Consiglio di Stato Sez. VI n. 6672 del 26 novembre 2018
Urbanistica.Ingiunzione a demolire e indicazione dell’area di sedime da acquisire
Il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l’esatta indicazione dell’area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, con piena garanzia per il destinatario, è invece necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate.
Pubblicato il 26/11/2018
N. 06672/2018REG.PROV.COLL.
N. 02463/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2463 del 2018, proposto da:
PASQUALINO PICCOLO, MANUELA DAL BEN, entrambi rappresentati e difesi dagli avvocati Novello Diego, Eugenio Demo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Petretto in Roma, via Premuda, n. 1/A;
contro
COMUNE DI BARBARANO MOSSATO, rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandra Mari, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, piazza Santa Anastasia, n. 7;
per la riforma:
della sentenza del T.a.r. Veneto – Venezia – Sez. II n. 829 del 2017;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Barbarano Mossato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Eugenio Demo e Alessandra Mari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.‒ I fatti di causa rilevanti ai fini del decidere possono essere così riassunti:
- i signori Pasqualino Piccolo e Manuela Dal Ben ‒ comproprietari del compendio immobiliare sito nel Comune di Barbano Vicentino, catastalmente censito al foglio 20, mappali nn. 665, 217, 343, località Via San Giovanni ‒ presentavano, in data 4 febbraio 2002, una domanda di concessione edilizia per la costruzione di un nuovo accessorio agricolo a servizio del fondo in loro proprietà, che veniva accolta dall’amministrazione comunale in data 29 aprile 2002 con il rilascio del permesso di costruire n. 4634;
- in data 20 dicembre 2012, a seguito di un sopralluogo della polizia municipale, veniva appurato che l’immobile suddetto era stato adibito ed utilizzato come civile abitazione, anziché come annesso rustico, mediante la realizzazione di opere in difformità rispetto al progetto originario, consistenti: nello spostamento della scala per l’accesso al primo piano, nella modifica delle forometrie interne, nell’apertura di quattro nuove finestre, nella realizzazione di un soppalco abitabile ed accessibile dalla nuova scala interna, nella realizzazione di un garage nel seminterrato con accesso da una rampa; nonché nella costruzione di una struttura a pianta rettangolare lungo il lato ovest, formata da supporti verticali infissi nel terreno a sostegno di una rete metallica e coperti da una struttura leggera ad uso ricovero pollame e animali domestici;
- il Comune di Barbano Vicentino emetteva quindi le ordinanze di demolizione n. 26 e n. 27 del 17 dicembre 2013, motivando che le opere realizzate in difformità concretavano delle variazioni essenziali rispetto al permesso rilasciato, la struttura a pianta rettangolare per la realizzazione del ricovero animali era avvenuta senza il previo rilascio del titolo abilitativo, il convogliamento delle acque meteoriche era avvenuto in assenza di denuncia di inizio attività;
- con il successivo verbale di sopralluogo prot. n. 2179 del 3 aprile 2014, il Comune constatava che gli appellanti avevano provveduto ad ottemperare solo parzialmente alle ordinanze di demolizione, e segnatamente: in riferimento all’ordinanza n. 26, veniva accertata la rimozione delle suppellettili e di parte del mobilio, mentre risultavano ancora esistenti tutte le modifiche edilizie apportate all’annesso rustico, così come risultava ancora esistente la struttura adibita a ricovero animali dalla quale era stata eliminata la sola copertura; in riferimento all’ordinanza n. 27, risultava rimossa la sola copertura della tettoia, mentre erano ancora esistenti gli elementi lignei scoperti, la pavimentazione e le opere derivanti dallo sbancamento conseguentemente realizzato, così come erano ancora esistenti la platea in calcestruzzo e le ulteriori opere derivanti dal relativo sbancamento con terrazzamento;
- gli appellanti presentavano, in data 3 aprile 2014, due istanze di permesso di costruire in sanatoria per le opere non rimosse: una prima istanza (prot. n. 0002174) riguardava la «sanatoria per esecuzione lavori in difformità rispetto a quanto autorizzato con C.E. n. 4634 del 03/06/2002 per costruzione accessorio agricolo»; la seconda istanza (prot. n. 0002175) aveva ad oggetto la «sanatoria per realizzazione opere di sbancamento e strutture di contenimento con installazione di pompeiana in legno a servizio di accessorio agricolo»;
- con riferimento alle suddette istanze, il Comune chiedeva, in data 30 maggio 2014, una integrazione documentale, riscontrata dagli appellanti in data 29 luglio 2014, con contestuale richiesta di proroga per lo studio geologico relativo alla compatibilità o meno delle opere di sbancamento;
- il Comune di Barbano Vicentino, tuttavia, non si pronunciava sulle istanze di sanatoria che quindi dovevano intendersi rifiutate, a seguito del decorso del termine di 60 giorni come previsto dall’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001.
