LA LEGITTIMAZIONE AL RICORSO IN MATERIA URBANISTICA

di Francesca Romana Maellaro

 

pubblicato su Giur. merito 2012, 7-8 si ringrazia l'Editore

Sommario: 1. Introduzione. 2. Il sindacato giurisdizionale in materia urbanistica. 2.1. Profili oggettivi del giudizio urbanistico. 2.2. I presupposti dell'azione processuale ed individuazione delle parti del giudizio impugnatorio. 3. La legittimazione a ricorrere in virtù della vicinitas ed il recente contrasto di giurisprudenza. 4. Il ricorso delle associazioni ambientaliste. 5. Conclusioni.

2. INTRODUZIONE

La legittimazione ad impugnare i provvedimenti in materia urbanistica ha originato negli anni un contrasto di giurisprudenza quanto alla definizione dei limiti di accesso alla tutela giurisdizionale, trattandosi nella specie di provvedimenti più di altri idonei ad incidere su una sfera allargata di interessi non esclusivamente coincidenti con il diretto destinatario dell'atto. Sicchè è dibattuto l'inquadramento dei soggetti ammessi al ricorso, avuto riguardo ai presupposti cui è improntata l'azione processuale, tanto da non poter riscontrare indirizzi unitari sul punto, bensì differenti ed invero discordanti approcci interpretativi. Il tema controverso concerne principalmente la legittimazione a ricorre dei soggetti controinteressati ad un dato intervento urbanistico in quanto legati al territorio oggetto dell'azione amministrativa per vicinanza geografica, per l'esercizio di un'attività economica correlata alla zona o semplicemente perché portatori di interessi diffusi inerenti al governo del territorio medesimo, come nel caso delle associazioni ambientaliste. A tutt'oggi la giurisprudenza non ha raggiunto univoci approdi, mantenendo sull'argomento posizioni distinte. È così facile individuare due principali filoni, di cui uno più restrittivo, vòlto a ritenere l'ammissibilità dell'azione solo quando il ricorrente dimostri un interesse concreto ulteriore rispetto alla semplice circostanza della prossimità della propria residenza o comunque attività commerciale alla zona investita dal provvedimento urbanistico; un altro più flessibile che invece reputa sufficiente il collegamento geografico senza che il ricorrente sia chiamato a dimostrare il danno in concreto subìto alla proprie facoltà dominicali.

Un esempio di tale conflitto di giurisprudenza è fornito dalle sentenze in commento n. 360 e n. 349 del 2012, pronunciate dal Tar Toscana le quali si pongono in reciproca contraddizione, quanto alla valutazione delle condizioni del ricorso, in entrambi i casi spiccato da soggetti diversi dal beneficiario del titolo urbanistico, però coinvolti dall'intervento pubblico, giusto il collegamento degli stessi al territorio interessato. Siffatto requisito è stato ritenuto da solo sufficiente a legittimare il ricorrente nella pronuncia n. 360 del 2012 della sezione III, mentre in quella n. 349 del 2012 della sezione I è stato escluso che la circostanza in oggetto esaurisca altresì il presupposto dell'interesse a ricorrere, che va adeguatamente dimostrato nei suoi caratteri di attualità e concretezza.

Per una più completa disamina appare opportuno muovere da una sommaria illustrazione dei requisiti tipici del giudizio in materia urbanistica, in guisa da evidenziarne le principali peculiarità, da cui hanno tratto origine le questioni che ci occupano in questa sede.

2. IL SINDACATO GIURISDIZIONALE IN MATERIA URBANISTICA

Le problematiche legate alla impugnazione dei provvedimenti in materia urbanistica, ed in particolar modo quelle concernenti i limiti della legittimazione a ricorrere, sono giustificate dalla speciale natura dei provvedimenti in oggetto, recanti spesso un contenuto eterogeneo al punto da prestare il fianco a varie forme di impugnabilità. Ciè è dettato dall'accentuata funzione strumentale del settore urbanistico, che nell'ampio sistema dell'agire pubblico garantisce la coesistenza di tutti i possibili usi su di un medesimo territorio (1). Il precipuo fine è quello di regolamentare i vari interessi, siano essi pubblici o privati, riferiti allo stesso ambito territoriale, imprimendo un ordine capace di mantenere la reciproca compatibilità degli usi e delle trasformazioni del suolo. L'assetto territoriale va infatti definito alla luce degli interessi ivi coinvolti, sicché l'attività amministrativa tende a conciliare le prerogative di interesse pubblico con le posizioni giuridiche vantate dai privati ed esposte al potere pubblico di regolamentazione del territorio. Per tale ragione l'ordinamento predispone a favore dei privati degli strumenti di tutela sia ex ante, riconoscendo diritti di partecipazione all'iter di approvazione degli strumenti urbanistici, sia ex post mediante l'accesso ad una tutela giurisdizionale (2) dal carattere alquanto poliedrico dal punto di vista tanto oggettivo che soggettivo (3).

