Demolizione degli abusi edilizi o acquisizione al patrimonio comunale  nell’attuale quadro normativo

dott. Stefano DELIPERI
relazione svolta nel Convegno nazionale "L'albergo non è una casa" di Grosseto (19 gennaio 2008)

L’attività di trasformazione del territorio può comportare la radicale modifica delle caratteristiche anche delle aree di maggiore interesse paesaggistico ed ambientale.   Compito sempre più importante è conferito alle pubbliche amministrazioni, ai vari livelli di rilievo costituzionale, competenti in materia di tutela ambientale, territoriale, urbanistica.   Strumenti fondamentali sono il quadro normativo e gli atti di pianificazione paesaggistica ed urbanistica.    Non di rado accade che gli interventi edilizi siano al di fuori di previsioni legislative e di pianificazione.  In poche parole, siano abusivi.    Ciò comporta una serie di ipotesi e di conseguenti attività da parte delle competenti istituzioni giudiziarie e delle amministrazioni pubbliche a garanzia della legalità e del rispetto degli obiettivi di tutela ambientale.     Molteplici sono gli interessi coinvolti ed appare fondamentale individuare i percorsi in amministrativa e giudiziaria per contrastare efficacemente il fenomeno dell’abusivismo edilizio con le varie connessioni dirette ed indirette, spesso anche offensive di interessi dei singoli cittadini oltre che della collettività.

 

 

Abusivismo edilizio – competenze sanzionatorie amministrative.

 

Il corpus normativo principale in materia è attualmente costituito, nel nostro ordinamento, dal Testo unico sull’edilizia (D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).     Si deve, in primo luogo, evidenziare che il Testo unico sull’edilizia conferma la piena validità delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni in materia di beni culturali e paesaggio nonché delle “altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia” (art. 1 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).          Si pongono, quindi, all’attenzione dell’operatore del diritto i problemi di coordinamento con le varie normative di tutela ambientale vigenti.

 

In diversi casi è il medesimo Testo unico che ricorda la necessità di acquisire le prescritte autorizzazioni in materia ambientale:

Ø      ai fini del rilascio del permesso di costruire lo Sportello unico dell’edilizia deve acquisire direttamente, se non allegati alla relativa istanza, l’autorizzazione dell’autorità competente per costruzioni contigue al demanio marittimo (art. 54 cod. nav.), i nullaosta paesaggistici e storico-culturali (artt. 21 e ss. e 146 e ss, 159 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed autorizzazioni), il parere in materia di rispetto del vincolo idrogeologico (regio decreto n. 3267/1923 e successive modifiche ed integrazioni), il nullaosta dell’Ente di gestione dell’area naturale protetta ai sensi dell’art. 13 della legge n. 394/1991 e successive modifiche ed integrazioni (artt. 5 R e 20 R del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[1];

Ø      deve essere verificata preventivamente l’eventuale sussistenza di disposizioni ostative da parte del decreto legislativo n. 490/1999 per la realizzazione di interventi (es. opere temporanee di ricerca nel sottosuolo, ecc.) e di opere in assenza di pianificazione urbanistica (artt. 6 L e 9 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      non può essere rilasciato il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (e per sole strutture pubbliche o di interesse pubblico, previa deliberazione del Consiglio comunale) senza il rispetto della normativa di tutela paesaggistico-ambientale (decreto legislativo n. 490/1999) ed “altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”, in primo luogo le altre normative in materia ambientale (art. 14 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).

 

Viene reso più chiaro e rapido il complesso delle competenze e degli interventi in sede di vigilanza edilizia (titolo IV, capo I del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni):

Ø      la vigilanza in materia urbanistico-edilizia è esercitata dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale: quando accerta l’inizio di opere senza titolo su aree tutelate da leggi statali, regionali, da altre norme urbanistiche (es. strumenti urbanistici comunali) vigenti o adottate con vincolo di inedificabilità o destinate a spazi pubblici o a interventi di edilizia residenziale pubblica (legge n. 167/1962 e successive modifiche ed integrazioni), provvede direttamente alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi.                  In caso di persistenza anche di altri vincoli di natura ambientale (vincolo paesaggistico, usi civici, vincolo idrogeologico) il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi previa informazione alle amministrazioni pubbliche competenti, le quali possono intervenire anche di propria iniziativa (art. 27 L, commi 1° e 2°,  del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      in caso di accertamento di altre violazioni della normativa urbanistico-edilizia il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ordina l’immediata sospensione dei lavori fino a provvedimenti definitivi da emanarsi e notificarsi entro i successivi 45 giorni (art. 27 L, comma 3°,  del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che riscontrino la mancata esibizione del permesso di costruire nel luogo interessato o la mancanza del cartello “inizio lavori” ovvero in tutti i casi di presunta violazione delle normative in materia ne danno immediata comunicazione all’Autorità giudiziaria, al competente Organo regionale ed al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, che provvede, entro i successivi 30 giorni, ad effettuare i necessari accertamenti ed a emanare gli eventuali necessari provvedimenti (art. 27 L, comma 4°,  del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      nel caso in cui si verifichino le precedenti ipotesi in relazione ad opere statali, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ne informa immediatamente la Regione ed il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a cui compete l’emanazione – d’intesa con il Presidente della Giunta regionale – dei provvedimenti in merito (art. 28 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      il titolare del permesso di costruire, il committente, il costruttore ed il direttore dei lavori sono responsabili, a vario titolo, delle violazioni di legge, regolamentari e del titolo autorizzativo eventualmente riscontrate (art. 29 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).

 

Particolare attenzione è stata riservata alle sanzioni di tipo amministrativo (titolo IV, capo II del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni):

Ø      si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengano iniziate opere (anche di minima entità) che comportano trasformazione urbanistica o edilizia in violazione degli strumenti urbanistici vigenti o adottati o di leggi statali o regionali ovvero in assenza delle prescritte autorizzazioni, nonché quando tale trasformazione venga predisposta con atti di frazionamento, vendita o equivalenti in lotti che, per ampiezza, numero, ecc., facciano ritenere in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio (art. 30 L, comma 1°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni, vds. per tutti Cons. Stato, sez. V, 3 luglio 2003, n. 3973).                I relativi atti tra vivi sono nulli e, se non si tratti di aree censite dal nuovo catasto edilizio urbano di superficie inferiore a metri quadrati 5.000, qualsiasi atto in materia deve essere corredato dal certificato di destinazione urbanistica (validità un anno se non sono intervenute varianti urbanistiche) rilasciato entro 30 giorni dalla richiesta dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale (art. 30 L, commi 2° e 3°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[2];

Ø      nel caso in cui il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio non autorizzata, ne dispone con ordinanza la sospensione, che comporta l’immediata interruzione dei lavori e il divieto di disporre dei terreni (anche da trascrivere nei registri immobiliari): trascorsi 90 giorni senza revoca del provvedimento, le aree sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del Comune ed il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale provvede direttamente alla demolizione delle opere, mentre in caso di inerzia devono intervenire i poteri sostitutivi regionali (artt. 30 L, commi 7° ed 8°, e 31, comma 8°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      nel caso in cui il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale accerti l’effettuazione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (quest’ultima ipotesi è regolata dall’art. 32 L D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni e dalle leggi regionali: in caso di interventi in aree tutelate con vincoli ambientali, storico-culturali, artistici tali interventi sono considerati sempre in totale difformità dal permesso), ingiunge al proprietario e al responsabile dell'abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi con l'avvertenza che, nell’ipotesi dell’inottemperanza, l’area sarà acquisita di diritto e gratuitamente in favore del patrimonio comunale[3].               Trascorsi inutilmente i 90 giorni assegnati, l’accertamento dell’inottemperanza, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari (art. 31 L, commi 1° - 4°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).         L’opera così acquisita è demolita su ordinanza del dirigente o responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso edilizio, salvo che con deliberazione del Consiglio comunale non venga dichiarata l’esistenza di prevalenti interessi pubblici in assenza, però, di rilevanti interessi urbanistici o ambientali, rilevati – secondo giurisprudenza costante – dalle rispettive amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei vincoli medesimi (art. 31 L, comma 5°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      qualora gli interventi abusivi siano stati realizzati su aree tutelate da leggi statali e regionali con vincolo di inedificabilità l’acquisizione gratuita, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione e riduzione in pristino, si verifica in favore delle amministrazioni pubbliche preposte alla tutela dei medesimi vincoli, che provvedono alla demolizione degli abusi ed al ripristino ambientale; tuttavia in caso di concorso di vincoli l’acquisizione opera in favore del Comune (art. 31 L, comma 6°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      in caso di inerzia dei competenti organi comunali protrattasi per 15 giorni dall’accertamento dell’abuso o per 45 giorni dalla sospensione dei lavori, deve intervenire il competente Assessorato regionale in via sostitutiva, adottando i provvedimenti eventualmente necessari ed informandone l’Autorità giudiziaria ai fini dell’esercizio dell’azione penale (art. 31 L, comma 8°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).               Per tali opere abusive la sentenza penale di condanna deve ordinarne la demolizione, se non altrimenti eseguita (art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[4];              

Ø      analoghi procedimenti devono essere posti in essere dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale anche in caso di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (art. 33 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni): quando siano interessati immobili tutelati ai sensi del decreto legislativo n. 490/1999 sarà l’amministrazione pubblica preposta alla tutela dello specifico vincolo ad ordinare la rimessione in pristino a cura e spese del responsabile dell’abuso, indicandone criteri e modalità ed irrogando la prevista sanzione pecuniaria (art. 33 L, comma 3°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);               

Ø      quando l’intervento abusivo sia realizzato da soggetto privato in assenza o in parziale o totale difformità dal permesso di costruire su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, previa diffida non rinnovabile, ordina la demolizione e la riduzione in pristino a cura del Comune ed a spese del responsabile dell’abuso, dandone comunicazione all’ente proprietario dell’area: naturalmente gli Enti titolari possono provvedere direttamente, restando fermi i poteri di autotutela dello Stato, degli altri enti pubblici territoriali e degli altri enti pubblici previsti dalla normativa vigente (art. 35 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);               

Ø      comunque fino all’irrogazione delle prescritte sanzioni amministrative il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono, in caso di interventi realizzati in assenza del permesso di costruire o in difformità, conseguire il permesso in sanatoria (c.d. accertamento di conformità) qualora l’intervento abusivo risulti conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento di realizzazione del medesimo ed al momento di presentazione della relativa istanza (c.d. principio della doppia conformità): dopo il pagamento della prevista oblazione si pronuncia entro 60 giorni il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale; se il termine trascorre inutilmente, la richiesta s’intende respinta (art. 36 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).        Analoghe procedure si applicano in caso di interventi abusivi eseguiti in assenza o in difformità della d. i. a. e dell’accertamento di conformità (art. 37 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      in caso di annullamento del permesso di costruire e non sia possibile la rimozione dei relativi vizi del procedimento o la riduzione in pristino, il dirigente o responsabile del competente ufficio comunale provvede ad irrogare una sanzione pecuniaria pari al valore venale dell’intervento abusivo indicato dall’Agenzia del territorio (anche in base ad accordi con il Comune): il pagamento integrale della sanzione pecuniaria produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria (art. 38 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      entro 10 anni dall’emanazione dell’atto ed entro 18 mesi dall’accertamento, previa contestazione delle violazioni finalizzata ad eventuali controdeduzioni, la Regione può annullare provvedimenti comunali (deliberazioni Consiglio comunale, permessi di costruire, ecc.) che autorizzano interventi non conformi a strumenti di pianificazione o regolamenti edilizi o a disposizioni normative: nelle more del procedimento di annullamento può essere ordinata la sospensione dei lavori, mentre – entro 6 mesi dal provvedimento di annullamento – deve essere ordinata la demolizione delle opere eseguite in base al titolo annullato (art. 39 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      la Regione – in caso di inerzia comunale – può disporre la sospensione (per la durata massima di 3 mesi) o la demolizione degli interventi eseguiti in assenza/contrasto con il permesso di costruire o in violazione di norme o di strumenti di pianificazione.   La demolizione può essere ordinata entro il termine di 5 anni decorrente dalla dichiarazione di agibilità.          Il provvedimento regionale che dispone la modifica dell’intervento, la rimessa in pristino o la demolizione dell’intervento abusivo prevede un termine entro il quale deve provvedere il responsabile dell’abuso: scaduto inutilmente, procede direttamente il competente Organo regionale in danno dei responsabili (art. 40 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      in tutti i casi in cui la demolizione degli abusi edilizi e la riduzione in pristino devono avvenire a cura del Comune, sono disposte dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, previa valutazione tecnico-economica approvata dalla Giunta municipale e su esecuzione di imprese economicamente e tecnicamente idonee mediante affidamento dei lavori – se ne ricorrono i presupposti di legge – anche a trattativa privata.         Quando sia impossibile l’affidamento dei lavori, deve esserne informato l’Ufficio territoriale del Governo, il quale provvede alle necessarie operazioni mediante i mezzi a disposizione della pubblica amministrazione (es. mezzi militari, previa convenzione fra i Ministeri interessati) ovvero, se i lavori non sono eseguibili direttamente, mediante idonea impresa privata individuata anche con procedure negoziali aperte per l’aggiudicazione di contratti d’appalto per demolizioni da eseguirsi all’occorrenza (art. 41 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).

