Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20766 del 03/05/2006 Ud.
(dep. 16/06/2006 ) Rv. 234481
Presidente: Vitalone C. Estensore: Franco A.
Relatore:
Franco A. Imputato: Ferrante. P.M. Geraci V. (Parz. Diff.)
(Annulla in parte senza rinvio, App. Roma, 25 ottobre 2005)
DEMANIO - Demanio marittimo - Innovazioni non autorizzate - Natura di
reato istantaneo - Fondamento.
In tema di demanio, il reato di realizzazione abusiva di innovazioni
nell'area demaniale, di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., ha natura
di reato istantaneo, in quanto la consumazione cessa con la ultimazione
delle opere che costituiscono l'innovazione, a meno che non si
determini un ampliamento abusivo dell'area già occupata, nel
qual caso si configura il reato di occupazione arbitraria a natura
permanente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 03/05/2006
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 779
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 10689/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ferrante Patrizia, nata a Sperlonga il 18.2.1964;
avverso la sentenza emessa il 25 ottobre 2005 dalla Corte d'appello di
Roma;
udita nella pubblica udienza del 3 maggio 2006 la relazione fatta dal
Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Geraci Vincenzo, che ha concluso per l'annullamento con
rinvio della sentenza impugnata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ferrante Patrizia venne rinviata a giudizio per rispondere dei reati di
cui agli artt. 54 e 1161 c.n. e D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art.
163, perché, quale titolare di una concessione demaniale
marittima, si era resa responsabile di:
a) occupazione abusiva di pubblico demanio marittimo della superficie
di mq. 900 circa con l'installazione abusiva di 26 ombrelloni e 76
lettini;
b) difformità tra le superfici e le strutture autorizzate
rispetto alla concessione originaria: chiosco bar di mq. 24,6 invece di
mq. 15; veranda di mq. 15 invece di 12,50; area di forma irregolare
delimitata in parte da staccionata alta m. 1,20 e da incannucciata alta
m. 2, sulla quale insistono opere non autorizzate (attrezzature
balneari, pedana posa tavoli e camminamenti realizzati con mattoni di
cemento e tavole di legno a secco).
Il giudice del Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina,
con sentenza del 22 settembre 2004 dichiarò l'imputata
colpevole
dei reati ascrittile e la condannò alla pena ritenuta di
giustizia con l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei
luoghi. La Corte d'appello di Roma, con sentenza del 25 ottobre 2005,
ridusse la pena e confermò nel resto la sentenza di primo
grado.
L'imputata propone ricorso per Cassazione deducendo:
a) violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p.. Eccepisce la
nullità
di entrambe le sentenze di merito almeno nella parte relativa alla
condanna per il reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art.
163, e l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, in
assenza di specifica indicazione nel capo di imputazione del fatto
storico oggetto della contestazione. In esso, infatti, non si dice se
la realizzazione delle opere sia eventualmente avvenuta in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico e se sia eventualmente avvenuta in
assenza della autorizzazione regionale. La motivazione della sentenza
impugnata sul punto è erronea perché nel capo di
imputazione non sono specificate le opere realizzate in
difformità rispetto a quanto originariamente autorizzato
sotto
il profilo ambientale ma si parla solo di opere in
difformità
rispetto alla originaria concessione demaniale.
b) violazione del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163. Lamenta che
comunque non è stato acquisito alcun elemento di prova
sull'esistenza di questo reato. In particolare da nessun atto acquisito
risulta che le opere in questione insistono in zona sottoposta a
vincolo paesaggistico e che siano state realizzate senza la relativa
autorizzazione regionale. La motivazione della sentenza impugnata sul
punto è erronea perché è l'accusa che
doveva
fornire la prova della pretesa difformità, prova che non
può presumersi addirittura in mancanza della allegazione
della
autorizzazione regionale rispetto alla quale le opere sarebbero
difformi. c) violazione dell'art. 54 c.n. Lamenta che in atti manca
qualsiasi prova che i 26 ombrelloni ed i 76 lettini in questione
fossero stati installati da lei. Nè tale installazione
può presumersi perché è notorio che i
titolari di
stabilimenti balneari operano anche affittando ombrelloni e lettini che
poi i clienti posizionano nell'arenile pubblico.