2.1. Le modalità di impugnazione in relazione all'oggetto del giudizio

Sul crinale oggettivo è interessante osservare le modalità di esperimento dell'impugnazione, condizionate dal tipo di atto che si intende censurare. Le disposizioni contenute nel piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato nella normativa regionale, possono infatti essere distinte tra quelle che stabiliscono nell'immediato le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata ossia le norme di c.d. zonizzazione, la destinazione di aree alla soddisfazione di standard urbanistici, la localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo e quelle che più in dettaglio regolano l'esercizio dell'attività edificatoria, generalmente contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o del regolamento edilizio. Per le prime, derivandone un immediato effetto conformativo dello ius aedificandi dei proprietari dei suoli interessati si impone, al fine di contestarne il contenuto, un onere di immediata impugnativa entro i termini decadenziali decorrenti dalla pubblicazione dello strumento pianificatorio. Diversamente le regole di zonizzazione e di localizzazione diverrebbero inoppugnabili, esplicando efficacia cogente per ogni avente causa che subentrasse nel diritto dominicale con tutti i suoi limiti sia di natura privatistica che pubblicistica. Viceversa le prescrizioni, contenute nelle norme tecniche di attuazione, producendo queste effetti contestualmente all'adozione dell'atto applicativo, giusta la loro natura regolamentare, possono essere censurate in occasione dell'impugnazione dell'atto stesso. Le norme tecniche di attuazione del piano regolatore rappresentano quindi degli atti a contenuto generale, recanti prescrizioni a carattere normativo e programmatico, destinate a regolare la futura attività edilizia e, in quanto tali, non immediatamente lesive di posizioni giuridiche soggettive, sì da poter essere impugnate solo unitamente al provvedimento che ne costituisca la concreta applicazione, dalla cui piena conoscenza decorreranno i termini per la proposizione del ricorso.

In ogni caso l'ampiezza del sindacato giurisdizionale sull'attività pianificatoria tiene conto della riserva di amministrazione che preclude un'ingerenza del giudice sulle valutazioni discrezionali compiute dalla P.A., seppure anche queste limitate dagli affidamenti maturati dai privati titolari degli assetti cui le scelte amministrative andrebbero ad incidere.

Tali affidamenti possono legittimamente originarsi da fonti latamente negoziali quali le convenzioni di lottizzazione o gli accordi di diritto privato, posti in essere tra il comune ed i proprietari delle aree, nonché da giudicati di annullamento di diniego di concessione edilizia o di silenzio rifiuto della domanda di concessione oppure dal mutamento della destinazione urbanistica di un'area di proprietà privata suscettibile di vocazione edificatoria in base alla quale sia stata rilasciata concessione edilizia, da cui discende un titolo abilitativo in grado di far maturare al privato delle aspettative circa la futura destinazione dell'area di sua proprietà. Ciò rende più pregnante l'obbligo di motivazione delle scelte urbanistiche contrastanti con tali legittime aspettative, da cui l'inevitabile allargamento del sindacato giurisdizionale, allorché l'amministrazione non giustifichi adeguatamente la decisione assunta a detrimento delle ragioni del privato proprietario. Pertanto la giurisprudenza ha escluso che l'assenza di un obbligo generale di motivazione delle scelte di piano consenta di eludere un sindacato sul cattivo esercizio del potere, allorché questo sia declinabile in specifici vizi di legittimità dell'atto di pianificazione e di localizzazione. Ne consegue che l'esplicazione delle ragioni fondanti le decisioni assunte dall'amministrazione in merito a delle varianti urbanistiche, costituisce strumento essenziale per consentire un vaglio di legittimità degli atti di intervento sul territorio, in guisa da prevenire soprattutto il vizio di un eccesso di potere nell'agire pubblico.

2.2. I presupposti dell'azione processuale ed individuazione delle parti del giudizio impugnatorio

Sotto il profilo soggettivo ricorrono anche in sede di giudizio urbanistico i princìpi generali in merito alle condizioni di ammissibilità del ricorso giurisdizionale. Com'è noto, affinché l'azione possa dirsi validamente esperita sono richiesti in capo al ricor rente specifici requisiti, tradotti in termini di legittimazione ed interesse a ricorrere in giudizio. Tale regola processuale non è tuttavia apparsa sempre pacifica nel settore in oggetto, attesa la sussistenza di disposizioni normative che hanno dato àdito a diverse soluzioni interpretative circa l'esatta individuazione dei soggetti da ritenere legittimati ad intraprendere un'azione avverso provvedimenti abilitativi di interventi urbanistici.

Gli esordi della questione possono rintracciarsi nella novella apportata dalla Legge - Ponte 6 agosto 1967, n. 765, all'art. 31 comma 9 l. 17 agosto del 1942, n. 1150 Legge Urbanistica Fondamentale), con cui è stato sancito che «chiunque» può ricorrere contro il rilascio di una concessione edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione. Siffatta disposizione è stata intesa da una parte della dottrina (4) come in grado di sovvertire il tradizionale meccanismo di legittimazione processuale, tanto da ipotizzare che nelle intenzioni del legislatore vi fosse l'introduzione di un'azione popolare in materia urbanistico edilizia, idonea ad aprire il giudizio impugnatorio anche a soggetti diversi dal proprietario c.d. «frontista», direttamente danneggiato nella sua proprietà dall'intervento autorizzato. Siffatta conclusione è stata tuttavia scongiurata da un altro filone dottrinale (5), anche corroborato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che, seppure in prima battuta orientato ad ammettere un consistente ampliamento dei limiti soggettivi dell'azione processuale (6), in seguito, tenuto conto di quanto disposto dal novellato art. 31 comma 9 L.U., ha comunque riconosciuto con la sentenza n. 523 del 1970, pronunciata dalla V sezione, la legittimazione a ricorrere dei soli soggetti portatori di interessi legittimi non semplicemente differenziati bensì qualificati da uno stabile collegamento con l'area di intervento (7), profilando una tutela giurisdizionale posta a metà strada tra il sistema tradizionale ed il ricorso popolare.

