Cass. Sez. III n. 55295 del 30 dicembre 2016 (Ud 22 set 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Riccardi Imputato: Fontana
Urbanistica.Ordine di demolizione pronunciato dal giudice penale

In tema di violazioni urbanistiche, l'ordine di demolizione previsto dall'art. 31, ultimo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001 costituisce atto dovuto, espressivo di un potere autonomo e non meramente suppletivo del giudice penale. Esso pertanto, ferma restando l'esigenza di coordinamento in fase esecutiva, non si pone in rapporto alternativo con l'ordine omologo impartito dalla Pubblica Amministrazione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18/03/2015 la Corte di Appello di Palermo confermava la condanna emessa dal Tribunale di Termini Imerese nei confronti di F.M.C. per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e artt. 71, 72 e 95 per aver realizzato opere edili in assenza del permesso di costruire, o comunque in violazione essenziale del permesso in sanatoria.

2. Avverso tale provvedimento il difensore dell'imputata, Avv. Raffaele Delisi, ha proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi.

2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione: lamenta che l'affermazione di responsabilità non sia fondata su elementi di prova positivi della partecipazione dell'imputata alla realizzazione dei reati; la mera qualità di proprietaria, in assenza di altri indici (presenza sul luogo, presentazione di istanze di condono, di sanatoria, ecc.), non è sufficiente a dimostrare l'esecuzione del reato; nel caso in esame, l'imputata era stabilmente residente in altro comune, non era presente nel cantiere, e non aveva presentato istanze di sanatoria; non rileverebbe, al riguardo, la concessione in sanatoria n. 50 del 2011 rilasciata in suo favore, perchè non accettata dalla F., e non avente ad oggetto le opere abusive contestate.

2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione: l'ordine di demolizione è stato disposto nonostante il Comune di Misilmeri avesse già emesso ingiunzione a demolire; inoltre, in ragione dello stato di incensuratezza, la sospensione condizionale doveva essere concessa senza alcuna subordinazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Al riguardo, è pacifico il principio secondo cui, in tema di reati edilizi, l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo "in loco" e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella, Rv. 261522; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253065: "In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario o comproprietario, non formalmente committente delle opere abusive, può dedursi da indizi quali la piena disponibilità della superficie edificata, l'interesse alla trasformazione del territorio, i rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto, la presenza e la vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, il deposito di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria, la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione nonchè tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione anche morale alla realizzazione del fabbricato"), non potendo la responsabilità del proprietario non committente essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene nè essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40 c.p., comma 2, (Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013, Menditto, Rv. 257625). La responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013, Spataro, Rv. 257676); ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44 è necessario escludere l'interesse o il suo consenso alla commissione dell'abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione (Sez. 3, n. 33540 del 19/06/2012, Grilli, Rv. 253169).

Tanto premesso, la sentenza impugnata risulta aver fatto buon governo dei principi appena richiamati, in quanto l'individuazione dell'imputata quale responsabile dell'abuso è stata desunta non soltanto dalla titolarità del fondo, ma altresì dalla circostanza che, in seguito al decesso del padre, era la sola persona ad avere interesse all'ampliamento del fabbricato, e in tale veste aveva ottenuto la concessione in sanatoria, manifestando il proprio interesse al manufatto producendo al Comune di Misilmeri l'atto di donazione dell'immobile; nè, del resto, aveva dedotto o dimostrato che l'intervento edilizio era stato realizzato a sua insaputa e senza la sua volontà.

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

In ordine alla prima doglianza, è pacifico che, in tema di violazioni urbanistiche, l'ordine di demolizione previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, u.c., costituisce atto dovuto, espressivo di un potere autonomo e non meramente suppletivo del giudice penale. Esso pertanto, ferma restando l'esigenza di coordinamento in fase esecutiva, non si pone in rapporto alternativo con l'ordine omologo impartito dalla Pubblica Amministrazione (Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013 - dep. 28/01/2014, Russo, Rv. 258518).

In ordine alla seconda doglianza, relativa alla subordinazione della sospensione condizionale alla demolizione, oltre ad essere del tutto generica, va rammentato che, in tema di reati edilizi, tanto in caso di condanna che di applicazione di pena concordata, deve essere sempre autonomamente disposta, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9, la demolizione dell'intervento eseguito in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o con variazioni essenziali, anche quando il giudice, ai sensi dell'art. 165 cod. pen., concede all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinandolo alla demolizione delle opere abusive entro un termine decorrente dal passaggio in giudicato dalla sentenza, trattandosi di statuizioni diverse sotto il profilo della funzione e del contenuto. (Sez. 3, n. 42697 del 07/07/2015, Spanò, Rv. 265192; ex multis, Sez. 3, n. 32351 del 01/07/2015, Giglia, Rv. 264252).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00: infatti, l'art. 616 c.p.p. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.