TAR Lombardia (MI), Sez. IV, n. 2073, del 22 agosto 2013
Urbanistica.Inedificabilità aree in fasce di rispetto

La disciplina derivante dai vincoli imposti sulle aree in fasce di rispetto non può essere derogata, neppure da parte degli strumenti generali di pianificazione del territorio, i quali, in quanto provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02073/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00798/1998 REG.RIC.

N. 03437/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 798 del 1998, proposto da: 
Meani Giovanni, Meani Rina Maria e Meani Mario, rappresentati e difesi dagli avv.ti Pierluigi Mantini e Francesco Basile, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Via Morigi 2/a;

contro

Comune di Bollate, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Luisa Celoria, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, corso di Porta Vittoria 28;




sul ricorso numero di registro generale 3437 del 2011, proposto da: 
Meani Giovanni, Meani Rina Maria e Meani Mario, rappresentati e difesi come sopra

contro

Comune di Bollate, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Brambilla Pisoni e Antonio Ditto, con domicilio eletto presso il loro studio in Milano, via Visconti di Modrone, 6

per l’annullamento

quanto al ricorso R.G. n. 798 del 1998:

del provvedimento n. 49699 del 9.12.1997, avente ad oggetto il “piano di recupero ai sensi della L. n. 457/78 in zona morfologica “Bg” Via Milano Ospiate, proprietà Meani – Trasmissione parere C.P.P.T. – Seduta del 10.11.97”, nonché di ogni altro atto comunque preordinato, connesso, presupposto e/o dipendente, ivi compreso il provvedimento del Comune datato 1.1.1996 prot. n. 000615, di sospensione dell’iter istruttorio

quanto al ricorso R.G. n. 3437 del 2011:

della delibera del Consiglio Comunale di Bollate n. 25 del 1.6.2011, avente ad oggetto l’esame delle osservazioni, relative controdeduzioni, ed approvazione definitiva degli atti costituenti il PGT ai sensi della L.R. n. 12/2005, nonché di ogni altro atto comunque preordinato, connesso, presupposto.



Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Bollate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 luglio 2013 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

I ricorrenti sono proprietari di un’area sita nel Comune di Bollate, avente una superficie di circa 10.000 mq, catastalmente identificata al Fg. n. 51, mapp.li nn. 94 e 153, per la quale, in data 14.12.1995, hanno presentato al Comune di Bollate un “preprogetto-proposta di intervento”, richiedendo un “parere preventivo di Progetto Piano di Recupero”.

Con nota del 10.1.1996 il Comune riscontrava negativamente l’istanza, affermando che “l’iter istruttorio è sospeso”, poiché l’attuazione delle zone BG richiede l’obbligatoria formazione del Piano di Inquadramento Operativo (P.I.O.), la cui predisposizione “è in fase di stesura definitiva”.

In data 25.7.1997 i ricorrenti inoltravano il Piano di Recupero redatto in maniera definitiva, a cui il Comune replicava con nota del 3.10.07, affermando che la valutazione circa la fattibilità dell’intervento era in corso.

Con nota prot n. 41449 del 24.10.1997 il Dirigente del Settore Urbanistica del Comune, ha comunicato che l’Amministrazione avrebbe provveduto alle valutazioni di merito e all’espressione delle determinazioni di competenza in ordine alla proposta di piano di cui trattasi.

Con il provvedimento impugnato nel ricorso R.G. n. 798/98, il predetto Dirigente ha comunicato il parere negativo della Commissione Programmazione Territoriale, espresso nella seduta del 10.11.1997.

Con delibera n. 54 del 2.10.2009 l’Amministrazione Comunale ha adottato il nuovo Piano di Governo del Territorio, che non essendo stato approvato, veniva riadottato, con deliberazione n. 94 del 27.12.2010, e infine approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 25 del 1.6.2011.

