TAR Campania (NA) Sez. VII n. 474 del 24 gennaio 2022
Urbanistica.Ordine di demolizione e diritto alla abitazione
Non è giuridicamente apprezzabile un’assiomatica prevalenza del diritto fondamentale all’abitazione sull’interesse pubblico a ristabilire l’ordine giuridico violato, attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione, ordine peraltro previsto da una legge dello Stato, essendo dunque già stato operato il bilanciamento tra il diritto all’abitazione, quale proiezione del diritto costituzionalmente garantito alla proprietà ex art. 42 Cost., e l’interesse pubblico connesso al ripristino dello status quo ante attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione, previsto dall’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001
Pubblicato il 24/01/2022
N. 00474/2022 REG.PROV.COLL.
N. 03844/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3844 del 2021, proposto da
Vincenza Amendola ed Anna Del Sorbo, rappresentate e difese dall'avvocato Nicola Giovanni Saetta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Santa Maria La Carità, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per l'annullamento,
previa adozione di idonee misure cautelarei,
- della Disposizione Dirigenziale n. 74 del 23/7/2021, ingiunzione ex art 31 DPR 380/01, del Comune di Santa Maria La Carità (NA) – 2° Settore Amministrativo – Servizio Antiabusivismo, priva di numero di protocollo, notificata il 27/07/2021 alla signora Amendola ed il 26/7/2021 alla signora Del Sorbo, avente ad oggetto “Ripristino dello stato dei luoghi mediante eliminazione opere abusive realizzate in via Pontone n° 56, (foglio 7 p.lla n. 1620)”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2022 il dott. Michele Buonauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Le ricorrenti, rispettivamente in qualità di proprietaria ed usufruttuaria del manufatto sito nel Comune di Santa Maria La Carità, alla via Pontone n. 56 (foglio 7, p.lla n. 1620), sono insorte avverso il provvedimento emesso dall’amministrazione comunale n. 74 del 23 luglio 2021, con cui si è ingiunta la demolizione delle ulteriori opere abusive ivi rinvenute (in esito a sopralluogo effettuato in data 30.4.2021), consistenti nella realizzazione di una tettoia (di circa 35mq) al primo piano, nonché nel completamento funzionale della porzione a piano terra posta nella parte retrostante del fabbricato (di superficie pari a circa 25 mq).
1.1. Articolano censure di violazione dell’art. 1 del d.m. 28 marzo 1985 (poiché risalendo l’abuso a data anteriore al 3.4.2007, risulterebbe antecedente al deliberato del Consiglio Comunale di Santa Maria La Carità n. 64 del 27.11.2009 col quale si dichiarava che il territorio comunale rientrava nei territori per i quali operano le previsioni e prescrizioni del Piano Urbanistico Territoriale e non tra quelli assoggettati alle disposizioni del decreto ministeriale n. 98 del 26.4.1985, per cui gli effetti di tale deliberato verrebbero a non essere estensibili alla fattispecie in questione); violazione del principio di affidamento e buona fede; violazione del diritto alla abitazione sancito dagli artt. 6 ed 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (CEDU - ECHR), come interpretati dalla Corte di Giustizia Europea.
1.2. Non si è costituita l’amministrazione comunale.
1.3. Accolta l’istanza cautelare con ordinanza n. 1745 del 2021, all'udienza pubblica del 19 gennaio 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
2. Il ricorso non è meritevole di favorevole apprezzamento.
2.1. Occorre chiarire, in punto di fatto, che l’ordinanza gravata, sul rilievo della realizzazione di opere edilizie in prosecuzione lavori su un manufatto ab origine costruito sine titulo e già oggetto di sanzioni demolitorie, ha emesso un ulteriore ordine di ripristino dello stato dei luoghi.
In altri termini l’amministrazione comunale, nel verificare l’ulteriore progresso dei lavori, posto in essere in violazione del precedente provvedimento repressivo dell’abusivismo edilizio, ha ingiunto alle ricorrenti il ripristino dello stato dei luoghi.
Su questa premessa occorre vagliare i motivi di censura.
3. Il primo motivo è evidentemente infondato, in quanto, in disparte ogni questione in ordine all’incidenza di vincoli sopravvenuti, l’ordine sanzionatorio si fonda sulla mancanza assoluta di un titolo edilizio, sicché lo stesso si fonda sulla conclamata abusività dell’intero plesso.
4. Quanto all’affidamento, il decorso di un ampio lasso di tempo non è una condizione che inficia la legittimità dell’ordine demolitorio. In giurisprudenza è stata dibattuta la particolare ipotesi in cui sia trascorso un notevole lasso di tempo tra la commissione dell’abuso, il suo accertamento e l’adozione della misura sanzionatoria, in quanto alcune pronunce hanno ritenuto di poter fare una eccezione al suindicato principio generale richiedendo, a tutela dell’affidamento del privato, una specifica motivazione sulla sussistenza ragioni di interesse pubblico atte a giustificare la misura demolitoria, tanto che il provvedimento che non specifichi tali ragioni risulta affetto dal vizio di difetto di motivazione.
