funzione vietata nella sottozona BB della disciplina del PUC.

Di fronte alla qualificazione catastale in cat. D/1, irrilevante appare poi in ogni caso che la destinazione “di fatto” sarebbe tra quelle ammissibili in zona BB dalle sopravvenute previsioni urbanistiche, in quanto riconducibile alla “funzione di servizi”, ed in particolare tra quelle previste all’articolo 43. 4.7 lett. a) n.d.a. del PUC “connettivo urbano”.

Il sopravvenire di una disciplina urbanistica, in assenza di atti di assensi del Comune a istanze di mutamento di destinazione non può ex sé mutare le destinazioni formalizzate a catasto.

Infatti il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell'ambito delle stesse categorie catastali possono anche aversi mutamenti di fatto (cfr. Consiglio Stato, sez. V 22 marzo 2010 n. 1650), ma che, come tali, sono irrilevanti sul piano urbanistico.

In un caso identico la giurisprudenza aveva espressamente ricordato come l'abuso eventualmente commesso dal proprietario -- che destina a scopi commerciali una parte di un immobile con destinazione industriale -- non vale in alcun caso ad imprimere allo stesso una destinazione formale diversa da quella risultante cartolarmente (cfr. Consiglio Stato sez. V 11 giugno 2003 n. 3295).

Il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è dunque soltanto quello che interviene legittimamente tra categorie funzionalmente autonome sotto il profilo urbanistico, posto che il mutamento di fatto, da “produttivo" ad attività di commercio all'ingrosso -- o anche al dettaglio -- non configura come un mutamento di destinazione d'uso giuridicamente ed urbanisticamente rilevante (cfr. Consiglio Stato sez. V 13 febbraio 1993 n. 245).

Sotto il profilo giuridico poi le circostanze riferite dall’appellante non appaiono comunque risolventi in quanto l’art. 43 punto 4.9 delle N.T.A. del P.U.C. vieta nella sottozona BB le funzioni di “depositi e commercio all’ingrosso”, riconducibile alla categoria “industria, artigianato, movimentazione e distribuzione all’ingrosso delle merci”.

Tale ultima disposizione deve essere letta nella scia dell’impianto originariamente posto dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (oggi abrogata dal d.P.R. nr. 380 del 2001 il cui art. 10 rinvia a sua volta alle disposizioni regionali) in cui si distinguevano quattro categorie generali di destinazioni d'uso urbanistiche, come tali rilevanti ai fini del calcolo del contributo di concessione (rispettivamente: a) residenziale, b) industriale-artigianale, c) turistico-commerciale-direzionale; d)agricola).

In particolare per la Regione Liguria l’art.7 della L.R. Liguria 7 aprile 1995 n. 25 distingue: “a) residenza; b) ospitalità ricettività alberghiera, all'aria aperta, nonché extralberghiera; c) distribuzione al dettaglio; d) uffici; e) edifici per l'industria, l' artigianato, la movimentazione e la distribuzione all'ingrosso di merci”.

Qui non vi è stato dunque alcun errore sui presupposti dell’istruttoria in quanto, anche il sopravvenire della “funzione di servizi” ammissibile in zona BB, costituiva un’evenienza la quale comunque non avrebbe potuto cambiare il carattere abusivo dell’eventuale mutamento di destinazione, in assenza del conseguimento, peraltro a titolo oneroso, di un conforme provvedimento abilitativo.

Di qui l’assoluta inconferenza del contratto di locazione a deposito a servizio di quella commerciale dei soci svolta nell’immobile dalla Società Cooperativa Ligure Calzature e Pelletterie tra il 1981 e il 1997, e del rilievo per cui questa sarebbe riconducibile alla funzione “connettivo-urbano”.

Tale circostanza di mero fatto non muta l’essenza della questione né sotto il profilo fattuale e neppure sotto quello giuridico. In tale direzione resta del tutto inconferente la pretesa a ricorrere alla prova per testi per provare un fatto che risultata ininfluente a tutti gli effetti.

Né poteva mutare la legale destinazione d’uso, l’aver ubicato nel seminterrato la sede sociale della cooperativa in quanto comunque ciò non implicava alcun accesso a soggetti diversi dai soci della Cooperativa.

Non vi è poi alcun reale elemento di prova che i locali non fossero stati effettivamente destinati “ad uso esclusivo di deposito non a contatto con il pubblico degli utenti e di consumatori” come recitava la relativa clausola del contratto di locazione. Al riguardo appare una mera insinuazione il fatto che sarebbe stata una clausola posta dal locatore per non pagare l’indennità di avviamento di cui agli articoli 34 e 35 della legge n. 392/1978.

