TAR Piemonte, Sez. II, n. 435, del 11 aprile 2013
Rifiuti.Bonifiche, chiamata in responsabilità del proprietario
Il limite procedimentale che incontra la chiamata in responsabilità del proprietario, consiste nell’illustrazione rigorosa, da parte dell’amministrazione procedente, del percorso logico-argomentativo in base al quale sia risultato possibile, coinvolgere in prima persona la proprietà. Dovranno cioè essere indicate, nella motivazione, le modalità di ricerca utilizzate per rintracciare gli effettivi responsabili dell’inquinamento, nonché l’esito infruttuoso di tali ricerche, ovvero l’impossibilità di giungere all’accertamento dell’identità dei responsabili, ovvero il mancato intervento del responsabile, ovvero ancora l’impossibilità di intervenire da parte della stessa amministrazione così come prescritto dall’art. 250 d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero ancora l’assenza di alcun intervento da parte dei soggetti potenzialmente interessati. Solo in presenza di tali indicazioni sarà quindi possibile procedere con la chiamata in causa del proprietario del sito, quale misura ultima di salvaguardia ambientale e sanitaria. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00435/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00781/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 781 del 2006, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
SOCIETA' ITALIANA PER IL GAS S.P.A. - ora ITALGAS S.P.A., rappresentata e difesa dagli avv. Paolo Dell'Anno, Marco Reggiani, Antonella Capria, con domicilio eletto presso Luca Mastromatteo in Torino, corso Vittorio Emanuele II, 83;
contro
MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;
MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO- DIREZIONE QUALITÀ DELLA VITA;
MINISTERO DELLA SALUTE;
MINISTERO DELLE ATTIVITÀ PRODUTTIVE;
REGIONE PIEMONTE;
COMUNE DI TORINO;
per l'annullamento
- del verbale della conferenza di servizi decisoria del 23 marzo 2006, relativamente alle decisioni assunte sul "punto 2a all’ordine del giorno sull’AREA ITALGAS: Interventi di messa in sicurezza di emergenza. Progetto di una barriera fisica", ed in particolare delle seguenti prescrizioni:
1) "... estendere gli intereventi di messa in sicurezza d'emergenza al fine di tener conto dello stato di contaminazione rilevato in falda in corrispondenza dell’area ad est (area agricola)" (lett. a), congiuntamente alla prescrizione (pag. 8, punto 4) impartita dalla Direzione Qualità della Vita nella conferenza di servizi istruttoria del 6 dicembre 2005 "di attivare misure di messa in sicurezza d’emergenza per la falda" in ragione della contaminazione dell'area posizionata ad est (area agricola);
2) "... richiedere entro 15 gg. ... un report di aggiornamento sulle attività di messa in sicurezza d'emergenza in atto in cui sia anche specificato ... i risultati della caratterizzazione delle terre scavate per la realizzazione della trincea ed il destino della stessa", congiuntamente alla prescrizione (pag. 9, punto 6), impartita dalla Direzione Qualità della Vita nella conferenza di servizi istruttoria del 6 dicembre 2005 di gestire i terreni movimentati dallo scavo come rifiuti;
- del verbale della conferenza di servizi decisoria del 23 marzo 2006, relativamente alle decisioni assunte sul "punto 2b: Risultati della Caratterizzazione ambientale - giugno 2005", ed in particolare nella parte in cui (lett. a), nel prendere atto dei Risultati della caratterizzazione ambientale - giugno 2005, richiama le seguenti prescrizioni dettate dalla Direzione qualità della Vita nella conferenza di servizi istruttoria del 6 dicembre 2005:
"In merito alla messa in sicurezza di emergenza
1. Devono essere adottate misure di messa in sicurezza d’emergenza nel Lago Martini. Il relativo progetto dovrà essere presentato entro 30 gg. dal ricevimento del presente verbale.