 

 

Abusivismo edilizio – sanzioni penali.

 

Anche relativamente alle sanzioni penali nei casi di abusivismo edilizio le disposizioni principali sono quelle del Testo unico sull’edilizia (titolo IV, capo II del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni):

Ø      le sanzioni penali, salvo che il fatto costituisca più grave reato, sono previste per le seguenti fattispecie: inosservanza di norme, prescrizioni, modalità esecutive disposte nel Testo unico dell’edilizia, negli strumenti di pianificazione, nei regolamenti edilizi o nel permesso di costruire (ammenda fino a 10.329,14 euro); esecuzione di lavori in assenza o totale difformità dal permesso di costruire o prosecuzione in presenza di ordine di sospensione (arresto fino a due anni e ammenda da 5.164,57 a 51.645,69 euro); lottizzazione abusiva o interventi in assenza, variazione essenziale o totale difformità dal permesso di costruire in aree tutelate con vincoli ambientali, paesistici, storici, artistici, archeologici (arresto fino a due anni e ammenda da 15.493,71 a 51.645,69 euro).            La sentenza definitiva del giudice penale che accerta la lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni interessati e delle opere abusive realizzate: per effetto delle confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio comunale, mentre la sentenza costituisce titolo per l’immediata trascrizione nei registri immobiliari (art. 44 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      l’azione penale, tuttavia, deve essere sospesa fino alla conclusione degli eventuali procedimenti di sanatoria (vds. art. 36 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni) o degli eventuali procedimenti giurisdizionali avverso il diniego di permesso in sanatoria: in quest’ultimo caso il Presidente del T.A.R. adito fissa d’ufficio l’udienza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso.    L’eventuale rilascio del permesso in sanatoria estingue i reati contravvenzionali previsti dalla vigente normativa urbanistica (art. 45 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      tutti gli atti fra vivi, in qualsiasi forma, aventi ad oggetto la costituzione o il trasferimento di diritti reali su edifici o parti di essi la cui costruzione sia iniziata dopo il 17 marzo 1985 (data di entrata in vigore della legge n. 47/1985) sono nulli se non risultino per dichiarazione dell’alienante gli estremi del permesso di costruire o in sanatoria (sono validi solo gli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti di garanzia o servitù).   L’omissione di dichiarazione può essere successivamente sanata mediante atto di analoga forma, mentre in caso di acquisizione dietro procedure esecutive immobiliari individuali o concorsuali l’aggiudicatario può presentare istanza di permesso in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del provvedimento dell’Autorità giudiziaria (art. 46 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).               Il ricevimento e l’autenticazione di atti nulli (vds. artt. 30 L e 46 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni) da parte di notai costituisce l’ipotesi di reato di cui all’art. 28 della legge notarile n. 89/1913 e successive modifiche ed integrazioni, mentre i pubblici ufficiali devono osservare le disposizioni di cui all’art. 30 L del Testo unico sull’edilizia in caso a trasferimenti o divisioni di terreni (art. 47 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni);

Ø      qualora la demolizione delle opere abusive non sia avvenuta in via amministrativa, la sentenza penale di condanna deve ordinarne la demolizione (art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni)[5].             

Rapporti con le disposizioni contro gli incendi.

 

Particolari rapporti intercorrono, poi, fra il nuovo Testo unico sull’edilizia e la normativa contro gli incendi (legge 21 novembre 2000, n. 353 e successive modifiche ed integrazioni).           In particolare assume rilievo quanto previsto dall’art. 10 della legge n. 353/2000 e successive modifiche ed integrazioni relativo a divieti, prescrizioni e sanzioni: le zone boscate (per la definizione di “bosco” opera l’art. 2 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227[6]) o pascolative i cui soprassuoli siano stati percorsi dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella preesistente all'incendio per almeno 15 anni, con esclusione soltanto della realizzazione di opere pubbliche finalizzate alla salvaguardia ambientale e della pubblica incolumità.         A pena di nullità dell’atto, il vincolo di destinazione deve essere riportato in tutti gli atti di compravendita di aree e immobili interessati.

 

Per i 10 anni successivi all’incendio, inoltre, non può essere edificata alcuna struttura abitativa o produttiva o infrastrutturale sull’area interessata, salvo che precedentemente al medesimo incendio siano presenti previsioni in tal senso negli strumenti urbanistici vigenti alla data dell’incendio medesimo e siano già state rilasciate legittimamente le prescritte autorizzazioni o concessioni edilizie (oggi permessi di costruire): infatti, si ricorda che “pur a fronte dell’astratta edificabilità nei termini di cui … alla pianificazione preesistente, all’epoca dell’incendio non era stata rilasciata alcuna concessione edilizia”, condizione richiesta per la deroga alla disposizione sopra citata (vds. Cass. pen., sez. III, 18 maggio 2006, n. 17060; Cons. Stato, sez. IV, 1 luglio 2005, n. 3674; T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003, n. 225)[7] come anche indicato nella deliberazione Giunta regionale Sardegna n. 36/46 del 23 ottobre 2001 (Atto di indirizzo interpretativo e applicativo dei divieti, prescrizioni e sanzioni contenuti negli articoli 3 e 10 della legge n. 353/2000, punto 7.2).        La violazione del predetto divieto è sanzionata con le pene di cui all’art. 44 L, comma 1°, lettera c, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni (già art. 20, comma 1°, lettera c, della legge n. 47/1985), mentre il giudice, con la sentenza di condanna, dispone la demolizione dell’opera abusiva ed il ripristino ambientale in danno del responsabile.

 

Sono vietati per un periodo di 5 anni anche gli interventi di rimboschimento e di ingegneria ambientale con fondi pubblici, salvo specifica autorizzazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio (per le aree naturali protette statali) o della Regione (negli altri casi) in situazioni di dissesto idrogeologico o per la tutela di peculiari valori ambientali e paesaggistici.           Per un periodo di 10 anni sono, invece, vietati il pascolo (punito con sanzione amministrativa da 30,99 a 61,97 euro per ogni capo) e l’attività venatoria (punita con sanzione amministrativa da 206,58 a 413,17 euro) sulle predette aree interessate dagli incendi.   

 

I Comuni devono predisporre il catasto dei terreni percorsi dal fuoco con aggiornamenti annuali, avvalendosi anche dei rilievi del Corpo Forestale dello Stato (in Sardegna del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale della Regione autonoma della Sardegna): i divieti previsti dall’art. 10 della legge n. 353/2000 sono pienamente operativi anche in assenza del previsto catasto comunale, avente semplice valore informativo (Cass. pen., sez. V, 27 giugno 2003, n. 27799).

 

 

Il nuovo condono edilizio, i rapporti con le normative di tutela ambientale.

 

Qualsiasi provvedimento di condono edilizio provoca una “eversione” del quadro normativo vigente: in Italia siamo già al terzo provvedimento di tal genere in poco meno di vent’anni, dopo  la legge n. 47 del 1985, la legge n. 724 del 1994 (poi modificata ed integrata con la legge n. 662/1996).                 Infine è stata la volta del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003, n. 326 con la dichiarata quanto velleitaria intenzione governativa di introitare 3.320 milioni di euro di oblazioni (bilancio di previsione 2004).

Tralasciando tutti gli ulteriori aspetti, appare fondamentale verificare in quali ambiti opera il nuovo condono edilizio ed in quale misura interferisce con le normative di tutela ambientale.

 

In primo luogo si deve evidenziare che vengono “in ogni caso fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome” (art. 32, comma 4°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003) e che le regioni devono, entro il termine ordinatorio di 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge, emanare disposizioni relative al procedimento amministrativo concernente il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria, con la possibilità di incrementare l’oblazione fino ad un massimo del 100 % (art. 32, commi 33° e 34°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003).          Le Regioni e le Province autonome hanno tutte provveduto a legiferare, seppure con una tormentata fase di contenzioso davanti alla Corte costituzionale.

 

Con la sentenza n. 196 del 28 giugno 2004 i Giudici Costituzionali sono intervenuti sull’art. 32 del decreto-legge n. 269/2003, dichiarando illegittimi i commi 25° e 26° nella parte in cui non prevedono che la legge regionale di cui al comma possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati per l’ammissibilità stessa del condono e determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l'ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all'Allegato 1) e non solo di quelle, di minore impatto, previste dai punti 4, 5 e 6 del medesimo allegato.

È inoltre rimarcato il principio del “doppio binario” penale – amministrativo per cui le restrizioni adottate dalle Regioni per la sanabilità delle opere abusive non incideranno sulle fattispecie estintive dei reati urbanistici, ma solo sulla sanabilità amministrativa. In tal caso il reato si estinguerà sulla base dei limiti della normativa statale, mentre non sarà possibile avere il titolo abilitativo in sanatoria.

La Corte ha evidenziato che la disciplina contenuta nell’art. 32 della legge n. 326/2003 non coinvolge solo ambiti urbanistici, ma incide su una più complessa disciplina tesa, più in generale, al governo del territorio, intendendosi con tale termine tutto ciò che attiene all’uso del territorio ed alla localizzazione di impianti ed attività, l’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio.

Come affermato in precedenti sentenze (Corte Cost. 302/1988 e 427/1995) sul governo del territorio spetta allo Stato predisporre le linee fondamentali della disciplina, mentre i maggiori poteri in materia appartengono alle Regioni, perché a ciò è collegata la nuova competenza della legislazione regionale concorrente che è quella della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali.

La possibilità di tutela “indiretta” dell’ambiente attraverso norme strettamente urbanistiche è ampliata secondo la visione “trasversale” del governo del territorio che è stata data dai Giudici delle leggi nella citata sentenza. Così l’eventuale introduzione da parte delle Regioni di limiti di ammissibilità più ristretti per il condono rappresenta una tutela concorrente rispetto ai vincoli ambientali e paesistici (di competenza statale). Ad esempio, il vincolo d’inedificabilità assoluta previsto dall’art. 3 della legge regionale sarda n. 8/2004 (la c.d. legge “salva coste”), non appare in contrasto con tale assetto di competenze sul “governo del territorio” laddove si consideri che la disciplina urbanistica dell’assetto del territorio (di competenza esclusiva della Regione autonoma della Sardegna), in vista dell’approvazione del piano paesistico regionale in attuazione della normativa statale in materia (art. 135 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni), può, attraverso l’apposizione del vincolo d’inedificabilità (che ha natura e funzione di regolamentazione dell’assetto del territorio), salvaguardare e valorizzare il bene paesaggistico – ambientale costituito dal sistema costiero, in tal modo sovrapponendosi, ma non contrastando con la competenza statale in materia di tutela paesaggistica, così come argomentato dalla sentenza Corte cost. n. 51/2006[8].

In linea generale (art. 32, commi 25° e 26°, ed allegato 1 del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003) sarebbero condonabili strutture abusive realizzate fino al 31 marzo 2003 fino ad una volumetria di 750 metri cubi, cumulabili in più richieste in caso di unico edificio suddiviso in più unità immobiliari fino a complessivi 3.000 metri cubi (circa 1.000 metri quadrati di superficie, considerando l’altezza dei vani pari a metri 2,70).                 Gli edifici destinati ad attività produttive potrebbero essere condonati entro il limite volumetrico dei 750 metri cubi ovvero del 30 % del volume preesistente legittimo se ciò più favorevole per il proprietario.            Il titolo abilitativo edilizio in sanatoria verrebbe rilasciato, ovviamente, previo il pagamento delle relative oblazioni indicate dalle tabelle 1.a, 1.b, 2, 3 e 4 allegate al decreto-legge n. 269 citato.         Sono, comunque, escluse dall’ambito di applicazione del nuovo condono edilizio le istanze di condono precedentemente presentate ai sensi delle leggi n. 47/1985 e n. 724/1994 e successive modifiche ed integrazioni (art. 32, comma 43 bis del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003).