Tale ultimo provvedimento, impugnato con il ricorso R.G. n. 3437/11, inseriva il mappale n. 153 nel tessuto urbano consolidato, con destinazione di zona D2, mentre il mappale 109 veniva collocato nell’ambito del “Parco Urbano”, come nodo di connessione verde da salvaguardare.

Il Comune di Bollate si costituiva in entrambi i giudizi, insistendo per il rigetto dei ricorsi.

All’udienza del 4.7.2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, occorre disporre la riunione del ricorso R.G. n. 3437/11 al ricorso R.G. n. 798/98, per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

I.1) Quanto al ricorso R.G. n. 798/98, occorre scrutinare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa Comunale, sul rilievo che il provvedimento impugnato sarebbe in realtà una semplice comunicazione del parere sfavorevole della Commissione comunale sul Piano di Recupero proposto dai ricorrenti, e quindi un mero atto interno, di natura endo-procedimentale, privo di portata lesiva, e pertanto non autonomamente impugnabile.

L’eccezione è infondata.

Osserva il Collegio che la competenza in materia di approvazione degli strumenti di attuazione del piano regolatore, tra i quali rientrano anche i piani di recupero, appartiene certamente al Consiglio comunale (T.A.R. Umbria, sez. I 21 giugno 2011, n. 176), ai sensi dell’art. 32 comma 3 lett. b, l. 8 giugno 1990 n. 142, che assegna al consiglio comunale la competenza in materia di piani territoriali e urbanistici, nonché di piani finanziari e di programmi di opere pubbliche. Il procedimento avviato con la presentazione di un piano di recupero di iniziativa privata deve pertanto chiudersi con un provvedimento espresso, di approvazione o di diniego, da parte del consiglio comunale, laddove il parere della commissione edilizia non può sostituire il necessariamente espresso e formale provvedimento terminale del procedimento, che solo il consiglio comunale è deputato ad emettere.

Tuttavia, come avvenuto nel caso di specie, qualora il procedimento, dopo l’espressione di un parere negativo da parte della Commissione Edilizia, non prosegua oltre, tale atto infraprocedimentale ha sostanziale natura di diniego di approvazione, di tal che i ricorrenti hanno tutto l’interesse a rimuoverlo. La giurisprudenza ha infatti ritenuto che, in tali casi, l’atto assume efficacia di interruzione procedimentale, e sotto questo aspetto è sicuramente lesivo, oltre che illegittimo, quanto meno per contrasto con l’art. 2, c. 1, L. 7.8.90 n. 241, che impone all’Amministrazione di concludere il procedimento, ove lo stesso consegua obbligatoriamente ad un’istanza del privato, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, ovvero esso ha valore proprio del provvedimento di diniego di approvazione del proposto Piano di Recupero, ovviamente impugnabile e parimenti illegittimo perché emesso da un organo palesemente incompetente (T.A.R. Veneto, Sez. I, 15.4.1998 n. 443).

Osserva peraltro il Collegio che C.S., Sez. IV, 9.5.13, n. 2511 ha recentemente affermato che i provvedimenti emanati da commissioni tecniche, che preannunciano il tenore della decisione amministrativa, e che sono destinati ad essere sostituiti da un provvedimento definitivo emesso dall’organo ordinariamente competente ad impegnare definitivamente la volontà dell’amministrazione, possono essere impugnati immediatamente, quale mera facoltà, a cui comunque deve seguire nel corso del giudizio l’impugnazione del provvedimento definitivo, e che in mancanza di tale atto, l’impugnazione avverso il provvedimento provvisorio non soddisfa di per sé i requisiti di lesività presupposti dall’azione demolitoria, con conseguente inammissibilità della stessa (nella fattispecie oggetto del giudizio si è dichiarata l’inammissibilità dell’impugnativa di un parere tecnico di un dirigente comunale, in ordine ad una proposta di lottizzazione). Con tale pronuncia il Consiglio di Stato si è espressamente discostato dalla giurisprudenza risalente, ritenendo la stessa “giustificata dalla storica, ma ormai superata, concentrazione delle prospettive di tutela unicamente nell’azione di annullamento, restando al tempo quella sul silenzio, utile ad accertare, sullo sfondo di un’amministrazione totalmente inerte, ed in una logica puramente attizia, l’esistenza di un obbligo di provvedere e l’attualità di tale obbligo, talché l’esistenza di un atto anche se soprassessorio conduceva ad una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità dell’azione. Il varo del codice del processo amministrativo, ma, ancor prima, la configurazione di poteri speciali del giudice per l’ipotesi di azione avverso l’inerzia, estesi in via eccezionale alla cognizione dell’eventuale fondatezza dell’istanza (già previsti dall’art. 6 bis della legge n. 80/2005), ha fatto venir meno la necessità di accomunare le due fattispecie, rendendo possibile anche in presenza di un atto soprassessorio l’azione sul silenzio”.

