Cass. Sez. III n. 5430 del 6 febbraio 2017 (Ud 22 set 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Liberati Imputato: Tortora e altro
Urbanistica.Violazione sigilli e ripresa dell'attività edilizia prima della rimozione dei sigilli da parte degli organi dell'esecuzione

Il delitto di violazione di sigilli, di cui all'art. 349 cod. pen., si configura anche quando la ripresa dell'attività edilizia sia avvenuta successivamente alla pronuncia di dissequestro del bene, da parte dell'autorità giudiziaria ma prima della rimozione dei sigilli da parte degli organi dell'esecuzione, atteso che sino a tale momento permane il vincolo di indisponibilità materiale del bene e l'efficacia dei sigilli che lo rendono manifesto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 aprile 2015 la Corte d'appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del 28 ottobre 2013 del Tribunale di Torre Annunziata, con cui T.R. e D.C.A. erano stati condannati alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 300 di multa, in relazione al reato di cui all'art. 349 c.p. (per avere, in concorso tra loro, T. quale custode, violato i sigilli apposti ad un manufatto realizzato in assenza di autorizzazione paesaggistica), ed ha ridotto la pena inflitta ad un anno di reclusione per entrambi gli imputati, confermando nel resto la sentenza impugnata.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi congiunti entrambi gli imputati, affidati a due motivi.

2.1. Con il primo motivo hanno denunciato violazione di legge penale in relazione alla affermazione della loro responsabilità, sulla base del rilievo che al momento della commissione del reato era già cessato il vincolo apposto sull'immobile abusivo, in quanto con sentenza del 11 marzo 2009 il Tribunale di Torre Annunziata aveva disposto il dissequestro delle opere, da eseguire al passaggio in giudicato della sentenza, avvenuto il 16 marzo 2010, mentre la violazione dell'art. 349 c.p. era stata contestata come commessa in data successiva al (OMISSIS) e prossima al (OMISSIS).

2.2. Con il secondo motivo hanno denunciato vizio di motivazione, per l'omesso esame da parte della Corte territoriale delle censure che avevano formulato con l'atto d'appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo motivo, mediante il quale i ricorrenti hanno denunciato violazione dell'art. 349 c.p., è infondato, essendo incentrato sul rilievo che al momento in cui sarebbe stato commesso il reato di violazione di sigilli loro contestato, e cioè in epoca successiva al (OMISSIS) e prossima al (OMISSIS), con sentenza del 11 marzo 2009 il Tribunale di Torre Annunziata aveva disposto il dissequestro delle opere cui erano stati apposti i sigilli e la restituzione agli aventi diritto, da eseguirsi al passaggio in giudicato della sentenza, divenuta irrevocabile il 16 marzo 2010, con il conseguente venir meno dei segni esteriori della apposizione del vincolo di cui era loro stata contestata la violazione.

Va dunque preliminarmente evidenziato che mediante tale doglianza i ricorrenti tendono, sia pure attraverso la deduzione di un vizio di violazione di legge, a censurare l'accertamento della vicenda compiuta dai giudici di merito, quanto al permanere dei sigilli ed alla loro violazione da parte degli imputati, che non è consentita nel giudizio di legittimità, in quanto alla Corte di cassazione è preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, dep. 23/06/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, dep. 24/03/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, dep. 30/09/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, dep. 25/03/2014, P.G., non massimata; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, dep. 22/02/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).

Sempre in via preliminare va altresì rilevato che mediante l'atto di appello gli imputati non avevano negato l'esistenza del vincolo e la sua materiale violazione, in quanto con il gravame avevano solamente domandato la riduzione della pena inflitta al T. (di cui non era stata contestata la responsabilità) e l'assoluzione della D.C. per non aver commesso il fatto, negandone il concorso nell'attività illecita posta in essere dal coniuge e coimputato T., in ordine alla quale non avevano sollevato rilievi, con la conseguenza che resta ora preclusa, nel giudizio di legittimità, la deduzione della insussistenza del fatto, per effetto del dissequestro del bene (cfr. Sez. 1, n. 4031 del 25/02/1991, Pace, Rv. 187950), non essendo stata sottoposta tale questione al giudice dell'impugnazione, come pure sarebbe stato onere dei ricorrenti, stante l'effetto parzialmente devolutivo dell'appello.