Per la prima volta in assoluto il condono edilizio dovrebbe operare anche riguardo strutture abusive realizzate su aree appartenenti al demanio (con esclusione del demanio marittimo, lacuale e fluviale nonché dei demani civici) ed al patrimonio dello Stato (art. 32, commi 14° - 23°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003): il titolo abilitativo in sanatoria è rilasciato dal competente Comune in subordine alla cessione a titolo oneroso da parte della competente Agenzia del Demanio (per sole aree del patrimonio disponibile, in base ai criteri di cui alla tabella B e con divieto di alienazione nei successivi 5 anni) o della corresponsione di canone per il mantenimento delle opere abusive su suoli demaniali o appartenenti al patrimonio indisponibile.          Resta impregiudicata, per i terreni contigui al demanio marittimo, la necessità di assicurare – anche con l’inserimento di specifiche clausole nei suddetti atti – il libero accesso al mare con il conseguente diritto pubblico di passaggio (art. 32, comma 16°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003). 

 

In numerosi casi, comunque, in ogni caso il condono edilizio non può operare ovvero è vincolato al rilascio di autorizzazioni ambientali.             

La prima ipotesi (art. 32, commi 27° e ss., del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, che richiama gli artt. 32 e 33 della legge n. 47/1985 e l’art. 39 della legge n. 724/1994 e successive modifiche ed integrazioni) si verifica nei seguenti casi:

Ø      opere abusive realizzate dopo il 31 marzo 2003;

Ø      opere abusive realizzate su aree dove esistono vincoli di inedificabilità assoluta derivanti da leggi statali e regionali (es. vincoli di conservazione integrale su fasce costiere dei 300 metri dalla battigia marina, aree archeologiche, ecc. ai sensi dell’art. 2, comma 1°, della legge regionale n. 23/1993), nonché da norme e prescrizioni urbanistiche comunali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, dei parchi e delle aree protette statali, regionali e provinciali qualora istituiti prima dell’esecuzione degli abusi;

Ø      diniego di disponibilità delle aree di proprietà statale o degli altri enti pubblici territoriali;

Ø      opere abusive eseguite o cedute da condannato per reati di tipo mafioso (artt. 416 bis, 648 bis, 648 ter cod. pen.) o realizzate da terzi per suo conto;

Ø      impossibilità di esecuzione dei necessari interventi di adeguamento antisismico per rendere sicure le opere abusive (ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 20 marzo 2003, n. 3274);

Ø      opere abusive realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente rilevante ex artt. 6 e 7 del decreto legislativo n. 490/1999;

Ø      opere abusive realizzate su aree boscate o pascolative percorse dal fuoco nel corso degli ultimi dieci anni (art. 10 della legge n. 353/2000);

Ø      opere abusive realizzate nei porti e nelle aree del demanio marittimo di preminente interesse nazionale in relazione agli interessi dello Stato e della navigazione marittima (art. 59 del D.P.R. n. 616/1977).

Il condono edilizio risulta, invece, vincolato al preventivo rilascio delle autorizzazioni di tipo ambientale (art. 32, comma 43°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, che sostituisce l’art. 32 della legge n. 47/1985)  nei seguenti casi:

Ø      parere rilasciato dalla pubblica amministrazione preposta alla tutela del vincolo[9] in caso di abusi eccedenti il 2% delle misure prescritte (ovviamente per abusi parziali) entro 180 giorni dall’istanza: decorso il termine trattasi di silenzio – rifiuto, impugnabile con gli ordinari mezzi.   Il parere espresso motivato negativo preclude, anche in sede di conferenza dei servizi, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria;

Ø      possibilità di utile collaudo qualora si tratti di opere abusive in difformità delle normative antisismiche (legge n. 64/1974, D.P.R. n. 380/2001);

Ø      opere abusive in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici o spazi pubblici, se non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero;

Ø      opere abusive in contrasto con discipline urbanistiche generali degli abitati (D.M. n. 1404/1968, artt. 16-18 della legge n. 190/1991) purchè non in contrasto con esigenze della sicurezza stradale;

Ø      titolo di disponibilità del suolo (anche terreni rientranti nei demani civici) oneroso rilasciato dallo Stato o dagli altri Enti pubblici territoriali dell’area ove sorgono le opere abusive: possono essere cedute o concesse aree occupate dalle opere abusive e pertinenze strettamente necessarie fino ad un massimo del 300 % rispetto all’area occupata dal fabbricato abusivo;

Ø      acquisizione del reliquato in caso di opere abusive realizzate su aree inutilizzate già oggetto di piani particolareggiati (art. 21 della legge n. 1150/1942 e successive modifiche ed integrazioni), previo versamento del prezzo determinato dall’Agenzia del Demanio.

Nel caso in cui non si consegua il titolo abilitativo edilizio in sanatoria, si devono applicare le sanzioni di cui al D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni.

 

Si ricorda, inoltre, che, in considerazione della riapertura dei termini per le domande di condono edilizio (art. 32, comma 25°, del decreto legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003), si applica automaticamente (ope legis) la sospensione di tutti i procedimenti giurisdizionali ed amministrativi nonché la loro esecuzione ai sensi dell’art. 44 della legge n. 47/1985 nelle more della presentazione delle suddette istanze fino alla data del 31 marzo 2004 indicata dall’art. 32, comma 32°, del decreto legge n. 269/2003 (vds. ad es. ordinanza T.A.R. Toscana, sez. II, 13 novembre 2003, n. 5738).

In ogni caso le sanzioni pecuniarie di cui all’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni sono incrementate del 100 % (art. 32, comma 47°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, che sostituisce l’art. 32 della legge n. 47/1985).                                 

Si deve, però, segnalare che la presentazione dell’istanza di condono nei termini (31 marzo 2004) unitamente alla corresponsione dell’intero importo dell’oblazione ed al decorso di 36 mesi dal medesimo versamento produce gli effetti dell’estinzione dei reati di tipo edilizio (art. 38, comma 2°, della legge n. 47/1985 richiamato dall’art. 32, comma 36°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003).  Trascorsi i suddetti 36 mesi si prescrive anche il diritto al conguaglio o allo spettante rimborso.      L’ulteriore pagamento degli òneri di concessione con la prescritta documentazione, la denuncia ai fini dell’I.C.I. e, ove dovute, le denunce ai fini della tassa per lo smaltimenti dei rifiuti equivalgono, trascorsi 24 mesi senza l’adozione di un provvedimento negativo da parte del Comune, al titolo abilitativo edilizio in sanatoria (art. 32, comma 37°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003).     Se ne deduce che è possibile conseguire il titolo abilitativo in sanatoria anche grazie al silenzio – assenso e, con il decorso dei termini previsti, l’estinzione dei reati edilizi.      Tuttavia non l’estinzione dei reati ambientali (es. art. 163 del decreto legislativo n. 490/1999), per la quale è sempre necessario il provvedimento autorizzatorio dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.

E’ stato anche sostituito l’art. 41 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni (Testo unico sull’edilizia): entro il mese di dicembre di ogni anno il dirigente o il responsabile del competente servizio comunale deve trasmettere al prefetto territorialmente competente l’elenco delle opere abusive non sanabili per cui il responsabile dell’abuso non abbia provveduto alla demolizione entro il termine assegnato con l’indicazione dello stato del procedimento di acquisizione al patrimonio pubblico e di demolizione coattiva (ai sensi dell’art. 31 L, comma 6°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).           Sempre entro il mese di dicembre, le amministrazioni statali e regionali preposte alla tutela dei vincoli ambientali trasmettono analogamente al prefetto territorialmente competente l’elenco delle demolizioni da eseguire con l’indicazione del nominativo dei proprietari, dell’eventuale occupante abusivo, gli estremi di identificazione catastale, il verbale dello stato di consistenza delle opere abusive, l’eventuale titolo di occupazione dell’immobile.                   Entro i successivi trenta giorni, il prefetto deve provvedere agli adempimenti connessi all’intervenuto trasferimento della titolarità dei beni e delle aree interessate, notificandolo al vecchio proprietario ed al responsabile dell’abuso.     L’esecuzione delle operazioni di demolizione (compresa la rimozione delle macerie e gli interventi a tutela della pubblica incolumità) è curata dal prefetto, il quale può avvalersi (tramite i Provveditorati alle opere pubbliche) del personale e dei mezzi militari sulla base di specifica convenzione fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed il Ministero della difesa ovvero può affidarne i lavori anche a trattativa privata ad imprese tecnicamente e finanziariamente idonee (art. 32, comma 49° ter, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003).

Ulteriore modifica al Testo unico sull’edilizia è rappresentata dal successivo comma 49° quater, che aggiunge il comma 3° ter all’art. 48 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni: “al fine di consentire una più penetrante vigilanza sull’attività edilizia”, le aziende erogatrici di servizi pubblici (energia elettrica, acqua, gas, ecc.) ed i funzionari stipulatori dei relativi contratti di somministrazione sono tenuti a comunicare al sindaco del comune territorialmente competente le richieste di allaccio ai pubblici servizi con indicazione dei titoli abilitativi (concessione/autorizzazione edilizia, ecc.) ovvero dell’istanza di concessione in sanatoria presentata, corredata della prova del pagamento per intero delle somme dovute a titolo di oblazione.            L’inosservanza di tali obblighi comporta – per ogni singola violazione – la sanzione pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000 nei confronti delle aziende erogatrici di servizi e da euro 2.582 ad euro 7.746 nei confronti dei suddetti funzionari (art. 32, comma 49° quater, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003).

 

 

Problematiche relative all’eventuale sospensione del procedimento penale in presenza di istanze di condono edilizio. Casi di rilievo in Sardegna.

 

Una delle problematiche di maggiore rilievo che si presenta all’operatore del diritto riguardo l’applicabilità del c. d. nuovo condono edilizio in relazione alle connesse normative di tutela ambientale ed alla normativa penale concerne, senza dubbio, l’effetto sospensivo dei procedimenti penali in corso determinato dalla presentazione delle relative istanze di condono, così come previsto dall’art. 44 della legge n. 47/1985 richiamato, insieme alle altre disposizioni di cui al capo IV, dall’art. 32, comma 25°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003.       Alla sospensione del procedimento penale consegue sempre anche la sospensione del decorso del termine di prescrizione dei reati.       I procedimenti amministrativi, giurisdizionali e la loro esecuzione, nonché quelli penali, sono stati, quindi, sospesi con decorrenza 2 ottobre 2003.     La sospensione ha perso efficacia, comunque, qualora l’istanza di condono non sia stata presentata entro il termine del 10 dicembre 2004, mentre è divenuta definitiva con la presentazione della domanda al Comune interessato entro il detto termine perentorio unitamente alla prova dell’avvenuto versamento dell’oblazione, dell’anticipazione degli òneri concessori, della dichiarazione e delle documentazioni prescritte (artt. 32, comma 32°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003 e successiva proroga, 38, comma 1°, della legge n. 47/1985).        Altra ipotesi di sospensione del procedimento penale è quella prevista in seguito alla presentazione dell’istanza di sanatoria, con conseguente estinzione del reato per avvenuto pagamento dell’oblazione, ai sensi dell’art. 38, commi 1° e 2°, della legge n. 47/1985 richiamato dall’art. 32, comma 28°, del decreto-legge n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003.          

 

Con sentenza n. 223 del 19 marzo 2004 la Corte d’Appello di Cagliari ha con forza ribadito, riguardo tali ipotesi, che spetta, in estrema sintesi, al giudice penale la verifica delle condizioni di applicabilità del condono edilizio nei termini sostanziali della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge perché possa verificarsi la fattispecie estintiva dei reati urbanistici ed ambientali, così come previsto già nella normativa del precedente condono (art. 39 della legge n. 724/1994 e successive modifiche ed integrazioni), che subordinava l’applicabilità degli interi capo IV e V della legge n. 47/1985 alla presenza dei requisiti di condonabilità dell’opera abusiva[10].               Inoltre, evidenzia il Giudice d’appello sardo, per quanto riguarda le opere realizzate abusivamente in aree tutelate con vincoli ambientali, attualmente la verifica deve essere estesa all’accertamento della suscettibilità in concreto della possibilità di sanatoria.      Infatti, mentre nel precedente regime del condono era sufficiente l’accertamento del periodo di realizzazione dell’abuso e della relativa tipologia, adesso è richiesta la sussistenza del requisito della “doppia conformità” agli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica ai sensi dell’art. 32, comma 27°, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003[11].       Ciò vale, in primo luogo, per gli immobili abusivi realizzati in aree tutelate con vincoli ambientali in base a leggi statali e/o regionali a difesa degli interessi idrogeologici, ambientali, paesaggistici, in parchi ed altre aree naturali protette, qualora i relativi vincoli siano stati posti prima della realizzazione delle opere[12].          Naturalmente la possibilità di sanatoria, oggi come allora, è esclusa nelle ipotesi di inedificabilità assoluta (artt. 32, comma 27°, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003 e 33 della legge n. 47/1985) e nei casi in cui non sia intervenuto il versamento dell’oblazione prevista.              E’ espressamente previsto, poi, dall’art. 32, comma 43°, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003 che “per le opere non suscettibili di sanatoria ai sensi del presente decreto si applicano le sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”, il Testo unico sull’edilizia.          In tali casi, quindi, è impossibile l’ipotesi di estinzione dei reati urbanistici ed ambientali (che consegue per le opere realizzate in aree tutelate con vincoli ambientali solo in seguito al rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria) e, conseguentemente, deve escludersi la sospensione automatica dei procedimenti penali per insussistenza a monte dei presupposti di applicabilità della normativa sul condono.   In caso contrario, osserva la giurisprudenza, si realizzerebbe un inutile ed ingiustificato allungamento dei tempi processuali, in palese violazione del principio costituzionale della ragionevole durata dei processi (art. 111 cost.).                         