Il Collegio, pur condividendo i principi sopra espressi, non ritiene tuttavia che essi possano trovare applicazione nella fattispecie per cui è causa.

Come sopra evidenziato, il Consiglio di Stato fonda infatti il nuovo indirizzo sull’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, e sulla L. n. 80/2005, fonti entrambe molto successive ai fatti per cui è causa, risalenti invece al 1997.

L’eccezione deve pertanto essere rigettata, poiché i nuovi strumenti processuali non potevano ovviamente essere esperiti all’epoca di proposizione del ricorso, quando la giurisprudenza ammetteva invece pacificamente l’impugnabilità degli atti infraprocedimentali idonei a produrre un arresto procedimentale e riconosceva l’interesse strumentale all’eliminazione dell’atto o del comportamento preclusivo del successivo sviluppo del procedimento amministrativo.

Con una seconda eccezione il Comune di Bollate chiede una pronuncia di inammissibilità del ricorso, poiché la nota impugnata avrebbe un contenuto meramente confermativo di quanto già statuito in precedenza dalla stessa Amministrazione, nella citata nota del 24.10.97.

L’eccezione è infondata poiché tale nota concludeva affermando che “l’Amministrazione Comunale provvederà nei modi e nei termini previsti dalle disposizioni di legge e regolamentari vigenti, alle valutazioni di merito e all’espressione delle determinazioni di competenza in ordine alla proposta di piano di cui trattasi”, con ciò espressamente rinviando la definizione del procedimento ad un momento successivo, come effettivamente avvenuto.

Anche l’ulteriore eccezione di inammissibilità, rivolta avverso l’impugnazione della nota prot. n. 615 del 10.1.1996, con la quale il Comune ha sospeso l’iter istruttorio, è infondata, essendosi impugnato tale atto solo in quanto presupposto, laddove le doglianze sollevate nel ricorso sono in realtà unicamente rivolte avverso provvedimenti successivi.

I.2) Nel merito, il ricorso R.G. n. 798/98 è fondato.

Il diniego impugnato ha ritenuto “che il Piano di Recupero non sia redatto in modo da garantire un migliore assetto urbanistico, in conformità agli obiettivi previsti dall’Amministrazione Comunale”. Detto parere ha in particolare precisato che nello strumento urbanistico generale erano state individuate le zone di recupero del patrimonio edilizio esistente, definendo per ogni frazione una delimitazione ad isolati, e che “allo stato attuale non vi è nessun atto che definisca perimetrazioni diverse rispetto a quelle individuate dal P.R.G. vigente”, con la conseguenza che “gli interessati possono presentare Piani Attuativi in variante al P.R.G. che comportino modificazioni dei perimetri degli ambiti territoriali subordinati a Piani Attuativi, a condizione che sia assicurato un migliore assetto urbanistico nell’ambito di intervento”.