d) violazione dell'art. 54 c.n. e vizio di motivazione. Ricorda che
l'imputata era titolare di concessione demaniale marittima su una
superficie di 1800 mq. di cui ben 1762 di arenile per la posa di
ombrelloni e sdraio. Ora nella informativa di reato gli operanti non
hanno mai affermato che gli ombrelloni ed i lettini erano stati
posizionati su ulteriori 900 mq. ne' tale circostanza è
stata
desunta in base a concreti fatti e reali elementi di prova. e)
violazione dell'art. 649 c.p.p.. Osserva che i beni per cui si procede
sono gli stessi per i quali è già intervenuta
sentenza
del Tribunale di Terracina del 3.6.2002. Nè il mantenimento
di
tali beni dopo la scadenza della stagione balneare fa venir meno la
violazione del principio del ne bis in idem, trattandosi delle stesse
opere. f) violazione dell'art. 54 c.n. Osserva che le eventuali
modificazioni contestate sono all'interno di una più vasta
area
di demanio regolarmente assentita in concessione, sicché non
si
tratta del reato permanente di abusiva occupazione di demanio marittimo
bensì del reato istantaneo di innovazioni non autorizzate
sul
demanio marittimo. Ora emerge ictu oculi dagli atti che la
realizzazione delle opere risale in una epoca anteriore alla data
dell'accertamento sicché il reato è estinto. La
Corte
d'appello ha omesso di motivare su questa eccezione.
g) violazione del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163. Osserva che
l'apposizione di ombrelloni e lettini sull'arenile così come
il
posizionamento a secco di un camminamento in legno e cemento o di una
cannicciata e lo stesso ampliamento di edifici preesistenti
costituiscono opere inidonee a porre in pericolo anche solo
astrattamente i valori paesaggistici e comunque il bene giuridico
tutelato, e sono pertanto irrilevanti penalmente. Sul punto la sentenza
impugnata omette completamente di motivare. In ogni caso qualsiasi
reato ambientale sarebbe prescritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato.
Quanto al reato di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, va
rilevato che effettivamente la condanna è intervenuta senza
che
all'imputata fosse mai stato contestato il fatto storico oggetto della
imputazione. Nel capo di imputazione, infatti, si fa solo un generico
riferimento al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, ma non si dice
se la realizzazione delle opere fosse eventualmente avvenuta in zona
sottoposta a vincolo paesaggistico o ambientale o fosse avvenuta in
assenza della autorizzazione o del nulla osta regionale o in
difformità di eventuale autorizzazione ottenuta. In ogni
modo,
non deve procedersi all'annullamento della sentenza impugnata
perché dalle sentenze di merito emerge con evidenza che
nella
specie non sussiste la prova che sia stato integrato il reato in
questione. La sentenza impugnata ha ritenuto che il reato fosse
configurabile perché le opere realizzate erano in
difformità da quanto originariamente autorizzato (dovrebbe
presumersi da una originaria autorizzazione ambientale o
paesaggistica). Sennonché sia dalla sentenza di primo grado
sia
dalla sentenza di appello non risulta in alcun modo ne' che le opere in
questione insistono in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico o
ambientale, ne' che le opere stesse sono state realizzate in assenza
della relativa autorizzazione regionale, ne' che le opere sono state
eseguite (come apoditticamente ritenuto dalla Corte d'appello) in
difformità da una autorizzazione ambientale o paesaggistica
in
precedenza ottenuta. La Corte d'appello, infatti, in violazione del
principio secondo cui spetta all'accusa l'onere di provare la
sussistenza del reato, si è limitata ad affermare che era
ravvisabile il reato perché l'interessata non aveva provato
di
essere munita di autorizzazione e perché la contestazione si
sarebbe riferita non già alla totale mancanza di
autorizzazione
ma solo alla difformità delle opere rispetto alla
autorizzazione. Affermazioni che, però, non tengono conto,
da un
lato, del fatto che il Pubblico Ministero non aveva mai contestato
all'imputata la mancanza della autorizzazione ambientale o
paesaggistica regionale, sicché non si vede come potrebbe
nella
specie ipotizzarsi un onere della imputata di provare di esserne
munita, e, da un altro lato, del fatto che non è spiegato
come
sia stato possibile ritenere che le opere erano state realizzate non in
mancanza bensì in difformità dalla autorizzazione
regionale senza che tale autorizzazione sia stata mai acquisita al
dibattimento e senza che sul suo eventuale contenuto abbia mai parlato
l'informativa di reato o sia stato mai chiamato a rispondere un qualche
teste. In conclusione, nella totale assenza di qualsiasi elemento
probatorio sulla pretesa violazione ambientale e nella assoluta
mancanza di qualsiasi motivazione in proposito, la sentenza impugnata
deve essere annullata senza rinvio in ordine al reato di cui al D.Lgs.
29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, perché il fatto non
sussiste.
Quanto al reato di cui agli artt. 54 e 1161 c.n. per avere l'imputata
realizzato opere e strutture in difformità da quelle
previste
dalla originaria concessione demaniale - e precisamente un chiosco bar
di mq. 24,6 invece di mq. 15; una veranda di mq. 15 invece di 12,50;
un'area di forma irregolare delimitata in parte da staccionata alta m.