 

Le opere abusive realizzate devono essere considerate dal preventivo esame del giudice penale comunque non sanabili quando “siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (art. 32, comma 27°, lettera  d, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003).   Nelle aree con i predetti vincoli ambientali soltanto in caso di conformità agli strumenti di pianificazione e urbanistici le opere abusive possono essere sanate, in caso di rilascio di autorizzazione dell’autorità preposta alla gestione del medesimo vincolo, così come disposto dal nuovo testo dell’art. 32 della legge n. 47/1985 introdotto con l’art. 32, comma 43°, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003.       In caso differente, in seguito alla verifica del giudice penale, non può farsi luogo alla sospensione del procedimento penale (Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2004, n. 1863, che conferma Corte App. Cagliari, 14 febbraio 2003, a sua volta di conferma di Trib. Cagliari, 2 ottobre 2002).           

 

Naturalmente nella disamina del giudice penale rientrano anche le disposizioni integrative promananti dal legislatore regionale, come, ad esempio la legge regionale sarda 26 febbraio 2004, n. 4, che opportunamente, ha definito “non suscettibili di sanatoria le opere abusive realizzate nelle zone di rilevante interesse paesistico-ambientale di cui all’art. 10 bis L.R. 45 del 22.12.1989 e successive modifiche”, fra le quali rientrano certamente quelle realizzate entro la fascia dei 300 metri dalla battigia marina (art. 10 bis della legge regionale n. 45/1989, come introdotto con l’art. 2 della legge regionale n. 23/1993), proprio come indicato dalla Corte d’Appello di Cagliari nella sentenza in argomento[13].           E, inoltre, non possono non rientrarvi le normative regionali che pongono disposizioni di tutela integrale provvisorie e finalizzate all’approvazione degli strumenti di pianificazione paesaggistica (artt. 135 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004), così come la legge regionale sarda 25 novembre 2004, n. 8 (Corte App. Cagliari, 8 luglio 2005, confermativa di Trib. Lanusei, 28 gennaio 2003; Corte App. Cagliari, 8 luglio 2005, confermativa di Trib. Cagliari, 16 luglio 2003).

 

In proposito, può dirsi ormai presente una linea giurisprudenziale corroborata da forti argomentazioni: “mentre l’art. 31 della legge 47/1985 … prevedeva una serie di requisiti esclusivamente in relazione alla possibilità di conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria, l’art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 convertito dalla legge n. 326/2003 (come già l’art. 39 della legge n. 724/1994 subordina l’applicazione degli interi capi IV e V della legge n. 47/1985 all’esistenza dei requisiti attualmente prescritti perché l’opera possa essere condonata.  L’art. 38 della legge n. 47/1985, conseguentemente, può essere applicato esclusivamente per le opere che oggettivamente abbiano i requisiti di condonabilità di cui all’art. 32 del D.L. n. 269/2003” (Cass. pen., sez. III, 13 ottobre 2004, n. 651, che conferma Corte App. Cagliari, 14 novembre 2003, a sua volta di conferma di Trib. Lanusei, 14 gennaio 2003).           In assenza dei requisiti di condonabilità non può essere applicato nemmeno l’art. 39 della legge n. 47/1985 relativo all’estinzione dei reati in conseguenza del mero pagamento dell’oblazione qualora le opere abusive non possano conseguire la sanatoria, “per cui risulterebbe incongruo argomentare che la sospensione possa essere comunque finalizzata a conseguire il beneficio”  previsto da tale disposizione.        In merito “può razionalmente dedursi il principio generale secondo il quale il giudice, già prima di sospendere il processo ex art. 44 della legge 47/1985, deve effettuare un controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la concedibilità in astratto del condono: diversamente opinandosi si allungherebbero inevitabilmente e inutilmente i tempi del processo. Nel caso in cui il giudice sospenda il processo in assenza dei presupposti di legge, la sospensione è inesistente”   (Cass. pen., sez. III, 13 ottobre 2004, n. 651, ma già Cass. pen., SS. UU., 24 novembre 1999, n. 22).       

 

 

Abusivismo edilizio in aree tutelate con vincolo paesaggistico, demolizioni, ripristini ambientali.

Un breve cenno merita la fattispecie penale contemplata dall’art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni (codice dei beni culturali e del paesaggio).   Essa sanziona penalmente gli interventi abusivi realizzati in aree tutelate con il vincolo paesaggistico-ambientale.     Punisce “Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici” con le pene previste dall’art. 20 della legge n. 47/1985[14].   La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni qualora gli interventi abusivi ricadano su immobili precedentemente tutelati con specifici provvedimenti di vincolo paesaggistico ovvero tutelati ex lege ai sensi del precedente art. 142 (es. fascia costiera dei mt. 300 dalla battigia marina, ecc.) “ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi”.     Tale sanzione non si applica in alcune fattispecie quando – ferme restando le sanzioni pecuniarie del caso – l’amministrazione preposta alla tutela del vincolo riscontri la compatibilità paesaggistica delle opere abusive mediante procedura di accertamento su istanza dell’interessato (proprietario, possessore, ecc.) da concludersi entro 180 giorni previo parere vincolante della competente Soprintendenza ai beni ambientali da rendersi entro 90 giorni[15] (art. 181, comma 1 quater).

Il “pentimento fattivo” da parte del trasgressore, cioè la rimessione in pristino delle aree o degli immobili tutelati con il vincolo paesaggistico prima che sia disposta d’ufficio da parte della pubblica amministrazione preposta alla gestione del vincolo e comunque prima che intervenga il provvedimento giurisdizionale di condanna comporta l’estinzione del reato (comma 1 quinques)[16], mentre con la sentenza di condanna dev’essere sempre ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato.   Per gli eventuali connessi adempimenti amministrativi, tale sentenza viene comunicata anche alla Regione ed al Comune territorialmente competenti (comma 2°)[17].

 

 

Demolizione degli abusi edilizi in conseguenza di provvedimenti giurisdizionali. Confisca penale.  Eventuali alternative.

 

Come si è visto in precedenza, in vari casi la sentenza di condanna per vari reati contemplanti ipotesi di abusivismo edilizio prevede l’irrogazione della sanzione accessoria della demolizione degli abusi realizzati (es. art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni,  art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni), qualora non vi abbia già provveduto l’autorità competente in via amministrativa.      L’ordine di demolizione disposto dal giudice penale è riconosciuto quale sanzione amministrativa, ma non è esercizio di un potere-dovere affidato al giudice penale per le finalità proprie della pubblica amministrazione: permane caratterizzato dalla natura giurisdizionale dell’organo dal quale promana, la quale ne disegna la forma, gli effetti e lo stesso scopo.         Non deve essere considerato quale potestà residuale ovvero sostitutiva della potestà sanzionatoria comunale espressa dalla specifica ordinanza sindacale: rientra “in quel complessivo sistema di deterrenza che per la commissione dell’illecito urbanistico – ad un tempo amministrativo e penale – è stato predisposto dalla L. 47/1985” che prevede anche, insieme al potere ablatorio delle lottizzazioni abusive da parte dei Comuni, l’obbligo per il giudice penale di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite (art. 19 della legge n. 47/1985)[18].   

 

Nel caso, invece, delle singole costruzioni abusive ovvero difformi (variazioni essenziali) da quanto autorizzato “non spetta al giudice penale alcun potere in ordine all’acquisizione gratuita del manufatto abusivo al patrimonio comunale. Tale acquisizione avviene di diritto a seguito dell’inutile decorso del termine di ottemperanza all’ordinanza di demolizione”[19] ai sensi dell’art. 31, comma 4°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni.      Infatti, il giudice penale può applicare nella fattispecie la sanzione penale dell’ammenda di euro 10.329,00 fino ai due anni di arresto, nonché la demolizione delle opere abusive e di ripristino (art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).   Soltanto dopo l’inutile spirare del termine dei 90 giorni concessi per l’esecuzione della demolizione e del ripristino, può operare l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale senza alcuna pronuncia giurisdizionale[20].

 

Il potere-dovere attribuito dal giudice penale di ordinare la demolizione previsto dall’art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni (già art. 7 della legge n. 47/1985), così come quello di ordinare il ripristino ambientale dei luoghi in caso di condanna per violazione dell’art. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985), è quindi finalizzato al ripristino del bene ambientale tutelato per un interesse – anche preventivo – connesso “all’esercizio della potestà di giustizia”: il conseguente provvedimento contenuto nella sentenza passata in giudicato, “al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza”, è pertanto destinato all’esecuzione secondo le forme previste dagli artt. 655 e seguenti del codice di procedura penale[21]. L’organo esecutore non può che essere il pubblico ministero, “mentre il giudice dell’esecuzione interviene in caso di qualunque controversia sorta in merito al titolo o alle modalità esecutive”, le spese della demolizione degli abusi edilizi e dell’attività di ripristino ambientale devono essere sostenute dal condannato: qualora siano anticipate dallo Stato, devono essere recuperate dalla cancelleria del giudice dell’esecuzione secondo le modalità ordinarie[22].

 

Aspetto importante è quello inerente la revocabilità dell’ordine di demolizione nella fase esecutiva: la natura di provvedimento giurisdizionale non la impedisce, in quanto il rimedio della revoca in fase di esecuzione è stato introdotto nel nuovo codice di procedura penale in termini piuttosto ampi, anche in relazione al giudicato, proprio per adeguare gli effetti dei relativi provvedimenti “alla situazione concreta e attuale”.    Tuttavia, in ordine alla sanzione demolitoria di cui all’art. 7 della legge n. 47/1985 (e oggi dell’ art. 31 L, comma 9°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni), “è escluso ogni potere discrezionale del giudice penale, come del giudice dell’esecuzione” per escludere ogni possibilità di interferenza sull’attività dell’amministrazione pubblica interessata, alla cui discrezione è affidata l’eventuale decisione di mantenere le opere abusive per rilevanti e prevalenti interessi pubblici.

 

Nel caso, quindi, che sia stata effettuata la demolizione delle opere abusive in via amministrativa (es. esecuzione dell’ordinanza di demolizione emanata dal sindaco del Comune territorialmente competente) sarà inutiliter datum il successivo ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale, analogamente al caso in cui intervenga dichiarazione di prevalente interesse pubblico (es. destinazione ad edificio scolastico) alla conservazione degli immobili abusivi con specifica deliberazione del consiglio comunale.    Ulteriori provvedimenti incompatibili saranno eventuali concessioni edilizie in sanatoria, “intese in senso lato con riferimento ai capi I e IV della L. 47/1985” ed alle leggi n. 724/1994 e 662/1996 che li richiamano, ed eventuali provvedimenti giurisdizionali in sede penale, civile ed amministrativa[23].

 

E’, quindi, possibile che venga revocato l’ordine di demolizione in sede esecutiva, anzi deve essere revocato, “ma soltanto in presenza di atti amministrativi assolutamente incompatibili” con la sua esecuzione, “la dichiarazione dell’esistenza di rilevanti (e prevalenti, n.d.r.) interessi pubblici alla conservazione da parte del consiglio comunale ovvero il rilascio di una concessione in sanatoria per le opere abusive”.[24]

 

Appare ammissibile anche la presentazione della relativa domanda di condono edilizio accompagnata dal versamento dell’oblazione autodeterminata e dal rispetto delle procedure di legge (es. versamento tempestivo, non superamento del limite volumetrico, ecc.) nonchè dall’avvenuto conseguimento del nullaosta paesaggistico ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47/1985, richiamato e novàto dall’art. 32, comma 43°, del decreto-legge n. 269/2003 come convertito nella legge n. 326/2003, in caso di interventi in aree tutelate con il vincolo paesaggistico di cui al decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni. Anche in questo caso, infatti, l’attuazione dell’ordine di demolizione degli abusi edilizi “ostacolerebbe” irreparabilmente la decisione amministrativa di emanare la concessione in sanatoria[25].