Come correttamente evidenziato dai ricorrenti, tali affermazioni sono alquanto generiche, e non danno pertanto luogo ad una vera e propria motivazione, non consentendo agli interessati di comprendere le ragioni poste a fondamento del diniego, e in particolare quali siano le concrete carenze del piano presentato, che non consentono di assicurare il “migliore assetto urbanistico nell’ambito di intervento”.

Parimenti, anche le ulteriori determinazioni contenute nel detto parere risultano apodittiche, e pertanto affette dal difetto di motivazione.

Il diniego impugnato afferma infatti che “gli standard proposti in cessione sono stati ritenuti tali da possedere una connotazione, in termini di tipologia e di fruibilità, a verde pertinenziale dei fabbricati, piuttosto che spazi univocamente votati ad uso pubblico”, senza tuttavia minimamente indicare le ragioni e/o i criteri che hanno portato ad esprime tale giudizio negativo sull’effettiva utilità pubblica delle aree indicate a standard.

Anche l’ulteriore affermazione, peraltro contestata nel merito dai ricorrenti, secondo cui i predetti spazi “non garantiscono il pieno rispetto delle NTA vigenti, per quanto concerne i previsti varchi verso la zona a verde dei fontanili che risultano dimensionalmente ridotti”, risulta insufficientemente motivata, risolvendosi in sostanza in una mera enunciazione di generica contrarietà alle “N.T.A. vigenti”, senza invece indicare la concreta prescrizione che si assume violata e senza precisare i concreti profili di contrasto, mediante raffronto della dimensione dei varchi previsti nel piano di recupero, con la dimensione minima che sarebbe invece stata necessaria.

Il ricorso n. 798/98 deve pertanto essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.

II) Il ricorso R.G. n. 3437/2011 è invece infondato.

II.1) Con il primo motivo i ricorrenti deducono la contraddittorietà delle previsioni impugnate, nella parte in cui le stesse inseriscono le aree di loro proprietà nel “Parco Urbano”, che tuttavia si estenderebbe in altra parte del territorio comunale, a cui sarebbero collegate da un percorso di ridotte dimensioni, senza neppure che il P.R.G. enunci le ragioni di tale scelta.

Il motivo è infondato.

II.1.1) In primo luogo, deve darsi atto che il Comune, nel respingere le osservazioni dei ricorrenti, ha adeguatamente motivato in ordine alle predette scelte, in questa sede contestate.

In linea generale, l’onere di motivazione gravante sull’Amministrazione in sede di adozione di uno strumento urbanistico, salvo i casi in cui esso incida su zone territorialmente circoscritte, ledendo legittime aspettative, è di carattere generale, e risulta soddisfatto con l’indicazione dei criteri che sorreggono le scelte effettuate, senza necessità di una motivazione puntuale e mirata, così come, nell’ambito del procedimento volto all’adozione dello strumento urbanistico, non occorre controdedurre singolarmente e specificamente a ciascuna osservazione ed opposizione (C.S., Sez. IV, 6.5.2013 n. 2427).

Nel caso di specie, il Comune ha invece puntualmente controdedotto sulle osservazioni formulate dai ricorrenti, ritenendo che le aree di loro proprietà dovessero essere inserite nel Parco Urbano, dando così luogo ad un “nodo di connessione verde da salvaguardare per garantire la continuità del sistema paesistico ambientale, andandosi ad innestare con l’asse nord-sud del Parco Urbano, definito lungo il sistema delle acque”, ciò che è pertanto sufficiente ad escludere il difetto di motivazione.

II.1.2) Il motivo è anche infondato nella parte in cui censura l’irragionevolezza delle scelte effettuate.

In via preliminare, occorre darsi atto che non è consentito sindacare in sede giurisdizionale le scelte urbanistiche operate dall’Amministrazione, in quanto espressione di un apprezzamento di merito, sottratto al sindacato di legittimità, a meno che non risultino evidenti illogicità od abnormità (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 5.9.2012 n. 3746), che il Collegio non ritiene tuttavia configurabili nel caso di specie.