Dalla sentenza di primo grado, alla quale sul punto la sentenza impugnata ha fatto rinvio, sottolineando che la ricostruzione dei fatti nella stessa contenuta non era stata criticata dagli appellanti, che avevano posto esclusivamente la questione del concorso della D.C., si rileva, in ogni caso, che la prosecuzione dei lavori di completamento del fabbricato di proprietà degli imputati era stata riscontrata il (OMISSIS), in occasione dell'accesso eseguito da personale della Polizia Municipale di Torre del Greco per notificare il provvedimento di dissequestro, giacchè tale immobile era stato oggetto di un primo provvedimento di sequestro in data (OMISSIS), in occasione della cui esecuzione il T. era stato nominato custode: ne consegue che il vincolo e, soprattutto, i suoi segni esteriori, permanevano ancora alla data del (OMISSIS), non essendo a tale data ancora stato eseguito il dissequestro del bene, ed occorrendo tale atto per far cessare tutti gli effetti derivanti dalla apposizione del vincolo, non essendo comunque consentito ai titolari di diritti sul bene sequestrato, sul quale siano stati apposti i segni esteriori della apposizione del vincolo, intervenirvi in assenza del dissequestro, della restituzione e, soprattutto, della rimozione dei segni esteriori del vincolo da parte degli organi dell'esecuzione.

Benchè, infatti, il provvedimento di dissequestro determini il venir meno del vincolo sui beni sui quali era stato imposto, esso richiede pur sempre di essere eseguito, mediante la rimozione dei segni esteriori del vincolo e la reimmissione dell'avente diritto alla restituzione nella disponibilità del bene, cui tale soggetto non può provvedere direttamente, dovendo essere eseguito il provvedimento di dissequestro e restituzione dagli organi preposti alla sua esecuzione, che hanno anche il compito di individuare l'avente diritto cui materialmente restituire i beni: ne consegue che fino a quando non sia eseguito il dissequestro, con la restituzione del bene all'avente diritto previa rimozione dei sigilli, permane il vincolo di indisponibilità materiale del bene e con esso anche l'efficacia dei sigilli che lo rendono manifesto.

Risulta, di conseguenza, infondata la doglianza degli appellanti, in quanto alla data dell'accesso della Polizia Municipale perduravano gli effetti materiali del sequestro e l'efficacia dei sigilli, con la conseguente illiceità della loro rimozione da parte degli imputati.

3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, per l'inadeguatezza dell'esame da parte della Corte territoriale dei motivi d'appello, è generico, in quanto consiste nella indeterminata affermazione della insufficienza degli argomenti posti a fondamento della affermazione di responsabilità dei ricorrenti, priva di confronto critico con la motivazione della sentenza di secondo grado e della specifica indicazione dei motivi d'appello non esaminati, ed anche manifestamente infondato.

La Corte d'appello, dopo aver premesso che la ricostruzione dei fatti non era stata oggetto di doglianza, come pure l'affermazione di responsabilità del T., essendo rivolto l'atto di impugnazione solamente nei confronti della condanna della D.C., ha evidenziato i plurimi e concordanti elementi a sostegno della affermazione della sua responsabilità, tra cui il cointeresse, quale comproprietaria, al completamento dell'opera, e la coabitazione con il T. nell'edificio interessato dai lavori abusivi: con tali argomenti, idonei a sorreggere l'affermazione della partecipazione della D.C. all'illecito, i ricorrenti hanno omesso qualsiasi confronto, tantomeno critico, con la conseguente inammissibilità della censura, a cagione della mancanza della necessaria specificità.

5. In conclusione i ricorsi in esame devono essere respinti, stante l'infondatezza del primo motivo e l'inammissibilità del secondo, ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.