 

Tuttavia, sottolinea opportunamente la giurisprudenza dominante, l’incompatibilità dell’esecuzione dell’ordine di demolizione con atti amministrativi deve essere “esistente ed insanabile e non invece futura e meramente eventuale”[26]: il provvedimento amministrativo incompatibile con l’esecuzione dell’ordine di demolizione deve essere, quindi, già emesso per motivare la revoca dell’ordine contenuto in sentenza passata in giudicato ovvero, per giustificarne la sospensione dell’esecuzione, deve essere prevedibile perlomeno la sua certa emissione in tempi ridottissimi, “come accade quando sia stata presentata una domanda di condono in presenza di tutti i requisiti per il rilascio della sanatoria”.

 

In relazione a quest’ultimo e non secondario profilo, anche al giudice dell’esecuzione compete la verifica dell’esistenza di tutti i parametri e le condizioni stabiliti dalla legge “per l’operatività del condono edilizio o del cosiddetto accertamento di conformità di cui agli artt. 13 e 22 L. 47/1985”, anche se in relazione al solo aspetto inerente la revoca dell’ordine di demolizione nella fase esecutiva, dato che, giunta ormai la sentenza di condanna irrevocabile al termine della fase di cognizione, non vi può essere l’ulteriore effetto dell’estinzione del reato e della pena[27].         Se, invece, si verifica semplicemente un’ipotesi di incompatibilità meramente futura, non è consentito fermare l’esecuzione penale per tempi non prevedibili e senza prospettiva di soluzione, perché “il giudice non può certamente attendere sine die l’esito di una possibile regolarizzazione dell’attività edificatoria illecita”[28].

 

Appare, inoltre, opportuno ricordare che la sentenza definitiva del giudice penale che accerta la lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni interessati e delle opere abusive realizzate: per effetto delle confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio comunale, mentre la sentenza costituisce titolo per l’immediata trascrizione nei registri immobiliari (art. 44 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).     Inoltre, ”la c.d. "sanatoria" degli illeciti urbanistici contenuta in un provvedimento dell'ente territoriale non estingue e non può estinguere il reato di lottizzazione abusiva.   Siamo in presenza di un elemento che differenzia profondamente la disciplina della lottizzazione, quale reato urbanistico, dalla violazione edilizia prevista e sanzionata da altra parte del medesimo art. 20 della legge 28 febbraio 1985., n. 47, nonché, oggi, dalla prima parte dell'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.  È pacifico, infatti, in dottrina e giurisprudenza che il reato di lottizzazione abusiva non può beneficiare delle mutate disposizioni amministrative che dopo la commissione del reato rendano possibile edificare sulla medesima area”[29].             Ed ancora: La sanatoria delle violazioni edilizie che, ai sensi dell'art. 36 del Testo unico n. 380 del 2001 (che ha sostituito l'art. 13 della legge n. 47 del 1985), determina l'estinzione del reato, non è applicabile alla lottizzazione abusiva per la negatività dell'accertamento della cosiddetta doppia conformità delle opere eseguite, le quali non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione. Pertanto la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, e delle opere abusivamente realizzate, è legittima - in quanto obbligatoria ai sensi dell'art. 19 della legge n. 47 del 1985 - anche quando risulti concessa una sanatoria delle opere edilizie ex art. 13 della stessa legge; quanto alla confisca dei manufatti abusivi, il giudice deve invece valutarne in concreto i presupposti, quando sia stato effettuato il condono edilizio ai sensi dell'art. 37 comma settimo della citata legge n. 47 per la presenza dei requisiti legittimanti, secondo quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 29 e 35,comma tredicesimo della predetta legge”.[30]

Questa differenza di trattamento trova radicamento e motivazione nella maggiore gravità che il legislatore ha inteso riconoscere alla lottizzazione. E che l'intervento abusivo e coordinato su un'area non modesta assuma, rispetto al governo del territorio, connotazioni oggettivamente, e spesso drammaticamente gravi è dato di esperienza, così che pare dei tutto motivato e ragionevole che alle ipotesi di lottizzazione non si estenda lo strumento del condono e della sanatoria previsto invece, a certe condizioni, per l'edificazione senza concessione o in difformità da essa. Sul punto si rinvia anche alle decisioni di manifesta infondatezza della Corte costituzionale concernenti la disciplina della lottizzazione (in particolare, si vedano le sentenze n. 107 dei 1989 e n. 148 del 1994 relative alla forma meno grave di lottizzazione, la lottizzazione c.d. "negoziale").  La previsione normativa - contenuta nel sistema degli artt. 18 e 19 della legge n. 47 del 1985 ed ora negli artt. 30 e 44, comma secondo del D.P.R. n. 380 del 2001 e successive modifiche ed integrazioni - della obbligatorietà e della immediatezza della confisca giudiziale rispetto all'accertamento della lottizzazione dev'essere considerata conseguenza coerente di quel giudizio di estrema gravità[31].                     

Inoltre, la giurisprudenza ha tratto dalle caratteristiche della lottizzazione un'ulteriore importante conseguenza. Come stabilito con la sentenza n. 17424 della III sezione penale della Suprema Corte del 22 marzo - 9 maggio 2005 (Agenzia Demanio in proc. Matarrese e altri, rv 231515), la confisca deve essere estesa “a tutta l'area interessata dall'intervento lottizzatorio, compresi i lotti non ancora edificati o anche non ancora alienati al momento dell'accertamento del reato, atteso che anche tali parti hanno perso la loro originaria vocazione e destinazione rientrando nel generale progetto lottizzatorio”.

E, per maggior completezza, si sottolinea che “in materia edilizia, configura il reato di lottizzazione abusiva la modifica di destinazione d'uso di una R.T.A., residenza turistico alberghiera, realizzata attraverso la vendita di singole unità a privati allorchè non sussista una organizzazione imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni ed alla concessione in locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni del contratto d'albergo, atteso che in tale ipotesi le singole unità perdono la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale, in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione”, non rinvenendosi alcuna differenza, sul piano giuridico, con l’ipotesi di ordine generale[32].

La confisca non solo è quindi conseguenza obbligatoria dell'accertamento della lottizzazione, ma essa consegue automaticamente e immediatamente alla definitività dell'ordine dato dal giudice, senza che sussistano ulteriori condizioni e che siano necessari successivi adempimenti.    Infatti, il sindaco, verificata l'esistenza di attività lottizzatoria senza autorizzazione deve notificare un'ordinanza di sospensione, che viene trascritta nei registri immobiliari così da inibire anche atti di cessione a terzi.     Trascorsi novanta giorni senza che si provveda, per carenza dei presupposti originari, alla revoca della confisca, le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio indisponibile del comune e il sindaco deve procedere alla demolizione delle opere abusive.

Parallelamente a tale procedura, il giudice con la sentenza definitiva deve disporre la confisca delle aree, e anche l'ordine giudiziale comporta l'immediata acquisizione delle arco al patrimonio comunale e costituisce titolo per la trascrizione nei registri immobiliari.    In proposito sono estremamente chiari i principi affermati dalla sentenza della Corte di cassazione penale, sez. III, 22 maggio 2003, n. 22557 (ric. Matarrese e altro):  “con il passaggio in giudicato della sentenza che, all'esito del procedimento per lottizzazione abusiva, ha disposto, ex art. 19 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la confisca dei terreni, questi transitano "ipso iure" nel patrimonio del Comune senza la necessità, a differenza di quanto avviene con il provvedimento ex art. 7 stessa legge, di una fase esecutiva, atteso che l'efficacia traslativa coattiva e' prodotta, per espresso dettato normativo, dalla sentenza che la contiene”.

In sostanza, la sentenza definitiva è titolo per il trasferimento della proprietà, immediato e senza oneri, in favore del patrimonio disponibile del comune (circostanza, questa, indicativa della volontà di attribuire all'ente ampia possibilità di gestione ed utilizzo dei beni). Spetta alle cancellerie giudiziarie e agli organi amministrativi dare esecuzione all'ordine di confisca, ma questa è comunque immediatamente operante fra le parti interessate (espropriati e comune).     In tal senso si è espresso con chiarezza il Consiglio di Stato in decisioni che, seppure riferite alla confisca che segue l'inosservanza dell'ordine di demolizione, contengono principi generali applicabili anche alla confisca ex art. 19 della legge n. 47/1985. Ad esempio, con la sentenza, sez. V, n. 333 del 20 aprile 1994, ha stabilito che gli effetti della trascrizione sono collegati direttamente dalla legge all'inosservanza dei termine per la demolizione (nella fattispecie alla definitività della sentenza contenente l'ordine di confisca).

In estrema sintesi riassuntiva, è noto che la demolizione delle opere abusive ed il conseguente ripristino ambientale possono essere disposti anche in via giurisdizionale, se non già eseguiti in via amministrativa, con sentenza definitiva passata in giudicato relativa a responsabilità per reati ambientali (es. artt. 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni, 41 L e 44 L del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni).     In tal caso provvede l’Autorità giudiziaria competente (Procura della Repubblica competente per territorio e per grado di giudizio) in sede esecutiva (artt. 666 e ss. cod. proc. pen.) mediante personale e mezzi delle Forze armate.  L’orientamento giurisprudenziale consolidato della Suprema Corte relativo all’esclusione dell’esecuzione da parte del pubblico ministero degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale conseguenti a sentenze penali passate in giudicato risulta ormai chiaramente delineato[33].    Le condizioni di legge (art. 7 della legge n. 47/1985 e successive modifiche ed integrazioni) perché il Consiglio comunale dichiari legittimamente la sussistenza di prevalenti interessi pubblici ostativi alla demolizione degli abusi edilizi sono, in sostanza, le seguenti: 

a) assenza di contrasto con rilevanti interessi ambientali (accertamento riservato esclusivamente alla pubblica amministrazione competente in materia di tutela ambientale e paesaggistica) o urbanistici (es. strumento urbanistico comunale);  

b) adozione di formale deliberazione del Consiglio comunale che dichiari la sussistenza dei due descritti presupposti;  

c) dichiarazione di contrasto dell’esecuzione dell’ordine di demolizione con prevalenti interessi pubblici concreti ed attuali (es. destinazione delle opere abusive a scuola, ufficio pubblico, ecc.) contenuta nella predetta deliberazione del Consiglio comunale.  

Tali condizioni necessarie sono così riconosciute dalla giurisprudenza costante[34]. Inoltre, l’incompatibilità dell’esecuzione dell’ordinanza di demolizione con i necessari atti amministrativi deve essere esistente ed insanabile, non invece meramente futura ed eventuale, perché non è consentito fermare l’esecuzione penale per tempi imprevedibili e senza la concreta ed attuale prospettiva di atti amministrativi di “sanatoria” in quanto l’ordinamento non può certamente attendere sine die l’esito di una possibile quanto eventuale regolarizzazione dell’attività edificatoria illecita[35].   Né costituisce motivo legittimo di sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione l’avvenuta proposizione di mero ricorso amministrativo o giurisdizionale ovvero la mera istanza di avvio della procedura fallimentare da parte di creditori successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna[36]

 

Appare di fondamentale importanza e vincolante per ogni ulteriore considerazione il primo criterio, l’assenza di contrasto con rilevanti interessi ambientali o urbanistici.    Nella fattispecie concreta, la prevalenza di rilevanti interessi ambientali può essere sostanziata dalla presenza di norme di conservazione integrale di derivazione normativa[37] ovvero discendenti da atti di pianificazione paesaggistica[38] oppure contenute in strumenti urbanistici degli enti locali[39].  

 

Deve, inoltre, seguire la formale deliberazione del Consiglio comunale che dichiari la reale sussistenza dei due presupposti: naturalmente la verifica dell’effettiva sussistenza è demandata al sindacato del Giudice dell’esecuzione[40].

