Cass. Sez. III n. 29466 del 20 luglio 2012 (Ud.22 feb.2012
Pres.Petti Est.Grillo Ric.Batteta
Urbanistica.Realizzazione di opere di spianamento e riporto di terreno

Integra il reato previsto dall'art. 44 d.P.R 6 giugno 2001, n. 380 la realizzazione, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, di opere di spianamento e riporto di terreno.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 22/02/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 493
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 1518/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BATTETA Paolo, nato a Quartu Sant'Elena il 24.11.1945;
avverso sentenza della Corte di Appello di Cagliari del 3 ottobre 2011;
udita nella udienza pubblica del 22 febbraio 2012 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Renato GRILLO;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. CESQUI Elisabetta che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
BATTETA Paolo, imputato del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. b) "per avere realizzato senza concessione opere di trasformazione edilizia de territorio, consistenti in spianamento e riporto di terreno con stoccaggio di attrezzature per l'attività edilizia", veniva dichiarato colpevole del detto reato dal Tribunale di Cagliari che con sentenza del 13 luglio 2010, lo condannava alla pena di giorni venti di arresto ed Euro 10.400,00 di ammenda. La Corte di Appello di Cagliari, a seguito di impugnazione proposta dell'imputato, confermava la sentenza suddetta in data 16 novembre 2011.
Avverso essa propone ricorso l'imputato a mezzo del suo difensore fiduciario, articolandolo in tre distinti motivi:
a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6 e art. 44, lett. b) sostenendo che nel caso in esame si trattava di attività edilizia libera o, a tutto voler concedere, assoggettata a mera autorizzazione del D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 22;
b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 10, comma 2 e art. 44 del D.P.R. citato in relazione alle disposizioni contenute nella L.R. Sardegna n. 23 del 1985 in materia urbanistica che assoggettano a semplice autorizzazione i mutamenti di destinazione d'uso non comportanti diversa destinazione rispetto a quella originaria;
c) inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale penale (artt. 521 e 522 cod. proc. pen.) per avere la Corte giudicato il BATTETA per un fatto diverso da quello contestato laddove ha ritenuto integrata la condotta anche in relazione alla messa in opera di ghiaia non indicata nel capo di imputazione.
Il ricorso è infondato.
La Corte di appello dopo aver passato in rassegna tutti gli elementi di prova raccolti nel corso del giudizio di primo grado (prove dichiarative e documentali; rilievi fotografici) ha correttamente concluso per la sussistenza del reato in esame in relazione all'intervenuto spianamento del terreno nonostante l'assenza di qualsivoglia autorizzazione ritenendo che in ipotesi quale quella sottoposta al suo esame fosse necessario il permesso di costruire e non la semplice autorizzazione, peraltro mai richiesta. Nell'affermare ciò la Corte territoriale ha anche sottolineato che, rispetto al rifacimento di una recinzione con paletti e rete metallica lungo il confine del terreno (recinzione a sua volta difforme rispetto all'autorizzazione concessa e poi adeguata a seguito di controlli successivi), lo spianamento del terreno adiacente non riguardava solo una porzione di superficie ristretta e funzionale all'esecuzione dei lavori di rifacimento della recinzione ma copriva la quasi totalità del terreno ("giungendo ad interessare gran parte del fondo ed anche le aree non confinanti con la recinzione" - così, testualmente pag. 4 della sentenza impugnata). Proprio per tale ragione la Corte aveva ritenuta corretta la decisione del primo giudice individuando nella esistenza di lavori di scavo e spianamento ed ancora nella collocazione di un container di grandi dimensioni oltre a materiale edile una serie di opere incompatibili sia con la costruzione della recinzione in quanto di gran lunga sottodimensionata, sia con la destinazione agricola del terreno (nonostante l'attivazione di una porzione a piccolo orto). In tema di trasformazione dei suoli la giurisprudenza di questa Corte è stata sempre costante nel ritenere che, versandosi nella materia urbanistica, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidenti sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (Cass. Sez. 3 2.12.2008 n. 8064, P.G. in proc. Dominelli ed altri, Rv. 242741; nello stesso senso, cass. Sez. 3 22.12.1999 n, 3107, Alliate ed altro, Rv. 216521).
Siffatto orientamento muove dalla rilevava profonda differenza tra la materia urbanista considerata nel suo significato globale e la materia urbanistica circoscritta ad interventi edilizi, dalla quale deriva la reale finalità della materia urbanistica mirante ad una generale disciplina dell'uso del territorio con specifico riguardo a tutù gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali di salvaguardia e di trasformazione del suolo, nonché alla protezione dell'ambiente. E proprio per tali ragioni qualsiasi trasformazione rilevante del terreno comporta la necessità di una preventiva concessione urbanistica e non di una semplice autorizzazione.