Infatti, malgrado la discontinuità esistente tra il detto Parco e le aree dei ricorrenti, con tale scelta il Comune ha propriamente inteso “portare il Parco delle Groane all’interno della città”, lungo un percorso caratterizzato da elementi di naturalità presenti nel territorio (punto 14.3 della relazione illustrativa del Documento di Piano), anche mediante la formazione di tragitti ciclabili e pedonali, considerando le aree interessate come uno snodo di connessione verde da salvaguardare, per garantire la continuità del sistema paesistico ambientale e del sistema dei fontanili (art. 23 N.T.A.).

Ritiene pertanto il Collegio che quanto sopra evidenziato esprima una scelta da parte del Comune, eventualmente criticabile, ma non certo affetta da profili di manifesta illogicità che possano consentire di apprezzare la censura prospettata.

II.2) Con un secondo ordine di argomenti, si deduce la violazione dei principi in materia di perequazione urbanistica contenuti nell’art. 11 L.R. n. 12/2005. Infatti, malgrado il p.r.g. impugnato abbia espressamente affermato di voler dare attuazione agli ambiti di trasformazione, applicando i detti principi, il Comune non avrebbe in realtà previsto misure perequative di carattere generale, estese all’intero p.g.t., limitando invece le stesse solo tra gli ambiti di trasformazione omogenei, o al loro interno. Conseguentemente, pur essendo essenziali alla trasformazione degli ambiti 1 e 3, le aree dei ricorrenti sopporterebbero unicamente i pesi della perequazione, senza poter invece concorrere anche ai vantaggi, non essendo ricomprese nel perimetro di tali ambiti.

L’Amministrazione Comunale, sia in sede di controdeduzioni, che nell’ambito del presente giudizio, ha giustificato il mancato conferimento dei vantaggi richiesti dai ricorrenti, in conseguenza dei vincoli di inedificabilità esistenti sul mappale 109 (fascia di rispetto tracciato strada varesina, presenza di linea metanodotto ed elettrodotto di alta tensione, fascia di rispetto di 150 m dal torrente Nirone/secondario Villoresi, fascia di rispetto del reticolo idrico minore).

Ritiene il Collegio che, a causa di detti vincoli, l’area non è oggettivamente utile a fini edificabili, essendo inibita a qualsiasi tipo di trasformazione, non essendo pertanto i ricorrenti titolari di alcuna legittima aspettativa, onde poter usufruire degli invocati vantaggi perequativi.

Infatti, per giurisprudenza pacifica, un vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto, non ha un contenuto propriamente espropriativo, né può qualificarsi come preordinato all’espropriazione (Cass. Civ., Sez. I, 13.4.2012 n. 5875), dovendo invece riconoscersi natura conformativa alle prescrizioni che regolano la proprietà privata per il perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali appunto il vincolo di inedificabilità c.d. “di rispetto” (C.S., Sez. IV, 28.12.2012 n. 6700).

Conseguentemente, la perequazione non può applicarsi al di fuori delle aree soggette a trasformazione urbanistica, in linea di principio risultandone esclusi tutti i suoli rispetto ai quali, come nel caso di specie, in assenza di potenzialità edificatorie, non appare ipotizzabile quello scambio di utilità fra proprietà ed amministrazione che concretizza una delle funzioni tipiche della perequazione, riducendo il ricorso all’esproprio (T.A.R. Toscana, Sez. I, 31.10.2012 n. 1752).

II.2.1) In ordine alle ulteriori censure, ritiene il Collegio che, poiché i ricorrenti non hanno diritto, nell’an, ad usufruire delle misure perequative previste dal provvedimento impugnato, gli stessi non hanno alcun interesse a contestare, nel quantum i criteri ivi previsti per la concreta determinazione dei benefici spettanti ai proprietari legittimati ad accedere alla predetta compensazione.