Tale arresto giurisprudenziale, pure noto come la «decisione del chiunque», non è tuttavia bastato a dirimere i contrasti interpretativi creatisi sul tema della legittimazione ad impugnare i titoli edilizi, non essendo stati definiti adeguatamente i criteri di individuazione delle categorie di soggetti ammessi al ricorso, che nella pronuncia sono stati riassunti nel generico requisito dell'«insediamento abitativo», quale circostanza foriera dell'interesse a ricorrere dei proprietari limitrofi all'area interessata dall'intervento. È stato quindi sollecitato in dottrina (8) uno sforzo di approfondimento della materia, per salvaguardare una prerogativa di determinatezza dei presupposti dell'azione, messa in forse dalla apertura della difesa giurisdizionale, prospettata dai giudici di Palazzo Spada senza una contestuale definizione dei confini entro cui la stessa si sarebbe districata, così affidando a criteri eccessivamente liberi l'individuazione degli interessi meritevoli di tutela.

Ma la mancata sopravvenienza di precisi chiarimenti giurisprudenziali ha lasciato spazio a pallidi tentativi di definizione dei limiti di tutela, sicché la stessa Cassazione, allo scopo di circoscrivere la sfera di legittimazione all'azione, ha elaborato il criterio delle «zone», quale requisito dimensionale per la localizzazione degli interessi, mancando però di specificare il fondamento di siffatta scelta, così mantenendo i margini di incertezza già rilevati in precedenza.

Si è diffusa quindi negli anni una prassi casistica, che ha consentito di estrapolare regole di principio strettamente legate alla natura dell'atto impugnato. Ad esempio nel caso di impugnazione di un piano urbanistico, la giurisprudenza ha escluso che la stessa debba essere notificata ad eventuali controinteressati, in considerazione della natura di atto amministrativo generale del piano, per cui non sarebbe configurabile alcuna posizione di controinteressato, quand'anche vi fosse l'indicazione nominativa di un proprietario eventualmente avvantaggiato dalle previsioni contenute nel provvedimento; l'interesse qualificato che costituisce la premessa per il riconoscimento della posizione di controinteressato deve essere espressamente tutelato dal provvedimento ed oggettivamente percepibile come un vantaggio, indipendentemente dall'interesse perseguito dal ricorrente, requisiti che non ricorrono nel caso dello strumento urbanistico, poiché la sua funzione esclusiva è quella di predisporre un ordinato assetto del territorio comunale, prescindendo dalle posizioni dei titolari di diritti reali e dai vantaggi o dagli svantaggi che ad esse possono derivare dalla pianificazione.

3. LA LEGITTIMAZIONE A RICORRERE IN VIRTÙ DELLAVICINITASED IL RECENTE CONTRASTO DI GIURISPRUDENZA

Il requisito quindi maggiormente avallato in giurisprudenza per riconoscere la legittimazione a ricorrere in materia urbanistica è quello detto della vicinitas, per cui avrebbero titolo all'impugnativa i cittadini residenti nel Comune interessato dall'intervento pubblico. A siffatto criterio è stata riferita una duplice accezione, allorché da un lato è stato inteso come vicinanza strettamente fisica, nel senso di adiacenza tra le aree, da cui la legittimazione a ricorrere del proprietario confinante del terreno oggetto del provvedimento amministrativo; secondo un approccio più sostanzialista il medesimo criterio consentirebbe invece di includere anche le posizioni di coloro che, seppure non titolari di terreni o aree immediatamente prossime a quelle interessate dalla variante urbanistica, siano alla stessa legati da un concreto interesse dettato ad esempio dallo svolgimento di una specifica attività commerciale. Sulla scorta del secondo indirizzo la dottrina ha quindi azzardato l'ipotesi di una possibile «logica compensativa» sposata dalla giurisprudenza, per cui una formale carenza di legittimazione sarebbe colmata da un interesse a ricorrere valutato come concreto ed attuale (9).

La ricerca di una effettiva lesione attribuibile al ricorrente ha portato parte della giurisprudenza a privilegiare l'approccio sostanzialistico, per cui non basta a legittimare all'azione il solo essere cittadino di un determinato territorio, essendo viceversa indispensabile rintracciare una specifica incidenza dell'intervento urbanistico su un interesse non già generalizzato ma facilmente localizzabile ed attribuibile al soggetto che leva l'impugnazione. È stato perciò ribadito che l'interesse a ricorrere contro gli strumenti di pianificazione urbanistica, può riconoscersi anche ad un soggetto che non sia proprietario delle aree cui è destinato l'intervento, qualora questo sia comunque tale da incidere sul godimento e sul valore di mercato dell'area, sì da coinvolgere gli interessi propri del ricorrente medesimo (10).

Esigenze di chiarezza hanno inoltre condotto a coniare delle definizioni per meglio riassumere i criteri elaborati dalla giurisprudenza, traducendo il requisito della vicinitas in termini di «stabile collegamento».

La varietà degli interessi sottesi ad un determinato assetto territoriale porta ad intendere tale concetto aldilà di un significato rigidamente geografico, in guisa da garantire tanto l'interesse del proprietario dell'area limitrofa a preservare il valore del proprio investimento, quanto la posizione di chi svolge un'attività commerciale riferita al medesimo territorio e rispetto al quale abbia costituito un bacino di utenza(11) che potrebbe essere turbato dall'insediamento in un area fisicamente attigua di una attività analoga, che si porrebbe in concorrenza con l'attività preesistente, attingendo entrambe al medesimo mercato di riferimento (12).

