Quando si parla di processi si scatena, nel nostro paese, una variante di quel virus infestante che, per il calcio, trasforma anche l’avventore del bar nel più affidabile CT della nazionale.
Anche il processo penale scatena questa sindrome trasformando tutti in giudici infallibili.
E’ un male contagioso, che colpisce anche chi, frequentando le aule di giustizia, dovrebbe essere immunizzato. Tra le vittime ricordo ancora con affetto un cancelliere che, quando ero pretore, dopo il mio ritiro in camera di consiglio apriva in aula un vivace dibattito sul processo appena celebrato dispensando salaci commenti su come era andata e come sarebbe dovuta andare. Era una cosa innocua e mi divertiva molto origliare un po’ prima di uscire a leggere la sentenza.
Altre volte, però, il contagio si diffonde anche nelle redazioni dei giornali, con effetti più gravi.
La cosa è fastidiosa ma sopportabile quando riguarda i fatti, che vengono ricostruiti in modo personale.
E’ molto grave, invece, quando le informazioni riguardano le regole del processo.
Tra le tante leggende create, ce ne è una che ricorre nei processi per violazioni ambientali.
Abbiamo avuto più volte occasione di parlare della prescrizione come un pericolo incombente nei processi di questo tipo perché il termine fissato è particolarmente breve.
Al danno si aggiunge però la beffa quando si legge sui giornali che un inquinatore è stato “assolto per prescrizione”. Questa espressione, utilizzata in passato anche in processi che riguardano noti politici, è errata e fuorviante.
Usando un gergo non tecnico, possiamo dire che il giudice assolve quando l’imputato è, per motivi diversi, estraneo ai fatti che gli vengono addebitati.
La prescrizione, invece, estingue il reato perché è trascorso un periodo di tempo oltre il quale lo stato non ritiene più di doverlo perseguire.
Questo non significa che l’imputato quel reato non lo ha commesso, tanto è vero che gli è consentito rinunciare alla prescrizione e chiedere di essere processato (e, se colpevole, condannato), cosa che rarissimamente avviene.
Sostenere quindi che il nostro inquinatore è stato assolto perché il reato si è prescritto, fornisce al lettore una informazione distorta e all’imputato una qualifica di innocenza che non è mai stata attestata dal giudice, avendo l’imputato scelto di non rinunciare alla prescrizione.
I processi per reati ambientali non sono, per fortuna, ritenuti degni di essere giudicati da un “tribunale del pubblico” in seconda serata, ma quelle rare volte in cui se ne parla sarebbe il caso di farlo in modo corretto.
Anche il processo penale scatena questa sindrome trasformando tutti in giudici infallibili.
E’ un male contagioso, che colpisce anche chi, frequentando le aule di giustizia, dovrebbe essere immunizzato. Tra le vittime ricordo ancora con affetto un cancelliere che, quando ero pretore, dopo il mio ritiro in camera di consiglio apriva in aula un vivace dibattito sul processo appena celebrato dispensando salaci commenti su come era andata e come sarebbe dovuta andare. Era una cosa innocua e mi divertiva molto origliare un po’ prima di uscire a leggere la sentenza.
Altre volte, però, il contagio si diffonde anche nelle redazioni dei giornali, con effetti più gravi.
La cosa è fastidiosa ma sopportabile quando riguarda i fatti, che vengono ricostruiti in modo personale.
E’ molto grave, invece, quando le informazioni riguardano le regole del processo.
Tra le tante leggende create, ce ne è una che ricorre nei processi per violazioni ambientali.
Abbiamo avuto più volte occasione di parlare della prescrizione come un pericolo incombente nei processi di questo tipo perché il termine fissato è particolarmente breve.
Al danno si aggiunge però la beffa quando si legge sui giornali che un inquinatore è stato “assolto per prescrizione”. Questa espressione, utilizzata in passato anche in processi che riguardano noti politici, è errata e fuorviante.
Usando un gergo non tecnico, possiamo dire che il giudice assolve quando l’imputato è, per motivi diversi, estraneo ai fatti che gli vengono addebitati.
La prescrizione, invece, estingue il reato perché è trascorso un periodo di tempo oltre il quale lo stato non ritiene più di doverlo perseguire.
Questo non significa che l’imputato quel reato non lo ha commesso, tanto è vero che gli è consentito rinunciare alla prescrizione e chiedere di essere processato (e, se colpevole, condannato), cosa che rarissimamente avviene.
Sostenere quindi che il nostro inquinatore è stato assolto perché il reato si è prescritto, fornisce al lettore una informazione distorta e all’imputato una qualifica di innocenza che non è mai stata attestata dal giudice, avendo l’imputato scelto di non rinunciare alla prescrizione.
I processi per reati ambientali non sono, per fortuna, ritenuti degni di essere giudicati da un “tribunale del pubblico” in seconda serata, ma quelle rare volte in cui se ne parla sarebbe il caso di farlo in modo corretto.