In particolare, in base alle disposizioni impugnate, il predetto mappale n. 109 potrà essere acquisito dai proprietari dell’ambito 1 o dell’ambito 3, ai fini dell’ottenimento di maggiore capacità edificatoria da sviluppare in tali zone. I ricorrenti lamentano pertanto che i predetti proprietari sono gli unici soggetti legittimati a chiedere la cessione al Comune di Bollate delle aree dei ricorrenti, a titolo compensativo, al fine di ottenere l’attribuzione di ulteriori diritti edificatori, e che pertanto l’acquisizione della loro area al patrimonio pubblico è rimessa alla volontà di un soggetto terzo, il quale è inoltre libero, entro certi limiti, di avviare la trasformazione dei detti ambiti, indipendentemente dal coinvolgimento degli stessi ricorrenti.

Incidentalmente, osserva il Collegio che il predetto sistema perequativo dà effettivamente luogo ad una compensazione meramente eventuale, attesa la facoltà, e non l’obbligo, dei proprietari delle aree comprese negli ambiti soggetti a trasformazione, di acquisire le aree dei ricorrenti, potendo disporre i primi di un’edificabilità, utilizzabile indipendentemente dalla detta acquisizione, eventualmente incrementabile, qualora gli stessi acquisiscano le aree (7% della superficie delle aree acquisite). La tematica è stata peraltro già portata all’attenzione del Tribunale, che nella sentenza del 17.9.2009 n. 4671 (Sez. II), ha deciso su un ricorso in cui si censurava un sistema perequativo “facoltativo”, avendo il p.r.g. sostituito il precedente indice virtuale, che obbligava i proprietari di terreni in ambito misto di trasformazione ad acquisire le aree, ad un indice effettivo che, come nel caso di specie, permetteva ai proprietari delle aree di trasformazione di costruire anche senza l’acquisizione delle aree inserite negli ambiti di perequazione. Il detto utilizzo facoltativo delle aree collocate negli ambiti di perequazione misti è stato ritenuto illegittimo, in quanto destinato a svuotare di significato l’obbligo di estendere il piano attuativo dalle zone di trasformazione a quelle di perequazione, laddove invece la funzione perequativa è connessa alla necessaria partecipazione di tutti i proprietari alle trasformazioni del territorio, residuando una generica funzione compensativa della non edificabilità, tuttavia privata dei suoi requisiti di certezza legali, connessi all’imposizione del vincolo, e del suo contenuto economico, non essendo più il diritto edificatorio connesso al valore dell’area. Parimenti, con la sentenza n. 1145 del 23.4.2010, si è accolto un ricorso in cui si censurava come l’attuazione del meccanismo perequativo fosse rimessa alla libera determinazione dei proprietari delle aree di trasformazione, i quali potevano accontentarsi della volumetria loro assegnata, e senza acquisire e cedere al Comune le aree di riqualificazione ambientale. Anche in tale occasione il Tribunale ha infatti ritenuto che tale sistema vanificasse gli obiettivi perseguiti della perequazione urbanistica, ed in primis l’eliminazione delle disuguaglianze tra proprietari di fondi edificabili e di fondi destinati alla “città pubblica”.

Tuttavia, come già evidenziato, nel caso di specie difettano in radice i presupposti affinché i ricorrenti possano usufruire dei benefici correlati alla perequazione urbanistica, non residuando pertanto in capo agli stessi alcun interesse a contestare il provvedimento impugnato, laddove disciplina le modalità onde ripartire le utilità spettanti ai proprietari legittimati.

Peraltro, malgrado i predetti vincoli comportino l’impossibilità di riconoscere al mappale 109 un determinato indice di edificabilità, il Comune resistente ha comunque previsto che tale area possa essere acquisita dai soggetti interessati alla trasformazione degli ambiti 1 o 3, qualora gli stessi intendano incrementare la loro capacità edificatoria, ciò che non era una conseguenza obbligata del sistema perequativo, dandosi così luogo ad un trattamento maggiormente favorevole, rispetto a quello che il Comune avrebbe potuto riservare all’area dei ricorrenti.