In tale ottica il concetto di vicinitas, tradotto in termini di stabile collegamento acquisisce un significato più ampio, proiettandosi nella dimensione del bacino di utenza, che, pur muovendo dal dato geografico, non si esaurisce nello stesso, potendo valutare la legittimazione del ricorrente anche in ragione della natura degli interessi sussistenti in una determinata area nonché della tipologia e della localizzazione delle attività imprenditoriali esistenti sul territorio.

In base a tali assunti una prevalente giurisprudenza ha confermato che il criterio della vicinitas non importa l'introduzione di un'azione popolare, dovendo in ogni caso verificarsi la sussistenza di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato del ricorrente, considerando il durevole rapporto esistente tra la sua proprietà e l'area interessata dall'intervento (13). Sulla scorta di tale orientamento il significativo collegamento nel quale si risolve il requisito in esame deve essere indagato caso per caso, avuto riguardo per gli effetti diretti ed indiretti dell'intervento sui diversi fattori costituenti il medesimo contesto ambientale e territoriale. Ne consegue che ai fini della impugnazione di un titolo edilizio, la condizione di vicinitas, va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e della dimensione dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (14).

Non sono tuttavia mancati indirizzi giurisprudenziali meno attenti al profilo sostanzialistico sopra illustrato e maggiormente incentrati sul criterio strettamente fisico geografico. In tal senso possiamo ricordare la sentenza del Tar Abruzzo n. 607 del 2004 in merito all'impugnazione promossa da un'impresa commerciale avverso provvedimenti urbanistici concernenti l'insediamento e la costruzione dell'impianto di una impresa concorrente. Nella specie il Collegio si è soffermato esclusivamente sul dato geografico in virtù del quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso, pur riconoscendo che le imprese in causa facessero riferimento al medesimo mercato, decisione in più punti criticata dalla dottrina, che viceversa ha riconosciuto l'interesse della ricorrente all'annullamento del provvedimento abilitativo dell'attività concorrente, dalla quale avrebbe subito un evidente lesione, data dalla sottrazione di una quota di clientela.

Più di recente si è comunque profilato un orientamento volto a fondare la legittimazione attiva su un collegamento «in senso giuridico» tra la posizione del ricorrente e l'area di intervento urbanistico. Ciò tuttavia non ha scongiurato ulteriori conflitti di giurisprudenza in merito al grado di valutazione della legittimazione attiva, cioè la misura in cui sia in ogni caso richiesto a colui che promuove l'azione in giudizio di dare chiara dimostrazione del tipo di lesione che lo stesso dichiara di subire proprio in ragione della condizione di collegamento con il territorio, da cui sarebbe legittimato alla proposizione del giudizio impugnatorio.

Un chiaro esempio delle divergenti vedute giurisprudenziali è fornito proprio dalle recentissime Tar Toscana, sez. III, n. 360 del 2012, e sez. I, n. 349 del 2012.

In entrambe le decisioni è stata vagliata dai giudici l'eccezione di ammissibilità del ricorso alla luce dei presupposti che legittimano un soggetto a proporre un impugnativa, per la quale le due Sezioni indicate sono giunte ad opposte conclusioni. Sia l'una che l'altra sentenza sono state pronunciate all'esito del ricorso proposto da soggetti controinteressati all'intervento urbanistico. In particolare la pronuncia n. 360 ha giudicato sull'impugnazione proposta da una società proprietaria di un immobile situato in una zona ricadente nell'area oggetto di un piano di recupero, recepito in un apposito regolamento urbanistico, censurato dalla ricorrente per mancata valutazione degli effetti integrati del provvedimento di governo del territorio da parte dell'amministrazione comunale, che avrebbe così pretermesso la fase istruttoria al di fuori dei casi consentiti dal piano strutturale, in violazione di quanto prescritto dalla legislazione regionale (15). Sul punto della legittimazione ad impugnare la Sezione III ha fatto richiamo alle statuizioni giurisprudenziali incentrate sul concetto di vicinitas, ritenuto applicabile ad ogni attività di trasformazione del territorio, comprese quelle previste nel piano di recupero (16). Nello specifico i giudici toscani hanno ritenuto di condividere l'orientamento per cui «la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza tra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale» (17). Il possesso di un titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimamente abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assume violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare (18). È stato quindi ribadito il criterio dello stabile collegamento quale circostanza sufficiente a radicare in un soggetto la legittimazione a promuovere un impugnazione, potendo prescindere da ogni indagine sulla sussistenza di un ulteriore specifico interesse, postulando l'identità tra il requisito della vicinitas e quello della legitimatio ad causam.

A diverse conclusioni è invece giunta la sezione I, investita del ricorso proposto, da un lato dai soggetti residenti nelle vicinanze di una zona interessata dall'intervento urbanistico e, dall'altro, da un comitato di zona e da una associazione onlus. Riguardo ai primi è stata dichiarata l'inammissibilità del ricorso, motivando i giudici che la semplice vicinanza non basta a fondare l'interesse a ricorrere, se al contempo non venga dimostrato dallo stesso ricorrente un concreto pregiudizio conseguente ai provvedimenti impugnati. Più nello specifico è stato ribadito che il criterio della vicinitas, seppure idoneo a supportare la legittimazione al ricorso non esaurisce gli ulteriori profili dell'interesse concreto all'impugnazione costituito dalla lesione effettiva e documentata delle facoltà dominicali del ricorrente.