L'infondatezza del motivo refluisce sulla inaccoglibilità anche del secondo motivo legato stavolta ad una errata applicazione della legge urbanistica rispetto alla legge regionale a statuto speciale che secondo quanto sostenuto dal ricorrente escluderebbe che l'attività posta in essere dall'imputato fosse assoggettata.
Si tratta di una censura già prospettata in grado di appello e ritenuta infondata dalla Corte territoriale posto che in materia di legislazione edilizia nelle regioni a statuto speciale, pur spettando alla Regione una competenza legislativa esclusiva in materia, la relativa legislazione deve non solo rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale, ma deve anche essere interpretata in modo da non collidere con i medesimi (Cass. Sez. 3 25.10.2007 n. 2017, Giangrasso, Rv. 238555).
Ne deriva che l'interpretazione della norma regionale deve essere conforme alla normativa statale per evitare il rischio di sconfinamenti nella riserva in materia penale della legge statale valida per l'intero territorio nazionale.
Il richiamo alla norma regionale citata in ricorso (art. 11, comma 1 riguardante i mutamenti di destinazione d'uso soggetti a semplice autorizzazione) è inconferente in quanto nel caso di specie non si trattava di mutamento di destinazione d'uso del terreno da agricolo ad edilizio, ma di trasformazione consistente dell'assetto territoriale di un fondo tale da comportare una trasformazione urbanistica permanente, così come rettamente intesa dalla Corte. La riprova dell'infondatezza della tesi difensiva si rinviene, del resto, dalla lettura dell'art 3 della stessa Legge Regionale Sardegna che assoggetta a regime concessolo "l'esecuzione di opere comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia dei territorio comunale":
disposizione questa, che integra, conciliandovisi, il testo normativo statale.
Anche il motivo afferente alla pretesa violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è infondato, in quanto la decisione della Corte non è stata di certo determinata dalla immissione di ghiaia nel terreno, quanto, piuttosto, da uno spianamento massiccio del fondo nella sua quasi totalità con riporto di terreno e stoccaggio di attrezzature per attività edilizia: e l'utilizzazione della ghiaia per il compattamente del terreno certamente può essere incluso nel concetto di "riporto di terreno e stoccaggio di attrezzature" enunciato nel capo di imputazione. Per completezza si rileva - a proposito della dedotta violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. - che in tanto può parlarsi di non corrispondenza tra la contestazione e la sentenza in quanto nel fatto rispettivamente indicato in epigrafe e ritenuto in sentenza non sia possibile individuare un nucleo comune, con la conseguenza che i fatti si pongono in posizione di eterogeneità (tra le tante, Cass. Sez. 3 28.6.2007 n. 35225; Cass. Sez. 6 21.1.2005 n. 12175; idem Sez. 4 27.1.2005 n. 27355) Perché, quindi, venga integrata l'ipotesi processuale in parola, è necessaria la radicale trasformazione del fatto nei suoi elementi essenziali, da valutare non già attraverso un raffronto estrinseco e di tipo formale tra l'imputazione ed il fatto ritenuto, ma in termini molto più ampi (in tal senso, ex plurimis, Cass. Sez. 4 4.2.2004 n. 16900; Cass. Sez. 3 5.5.1998 n. 7142). L'interpretazione affidata al Giudice in ordine alla violazione, o meno, di tale principio deve essere condotta nel rigoroso rispetto del principio costituzionale del giusto processo, afferendo alla materia del diritto di difesa e del corretto esercizio dell'azione penale da parte del P.M. (in tal senso, Cass. Sez. 3 2.2.2005 n. 13151).
Peraltro è principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo il quale solo quella radicale trasformazione del fatto ritenuto in sentenza rispetto alla contestazione originaria comportante un vero e proprio rapporto di incompatibilità e/o eterogeneità rispetto all'enunciazione dell'imputazione, può determinare nullità, da escludere, invece, ogni qualvolta l'imputazione venga precisata o integrata con le risultanze degli interrogatori e degli altri atti acquisiti, cui abbia partecipato la difesa dell'imputato e che abbiano determinato la possibilità, per questi, di difendersi anche dalle circostanze nuove (in tal senso, Cass. Sez. 6 25.2.2004 n. 21094; Cass. Sez. 6 13.2.1998 n. 3460;
Cass. Sez. 6 30.4.2003 n. 31981).
Deve, in altri termini, tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione.
Ne consegue che, laddove di fronte ad un fatto diverso da quello contestato, l'imputato sia stato posto in condizioni di difendersi concretamente dalle accuse ed abbia esercitato tali diritti senza alcuna limitazione, nessuna violazione della regola processuale suddetta può dirsi avvenuta (tra le tante, Cass. Sez. 3 27.2.2008 n. 15655).
La Corte territoriale si è adeguata a tali principi tanto è vero che l'imputato è stato sempre posto nelle condizioni di esercitare i propri diritti difensivi in modo pieno cercando di dimostrare attraverso documenti e prove testimoniali la correttezza del proprio operato. Conclusivamente il ricorso va rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012