In merito alla caratterizzazione
8. Attesa la contaminazione dei sedimenti del lago che il progetto di bonifica dell’area includa anche lo stesso. Deve essere altresì verificata la presenza di scarichi liquidi e solidi o altre sorgenti attive di contaminazione anche provenienti dalle aree limitrofe",
e di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque consequenziale, ed in particolare del verbale della conferenza di servizi istruttoria del 6 dicembre 2005 (conosciuta dopo l’adozione del provvedimento);
e, con i motivi aggiunti depositati in data 10 ottobre 2006,
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
del provvedimento del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Direzione Generale per la Qualità della Vita, a firma del Direttore Generale, prot. 17379/QdV/DI/VII - VIII del 6 settembre 2006, avente ad oggetto "Procedimento per l’intervento di bonifica d’interesse nazionale relativo al sito Basse di Stura (Torino) - Interventi di messa in sicurezza d’emergenza dell’area Italgas", con il quale "si confermano le richieste in termini di adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza del suolo e delle acque già formulate all’Azienda nel corso delle citate Conferenza di Servizi decisorie del 16.03.05 e del 23.03.06", ritenendo anche che "L’applicazione dell’art. 265, comma 4, del D. Lgs. 152/06 può, a parere dello scrivente, essere invocata dall’Azienda, presentando adeguata relazione tecnica, al fine esclusivo di rimodulare gli obiettivi di bonifica, fase propria e pertinente agli interventi di bonifica successivi a quelli di messa in sicurezza d’emergenza" e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, in particolare del verbale della conferenza di servizi decisoria del 16 marzo 2005 e di quelli già impugnati con il ricorso principale;
e, con i motivi aggiunti depositati in data 13 febbraio 2008,
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
- del decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Direzione Generale per la Qualità della Vita, prot. n. 4144/QdV/DI/B del 16 novembre 2007;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque consequenziale, ed in particolare del verbale della conferenza di servizi istruttoria del 6 dicembre 2006;
- del decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Direzione Generale per la Qualità della Vita, prot. n. 4145/QdV/DI/B del 16 novembre 2007;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque consequenziale, ed in particolare del verbale della conferenza di servizi istruttoria del 26 settembre 2007;
e, con i motivi aggiunti depositati in data 8 giugno 2010,
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
- del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Direzione Generale per la tutela del territorio delle risorse idriche, prot. n .041/TRI/DI/B del 17 marzo 2010;
- delle presupposte determinazioni adottate dalla conferenza dei servizi decisoria dell'11 marzo 2010;
- e di ogni altro atto presupposto, connesso o comunque consequenziale, ed in particolare la bozza del documento preparatorio della conferenza di servizi istruttoria del 20 maggio 2009;
e, con i motivi aggiunti depositati in data 3 febbraio 2012,
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
- del Decreto Prot. n. 1951/TRI/DI/B del 7 novembre 2011 del Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche con cui si approvano e considerano come definitive tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 24 ottobre 2011;
- del Verbale della Conferenza dei Servizi decisoria del 24 ottobre 2011 relativa al sito d'interesse Nazionale di Basse di Stura convocata presso la sede del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in toto e con i relativi allegati e comunque con specifico riferimento al primo punto all'O.d.G.;
- della Nota Prot. n. 33709/TRI/DI/II del 7 novembre 2011 del Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche di trasmissione del decreto e del verbale impugnati;
- di ogni altro atto, presupposto, successivo o comunque connesso con gli atti impugnati, anche se non conosciuto;
e, con i motivi aggiunti depositati in data 22 novembre 2012,
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
- della nota Prot. n. 22241/TRI/DI/VIII del 27 luglio 2012 del Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche;
- di ogni altro atto presupposto, successivo o comunque connesso con gli atti impugnati, anche se non conosciuto.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Società Italiana per il Gas s.p.a., ora Italgas s.p.a., è proprietaria di un’ampia area situata in località Basse di Stura, nel territorio del Comune di Torino, rispetto alla quale, già nel 2001 e su iniziativa della stessa società, è stato avviato un procedimento di bonifica e di ripristino ambientale ai sensi del d.m. n. 471 del 1999. La società, infatti, aveva comunicato al Comune di Torino “che presumibilmente nella fascia di terreno adiacente al Fiume Stura erano state interrate scorie industriali” (così si legge nel ricorso introduttivo del presente gravame) ed aveva quindi, ai sensi dell’art. 9 d.m. n. 471 del 1999, presentato apposito piano di caratterizzazione. La procedura di bonifica è stata ben presto inquadrata (ad opera del d.m. n. 468 del 2001) tra gli interventi di interesse nazionale, ai sensi dell’art. 15 del d.m. n. 471 del 1999, norma che prevede il coinvolgimento del Ministero dell’Ambiente nella complessa fase di istruttoria e di decisione in ordine alle misure da intraprendere.