Quanto al comitato ed alla associazione onlus, è stata ritenuta l'inammissibilità del solo ricorso promosso dal comitato, per mancata dimostrazione della giuridica esistenza dello stesso, mentre quello dell'associazione è stato ritenuto validamente esperito.

In particolare la Sezione I ha rilevato come la zona interessata dall'intervento urbanistico fosse sottoposta ad un vincolo paesaggistico, sicché l'incremento del carico urbanistico avrebbe potuto astrattamente incidere sul bene ambiente alla cui tutela è tipicamente ascritta l'azione associativa. Nella specie non è stato così rinvenuto un mero interesse urbanistico bensì un interesse alla tutela del bene ambiente evidentemente esposto agli effetti delle scelte urbanistiche in atto, in linea con precedenti giurisprudenziali in cui si è stabilito che «la sussistenza della speciale legittimazione riconosciuta dalla legge ai soggetti che abbiano tra i propri fini istituzionali la tutela dell'ambiente e che, in virtù della loro qualificazione, sono normativamente individuati attraverso un particolare procedimento, deve sempre essere correlata in primo luogo alla sussistenza del bene protetto, per la cui tutela la legittimazione soggettiva è legislativamente riconosciuta» (19). Di conseguenza le associazioni ambientaliste devono reputarsi legittimate ex lege ad agire in giudizio avverso provvedimenti lesivi in modo diretto ed immediato dell'interesse ambientale, anche laddove si tratti di atti a contenuto urbanistico, qualora questi appaiano idonei a pregiudicare il bene ambiente.

Gli argomenti utilizzati nella pronuncia in oggetto offrono ulteriori spunti di riflessione in merito alla tematica della legittimazione a ricorrere sotto lo specifico profilo dell'azione associativa, che quindi merita uno specifico approfondimento.

4. IL RICORSO DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE

Il riconoscimento della legittimazione processuale degli organismi collettivi, in particolare delle associazioni ambientaliste, ha destato diverse problematiche, sollevate sia in dottrina che in giurisprudenza, la cui soluzione è stata solo parzialmente fornita dalla legislazione vigente, rintracciabile nel d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, meglio noto come Codice dell'Ambiente, il quale tuttavia non reca una specifica disciplina sul punto.

Anche tale tematica va affrontata tanto sul piano soggettivo, dovendo distinguere la posizione delle associazioni ambientaliste riconosciute dal Ministero dell'ambiente, ai sensi dell'art. 13 l. 8 luglio 1986, n. 349, da quella delle associazioni non espressamente riconosciute, quanto sul piano oggettivo con riguardo alla natura dell'atto impugnato in relazione alla qualificazione dell'interesse vantato dall'organismo collettivo (20).

Nell'evoluzione giurisprudenziale degli ultimi anni è stato ritenuto carattere essenziale ai fini del riconoscimento della legittimazione processuale degli organismi associativi la continuità dell'attività dagli stessi posta in essere, sicché l'ente deve presentare un requisito di stabilità, anche se trattasi di soggetto sprovvisto di personalità giuridica. Lo scopo è quello di predisporre la tutela giurisdizionale sempre in favore di interessi giuridicamente meritevoli, dacché l'esclusione della legittimazione attiva delle associazioni definite di «comodo», non certo portatrici di effettive esigenze collettive. Tali ragioni hanno così ispirato il legislatore che nel disporre l'individuazione delle associazioni ammesse alla azione processuale mediante decreto ministeriale ha fissato precisi requisiti necessari ai fini del suddetto riconoscimento, indicandoli nel carattere «nazionale» dell'associazione nonché nella «continuità» dell'azione dalla stessa svolta (21).

Già prima dell'entrata in vigore della l. n. 349 del 1986, istitutiva del Ministero dell'Ambiente, erano stati elaborati diversi criteri di individuazione delle associazioni legittimate a ricorrere quali: il collegamento ambientale, per cui si riconosceva la legittimazione processuale esclusivamente agli enti, alle organizzazioni ed ai soggetti residenti nell'àmbito territoriale su cui il provvedimento impugnato avrebbe spiegato i propri effetti (22); la personalizzazione giuridica degli interessi diffusi in un ente rappresentativo, per cui il ricorso poteva essere promosso solo da una associazione privata riconosciuta e statutariamente deputata al perseguimento della finalità di protezione di siffatti interessi (23); la rappresentatività, che, a prescindere dal riconoscimento, attribuiva la legittimazione processuale a tutti gli enti, anche di fatto, stabilmente collegati con il territorio e muniti di effettiva rappresentatività (24); infine la partecipazione procedimentale, per cui la legittimazione in sede giurisdizionale veniva posta in relazione alla possibilità per l'associazione ambientalista di partecipare al procedimento amministrativo ai sensi degli artt. 7 ss. l. 7 agosto 1990, 241 (25), a prescindere dal possesso o meno della personalità giuridica (26).