4.1. Il Consiglio di Sato, con decisione resa in Adunanza plenaria (n. 9 del 2017) ha definitivamente chiarito che il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, con la conseguenza che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) non deve essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.
Il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.
In particolare, nel caso di abusi edilizi vi è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, che confida nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza.
In queste ipotesi il fattore tempo non agisce in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse Al riguardo, il Collegio rileva come di affidamento meritevole di tutela si possa parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente ed in senso compiuto reso nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato non già nel caso, come quello di specie, in cui si commetta un illecito a tutta insaputa della stessa (Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5509).
Inoltre, l’abuso edilizio rappresenta un illecito permanente integrato dalla violazione dell’obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare in conformità a diritto lo stato dei luoghi, di talché ogni provvedimento repressivo dell’Amministrazione non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai esaurito, bensì interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento (T.A.R. Brescia, Sez. I, 22 febbraio 2010, n. 860).
5. Più delicata è la censura mediante la quale si evoca il contrasto del provvedimento sanzionatorio con i principi sanciti in sede euro-unitaria a sostegno del diritto ad un’abitazione dignitosa. Nel caso di specie l’età avanzata di una delle ricorrenti, che versa in una situazione precaria di salute e di reddito, e la circostanza che il manufatto sia stato adibito per anni ad abitazione principale, integrerebbero quei presupposti indicati dalla Corte di Giustizia per determinare l’illegittimità della misura sanzionatoria per difetto di proporzionalità.
5.1. È bene chiarire, in punto di fatto, che l’immobile è stato già oggetto di un ordine demolitorio (disposizione dirigenziale n. 70 del 6 giugno 2007, prot. 9761), onde nessun affidamento o buona fede è postulabile in capo alle ricorrenti, le quali non hanno adempiuto all’ordine demolitorio già irrogato in precedenza e divenuto inoppugnabile. Inoltre, la nuova contestazione rende manifesto, in disparte l’aggravamento della abusività dell’opera, che gli abusi sono finalizzati ad un ampliamento complessivo della fruibilità dell’edificio, con conseguente insussistenza delle condizioni tipiche dei cd. “abusi di necessità”.
5.2. Più in generale, è noto che la demolizione è conseguenza naturale e vincolata della violazione urbanistica, una volta acclarato, come detto, il carattere abusivo delle opere a seguito del diniego di sanatoria.
La giurisprudenza di legittimità, prendendo atto delle pronunce dei giudici europei intervenute in materia, ha osservato che, in tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto “assoluto” all’inviolabilità dello spazio abitativo, desumibile dalle decisioni della Corte EDU, tale da precludere l’esecuzione dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, finalizzato a ristabilire l’ordine giuridico violato: è evidente, infatti, che “il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinate l’equilibro urbanistico edilizio” (Cassazione penale sez. III, 15 novembre 2019, n. 844).
Per tali ragioni, come condivisibilmente sostenuto da questo Tribunale, “non è giuridicamente apprezzabile un’assiomatica prevalenza del diritto fondamentale all’abitazione sull’interesse pubblico a ristabilire l’ordine giuridico violato, attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione, ordine peraltro previsto da una legge dello Stato, essendo dunque già stato operato il bilanciamento tra il diritto all’abitazione, quale proiezione del diritto costituzionalmente garantito alla proprietà ex art. 42 Cost., e l’interesse pubblico connesso al ripristino dello status quo ante attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione, previsto dall’art. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380/2001” (T.A.R. Napoli, Sez. IV, 10 giugno 2020, n. 2305).
In altri termini, la sanzione ripristinatoria della legalità violata può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme CEDU (in tal senso anche la dottrina, nel commentare la "sentenza Varvara" e la lettura datane dalla Corte Costituzionale con la sent. 49/2015). Secondo i giudici nazionali proprio considerando le argomentazioni sviluppate dalla Corte di Strasburgo poteva ricavarsi che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una "pena" nemmeno ai sensi dell'art. 7 C.E.D.U., perché "essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge" (Corte di Cassazione Penale, Sez. 3^ 05/12/2016).
Ad ogni modo, è assorbente notare che l’invocata decisione della Corte EDU si rivela anche in concreto inapplicabile, perché le persone coinvolte (proprietaria ed usufruttuaria) non hanno dimostrato in giudizio di non avere la disponibilità di un immobile diverso da quello oggetto di demolizione, mancando pertanto la dimostrazione di non possedere una sistemazione alternativa adeguata a far fronte alle asserite esigenze abitative.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va dunque rigettato. Sante l’assenza dell’amministrazione comunale intimata, nessuna statuizione è dovuta in ordine alle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - sede di Napoli (Sezione Settima), definitivamente pronunciandosi sul ricorso, come in epigrafe indicato, lo rigetta. Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati:
Michelangelo Maria Liguori, Presidente
Michele Buonauro, Consigliere, Estensore
Valeria Ianniello, Primo Referendario