La cooperativa svolgeva in locali classificati nell’ambito della categoria catastale D/1, attività di commercio all’ingrosso o di deposito per cui quello che rilevava, sotto il profilo urbanistico, era che il seminterrato andava necessariamente ricondotto alla predetta lett. e) dell’art. 7 della L.R. cit., le cui destinazioni afferivano a una delle funzioni vietate in Zona BB, per cui poteva essere recuperata ai fini residenziali nei soli limiti del 70% della sua S.A. .

Tutti i predetti profili di censura vanno conseguentemente respinti o comunque dichiarati inconferenti.

___ 2.§. Con la terza rubrica si lamenta la violazione del combinato disposto dell’articolo 10, I° comma del r.d.l. n. 652/1939 e dell’art. 1 del d.p.r. 1142 / 1949, della Circ. n.40 del 20 aprile 1939 della Direzione Generale Del Catasto e dei Servizi Tecnici Erariali e della medesima legge Liguria n. 16/2008.

___ a.) Le norme di cui in rubrica, relative alla rendita catastale delle unità immobiliari, avrebbero imposto una destinazione suscettibile di modifiche alle esigenze suddette, attraverso una stima diretta sulle singole unità. La disciplina così tratteggiata presumerebbe ed imporrebbe a carico degli uffici tecnici competenti un’intensa, e costante, attività di aggiornamento delle risultanze catastali previo esercizio di adeguate attività istruttorie. Pertanto, erroneamente il primo giudice ha specificato che attribuire rilievo ad un uso di mero fatto contrasterebbe con elementari regole di certezza giuridica, che non avrebbe tenuto conto di destinazioni giuridicamente consolidatesi nel tempo.

___b.) La corretta applicazione della normativa catastale avrebbe implicato una previa verifica e istruttoria delle qualità intrinseche e delle caratteristiche d’uso dell’unità immobiliare in questione. Nel caso sarebbe stato pretermesso qualsiasi accertamento istruttorio tendente alla verifica della riconducibilità dell’immobile alla categoria D/1. La normativa in rubrica distingue tra immobili suscettibili di destinazione estranea alle esigenze senza radicali trasformazioni (categoria nella quale sicuramente rientra l’immobile) ed immobili non suscettibili di valutazioni estranee.

Di qui l’esigenza che la p.a. nel determinare la destinazione d’uso debba fare una specifica istruttoria.

___c. Sarebbe stata necessaria un’istruttoria a cura degli Uffici Tecnici Erariali, volta a verificare le caratteristiche intrinseche dell’ordinaria e permanente destinazione dell’unità immobiliare in questione nella categoria catastale D/1. L’inserimento dei locali in questione del complesso di un edificio, destinato ad uso abitativo in un quartiere con un’assoluta prevalenza residenziale, sarebbe incompatibile con le attività artigianali e commerciabili. Per cui la destinazione d’uso dalla categoria “opifici” non avrebbe costituito un elemento ostativo, ma anzi avrebbe confermato che l’originaria destinazione d’uso sarebbe stata tra quelle oggi rientranti nel “connettivo urbano”.

L’assunto è inammissibile oltre che infondato

In primo luogo tutti i profili diretti a censurare l’attività dell’Ufficio Tecnico Erariale sono inammissibili in quanto diretti avverso l’operato di un soggetto processualmente estraneo al presente contendere, non essendo l’appello stato notificato all’Agenzia del Territorio.

Alla luce delle considerazioni che precedono è conseguente che tutte le affermazioni di cui in rubrica. relative ai pretesi doveri di “istruttoria permanente “ del Catasto, sono assolutamente prive di pregio.

In ogni caso qui, come si è visto, la destinazione risultante a catasto ad “opificio” era perfettamente conforme alla realtà delle cose anche nel periodo del suo utilizzo a “deposito” collegato ad un’attività di vendita all’ingrosso di pelletterie.

Inoltre, in presenza di una richiesta di variante ad una concessione di ristrutturazione concernente un immobile, l’onere istruttorio dell’Amministrazione Comunale non può che essere diretto all’accertamento della sua compatibilità con la destinazione d’uso risultante nei precedenti titoli abilitativi o, in difetto, della classificazione catastale della destinazione d’uso.

Del tutto insussistente è dunque il denunciato difetto di istruttoria del Comune e del TAR in quanto non vi è alcun obbligo per il Comune di procedere a speciali e penetranti accertamenti istruttori, dato che nemmeno l’A.C. -- salvo l’esercizio dei poteri repressivi in materia di abusivismo edilizio -- può comunque determinare autonomamente ed arbitrariamente una modifica della destinazione d’uso in contrasto con le risultanze catastali.