Una disciplina più sistematica della materia è stata introdotta dalla l. n. 349, cit., che ha istituito il Ministero dell'Ambiente conferendovi la competenza per il riconoscimento delle associazioni ambientaliste mediante riscontro di determinati requisiti predeterminati per legge quali il carattere nazionale o comunque sovraregionale dell'associazione, il perseguimento a livello statutario di finalità ritenute meritevoli di tutela, il carattere democratico dell'ordinamento interno, la continuità dell'azione e la sua rilevanza esterna (27) da cui sarebbe derivata la legittimazione a ricorre dinanzi al giudice amministrativo secondo il combinato disposto degli art. 13 e 18 della stessa legge. Neppure l'entrata in vigore del Codice dell'ambiente ha in prima battuta modificato tale sistema, considerato che il comma 5 dell'art. 18 l. n. 349, facente espresso richiamo alle associazioni indicate nell'art. 13 della medesima legge, non è stato abrogato con la nuova disciplina. Si è dato cosà àdito ad un orientamento giurisprudenziale vòlto a riconoscere la legittimazione processuale alle sole associazioni inserite negli elenchi ministeriali, individuate secondo quanto disposto dalla legislazione esistente, mantenuta dalla normativa codicistica, con inevitabili effetti eccessivamente restringenti sull'accesso alla tutela giurisdizionale.

È così emersa la necessità di affiancare il rigido criterio della tassatività a meccanismi di individuazione della legittimazione processuale decisamente più flessibili e meglio conciliabili con le molteplici istanze legate alla tutela del territorio e dell'ambiente. Così, a partire dal 2000 è andato profilandosi un orientamento vòlto a ricono scere spazio tanto alle associazioni c.d. «ministeriali», cioè riconosciute e legittimate dai decreti ministeriali, quanto ad altri organismi, la cui legittimazione, sarebbe stata valutata caso per caso dal giudice amministrativo.

L'accostamento di una prassi pretoria alle rigide regole legislative ha portato a concepire una linea di pensiero pressoché univoca per la definizione dei caratteri tipici di un'associazione legittimata a ricorrere. Hanno così ripreso vigore i criteri elaborati dalla più risalente giurisprudenza, vòlti a privilegiare il già menzionato requisito della stabilità dell'attività condotta dall'associazione ricorrente, allo scopo di scongiurare quanto già paventato per i ricorsi sollevati dai proprietari limitrofi alla zona di intervento urbanistico, ossia che possa trovare accesso nel nostro ordinamento un'azione popolare. Restano perciò fuori dalla sfera dei soggetti legittimati ad agire tutti quegli organismi sprovvisti di una forma associativa stabile, che non rappresentino in maniera continuativa interessi diffusi, qualificati e soprattutto radicati sul territorio (28).

Pertanto, nonostante la concezione giuridicamente rilevante del concetto di am biente, occorre che il provvedimento che si intenda impugnare leda in modo diretto ed immediato l'interesse alla preservazione del bene ambiente, sicché l'accoglimento del vizio dedotto in sede di esecuzione del giudicato deve consentire un'utilità alla ricorrente, rapportata alla sua posizione legittimante in correlazione con l'interesse di cui la stessa sia portatrice.

Sulla base di tali assunti si è addirittura parlato di «eccezionalità» della legittimazione riconosciuta alle associazioni di protezione ambientale (29), tenuto conto della stretta correlazione tra estensione oggettiva dell'interesse all'ambiente ed àmbito di legittimazione, da cui derivano appositi limiti per la proponibilità delle censure, non essendo configurabile la proposizione di motivi aventi una diretta valenza urbanistico- edilizia e che solo in via strumentale ed indiretta possano determinare un effetto utile ai fini della tutela dei valori ambientali. I profili di gravame devono perciò essere attinenti alla sfera di interesse dell'associazione ricorrente e, come tali, devo essere intesi al conseguimento di una utilità direttamente rapportata alla posizione legittimante.

L'ammissibilità del ricorso proposto da un'associazione ambientalista si fonda quindi sull'indice di rappresentatività della stessa che può essere dimostrato anche in assenza di un riconoscimento ministeriale.

Non sono mancate critiche a questa impostazione (30), sostenute dall'asserito contrasto di questa giurisprudenza con la normativa comunitaria ed internazionale in tema di accesso alla giustizia in materia ambientale, ed in particolare con gli artt. 1, n. 2 e 10- bis, della direttiva europea 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 2003/35/CE relativa alla valutazione di impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati che riconosce alle associazioni ambientaliste la legittimazione a ricor rere contro i provvedimenti che autorizzano progetti con impatto ambientale, precludendo al legislatore nazionale di porre limiti alla legittimazione attiva di organismi costituiti da un numero minimo di componenti (31). Ulteriori contrasti si sono rintracciati con la direttiva 2003/4/CE sull' actio ad exhibendum ed infine con la Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ratificata dall'Italia con l. del 16 marzo 2001, n. 108.

La concezione di danno ambientale che si evince dalla normativa comunitaria ed internazionale presenta profili decisamente più labili rispetto a quelli concepiti dalla normativa interna, tanto da non risultare necessario ai fini dell'accesso alla tutela giurisdizionale la esatta dimostrazione dell'attualità dell'interesse a ricorrere essendo all'uopo sufficiente un prognosi - logico giuridica in merito all'eziologia intercorrente tra gli effetti del provvedimento impugnato e la lesione dei valori ambientali.

Le forme di tutela previste in campo comunitario agiscono quindi in via anticipata rispetto a quelle previste dall'ordinamento interno, maggiormente improntato su rigide regole di ammissibilità dell'azione processuale.