1,20 e da incannucciata alta m. 2, sulla quale insistono opere non
autorizzate (attrezzature balneari, pedana posa tavoli e camminamenti
realizzati con mattoni di cemento e tavole di legno a secco) - va
rilevato che è pacifico che tali opere e strutture difformi
dalla concessione demaniale sono state comunque realizzate all'interno
della zona di demanio che l'imputata occupava legittimamente in base ad
una regolare concessione demaniale e che quindi non hanno comportato
una abusiva occupazione di una area demaniale ne' un arbitrario
allargamento dell'area legittimamente occupata. Il comportamento
dell'imputata, pertanto, ha integrato non il reato permanente di
abusiva occupazione di demanio marittimo bensì quello - pure
previsto dagli artt. 54 e 1161 c.n. ma avente natura istantanea - di
innovazioni non autorizzate sul demanio marittimo. La giurisprudenza di
questa Corte, infatti, ha più volte messo in evidenza (Sez.
3^,
25 marzo 1997, Russo Volpe, m. 208.390; Sez. 3^, 30 gennaio 2003,
Rosetti, m. 224.356; Sez. 3^, 16 febbraio 2006, P.G. Catanzaro c.
Giuliano + 1) che qualora le innovazioni non autorizzate non determino
una abusiva occupazione dell'area demaniale ovvero quando vengano
eseguite in una area demaniale che il soggetto già occupa
legalmente, essendo munito della relativa concessione, e le stesse non
determinino alcun abusivo ampliamento dell'area occupata, si configura
il solo reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell'area
demaniale, il quale, al contrario del reato di arbitraria occupazione,
non ha natura permanente, in quanto la consumazione cessa con
l'ultimazione delle opere che costituiscono l'innovazione non
autorizzata. Il permanere delle innovazioni, infatti, è un
semplice effetto naturale della condotta dell'agente e non
già,
come l'occupazione, un evento che si protrae nel tempo con la
permanente violazione della legge, sicché il termine
prescrizionale comincia a decorrere dall'ultimazione dell'innovazione
abusiva. Si è peraltro anche specificato che
l'autorità
competente ha in ogni tempo, ed anche dopo l'eventuale scadenza del
termine di prescrizione, il potere, ai sensi dell'art. 54 c.n., di
ingiungere la remissione in pristino delle cose entro un termine a tal
fine stabilito (e, in caso di mancata esecuzione dell'ordine, di
provvedere di ufficio a spese dell'interessato) e che la violazione di
tale ordine è sanzionata dall'art. 1164 c.n., che ora
prevede un
illecito amministrativo. Ciò posto, nella specie
è
pacifico che le opere difformi da quelle previste dalla originaria
concessione demaniale furono realizzate ed ultimate in epoca
sicuramente anteriore alla data dell'accertamento avvenuto il 12 luglio
2001. Ne consegue che - anche considerando il periodo di sospensione
della prescrizione di mesi tre e giorni 21, dal 4.7.2005 al 25.10.2005,
per rinvio della udienza a richiesta della difesa - alla data odierna
il decorso della prescrizione è sicuramente maturato,
dovendo la
data di consumazione del reato fissarsi appunto all'epoca di
ultimazione delle opere in questione. Non può invero
ritenersi
che anche per il reato di realizzazione abusiva di innovazioni
nell'area demaniale il termine di prescrizione inizi a decorrere dal 12
luglio 2001 a causa della continuazione con il contestato reato di
abusiva occupazione di suolo demaniale mediante l'installazione degli
ombrelloni e dei lettini, e ciò per il motivo che, come
subito
si vedrà, quest'ultimo reato di occupazione abusiva
è in
realtà inesistente.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio in
ordine al reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell'area
demaniale perché lo stesso è estinto per
prescrizione.