1.1.‒ Con due distinti ricorsi (n. 1590 e n. 1591 del 2014), i signori Pasqualino Piccolo e Manuela Dal Ben impugnavano i citati provvedimenti taciti di rigetto, censurando:
- a) la violazione e la falsa applicazione dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto, non avendo l’ordine demolitorio specificatamente individuato l’area di sedime da acquisire, sarebbe stato possibile presentare domanda di sanatoria, anche oltre il termine di 90 giorni;
- b) violazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990, per non aver concluso la pubblica amministrazione il procedimento con un provvedimento espresso, e quindi senza esplicitazione delle ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento del diniego.
1.2.‒ Nel frattempo, il Comune di Barbano Vicentino notificava ai ricorrenti, in data 3 aprile 2015, l’ordinanza di acquisizione al patrimonio disponibile dell’Amministrazione n. 1939 del 27 marzo 2015). In particolare, veniva disposta, ai sensi dell’art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 l’acquisizione al patrimonio disponibile del Comune di Barbarano Vicentino delle seguenti opere ed aree: - l’immobile classificato come annesso rustico composto da piano interrato, piano terra e soppalco, comprensivo dell’area di pertinenza (l’area di sedime di mt. 5); - la struttura composta da elementi verticali, rete metallica e copertura leggera utilizzata per il ricovero di animali e la platea in calcestruzzo e aree di sbancamento e terrazzamento comprensive dell’area di sedime di mt. 5 cui alle citate ordinanze; - l’immobile per ricovero attrezzi composto da pavimentazione, muratura di contenimento e travature in legno, comprensivo della relativa aree di pertinenza di mt 5.
Anche tale provvedimento veniva gravato dai ricorrenti, con un ulteriore autonomo ricorso (n. 910 del 2015), con il quale veniva dedotto, sotto svariati profili: la violazione e la falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto l’area del sedime da acquisire sarebbe stato individuato esclusivamente con tale provvedimento di acquisizione gratuita, e non con le ordinanze di demolizione, e senza prendere in considerazione gli interventi ripristinatori eseguiti in parziale ottemperanza delle medesime ordinanze.
2.‒ Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, con sentenza n. 829 del 2017, respingeva integralmente l’impugnativa, sia dei due dinieghi taciti, sia dell’atto di acquisizione coattiva.
3.‒ I signori Pasqualino Piccolo e Manuela Dal Ben hanno quindi proposto appello avverso la sentenza del T.a.r., chiedendo, in riforma della stessa, l’accoglimento dei ricorsi di primo grado.
