Cass. Sez. III n. 6049 del 9 febbraio 2017 (Cc 27 set 2016)
Presidente: Carcano  Estensore: Andronio Imputato: Molinari
Urbanistica.Ordine di demolizione ed estensione all'intero manufatto, comprensivo di aggiunte, modifiche e superfetazioni successive.

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale, in funzione di giudice dell'esecuzione, avesse respinto la richiesta, formulata dal proprietario del piano primo di un edificio, di revoca o modifica dell'ordine di demolizione del piano terreno, disposto con sentenza nei confronti del responsabile dell'abuso).

RITENUTO IN FATTO

1. - Con ordinanza del 29 maggio 2015, la Corte d'appello di Napoli, in funzione di giudice dell'esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca o sostituzione dell'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva disposto con sentenza del 24 febbraio 2002.

2. - Avverso l'ordinanza l'interessata ha proposto - tramite il difensore - ricorso per cassazione, lamentando la mancanza di motivazione in relazione alle doglianze proposte. La difesa premette che l'esecuzione ha per oggetto la demolizione di un manufatto nei confronti di tale S.C., che costituisce il piano terra dell'edificio nel quale la ricorrente è proprietaria del primo piano. Lamenta dunque che, con l'abbattimento del piano terra, crollerebbe anche il primo piano e che tale primo piano è, in quanto tale, oggetto di un procedimento penale che è giunto in fase di conclusione delle indagini preliminari e non di un ordine di demolizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. - Il ricorso è inammissibile.

Contrariamente a quanto asserito dalla ricorrente, il primo piano dell'edificio costituisce una superfetazione successiva del pianoterra abusivo, essendo stato, evidentemente costruito dopo lo stesso piano terra; nè la difesa della ricorrente nega in alcun modo tale logica conclusione. Correttamente, dunque, il giudice dell'esecuzione ha richiamato, nel caso di specie, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari, nonchè le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (Sez. 3, Sentenza n. 21797 del 27/04/2011 Cc., dep. 31/05/2011, Rv. 250389; in senso analogo: Sez. 3, Ordinanza n. 38947 del 09/07/2013 Cc., dep. 20/09/2013, Rv. 256431). In altri termini, a seguito dell'irrevocabilità della sentenza di condanna, è consentita l'estensione dell'ordine di demolizione ad altri manufatti, a condizione che gli stessi siano stati realizzati successivamente all'opera abusiva originaria e, per la loro accessorietà a quest'ultima, rendano ineseguibile l'ordine medesimo (Sez. 3, Sentenza n. 2872 del 11/12/2008 Cc., dep. 22/01/2009, Rv. 242163).

4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2016.