Una volta accertato che tale area non poteva beneficiare dei vantaggi del sistema perequativo, non può che divenire pertanto inammissibile ogni censura finalizzata ad accertarne, sotto altri profili, l’illegittimità, ciò che si risolverebbe in uno svantaggio per gli stessi ricorrenti, che si vedrebbero privati dei predetti vantaggi.

II.2.2) Onde contrastare i visti argomenti del Comune, i ricorrenti osservano che la loro proprietà è composta da due mappali, di cui solo il n. 109 è soggetto alle predette limitazioni, che non eliminano la capacità edificatoria dello stesso, ma semmai impediscono eventualmente la localizzazione di un fabbricato. Mantenendo l’area con una disciplina unitaria, l’edificabilità espressa dal mappale n. 109 potrebbe essere utilmente localizzata sul mappale n. 153, evitando così ogni problema di compatibilità con i vincoli esistenti.

Il Collegio non condivide tale impostazione, poiché dal vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto deve tenersi conto senza che rilevi, al fine di escludere l’inedificabilità dell’area vincolata, la circostanza che la stessa sarebbe comunque computabile nella determinazione della volumetria o della superficie edificabile sul restante suolo espropriato, poiché ciò non rende l’area in questione suscettibile di edificazione, restando pur sempre operante il divieto di costruire su di essa (Cass. Civ., Sez. I, 13.4.2012 n. 5875).

II.2.3) Ulteriormente, i ricorrenti osservano che nel precedente p.r.g., l’intera area di loro proprietà, e pertanto anche il mappale n. 109, malgrado la presenza dei vincoli, era invece classificata come zona morfologico-funzionale di recupero, ex art. 27 L. n. 457/78, ciò che avrebbe impedito la collocazione di fabbricati, ma non certo lo sfruttamento edificatorio dell’area stessa.

Osserva sul punto il Collegio che la disciplina derivante dai vincoli imposti sulle aree in fasce di rispetto non può essere derogata, neppure da parte degli strumenti generali di pianificazione del territorio, i quali, in quanto provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto (Cass. Civ., Sez. I, 17.12.2012 n. 23210), ciò che non rende decisivo, ai fini dell’accoglimento del motivo, la disciplina attribuita alle aree di che trattasi dai precedenti strumenti urbanistici.

II.3) Alla luce di quanto precede vanno anche rigettate le censure prospettate nel quarto motivo, con le quali i ricorrenti si dolgono del limite posto dal provvedimento impugnato all’acquisizione delle aree, consentito solo per quelle di superficie superiore a 5.000 mc.

Come infatti già evidenziato nel precedente punto II.3), l’esistenza dei vincoli ivi evidenziati pone le aree dei ricorrenti oggettivamente al di fuori della logica perequativa, da cui la carenza di interesse a contestarne le concrete modalità applicative, come disciplinate nel provvedimento impugnato.

II.4) Con l’ultimo motivo i ricorrenti, in maniera alquanto sintetica, si dolgono del fatto che “una piccola parte dell’area compresa tra la recinzione esistente ed il limite della carreggiata risulta priva di alcuna zonizzazione”, ciò che rappresenterebbe un errore, che come tale avrebbe dovuto essere corretto in sede di approvazione del P.G.T.

Il motivo è generico, non essendo adeguatamente supportato da indicazioni specifiche che consentano al Collegio di apprezzare l’esistenza del detto errore, anche a fronte di quanto affermato dalla difesa comunale, secondo cui gli azzonamenti sono stati effettuati sulla base dello stato dei luoghi e dei limiti delle recinzioni esistenti.

Il ricorso R.G. n. 3437/2011 va pertanto respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in conseguenza della soccombenza reciproca.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa riunione del ricorso R.G. n. 3437/11 al ricorso R.G. n. 798/98, accoglie il primo, e respinge il secondo.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Mauro Gatti, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/08/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)