 

Analogamente la predetta deliberazione del Consiglio comunale deve contenere la specifica dichiarazione di contrasto dell’esecuzione dell’ordine di demolizione con prevalenti interessi pubblici concreti ed attuali (es. destinazione delle opere abusive a scuola, ufficio pubblico, abitazioni per cittadini meno abbienti, ecc.).   Tale destinazione, tuttavia, non deve essere meramente enunciata, ma deve sostanziarsi in un esame di un puntuale programma di attività comprendente un progetto, seppure di massima, ed almeno un piano economico-finanziario.       Infatti, il Giudice dell’esecuzione deve esaminare la ricorrenza dei presupposti di legge al fine di verificare se gli atti deliberativi consiliari siano o meno da considerarsi “atti incompatibili” con l’esecuzione dell’ordine di demolizione e, quindi, tali da giustificare la revoca o almeno la sospensione della medesima.       Negli atti deliberativi comunali devono, quindi, esser riscontrate le necessarie caratteristiche e non possono esser ammessi atti meramente interlocutori in quanto mancanti dei necessari caratteri di pronta esecutività (carenza di destinazione delle opere, mancanza di necessario piano economico di gestione, mere lettere di intenti con soggetti interessati ad attività formative, ecc.).                      La competenza ad individuare autonomamente nel concreto quali atti della pubblica amministrazione siano incompatibili con l’attuazione della demolizione è, comunque, propria del giudice dell’esecuzione penale nell’ambito delle attribuzioni di cui all’art. 666 cod. proc. pen.[41]       

 

Si ricorda, inoltre, che nel caso di mancata demolizione di abusi edilizi o di mancata immissione in possesso e successivo utilizzo di opere abusive acquisite al patrimonio comunale sussiste la responsabilità amministrativa degli amministratori e dei funzionari pubblici che, per omissione e negligenza, non si siano attivati con concrete iniziative consentendo a terzi l’occupazione sine titulo delle strutture[42].    In sostanza, qualora l’immobile abusivo sia acquisito al patrimonio comunale in base ai requisiti di legge, esso dev’essere successivamente utilizzato a fini pubblici, in base a progetti e piani economico-finanziari reali e basati su risorse certe.    Si tratta di un evidente beneficio per l’amministrazione comunale, che può acquisire al suo patrimonio immobili da destinare ad edifici pubblici, abitazioni per cittadini meno abbienti, scuole, ecc. tuttavia accompagnato da òneri specifici che non possono essere presi in considerazione con leggerezza e superficialità.



[1]      A fini puramente esemplificativi si riportano le fondamentali caratteristiche sul piano tecnico-giuridico della principale autorizzazione vincolante, quella paesaggistica (naturalmente per interventi su aree tutelate con lo specifico vincolo): in ogni caso il rilascio di specifico nullaosta paesaggistico deve essere preceduto da congrua istruttoria (vds. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1047), deve essere adeguatamente motivato con l’enunciazione dell’attività istruttoria che ha portato alla concreta valutazione di compatibilità paesaggistico-ambientale dell’intervento proposto (vds. Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9; Cons. Stato, sez. VI, 16 aprile 2002, n. 3466; Cons. Stato, sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 657; Cons. Stato, Sez. VI, 9 settembre 1997, n. 1303; Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1047) e, ovviamente, non deve consentire una “deroga” al vincolo medesimo, autorizzando la realizzazione di un’opera, valutata nel complesso degli interventi e non nelle singole parti (vds. Cons. Stato, Sez. VI, 20 giugno 1997, n. 952), che oggettivamente degrada i valori ambientali/paesaggistici tutelati (vds. Cass. pen., S. U., 12 gennaio 1993, n. 248; Cass. pen., Sez. VI, 14 giugno 1980, n. 7652; Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 1992, n. 10956; Cass. pen., Sez. III, 24 novembre 1989; Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734; Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 1998, n. 1210; Cons. Stato, Sez. VI, 14 novembre 1991, n. 828; T.A.R. Sardegna, 29 settembre 1992, n. 1083).                                 Ad esempio, in Sardegna il nullaosta paesaggistico viene rilasciato, su delega statale (art. 57 del D.P.R. n. 348/1979, vds. anche sent. Corte cost. n. 341/1996), dall’articolazione competente della Regione autonoma della Sardegna (Assessorato regionale della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport - Ufficio tutela del paesaggio territorialmente competente) o, in via sub-delegata (legge regionale n. 28/1998) per le ipotesi di impatto paesaggistico ritenute più contenute, dalle strutture tecniche dei Comuni previo parere della Commissione edilizia integrata da un “esperto in materie ambientali”.        Entro il termine perentorio di 60 giorni dall’avvenuta ricezione dell’intera documentazione (autorizzazione, progetti, allegati, ecc.) da parte dell’Amministrazione emanante (Ufficio regionale tutela del paesaggio o Comune), la competente Soprintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio artistico, storico e demo-antropologico può provvedere all’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica per motivi di legittimità (vds. per tutti Cons. Stato, ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9): per giurisprudenza costante il termine di 60 giorni è riferito all’adozione del provvedimento, non alla sua comunicazione all’Amministrazione regionale, al Comune ed al soggetto proponente (vds. Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2001, n. 4640; Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2000, n. 6871; Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 1994, n. 450).    Il provvedimento di annullamento ben può essere annunciato – come di fatto avviene – mediante telegramma o telefax.

[2]   Sulla lottizzazione abusiva vds. in particolare S. Maini, La lottizzazione abusiva tra stato dell’arte e recenti interventi normativi, in Le giornate della Polizia locale, Riccione, sett. 2006; G.G. Floridia, Commentario al testo unico dell’edilizia, a cura di R. Ferrara e F.F. Ferrari, Padova, 2005; G.C. Mengoli, Manuale di diritto urbanistico, Milano, 2003.

[3]   Per giurisprudenza costante l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale conseguente all’inottemperanza all’ordine di demolizione non può operare nei confronti del proprietario dell’area rimasto del tutto estraneo alla commissione dell’abuso edilizio qualora non sia rimasto inattivo, ma si sia adoperato per l’eliminazione dell’abuso medesimo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento quando sia venuto a conoscenza della commissione dell’illecito (vds. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, 5 luglio 2006, n. 7301; T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 27 marzo 2006, n. 3211; T.A.R. Lazio, sez. II, 5 febbraio 2004, n. 1132). 

[4]    E’ ormai giurisprudenza costante che l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione e di ripristino ambientale debba avvenire a cura del competente Pubblico ministero (per tutti Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15, successivamente Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489, ord.; Cass. pen., sez. III, 15 marzo 2000, n. 65; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 28 luglio 1999, n. 1885;  Cass. pen., sez. III, 6 maggio 1999, n. 1149; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.     In precedenza a favore dell’orientamento in argomento cfr. per tutti Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 1993, n. 21.   Contra Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 1994, ric. Acquafredda).                Anche l’orientamento giurisprudenziale consolidato del Giudice di legittimità relativo all’esclusione dell’esecuzione da parte del Pubblico ministero degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale conseguenti a sentenze penali passate in giudicato risulta ormai chiaramente delineato.                                             Le condizioni di legge (già art. 7 della legge n. 47/1985 e successive modifiche ed integrazioni) perché il Consiglio comunale dichiari legittimamente la sussistenza di prevalenti interessi pubblici ostativi alla demolizione degli abusi edilizi sono, in sostanza, le seguenti:  a) assenza di contrasto con rilevanti interessi ambientali (accertamento riservato esclusivamente alla pubblica amministrazione competente in materia di tutela ambientale e paesaggistica) o urbanistici (es. strumento urbanistico comunale);   b) adozione di formale deliberazione del Consiglio comunale che dichiari la sussistenza dei due descritti presupposti;   c) dichiarazione di contrasto dell’esecuzione dell’ordine di demolizione con prevalenti interessi pubblici concreti ed attuali (es. destinazione delle opere abusive a scuola, ufficio pubblico, ecc.) contenuta nella predetta deliberazione del Consiglio comunale.         Anche in tal caso si tratta di giurisprudenza costante (vds. in particolare Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15; Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489, ord.; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870).

[5]    E’ ormai giurisprudenza costante che l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione e di ripristino ambientale debba avvenire a cura del competente Pubblico ministero (per tutti Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15, successivamente Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489, ord.; Cass. pen., sez. III, 15 marzo 2000, n. 65; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 28 luglio 1999, n. 1885;  Cass. pen., sez. III, 6 maggio 1999, n. 1149; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.     In precedenza a favore dell’orientamento in argomento cfr. per tutti Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 1993, n. 21.   Contra Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 1994, ric. Acquafredda).                Anche l’orientamento giurisprudenziale consolidato del Giudice di legittimità relativo all’esclusione dell’esecuzione da parte del Pubblico ministero degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale conseguenti a sentenze penali passate in giudicato risulta ormai chiaramente delineato.                                             Le condizioni di legge (già art. 7 della legge n. 47/1985 e successive modifiche ed integrazioni) perché il Consiglio comunale dichiari legittimamente la sussistenza di prevalenti interessi pubblici ostativi alla demolizione degli abusi edilizi sono, in sostanza, le seguenti:  a) assenza di contrasto con rilevanti interessi ambientali (accertamento riservato esclusivamente alla pubblica amministrazione competente in materia di tutela ambientale e paesaggistica) o urbanistici (es. strumento urbanistico comunale);   b) adozione di formale deliberazione del Consiglio comunale che dichiari la sussistenza dei due descritti presupposti;   c) dichiarazione di contrasto dell’esecuzione dell’ordine di demolizione con prevalenti interessi pubblici concreti ed attuali (es. destinazione delle opere abusive a scuola, ufficio pubblico, ecc.) contenuta nella predetta deliberazione del Consiglio comunale.         Anche in tal caso si tratta di giurisprudenza costante (vds. in particolare Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15; Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489, ord.; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870).

[6]          Oggi in proposito operano le definizioni di “bosco” previste dal decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227 (art. 2) che forniscono alcune indicazioni fondamentali: in primo luogo i termini "bosco", “foresta” e “selva” sono equiparati (art. 2, comma 1°) ed entro il termine ordinatorio di dodici mesi le Regioni dovranno stabilire normativamente la definizione di bosco (in relazione alle peculiari caratteristiche del territorio) ed i parametri di inclusione e di esclusione: non sono, comunque, fissati parametri unici (art. 2, comma 2°).                Sono, invece, assimilati al bosco i rimboschimenti, le aree forestali temporaneamente prive di copertura arborea o arbustiva per utilizzazioni o eventi accidentali (es. incendi, gravi vicende climatiche, ecc.), le radure (art. 2, comma 3°).           Le definizioni previste dal decreto legislativo n. 227/2001 sono generalmente applicabili anche alla normativa sulla tutela paesaggistica di cui all’art. 146, comma 1°, lettera g, del decreto legislativo n. 490/1999 (art. 2, comma 4°), con esclusione delle aree temporaneamente prive di copertura arborea ed arbustiva per eventi accidentali, dove, però, si rinviene una norma di tutela – anche se solo in caso di incendio – nella legge n. 353/2000.            In ogni caso, fino all’individuazione delle definizioni da parte delle Regioni, sono considerati “bosco” i terreni coperti da vegetazione forestale o arbustiva di origine naturale o artificiale, in qualsiasi stadio di sviluppo e la macchia mediterranea con esclusione degli impianti di frutticoltura e arboricoltura da legno (avente esclusive finalità produttive e caratteri di reversibilità, art. 2, comma 5°): l’estensione minima deve essere non inferiore a mq. 2.000, larghezza media non inferiore a mt. 20 e copertura non inferiore al 20 %; sono assimilati i fondi gravati dall’obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica e le radure di estensione inferiore a mq. 2.000 che interrompono la continuità del bosco (art. 2, comma 6°).

[7]  Come anche indicato in varie discipline regolamentari interpretative regionali, ad es. nella deliberazione Giunta regionale Sardegna n. 36/46 del 23 ottobre 2001 (Atto di indirizzo interpretativo e applicativo dei divieti, prescrizioni e sanzioni contenuti negli articoli 3 e 10 della legge n. 353/2000, punto 7.2).

[8]   Per un commento sul tema vds. S. Deliperi, “La Corte costituzionale le coste della Sardegna”, in Rivista giuridica dell’ambiente, Giuffrè ed., Milano, 2006.

[9]   Es. in relazione al vincolo paesaggistico sono competenti, nel territorio della Regione autonoma della Sardegna, l’Assessorato regionale pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport – Servizio tutela del paesaggio competente per territorio e, in sede di controllo di legittimità, la Soprintendenza per i beni artistici, il paesaggio, il patrimonio storico, artistico e demoantropologico competente per territorio.