Gli appellanti ripropongono in sostanza le medesime censure sollevate in primo grado sia pure adattate all’impianto motivazionale della sentenza di primo grado. In particolare, contestano l’erroneità della statuizione del giudicante nella parte in cui ha ritenuto inammissibili le domande di sanatoria, presentate in data 3 aprile 2014, oltre il termine di 90 giorni dalla comunicazione delle ordinanze di demolizione, sotto i seguenti profili: - le ordinanze di demolizione non individuerebbero specificatamente l’area da acquisire nei modi previsti dall’art. 31 d.P.R. n. 380/2001; - stante il contenuto generico delle ordinanze di demolizione, l’effetto automatico di acquisizione gratuita non si sarebbe potuto produrre; - sarebbe stata necessaria una pronuncia espressa dell’Amministrazione; - le opere di ripristino eseguite dai ricorrenti erano state sostanziali perché riguardanti elementi strutturali delle medesime opere, come accertato dal verbale di sopralluogo del 3 aprile 2014.
Chiedono altresì la riforma del capo di sentenza che ha posto le spese di lite a loro carico.
4.‒ Il Comune di Barbano Vicentino si è costituito in giudizio, eccependo in via preliminare: l’inammissibilità del gravame per violazione del principio di specificità dei motivi di appello; l’inammissibilità del primo motivo del ricorso in appello per violazione del divieto di nova in appello (nella parte in cui afferma che le domande di sanatoria, oltre che tempestive, erano anche fondate, all’uopo richiamando quanto dedotto nelle memorie di replica ai sensi dell’art. 73 c.p.a., mentre nessuna argomentazione sul punto era stata svolta nei ricorsi introduttivi di primo grado); l’inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di legittimazione e dell’interesse ad agire (poiché nessun vantaggio può generare in favore degli appellanti l’impugnazione del diniego tacito di sanatoria, essendosi già prodotto ope legis l’effetto acquisitivo in favore dell’amministrazione); l’inammissibilità del secondo motivo dei ricorsi di primo grado per violazione dell’art. 40, comma 1, lettera d) c.p.a., non avendo controparte addotto alcuna argomentazione tecnico-giuridica a sostegno della dedotta “doppia conformità”.
Nel merito, il Comune insiste perché il gravame sia dichiarato infondato.
5.‒ All’esito dell’udienza pubblica del giorno 15 novembre 2018, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.‒ Il “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni ‒ e quindi di tralasciare ogni valutazione pregiudiziale sulle diverse eccezioni di rito sollevate dal Comune ‒ e di risolvere la lite nel merito.
2.‒ Il primo mezzo di gravame è indirizzato avverso la statuizione del giudice di prime cure che ha qualificato come perentorio il termine di 90 giorni, decorrente dalla data di notifica delle ordinanze di demolizione, per la presentazione della domanda di sanatoria. Il T.a.r. avrebbe dovuto infatti considerare che, nel caso di specie, l’ordinanza di demolizione non aveva descritto l’area da acquisire.
La censura non è fondata.
2.1.‒ La gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del comune dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva ‒ ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) ‒ costituisce una sanzione autonoma che consegue ad un duplice ordine di condotte, poste in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla, in conformità della regola.
L’effetto ablativo opera di diritto e va riconnesso al mero decorso del termine di 90 giorni assegnato con l’ingiunzione a demolire. La notifica dell’accertamento formale dell’inottemperanza si configura infatti soltanto quale titolo necessario per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari.
2.2.‒ Nel caso in esame, le ordinanze di demolizione sono state notificate in data 18 dicembre 2013. Nei successivi 90 giorni ‒ il cui decorso, in scadenza il 18 marzo 2014, non poteva certo essere impedito dalla richiesta di integrazione documentale del 30 maggio 2014, successiva al suo spirare ‒ gli istanti non presentavano domanda di sanatoria, e neppure procedevano alla completa riduzione in pristino dell’immobile.
2.3.‒ Su queste basi, è possibile prescindere dallo scrutinio della della tesi secondo cui il meccanismo sanzionatorio non opererebbe qualora l’ordine demolitorio non dia compiuta rappresentazione dell’area da acquisire. È dirimente, ai fini del rigetto, osservare che, nel caso in esame, le ordinanze di demolizione precisavano quanto segue: «in caso di inottemperanza […] si provvederà ad acquisire il sedime del manufatto oltre all’area circostante per una larghezza di mt. 5 lungo tutto il perimetro, precisando che l’accesso, dalla via pubblica a detta area, dovrà essere garantito a mezzo di servitù da definirsi nei modi e termini di legge». L’area da acquisire era dunque identificata nel sedime del manufatto e nell’area circostante per «una larghezza di mt. 5 lungo tutto il perimetro».