A seguito della presentazione del piano di caratterizzazione da parte della proprietà, il Ministero dell’Ambiente ha svolto l’apposita istruttoria volta all’approvazione del progetto definitivo delle opere da realizzare ed all’autorizzazione del relativi interventi di messa in sicurezza di emergenza, ai sensi dell’art. 15, commi 2 ss., del d.m. n. 471 del 1999. Una prima versione del progetto di bonifica (concernente, in particolare, la costruzione di una “barriera fisica” di protezione, atta ad evitare la diffusione dell’inquinamento verso il fiume Stura, così come era stato chiesto all’esito della conferenza di servizi decisoria del 16 marzo 2005) veniva integrata dal Ministero, in vista di una successiva conferenza di servizi, mediante la previsione di talune misure aggiuntive poste a carico della proprietà (nota prot. n. 16158 del 5 agosto 2005). Quest’ultima reagiva proponendo un primo ricorso dinnanzi a questo TAR il quale, con sentenza n. 89 del 2006, ha annullato la citata nota ministeriale per violazione dell’art. 15, comma 3, del d.m. n. 471 del 1999: l’imposizione delle ulteriori misure era infatti avvenuta a seguito di un’istruttoria tecnica condotta dallo stesso Ministero anziché degli enti indicati dalla norma (ANPA, ARPA, Regione, Istituto Superiore di Sanità).
All’esito della successiva conferenza di servizi decisoria, tenutasi in data 23 marzo 2006, alla società è stato ordinato di estendere gli interventi di messa in sicurezza di emergenza, sia con riferimento alla realizzazione della “barriera fisica” (prevedendo, in particolare, l’estensione degli interventi verso l’area agricola situata ad est), sia con riferimento al piano di caratterizzazione già inoltrato da Italgas (rispetto al quale si prescriveva di adottare misure anche nel lago Martini, da includere nel piano di bonifica). Il verbale di tale conferenza è stato, quindi, impugnato con il ricorso qui in epigrafe dalla società Italgas (con domanda di annullamento, previa sospensione cautelare) per i seguenti motivi di gravame:
- violazione dell’art. 15, comma 3, del d.m. n. 471 del 1999, per incompetenza del Ministero dell’Ambiente sulla valutazione tecnica degli elaborati progettuali presentati da Italgas: valutazione che, in base alla norma invocata, sarebbe spettata ad ANPA, ARPA, Regione, o Istituto Superiore di Sanità (come peraltro già statuito da questo TAR con la richiamata sentenza n. 89 del 2006);
- violazione dell’art. 15, comma 4, del d.m. n. 471 del 1999: le risultanze della conferenza di servizi avrebbero dovuto essere recepite in un decreto interministeriale o in altro provvedimento ad efficacia esterna;
- violazione dei principi sulla trasparenza e sulla partecipazione all’azione amministrativa: ciò, in quanto il Ministero non ha preventivamente portato a conoscenza della società ricorrente il verbale della conferenza di servizi istruttoria del 6 dicembre 2005;
- violazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, nonché degli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 471 del 1999: si contesta qui l’imposizione delle misure a carico della ricorrente la quale è bensì proprietaria delle aree ma non sarebbe, però, “responsabile dell’inquinamento”, con la conseguenza che essa non potrebbe essere gravata oltre il valore del terreno. La situazione soggettiva del proprietario non responsabile sarebbe, infatti, solo quella dell’“onere reale” ai sensi dell’art. 17, commi 10 e 11, del d.lgs. n. 22 del 1997;
- violazione del principio comunitario “chi inquina paga” di cui all’art. 174, comma 2, del Trattato CE (ora: art. 191, comma 2, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea- TFUE), il quale imporrebbe di mettere a carico le spese della bonifica solo a coloro che si sono resi responsabili dell’inquinamento, ma non anche al proprietario delle aree in quanto tale;