___ 3.§. Con la quinta rubrica si assume che la sentenza avrebbe acriticamente fatto proprio il provvedimento impugnato, il quale a sua volta sarebbe stato in contrasto con lo stesso preavviso di diniego. Nel parere urbanistico la destinazione sarebbe stata riconducibile a “deposito del commercio all’ingrosso”; mentre del preavviso di rigetto contraddittoriamente si sarebbe affermato che l’utilizzo dei locali “non sarebbe stato idoneo ad alcuna destinazione commerciale”.

La risultanza catastale ad “opificio” comprenderebbe tutte le attività di trasformazioni industriali artigianali che non risultano concretamente compatibili con il tessuto urbano, comprese le pertinenti attività direzionali ed accessorie. Su tale contraddizione inspiegabilmente nulla direbbe la sentenza impugnata, a dimostrazione di un’istruttoria incongrua, mancante, o apparente, o erronea.

L’affermazione deducibile dal titolo catastale per cui sarebbe trattato di un magazzino produttivo sarebbe contraddetta dal preavviso di diniego, mentre il parere urbanistico avrebbe ricondotto alla destinazione d’uso al pianterreno in argomento a quella individuata ai sensi dell’articolo 43. 4.9d delle n.d.a. del PUC.

L’assunto va respinto.

La sentenza nulla dice a proposito delle asserite contraddittorietà tra preavviso e provvedimento per la semplice ragione che non vi era alcuna contraddizione tra le diverse destinazioni di uso, indicate nei vari atti, e tutti comunque riconducibili alla categoria D/1.

Come è evidente dalle considerazioni che precedono, e che non è il caso di ripetere, la circostanza era comunque inconferente perché, in ogni caso, quello che ha rilievo ai fini della legittimità di un atto, di norma, è esclusivamente il provvedimento finale medesimo.

___ 5.§. Devono poi essere respinte la sesta, la settima e l’ottava rubrica con cui rispettivamente:

-- si reitera in questa sede la censura di primo grado relativa alla violazione dell’articolo 34, 5° comma della L. R. Liguria n. 16/2008 e dell’articolo 15, II° comma del d.p.r. 380/2001 e la violazione dell’articolo 19, IX° comma del Regolamento Edilizio di Genova (VI° rubrica);

-- si deduce l’erroneità della declaratoria di improcedibilità dei motivi aggiunti con cui era stato impugnato l’ordine del 1.10.2009, di riprendere i lavori: per la società appellante l’atto sopravvenuto non avrebbe modificato per nulla la situazione. L’amministrazione avrebbe ancora preteso che, l’approvazione delle nuove opere in variante al progetto già approvato, sarebbe stata subordinata all’acquisizione di un nuovo titolo edilizio ovvero alla denuncia di inizio attività. Non si sarebbe trattato pertanto di cessata materia del contendere in quanto l’interesse dell’impresa appellante non sarebbe stato affatto soddisfatto (VII rubrica);

-- la sbrigativa statuizione della carenza sopravvenuta di interesse sarebbe stata priva di una qualsiasi motivazione anche in relazione all’assoluta laconicità del provvedimento medesimo(VIII rubrica).

Tulle le censure sono infondate.

Esattamente, infatti, la sentenza impugnata ha ritenuto improcedibili i motivi aggiunti per sopravvenuto difetto di interesse in quanto con la nota protocollo 74292 del 2 marzo 2010 il Comune aveva ritenuto assentibile una nuova “sospensione del cantiere fino alla pronuncia definitiva” ai sensi dell’art. 19 comma 9 del regolamento edilizio comunale.

Contrariamente a quanto assume poi l’appellante, il TAR non parla affatto di “cessazione della materia del contendere”( che come è noto presuppone la completa soddisfazione dell’interesse originario), ma solo di sopravvenuta carenza di interesse che invece concerne il diverso piano delle condizioni generali dell’azione giurisdizionale e nella specie dell’interesse processuale ad una decisione sul punto.

Nel caso, siccome i lavori erano già stati sospesi in attesa dell’approvazione della variante, è chiaro che il nuovo provvedimento costituiva un superamento della precedente intimazione a completare immediatamente i lavori e quindi era rilevante sotto il profilo dell’interesse processuale.

Il suo eventuale annullamento non sarebbe oggi di alcuna utilità sostanziale, in quanto il rigetto del presente appello elimina ogni rilevanza delle ulteriori questioni e in ogni caso, l’appellata potrà comunque concludere le opere di cui all’originaria concessione del 2007 nel tempo restante.

___ 6.§. In conclusione, l’appello è sfornito di un qualunque pregio giuridico e deve essere integralmente respinto e per l’effetto deve integralmente confermarsi la decisione impugnata.

Le spese, secondo le regole generali di cui all’art.26 e ss. , seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___1. Respinge l'appello, come in epigrafe proposto, e per l'effetto conferma integralmente la decisione impugnata.

___2. Condanna la società appellante al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Comune di Genova che vengono omnicomprensivamente liquidate in € 5.000,00 oltre ad IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)