2.4.‒ Per completezza va pure ribadito (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. VI, 06/02/2018, n. 755; sez. V, 7 luglio 2014, n. 3438; sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2568) che il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l’esatta indicazione dell’area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, con piena garanzia per il destinatario, è invece necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate.
3.‒ Con il secondo motivo di appello gli appellanti si dolgono della mancata emanazione di un provvedimento espresso.
Anche tale censura non può essere accolta.
3.1.‒ In forza dell’art. 36 del testo unico dell’edilizia ‒ secondo cui «sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata» ‒ il riscontro dell’accertamento di conformità può avvenire anche tacitamente.
Per questi motivi, l’amministrazione comunale era facoltizzata ‒ una volta rilevata la tardività presentazione dell’istanza di sanatoria ‒ a lasciare decorrere il termine.
Invero, il dispositivo tecnico denominato “silenzio-diniego” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di rigetto. Tale equivalenza significa che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo. L’interessato è onerato della tempestiva impugnazione, ma non può limitarsi a censurare il difetto di motivazione (di cui il silenzio è strutturalmente carente), bensì deve comprovare che «l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
Nel caso in esame, l’istante non ha svolto considerazioni specifiche e tempestive in merito alla sussistenza della conformità urbanistica delle opere contestate.
4.‒ Errata è anche la censura secondo cui l’amministrazione resistente non avrebbe tenuto conto della parziale ottemperanza alle ordinanze impugnate, né avrebbe reso alcuna motivazione al riguardo.
4.1.‒ L’ottemperanza parziale all’ordine di demolizione non può certo impedire il verificarsi dell’effetto acquisitivo, altrimenti si favorirebbero comportamenti opportunistici e dilatori dell’interessato.
Deve poi aggiungersi che, nel caso in esame, gli interventi di ripristino posti in essere dagli appellanti sono stati del tutto marginali, essendosi limitati a rimuovere solo alcuni beni mobili e i suppellettili dell’annesso rustico adibito a residenza e la copertura della struttura metallica realizzata.
5.‒ Gli appellanti impugnano altresì il capo della sentenza che li ha condannati alla rifusione delle spese di lite in primo grado.
Anche tale motivo va respinto.
5.1.‒ La regolazione delle spese giudiziali non richiede, in via generale, una ampia motivazione, posto che esse, per principio generale, seguono la soccombenza (art. 91 c.p.c.), ponendosi invece un onere di più specifica motivazione laddove la regolazione delle spese prescinda dalla vittoria in giudizio e risponda ad esigenze differenti (art. 92 comma 1, c.p.c.). Resta fermo che la statuizione del primo giudice sulle spese e sugli onorari di giudizio costituisce espressione di un ampio potere discrezionale, come tale insindacabile in sede di appello, fatta eccezione per l’ipotesi di condanna della parte totalmente vittoriosa, oppure per il caso che la statuizione sia manifestamente irrazionale o si riferisca al pagamento di somme palesemente inadeguate (Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7581).
5.2.‒ Ciò posto, la statuizione del T.a.r. ha fatto corretta applicazione della regola generale della soccombenza, e la liquidazione operata non appare scorretta od abnorme. Peraltro gli appellanti non indicano i parametri da cui il giudice di primo grado si sarebbe discostato.
Anche in questa parte, dunque, la sentenza di primo grado va confermata, con reiezione dell’appello.
6.‒ Le spese di lite del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 2463 del 2018, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna gli appellanti, in solido tra loro, al pagamento in favore della controparte costituita delle spese di lite del secondo grado di giudizio, che si liquidano in € 3000,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Bernhard Lageder, Presidente FF
Marco Buricelli, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani, Consigliere