Quanto infine al contestato reato di abusiva occupazione di area
demaniale marittima mediante la installazione di 26 ombrelloni e di 76
lettini, va osservato che la sentenza impugnata (così come
del
resto quella di primo grado) è totalmente priva di
motivazione
anche sulla sussistenza degli elementi costitutivi di tale reato, che
è stata in realtà affermata con una motivazione
meramente
apparente. Innanzitutto, infatti, con i motivi di appello l'imputata
aveva esplicitamente eccepito la mancanza di prova sul fatto che gli
ombrelloni ed i lettini in questione fossero stati posizionati su una
area "ulteriore" rispetto a quella di 1.762 mq. di arenile oggetto
della concessione di cui la Ferrante era titolare e ciò sia
perché gli appartenenti alla guardia costiera non avevano
mai
affermato che si trattava appunto di una area esterna a quella oggetto
della concessione sia perché i verbalizzanti non avevano
specificato in quale modo fosse stato misurato ed individuato lo spazio
occupato dai detti oggetti. La Corte d'appello ha risposto a questa
eccezione limitandosi ad argomentare che nella informativa di reato si
faceva riferimento ad una "occupazione abusiva" di mq. 900 di demanio
marittimo mediante la installazione di ombrelloni e lettini, di modo
che se nell'informativa l'occupazione era stata chiamata "abusiva"
ciò costituiva prova che essa era stata sicuramente
constatata
al di fuori dell'area di mq. 1800 in concessione in favore della
Ferrante. Il Procuratore generale, nella sua requisitoria, ha
evidenziato come questa motivazione, più che manifestamente
illogica, sia in realtà meramente apparente e quindi
inesistente, avendo la Corte d'appello apoditticamente considerato
l'informativa di reato in atti (o meglio una mera qualificazione dei
verbalizzanti) come la prova delle accuse anziché l'atto che
contiene le accuse da provare. La Corte d'appello avrebbe invece dovuto
accertare ed indicare quali erano i fatti concreti ed i reali elementi
di prova in base ai quali poteva ritenersi accertato che gli ombrelloni
ed i lettini erano stati posti in un'area diversa da quella concessa
all'imputata, quali erano eventualmente le misurazioni metriche
effettuate e chi le aveva compiute, quali erano state le
modalità di misurazione e così via, in modo da
consentire
al giudice il dovuto controllo e la necessaria valutazione di elementi
probatori concreti.
La Corte condivide pienamente le osservazioni del Procuratore generale
e rileva che effettivamente, al di là della astratta e
generica
affermazione (che peraltro costituisce l'accusa e non la prova
dell'accusa), contenuta nella informativa di reato e riportata dalla
sentenza impugnata, dalle sentenze di merito non emerge alcun concreto
elemento di prova sulla individuazione della zona in cui erano stati
collocati gli ombrelloni ed i lettini. Non può invero
certamente
ritenersi che, solo perché i verbalizzanti parlano
nell'informativa di abusiva occupazione, debba darsi per scontato che
questa si sia effettivamente verificata e sia effettivamente abusiva,
senza la benché minima indicazione delle ragioni in base
alle
quali il giudice - e non soltanto i verbalizzanti - la abbia ritenuta
tale. In secondo luogo, il Collegio rileva che la sentenza impugnata
contiene una motivazione meramente apparente anche sulle altre
eccezioni formulate con l'atto di appello e relative alla mancanza di
prova della riconducibilità all'imputata del posizionamento
degli ombrelloni e dei lettini in questione e comunque del fatto che
essi non fossero stati collocati sul posto in maniera assolutamente
precaria ed eccezionale.
La Corte d'appello, infatti, in ordine alla prima eccezione, si
è limitata ad affermare che l'ipotesi difensiva non appariva
credibile ma non ha il alcun modo spiegato per quali ragioni dovesse
invece ritenersi provato, o anche solo ragionevolmente presumersi, che
fosse stata proprio la Ferrante ad installare fuori dell'area di sua
pertinenza gli ombrelloni ed i lettini in questione. In ordine alla
seconda eccezione, poi, la Corte d'appello ha solo rilevato che la
rapida amovibilità dei lettini e degli ombrelloni non
escludeva
la eventuale occupazione abusiva del demanio, perché doveva
presumersi che gli stessi fossero collocati sulla spiaggia tutte le
mattine e che quindi la loro presenza tutti i giorni integrava una
occupazione dell'area demaniale. È invece evidente che
ciò che rilevava e doveva essere accertata non era la
possibilità o meno di rapida amovibilità degli
oggetti ma
appunto una loro collocazione non meramente occasionale ed eccezionale
sulla spiaggia, mentre su tale circostanza - che pure la sentenza
impugnata ha ritenuto necessaria per la configurabilità del
reato - la motivazione è totalmente apodittica
perché si
limita ad affermare che ombrelloni e lettini erano collocati sulla
spiaggia "tutte le mattine" senza indicare il benché minimo
elemento dal quale abbia potuto trarre questo convincimento.
In conclusione, anche per quanto concerne il contestato reato di
abusiva occupazione di demanio marittimo mediante ombrelloni e lettini
- in mancanza di qualsiasi elemento di prova sia sulla circostanza che
effettivamente gli stessi erano stati collocati in una zona esterna a
quella oggetto della concessione di cui è titolare
l'imputata,
sia sulla effettiva riconducibilità degli stessi
all'imputata -
la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio
perché
il fatto non sussiste.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio nel capo relativo al reato
di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 163, nonché
nel
capo relativo al reato di cui agli artt. 54 e 1161 c.n., relativamente
agli ombrelloni ed ai lettini perché i fatti non sussistono
e
per la residua imputazione perché il reato è
estinto per
prescrizione. Così deciso in Roma, nella sede della Corte
Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2006
Urbanistica. Innovazioni su area demaniale
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