[10]     In tal senso la giurisprudenza penale appare sostanzialmente concorde: ex multis Cass. pen., sez. III, 7 maggio 2004, n. 21679; Cass. pen., sez. III, 24 marzo 2004, n. 14436; Cass. pen., sez. III, 29 gennaio 2004, n. 3350.  Sul tema vds. S. Deliperi, “Qualche considerazione sull’inapplicabilità della sospensione del procedimento penale in presenza di istanza di condono edilizio in aree tutelate con vincoli ambientali”, in Rivista giuridica dell’ambiente, Giuffrè ed., Milano, 2005.

[11]    Per una particolare casistica relativa all’applicazione del principio della c. d. doppia conformità in area vincolata ed alla sua insussistenza vds. Corte App. Cagliari, 26 settembre 2003, n. 154, confermata da Cass. pen., sez. III, 28 giugno 2005.  Il Giudice di secondo grado cagliaritano, a sua volta, confermava Trib. Cagliari, 14 giugno 2002, n. 28.   In tal caso la concessione in sanatoria non poteva essere rilasciata ex art. 13 della legge n. 47/1985  (e, quindi, il procedimento penale non poteva essere legittimamente sospeso) perché l’immobile abusivo mai completato era in corso di realizzazione in un’area destinata a “verde pubblico” e soltanto in data ben successiva all’accertamento del fatto illecito (12 febbraio 1999) era stata ricompresa nel piano di risanamento urbanistico (P.R.U.) del Comune di Quartu S. Elena (deliberazione Consiglio comunale n. 285 del 25 maggio 1999). 

[12]   Anche riguardo tali problematiche la giurisprudenza appare concordemente orientata: vds. per tutti Cass. pen., sez. III, 21 dicembre 2004, n. 48594.

[13]    Vds. anche Cass. pen., sez. III, 16 giugno 2005, n. 14046, che conferma Corte App. Cagliari, 18 febbraio 2005, n. 20, a sua volta confermativa di Trib. Lanusei, 25 settembre 2003, n. 265, e Corte App. Cagliari, 20 maggio 2005, confermativa di Trib. Lanusei, 26 ottobre 2004.

[14] Legge 28 febbraio 1985 e successive modifiche ed integrazioni - Art. 20 - Sanzioni penali

Salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica:

  1. l’ammenda fino a lire 20 milioni per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalla presente legge, dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione;

  2. l’arresto fino a due anni e l’ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza della concessione o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;

  3. l’arresto fino a due anni e l’ammenda da lire 30 milioni a lire 100 milioni nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’articolo 18. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza della concessione.

Le disposizioni di cui al comma precedente sostituiscono quelle di cui all’articolo 17 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.

 

[15]  I casi nel quale può operare l’accertamento di compatibilità paesaggistica sono:  a ) lavori, realizzati in assenza o difformita' dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;  b) impiego di materiali in difformita' dall'autorizzazione paesaggistica;
c) i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

[16]   L’estinzione del reato paesaggistico mediante il “pentimento fattivo” comportante il ripristino ambientale ovvero la sanatoria paesaggistica non comporta estensione degli effetti anche al reato di tipo edilizio, vds. ord. Corte cost. n. 144/2007.   Infatti, la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 144 del 27 aprile 2007 ha confermato la legittimità dell’art. 181, comma 1° quinquies, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio), comma aggiunto dall’art. 1, comma 36°, lettera c), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale).    In precedenza, vds. ord. Corte cost. n. 46/2001 (che ha escluso l’estensione degli effetti della sanatoria edilizia ai reati ambientali) e Cass. pen., sez. III, n. 10557/1995 e n. 9749/1994.

[17]  Sul reato di cui all’art 181 del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modifiche ed integrazioni e, più in generale, sui reati in tema di abusivismo in aree tutelate con vincoli paesaggistico-ambientali, vds. M. Santoloci e V. Stefutti, Beni ambientali, in Il Codice dell’ambiente, Ed. La Tribuna, Piacenza, 2007; L. Antelmi, Decreto Legislativo 42/2004: cosa cambia dopo l’entrata in vigore del nuovo codice dell’ambiente in merito alla tutela penale e amministrativa del paesaggio, in www.filodiritto.com, 2006; S. Civitarese Matteucci, Paesaggio e beni ambientali, in Codice dell’ambiente, a cura di S. Nespor e A.L. De Cesaris, Giuffrè, Milano, 2003; G. Azzena, Sanatoria paesaggistica e sanzioni, a rigor di logica, in Rivista Giuridica dell’Urbanistica, Milano, 1996.

[18]  Corte App. Cagliari, 6 marzo 1999, n. 181 (ord).   Sulle tematiche generali inerenti alla demolizione degli abusi edilizi cfr. A. Albamonte, La demolizione delle opere edilizie abusive tra sindaco e giudice penale. L’art. 7 della L. 28 gennaio 1985, n. 47, in Riv. pen., 1993, p. 5; M. Santoloci, Spetta al P.M. la competenza per demolire le opere abusive dopo la sentenza di condanna, in Riv. pen., 1996, p. 1088; S. Deliperi, La Corte di cassazione “equivoca” in tema di esecuzione delle ordinanze di demolizione ?, in Riv. Giur. Amb., Giuffrè, Milano, 2003, p. 350; S. Deliperi, In ordine all’esecuzione degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale degli abusi edilizi in conseguenza delle sentenze penali passate in giudicato, in Riv. Giur. Amb., Giuffrè, Milano, 1999, p. 919.   Per un interessante caso di ordinanza conclusiva di incidente di esecuzione nel senso rappresentato dal provvedimento in esame e conseguente a sentenza in seguito ad applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444 e ss. c.p.p.) comprendente anche ordine di demolizione degli abusi edilizi e ripristino dello stato dei luoghi vds. Pret. Cagliari, 21 maggio 1999 (imp. Loi).    Trattasi della conclusione della vicenda processuale relativa alla lottizzazione abusiva in località Baccu Mandara, in Comune di Maracalagonis (CA), oggetto della sentenza Pret. Cagliari, Sez. Sinnai, 18 giugno 1996, n. 146: le operazioni di demolizione e di ripristino ambientale si sono svolte nel marzo 2002.     Per ulteriori casi relativi a sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, sempre secondo l’orientamento ormai costante di cui all’ordinanza in argomento, vds. Cass. pen., Sez. III, 18 febbraio 1998, n. 64 (imp. Corrado); Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 1997, n. 2896 (imp. Pandini); Cass. pen., Sez. VI, 2 luglio 1994, n. 7506 (imp. Graci); Cass. pen., Sez. III, 11 ottobre 1991, n. 10272 (imp. Rizzi).

[19]  Cass. pen., sez. III, 13 dicembre 2006, n. 45187.

[20]  Come esplicitamente disposto dall’art. 31, comma 4°, del D.P.R. n. 380/2001 e successive modifiche ed integrazioni: “l’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire nel termine di novanta giorni, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari, che deve essere eseguita gratuitamente”.

[21]  Corte App. Cagliari, 6 marzo 1999, n. 181 (ord).   Vds. anche Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15; Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489 (ord.); Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.   Sulla competenza del pubblico ministero all’esecuzione coattiva degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale conseguenti a sentenza penale passata in giudicato cfr. per tutti Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15, successivamente Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489 (ord.); Cass. pen., sez. III, 15 marzo 2000, n. 65; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 28 luglio 1999, n. 1885;  Cass. pen., sez. III, 6 maggio 1999, n. 1149; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.     In precedenza a favore dell’orientamento in argomento cfr. per tutti Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 1993, n. 21.   Contra Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 1994 (Acquafredda).

[22]   Secondo quanto previsto dall’art. 181 delle disposizioni di attuazione del nuovo codice di procedura penale, previa eventuale costituzione di garanzia reale in seguito a sequestro conservativo ai sensi dell’art. 316 c.p.p., in quanto trattasi di spese processuali.  Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 19 giugno – 24 luglio 1996, n. 15 (imp. Monterisi).   Secondo Cass. pen., sez. III, 2 ottobre 1996 – 10 gennaio 1997 (imp. Salerno) il pubblico ministero che, in fase esecutiva, procede alla demolizione del fabbricato abusivo non deve neppure accertare se la pubblica amministrazione abbia assunto proprie determinazioni in merito.   Secondo Cass. pen., sez. III, 30 luglio 1992, n. 8533 è sufficiente che il giudice, nell’irrogare la sanzione, verifichi l’assenza di prova dell’avvenuto abbattimento.      Qualora l’immobile destinato alla demolizione sia sottoposto a sequestro preventivo, il pubblico ministero deve chiederne al giudice competente il dissequestro per provvedere senza dubbio alla demolizione, a prescindere dalla titolarità del bene (la finalità del sequestro è preminentemente ripristinatoria): se il sequestro è, invece, probatorio, vi è temporanea incompatibilità con l’ordine di demolizione dichiarata dal giudice dell’esecuzione; il pubblico ministero dovrà vigilare sul venir meno delle cause poste a base del sequestro (Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870, imp. Petrino).

[23]  Giurisprudenza prevalente, vds. per tutti: Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.

[24]  Corte App. Cagliari, 6 marzo 1999, n. 181 (ord).  Giurisprudenza dominante, vds. anche Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15; Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489 (ord.); Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.  

[25]  Giurisprudenza costante conseguente alla nota Cass. pen., Sez. Un., 19 giugno – 24 luglio 1996, n. 15 (imp. Monterisi).     Vds. per tutti: Cass. pen., Sez. III, 5 novembre 1998, n. 2882 (imp. Frati); Cass. pen., Sez. III, 20 giugno 1997, n. 2475 (imp. Coppola); Cass. pen., Sez. III, 20 giugno 1997, n. 2474 (imp. Morello); Cass. pen., Sez. III, 20 giugno 1997, n. 2472 (imp. Filieri); Cass. pen., Sez. III, 28 novembre 1996, n. 4065 (imp. Ilardi).       In precedenza vds. per tutti: Cass. pen., Sez. III, 15 marzo 1996 (imp. Larosa); Cass. pen., Sez. III, 5 febbraio 1996 (imp. Vanacore); Cass. pen., Sez. III, 14 aprile 1995, n. 674 (imp. Francavilla).  

[26]  Vds. per tutti: Cass. pen., sez. III, 9 maggio 2002, n. 7478; Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 3682; Cass. pen., sez. III, 5 novembre 1998, n. 2882; Cass. pen., sez. III, 7 maggio 1994, n. 713; Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1994, n. 712.

[27]  Vds. per tutti: Cass. pen., Sez. III, 28 novembre 1996, n. 4065 (imp. Ilardi), Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 1995 (imp. Braida).

[28]  Cfr. per tutti: Cass. pen., sez. III, 9 maggio 2002, n. 7478; Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 3682; Cass. pen., sez. III, 5 novembre 1998, n. 2882; Cass. pen., sez. III, 7 maggio 1994, n. 713; Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1994, n. 712.

[29]  Cass. pen., sez. III, 29 maggio 2007, n. 21195.  Inoltre, vds. Cass. pen., sez. III, 19 settembre 1996, ric. Urtis; Cass. pen., sez. III, 6 marzo 1996, n. 2408; Cass. pen., sez. III, 12 dicembre 1997, n. 1497.

[30]  Cass. pen., sez. III, 29 maggio 2007, n. 21195.

[31]   La giurisprudenza maggioritaria (fra le altre Cass. pen., sez. III, 14 dicembre 2000, n. 12989; Cass. pen., sez. III, 23 dicembre 1997, 3900; Cass. pen., sez. III, 18 novembre 1990, n. 16483) e la stessa dottrina convengono che la confisca non presuppone necessariamente la condanna dei proprietari dell'area lottizzata, ammettendosi che la sanzione venga disposta anche in caso di estinzione del reato per prescrizione e nella ipotesi di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.     E non solo, perché il ricorso allo strumento radicale della confisca è stato dalla giurisprudenza ritenuta non evitabile neppure a tutela dei terzi acquirenti in buona fede, come dimostrano plurime decisioni della Corte di cassazione penale, tra cui la sentenza 4 ottobre 2004, n. 38727, e la sentenza 15 marzo 2005, n. 10037, la cui massima recita: “È manifestamente infondata la questione di incostituzionalità dell'art. 44, comma secondo, d. P.R. 6 giugno 2001 n. 380, - che prevede la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere costruite anche nei confronti dei terzi acquirenti in buonafede, sia per violazione dell'art. 27 Cost., atteso che trattasi di principio che si riferisce alla responsabilità penale, mentre la confisca prevista dal citato d.P.R. prescinde da una sentenza di' condanna ed ha natura amministrativa, - sia per violazione dell'art. 42 Cost. in quanto stante la funzione sociale della proprietà nel contrasto tra l'interesse collettivo alla corretta pianificazione territoriale e quello del privato e'ragionevole la prevalenza del primo”.

