Cass. Sez. III n. 48952 del 1 dicembre 2015 (Ud 10 nov 2015)
Pres. Franco Est. Mengoni Ric. Cordaro
Rifiuti. Attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi

L'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante, non integra il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti, ma solo a condizione, da un lato, che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l'esercizio di attività commerciale in forma ambulante e, dall'altro, che si tratti di rifiuti che formavano oggetto del suo commercio; presupposto necessario, pertanto, è che i rifiuti in oggetto non siano pericolosi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/6/2014, la Corte di appello di Palermo confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Agrigento il 13/3/2012, con la quale C.V. era stato condannato alla pena di sei mesi di reclusione ed 8 mila Euro di multa in ordine al delitto di cui alla L. 30 dicembre 2008, n. 210, art. 6; allo stesso era contestato di aver trasportato rifiuti speciali e pericolosi senza essere iscritto all'albo nazionale dei gestori ambientali istituito presso la Camera di commercio.

2. Propone ricorso per cassazione il C., a mezzo del proprio difensore, deducendo due motivi:

- inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 6 contestato in relazione alla L. 24 febbraio 1992, n. 225, art. 5, comma 1, ed al D.P.C.M. 9 luglio 2010; vizio motivazionale. La Corte di appello, al pari del primo Giudice, avrebbe ritenuto applicabile l'art. 6 contestato pur difettandone i presupposti; ed invero, questo riguarderebbe i territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, mentre il D.P.C.M. 9 luglio 2010, applicato al caso in esame con riferimento alla Regione Sicilia, riguarderebbe la diversa ipotesi di dichiarazione dello stato di emergenza in materia di gestione dei rifiuti. L'ambito di applicazione delle due ipotesi, pertanto, sarebbe diverso;

- inosservanza e/o erronea applicazione dell'art. 6 citato in relazione al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 266, comma 5 e art. 212.

Con riferimento ai rifiuti trasportati dal ricorrente, non vi sarebbe alcuna prova certa in ordine alla natura pericolosa degli stessi, o di parte di questi; al riguardo, la motivazione della Corte sarebbe illogica e carente, facendo riferimento a risultanze istruttorie dalle quali non può desumersi, con certezza, la reale natura dei rifiuti. Da ciò deriverebbe - giusta il combinato disposto dell'art. 266, comma 5 e art. 212, cit. - che l'attività del C. ben può esser svolta sulla base dell'autorizzazione al commercio ambulante di rottami ferrosi, in suo possesso, non occorrendo l'iscrizione all'albo nazionale dei gestori ambientali.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

Con riferimento al primo motivo, occorre rilevare che la speciale disciplina sanzionatoria di cui al D.L. 6 novembre 2008, n. 172, art. 6, (convertito, con modificazioni, nella L. 30 dicembre 2008, n. 210), introdotta per i territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti, dichiarato ai sensi della L. 24 febbraio 1992, n. 225, trova applicazione anche nella Regione Sicilia a seguito dell'emanazione del D.P.C.M. 9 luglio 2010; ne consegue - come correttamente affermato dalla Corte di appello - che l'attività di trasporto di rifiuti in assenza di autorizzazioni, iscrizioni e/o comunicazioni, se svolta in questa Regione nel periodo di riferimento, integra il delitto previsto dall'art. 6 cit., e non il reato contravvenzionale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, (Sez. 3, n. 1406 del 15/12/2011, Bevilacqua, Rv. 251647).

Al riguardo, peraltro, non può accedersi alla tesi difensiva in forza della quale il citato decreto presidenziale avrebbe ad oggetto non già lo smaltimento dei rifiuti, ma soltanto la loro gestione.

Ed invero, la sentenza gravata ha ben rilevato che l'espressione "gestione dei rifiuti", ivi contenuta, ha un significato più ampio rispetto a quella di "smaltimento", comprendendo tutte le attività comunque connesse ai rifiuti, tra le quali vi è, per l'appunto, lo "smaltimento" degli stessi (per tutte, Sez. 3, n. 11029 del 5/2/2015, D'Andrea, Rv. 263754). Quel che, peraltro, risulta confermato - nei termini di un'interpretazione autentica che contraddice la tesi del ricorrente - dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9/7/2010 (Immediati interventi per fronteggiare la situazione di emergenza determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani nella regione siciliana), nella premessa della quale si richiama espressamente "il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 luglio 2010, con il quale è stato dichiarato, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza per lo smaltimento dei rifiuti urbani nel territorio della regione siciliana e nominato il Presidente della regione siciliana Commissario delegato del Presidente del Consiglio dei Ministri".

4. Anche il secondo motivo di doglianza risulta manifestamente infondato; ed invero, la contestazione mossa dal ricorrente in ordine alla natura non pericolosa di taluni dei rifiuti trasportati è formulata in termini generici, apodittici e tali da implicare una valutazione fattuale non consentita in questa sede.

Al riguardo, occorre ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Coerenza strutturale che si riscontra nella sentenza impugnata. La Corte di appello, infatti, con motivazione congrua e priva di alcuna illogicità, ha ribadito il giudizio del Tribunale - cui si lega in un continuum motivazionale, attesa la c.d. doppia conforme - in forza del quale è risultata provata la natura speciale e speciale/pericolosa di taluni dei rifiuti trasportati dal C., analiticamente riportati nella prima sentenza; rifiuti che rientrano nell'allegato D del D.Lgs. n. 152 del 2006, come accertato dal responsabile A.r.p.a. Sicilia di Agrigento.

Orbene, a fronte di questa motivata conclusione, confortata anche dalle fotografie in atti, il ricorrente si limita ad affermazioni del tutto generiche, assumendo che "non era possibile ritenere che alcuni dei rifiuti ferrosi in argomento siano qualificabili come pericolosi in difetto di un apposito accertamento, che nel caso che ci occupa non è stato svolto"; ancora, che "non si può ritenete che sia un accertamento idoneo allo scopo quello svolto da operatori di P.G. che non hanno alcuna competenza in materia", come quello svolto dal responsabile A.r.p.a. che "non ha neppure visionato i rifiuti in questione ma si è limitato a dare un ausilio telefonico agli operatori di P.G.".

Una censura, quindi, con la quale si sollecita a questa Corte un'inammissibile, nuova valutatone delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito.

5. Da quanto precede, infine, deriva la palese infondatezza del ricorso anche nella parte relativa alla necessità dell'iscrizione nell'albo nazionale dei gestori ambientali; questione che - come correttamente afferma la Corte, in uno con il primo Giudice - non ha ragion d'essere a fronte di rifiuti pericolosi, di certo non commercializzabili in forza dell'autorizzazione di cui il C. è in possesso. Ed invero, ed anche a prescindere dalla richiamata applicabilità al caso di specie della sola L. n. 210 del 2008, questa Corte ha più volte affermato - come ricorda lo stesso ricorrente - che l'attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante, non integra il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti, ma solo a condizione, da un lato, che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l'esercizio di attività commerciale in forma ambulante e, dall'altro, che si tratti di rifiuti che formavano oggetto del suo commercio (Sez. 3, n. 20249 del 7/4/2009, Pizzimenti, Rv. 243627; conf. Sez. 3, n. 39774 del 2/5/2013, Calvaruso e altro, Rv. 257590); presupposto necessario, pertanto, è che i rifiuti in oggetto non siano pericolosi, a differenza di quanto accertato nel caso di specie con motivazione immune da censure anche sotto questo profilo.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 novembre 2015.