Probabilmente la normativa nazionale e la stessa giurisprudenza, diversamente da quanto accaduto a livello comunitario, hanno inteso soppesare il graduale ampliamento della nozione di ambiente, che da una stretta accezione naturalistica è oggi comprensiva anche di aspetti legati all'assetto e al governo del territorio, operando in maniera trasversale al punto da creare nuovi e vari spazi di intervento per le associazioni che del valore ambiente si affermano portatrici.

Perciò, guardando al contenuto dei provvedimenti che possono essere censurati con l'azione associativa, parte della giurisprudenza ha continuato a negare la legittimazione processuale per quegli atti a connotazione non prettamente ambientale ma urbanistico - edilizia e paesaggistica (32), mentre un altro orientamento, forse più vicino agli indirizzi comunitari, riportato anche dalla commentata sentenza n. 349 del Tar Toscana, pur ammettendo ricorsi avverso provvedimenti di carattere urbanistico, edilizio o paesaggistico, esige il riscontro della diretta incidenza dell'agire pubblico sul valore dell'ambiente.

5. CONCLUSIONI

Alla luce delle tematiche esaminate appare evidente come la materia della legittimazione processuale in sede urbanistica continui ad essere affrontata in giurisprudenza con la giustificabile preoccupazione di contingentare le istanze di tutela che un settore di così ampia portata può originare. Le esaminate pronunce del Tar Toscana riflettono con chiarezza l'attuale contrasto di giurisprudenza in merito al riconoscimento dei presupposti di ammissibilità dell'azione processuale in sede di giudizio amministrativo - urbanistico. Indiscussa è l'osservanza dei princìpi generali che regolano il ricorso giurisdizionale, la cui portata è ad oggi ancora più pregnante, giusta l'entrata in vigore della disciplina codicistica del processo amministrativo, introdotta con il d.lg. 2 luglio 2010, n. 104 Codice del processo amministrativo), in cui si fa espressa menzione dell'interesse a ricorrere quale condizione di ammissibilità dell'azione in giudizio (33).

Non altrettanto pacifica appare l'esatta interpretazione dei requisiti richiesti in capo al ricorrente per il valido esperimento dell'impugnativa. I punti di maggiore frizione tra le diverse posizioni giurisprudenziali riguardano il grado di differenziazione e qualificazione della posizione giuridica da ricercare in capo al ricorrente e di cui lo stesso deve dar conto al fine di dimostrare la diretta riconducibilità alla propria persona dell'utilità discendente da un eventuale giudicato di accoglimento, così da scongiurare l'ingresso nel processo amministrativo di possibili ed eventuali ricorsi popolari.

Certamente restano dubbi sulla diffusione di un approccio casistico, inevitabilmente affidato a valutazioni discrezionali del collegio giudicante, che possono dare spazio, come dimostrato dalle commentate pronunce del Tar Toscana, a giudizi di ammissibilità dei ricorsi diametralmente opposti.

Non sembra quindi che l'evoluzione in chiave estensiva del dato normativo contenuto nella Legge - Ponte sia servito ad improntare le forme di tutela a paradigmi di certezza del diritto, che al contrario risultano ampiamente precarizzati dall'assenza di chiari e soprattutto univoci indirizzi ermeneutici di riferimento.

 

 

Note

(1) Cfr. Stella Richter, I princìpi del diritto urbanistico, Milano 2006, passim.

(2) Cfr. Degni, Riflessione sul concetto di «stabile collegamento» quale presupposto per la legittimazione dei soggetti portatori di interessi a carattere commerciale nelle controversie relative a provvedimenti di natura urbanistica ed edilizia, in www.giustamm.it., passim

(3) Cfr. Tulumello, L'impugnabilità degli atti amministrativi in materia urbanistica, in Riv. giur. ed., 2009, f. 2, 59.

(4) Cfr. Spagnuolo Vigorita, Interesse pubblico e azione popolare nella «legge - ponte» per l'urbanistica, in Riv. giur. ed., 1967, 387 ss.; Di Lorenzo, Lineamenti di diritto urbanistico, in Rass. lav. pubbl., 1969, 587 ss.; Sandulli, L'azione popolare contro le licenze edilizie, in Riv. giu. ed., 1968, f. 2, 3 ss.; Fragola, Le leggi urbanistiche edilizie, Padova, 1969, 227 ss.

(5) Cfr. Lopopolo, Pubblicità delle licenze edilizie e possibilità di ricorso, in Nuova rass., 1969, 283 ss.; Rodella, La legislazione urbanistica in Italia alla luce delle modificazioni apportate con la «legge - ponte», in Città e società, 1967, f. 6, 74 ss.

(6) Cons. Stato, sez. V, 29 ottobre 1968, n. 1314.

(7) Cons. Stato, sez. V, 9 giugno 1970, n. 523.

(8) Cfr. Gucciardi, La decisione del «chiunque», in Giur. it., 1970, III, 193.

(9) Cfr. Tulumello, L'impugnabilità, cit., loc. cit.

(10) Cons. Stato, sez. IV, n. 5516 del 2004, in Foro amm. CDS, 2004, 2178.

(11) V. Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3362, ivi 2008, 2038: «Nel caso di controversia avente ad oggetto i provvedimenti che autorizzano l'insediamento di una grande struttura commerciale il concetto di vicinitas, richiamato dall'art. 31 comma 9 l. 17 agosto 1942, n. 1150, come elemento qualificante l'interesse a ricorrere contro di essi, si identifica con quello di «stesso bacino di utenza del ricorrente», rappresentando il collegamento stabile fra il ricorrente qualificato per l'attività esercitata dall'intervento e la zona in cui questo dovrà essere realizzato».