 

[32]  Cass. pen., sez. III, 15 febbraio 2007, n. 6396, sul caso della R.T.A. “Terrata 2”, in Comune di Golfo Aranci (OT).

[33]   Negli ultimi  anni in Sardegna sono state portate a compimento diverse operazioni di demolizione coattiva da parte delle competenti Procure della Repubblica con l’ausilio del personale e dei mezzi del Genio militare, spesso dopo estenuanti incidenti di esecuzione (artt. 665-666 cod. proc. pen.).  I casi principali sono i seguenti: 

Portu Malu – Baia delle Ginestre: sulla costa di Teulada (CA). Con sentenza Cassazione penale, sez. III, 12 gennaio 1996, n. 50, confermativa della sentenza Corte d’Appello di Cagliari, 7 luglio 1995, n. 117, a sua volta di parziale riforma della sentenza del Pretore di Cagliari n. 1380 del 7 giugno 1993 sono stati ordinati la demolizione e ripristino ambientale degli abusi realizzati dalla Baia delle Ginestre s.p.a. (un parcheggio coperto, un fabbricato-alloggio del personale , un campo da tennis, ampliamento del ristorante, un vascone, una cabina Enel, locali-servizio, la reception del complesso alberghiero, un comparto alberghiero da 100 camere, una piscina con locale-filtri, una piattaforma-pizzeria, tre baracche di legno, un locale, una pista di accesso alla spiaggia, tre pontili galleggianti, una barriera frangiflutti per complessivi mc. 15.600).  La Corte d’Appello di Cagliari (ordinanza 2 marzo 1999) ha confermato in sede di incidente di esecuzione l’ordine di demolizione e ripristino ambientale dando opportune disposizioni al pubblico ministero. La Corte di Cassazione (sentenza sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827) ha respinto definitivamente i ricorsi dei condannati e delle banche creditrici (nonché del Comune). Ma non finisce qui: nuovi incidenti di esecuzione per fermare le ruspe militari della Procura Generale della Repubblica vengono promossi dai condannati, dall’esecutore fallimentare e dal Comune, ma vengono respinti dalla Corte d’Appello (ordinanze 23 aprile 2001, 25 maggio 2001, 18 giugno 2001).     Nel giugno 2001 le ruspe del Genio Militare demoliscono le opere abusive, ma si attende ancora il ripristino ambientale. Incredibilmente la Corte di Cassazione accoglie poi un ricorso del Comune (ordinanza sez. III, 6 agosto 2002, n. 817) ed ora pende un ulteriore incidente di esecuzione presso la Corte d’Appello di Cagliari.  Inoltre, il 26 settembre 2006, il gruppo Antonioli acquista ad un’asta fallimentare l’intero complesso (4,110 milioni di euro), compresa la parte divenuta già proprietà del Comune di Teulada per effetto della confisca penale (art. 19 della legge n. 47/1985) in seguito al passaggio in giudicato della sentenza definitiva di condanna per lottizzazione abusiva.
Baccu Mandara:      sulla costa di Maracalagonis (CA).    Con sentenza del Pretore di Cagliari – Sez. Sìnnai n. 146 del 18 giugno 1996 di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 cod. proc. pen.) sono stati ordinati demolizione e ripristino ambientale delle opere abusive realizzate dalla TRE P s.r.l. (una serie di 29 unità immobiliari ed ulteriori basamenti in cemento per complessivi mc. 12.900). Il Pretore di Cagliari (ordinanze 21 maggio 1999, 4 marzo 2002, 7 marzo 2002, 12 marzo 2002, 14 marzo 2002) prima e la Corte di Cassazione (sentenze 8 febbraio 2000 e n. 16377 del 18 novembre 2002) poi hanno confermato in sede di incidente di esecuzione l’ordine di demolizione e ripristino ambientale dando opportune disposizioni al pubblico ministero, che, sempre con le ruspe militari, ha provveduto alla demolizione e, in collaborazione con il Comune, ad avviare il ripristino ambientale nel marzo 2002. .
Piscinnì:     sulla costa di Domus de Maria (CA).     Con sentenza Cassazione penale, Sez. III, 6 giugno 1997, n. 1435, confermativa della sentenza Corte d’Appello di Cagliari, 8 ottobre 1996, n. 634, a sua volta di parziale riforma della sentenza Pretore di Cagliari, 4 dicembre 1995, n. 2183, e con sentenza Pretore di Cagliari, 7 aprile 1995, n. 854 di applicazione della pena su richiesta delle parti è stata ordinata la demolizione e ripristino ambientale delle opere abusivamente realizzate (due moli frangiflutto, opere di viabilità entro la fascia dei mt. 300 dalla battigia, scavi, sbancamenti e viabilità nell’arenile). Le numerose denunce ecologiste, l’intervento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (che con D.M. 4 ottobre 1993 annullò l’autorizzazione paesaggistica regionale “in sanatoria” delle opere abusive e con D.M. 16 settembre 1994 fermò definitivamente la ripresa abusiva dei lavori), della Soprintendenza per i Beni Ambientali di Cagliari (che con nota n. 7164 del 17 giugno 1994 bloccò sul nascere la ripresa abusiva dei lavori), dell’Assessorato regionale EE.LL., Finanze, Urbanistica (che con decreto n. 180/SV del 28 febbraio 1994 annullò in sede sostitutiva, dopo le inadempienze comunali, le concessioni edilizie illegittime) e della Magistratura hanno fermato la lottizzazione Malfatano s.p.a. di 80.000 mc. complessivi (prima del gruppo Monzino, poi della Lega delle Cooperative e Mutue). Nel periodo novembre-dicembre ’99 è stata svolta, a cura dei condannati, la demolizione delle opere abusive: oggi la spiaggia, grazie all’azione marina, sta riacquistando il suo aspetto, ma incombe tuttora un nuovo progetto edilizio della medesima Lega delle Cooperative non ancora scongiurato definitivamente.
Piscina Rey:    sulla costa di Muravera (CA).     Con sentenza Cassazione penale, sez. III, 25 settembre 1997, è stata parzialmente riformata (disponendo nuovo giudizio per il sindaco di Muravera, poi assolto con sentenza Corte d’Appello di Cagliari – Sez. Sassari) la sentenza Corte d’Appello di Cagliari n. 699 del 5 novembre 1996, a sua volta di parziale riforma della sentenza del Pretore di Cagliari – Sez. Sìnnai n. 91 del 25 maggio 1995: è stata stabilita la demolizione ed il ripristino ambientale degli abusi realizzati dalla Saitur s.r.l. (un intero complesso immobiliare di villette a schiera per migliaia di mc. di volumetrie) in area ad uso civico. La lottizzazione è stata posta sotto sequestro (sent. Cass. pen., sez. III, 7 aprile 1994). Con ordinanza Corte d’Appello Cagliari del 7 settembre 1998 e sentenza Cassazione penale, sez. III, 9 aprile 1999, n. 769 è stata respinta la richiesta di revisione degli ordini di demolizione e ripristino ambientale: ordini confermati in sede esecutiva con ordinanza Corte d’Appello di Cagliari n. 104 del 19 ottobre 1999.    Un nuovo incidente di esecuzione ha visto la Corte d’Appello confermare le statuizioni precedenti (ordinanza 28 febbraio2001).          Dopo ben dieci pronunce giurisdizionali (forse un record !), il condannato ha provveduto in proprio alla demolizione (novembre 2001) ed ha avviato il ripristino ambientale.  

[34]   Vds. in particolare Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15; Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489 (ord.); Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.                  Sulla competenza del pubblico ministero all’esecuzione coattiva degli ordini di demolizione e di ripristino ambientale conseguenti a sentenza penale passata in giudicato cfr. per tutti Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15, successivamente Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489 (ord.); Cass. pen., sez. III, 15 marzo 2000, n. 65; Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 28 luglio 1999, n. 1885;  Cass. pen., sez. III, 6 maggio 1999, n. 1149; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.     In precedenza a favore dell’orientamento in argomento cfr. per tutti Cass. pen., sez. III, 28 gennaio 1993, n. 21.   Contra Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 1994 (Acquafredda).

[35]    Anche in questo caso si tratta di giurisprudenza costante: vds. in particolare Cass. pen., sez. III, 9 maggio 2002, n. 7478; Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 3682; Cass. pen., sez. III, 5 novembre 1998, n. 2882; Cass. pen., sez. III, 7 maggio 1994, n. 713; Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1994, n. 712.

[36]    Giurisprudenza dominante: vds. in particolare Cass. pen., sez. III, 9 maggio 2002, n. 7478; Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 3682; Cass. pen., sez. III, 5 novembre 1998, n. 2882; Cass. pen., sez. III, 7 maggio 1994, n. 713; Cass. pen., sez. III, 3 maggio 1994, n. 712. Contra Cass. pen., sez. III, 6 agosto 2002, n. 817 (ord.): in proposito vds. S. Deliperi, La Corte di Cassazione “equivoca” in tema di esecuzione delle ordinanze di demolizione ?, in Riv. Giur. Amb., Giuffrè, Milano, 2003, p. 350.

[37]  Ad esempio, la fascia di conservazione integrale dei mt. 300 dalla battigia marina prevista dall’art. 1, comma 1°, lettera a, della legge regionale Sardegna n. 23/1993 oppure la fascia in edificabile dei mt. 150 dal mare disposta dall’art. 15 della legge regionale Sicilia n. 78/1976 e successive modifiche ed integrazioni.

[38]  Ad esempio le aree di conservazione integrale delle caratteristiche naturalistiche, territoriali, storico-culturali di cui al piano paesaggistico regionale (P.P.R.) – primo ambito omogeneo (coste) della Sardegna, approvato con deliberazione Giunta regionale n. 36/7 del 5 settembre 2006 e promulgato con decreto del Presidente della Regione 7 settembre 2006, n. 82.

[39]  Ad esempio le zone di rispetto e di salvaguardia “H” dei piani urbanistici comunali (P.U.C.) di cui alla legge regionale Sardegna n. 45/1989 e successive modifiche ed integrazioni, particolarmente con la legge regionale Sardegna n. 8/2004.

[40]  Ancora giurisprudenza costante: vds. per tutti Cass. pen., S. U., 19 giugno - 24 luglio 1996, n. 15; Cass. pen., sez. III, 29 settembre 2001, n. 34428; Cass. pen., sez. III, 29 dicembre 2000, n. 3489 (ord.); Cass. pen., sez. III, 30 novembre 1999, n. 3827; Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.                 

[41]   Anch’essa giurisprudenza costante: cfr. per tutti Cass. pen., sez. III, 7 agosto 1996, n. 2870.          Anche nel caso in cui intervenga successivamente in favore del soggetto privato autore dell’abuso edilizio specifica concessione in sanatoria il giudice penale deve poter sindacare nel concreto, come in qualsiasi altro caso di provvedimento amministrativo interferente con la propria giurisdizione, la sussistenza dei necessari requisiti di legittimità dell'atto e, in caso di illegittimità, deve poterlo disapplicare ex art. 5 della legge n. 2248/1865, allegato E (giurisprudenza costante: cfr. per tutti Cass. pen., sez. III, 8 febbraio 2000, ric. De Donato; Cass. pen., sez. III, 19 novembre 1999, n. 3682).     A maggior ragione il giudice penale dell’esecuzione deve poter verificare la rilevanza o meno del parere rilasciato ai fini della tutela paesaggistica in relazione all’eventuale condonabilità delle opere abusive e, nel caso si sia “formata una preclusione processuale a seguito delle precedenti decisioni del giudice dell’esecuzione”, deve poter concludere per l’inammissibilità dell’istanza in quanto mera reiterazione di analoghe istanza respinte (Cass. pen., sez. III, 18 novembre 2002, n. 16377).

[42]  Corte dei conti, Sez. giurisdiz. Puglia, 17 luglio 2001, n. 578. Per la quantificazione del danno deve farsi ricorso a valutazione prudenziale equitativa.  In proposito vds. S. Deliperi, Abusivismo edilizio e danno erariale, in Riv. Giur. Amb., Giuffrè, Milano, 2002, p. 567.   Vds. anche Corte conti, SS. RR., 14 settembre 1986, n. 513/A; Corte conti, sez. giurisdiz. Sardegna, 15 ottobre 1996, n. 676.  Ed anche: Cass. civ., S. U., 8 maggio 2001, n. 179 e Corte conti, sez. giurisdiz. Lombardia, 18 ottobre 2000, n. 1316, quest’ultima con nota a commento di A. L. De Cesaris, in Riv. Giur. Amb., 2001, p. 638.