(12) In tal senso F. Degni, Riflessioni, cit. in nt. 2.

(13) Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7490, in Foro amm. CDS, 2009, f. 11, 2547.

(14) Conforme anche Cons. Stato, sez. IV, 12 settembre 2007, n. 4821, ivi 2007, fasc. 9, 2446; Riv. giur. ed., 2008, f. 1, I, 359: «Il concetto di vicinitas richiesto per poter promuovere l'azione ex art. 31 comma 9 l. 17 agosto 1942, n. 1150, contro la realizzazione di una grande struttura di vendita, rappresenta un collegamento stabile tra il ricorrente qualificato per l'attività esercitata e la zona interessata dall'intervento assentito e va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla «qualità della vita» di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera».

(15) Art. 11 l. Regione Toscana 11 febbraio 2005, n. 1.

(16) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2011, n. 946, in Foro amm. CDS, 2011, f. 2, 452.

(17) Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535, ivi 2010, f. 3, 555.

(18) Cons. Stato, sez. IV, 12 maggio 2009, n. 2908, ivi 2009, f. 5, 1250.

(19) Cfr. Tar Toscana, sez. I, n. 1651 del 2008.

(20) Cfr. Leonardi, La legittimazione processuale delle associazioni ambientaliste: alcune questioni ancora giurisprudenziali, in Riv. giur. ed., 2011, f. 1, 3.

(21) Maestroni, La legittimazione ad agire delle articolazioni territoriali di associazioni individuate ex art. 13 l. 349 del 1986. Un falso problema: il caso di Legambiente Lombardia Onlus, in Riv. giur. amb., 2010, f. 3-4, 601 ss.

(22) Cons. Stato, sez. IV, 15 settembre 1998, n. 1155 del 1998, in Foro amm., 1998, 2324; Cons. Stato, 1998, I, 1267.

(23) V. Cass., sez. un., 8 maggio 1978, n. 2207, in Giust. civ., 1978, 1208, con nota di Postiglione, L'iniziativa dei cittadini per la difesa degli interessi collettivi; Foro it. 1978, I, 1090, con osservazioni di Barone, e 1979, I, 167, con nota di Zanuttigh, Italia Nostra davanti alla Corte di cassazione.

(24) Cons. Stato, ad. plen., n. 24 del 1979.

(25) Sul punto è interessante la nota querelle sul rapporto tra legittimazione processuale e legittimazione a partecipare al procedimento amministrativo, che ha originato accesi contrasti in dottrina sull'automatica riconduzione dell'una all'altra forma di legittimazione attesa la differente natura del procedimento giurisdizionale rispetto a quello amministrativo, potendo in quest'ultimo essere accolta la partecipazione anche di soggetti non diretti portatori di interessi qualificati o comunque differenziati, se ciò consente un apporto di know how all'istruttoria procedimentale, senza però dare luogo alla maturazione di posizioni soggettive meritevoli di tutela in sede giurisdizionale. Cfr. Virga, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 1998, passim; Caringella, Il procedimento amministrativo, Napoli, 1998, passim.

(26) Cons. Stato, sez. V, 13 maggio 1985, n. 176, in Foro amm., 1985, 854; Cons. Stato, 1985, I, 550.

(27) Leonardi, La legittimazione processuale, cit. in nt. 20; Triggiani, Le prerogative di natura sostanziale delle associazioni di protezione ambientale: partecipazione al procedimento ed accesso ai documenti, in www.lexitalia.it passim.

(28) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2008, n. 1159, in questa Rivista, 2008, I, 1158; Cons. Stato, sez. VI, 11 luglio 2008, n. 3507; Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2007, n. 1830; Cons. Stato, sez. V, 14 giugno 2007, n. 3192; Tar Toscana, sez. II, 1 aprile 2011, n. 567; Tar Toscana, Sez. I, 2 dicembre 2010, n. 6710; Tar Lazio, Latina, 8 luglio 2009, n. 670; Tar Puglia, Bari, sez. III, 15 aprile 2009, n. 866, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.

(29) Cfr. Tulumello, L'impugnabilità, cit. in nt. 2.

(30) Cfr. LeonardiLa legittimazione processuale, cit. in nota 20; Tulumello, L'impugnabilità, cit. in nt. 2.

(31) C. Giust., sez. II, 15 ottobre 2009, in causa C-263/08, in www.ambientediritto.it; Tar Veneto, sez. III, 9 maggio 2011, n. 803, ivi; Tar Toscana, sez., II, 1 aprile 2011, n. 567, per cui «l'interesse diffuso si trasforma in interesse collettivo, e diventa, quindi, interesse legittimo tutelabile in giudizio, solo nel momento in cui, indipendentemente dalla sussistenza della personalità giuridica, l'ente dimostri la sua rappresentatività rispetto all'interesse che intende proteggere».

(32) Tar Sicilia, Catania, sez. I, 3 dicembre 2003, n. 1979, in Foro amm. Tar, 2003, 3645; Tar Lombardia, Brescia, 18 marzo 2004, n. 226, ivi 2004, 597; Tar Veneto, sez. I, 19 gennaio 2006, n. 97, ivi, 2006, 73.

(33) Si veda l'art. 35 del Codice.