- difetto di istruttoria, manifesta irragionevolezza e violazione del principio di proporzionalità, con riferimento alla prevista estensione della barriera fisica ad est: le prescrizioni contestate avrebbero dovuto essere impartite al proprietario della zona ove è posizionata la sorgente della contaminazione, ossia a monte dell’area di proprietà Italgas, e non a quest’ultima;
- violazione dell’art. 8, comma 1, lett. f-bis, del d.lgs. n. 22 del 1997, con riferimento alla prescrizione secondo cui “i terreni movimentati per lo scavo sono da considerarsi rifiuti e come tali soggetti alla normativa vigente”: al contrario, in base alla richiamata norma, i terreni provenienti dai lavori non potrebbero, nella specie, rientrare nel concetto di “rifiuto”;
- violazione dell’art. 6, comma 1, lett. a, del d.lgs. n. 22 del 1997, ancora con riferimento alla pretesa nozione di “rifiuto”;
- violazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, nonché degli artt. 7, 8 e 9 del d.m. n. 471 del 1999, con riferimento alle misure da realizzare sul lago Martini: la società ricorrente, infatti, è “mera proprietaria”, peraltro solo di una porzione, del suddetto lago e non sarebbe pertanto obbligata all’esecuzione degli interventi ordinati;
- difetto di istruttoria con riferimento alle misure adottate per il lago Martini: dalla conferenza di servizi non emergerebbe la sussistenza, nel caso di specie, dei presupposti giustificativi delle previste misure di messa in sicurezza di emergenza;
- illegittimità costituzionale dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 per violazione degli artt. 76, 77, 3, 41 e 97 Cost.
2. Dopo un’ordinanza istruttoria di questo TAR, n. 354/i/2006 (rimasta, peraltro, inadempiuta), si sono costituiti in giudizio i Ministeri dell’Ambiente, della Salute e dello Sviluppo Economico, in persona dei rispettivi Ministri, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, senza peraltro operare alcun deposito documentale e chiedendo, con memoria di mero stile, il rigetto del gravame.
3. Nelle more del giudizio è sopravvenuto un provvedimento del Ministero dell’Ambiente (n. 17379, del 6 settembre 2006) il quale – nel rispondere ad un’istanza di riesame che, nel frattempo, era stata inoltrata da Italgas alla luce della sopravvenuta normativa di cui al d.lgs. n. 152 del 2006) – ha confermato la richiesta di adottare le misure di messa in sicurezza di emergenza già indicate nelle precedenti conferenze di servizi decisorie del 16 marzo 2005 e del 23 marzo 2006.
Con motivi aggiunti, depositati in data 10 ottobre 2006, la ricorrente ha impugnato anche questo atto di conferma (insieme al verbale della conferenza del 16 marzo 2005, precedentemente non impugnato), chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare ed in parte riproponendo alcune censure di cui all’atto introduttivo (alla luce, comunque, della sopravvenuta disciplina di cui al d.lgs. n. 152 del 2006) ed in parte sollevando le seguenti nuove censure:
- violazione degli artt. 252, comma 4, e 242 del d.lgs. n. 152 del 2006: la conferma delle prescrizioni già impugnate non è avvenuta all’esito dell’apposita conferenza di servizi prevista dalla legge;
- carenza di potere in capo al Ministero (ex artt. 242, comma 3, 245 e 252 del d.lgs. n. 152 del 2006) sugli interventi di messa in sicurezza di emergenza adottati dal soggetto responsabile dell’inquinamento ovvero (come nella specie) dai soggetti interessati alla bonifica ma non responsabili dell’inquinamento;
- falsa applicazione dell’art. 240, comma 1, lett. m, t, del d.lgs. n. 152 del 2006: non sarebbero stati presenti, nella specie, i presupposti di legge necessari per l’adozione di interventi di messa in sicurezza d’emergenza (con riferimento, in particolare, agli “eventi di contaminazione repentini” laddove, nel caso di specie, si tratterebbe di inquinamento pregresso);
- illegittimità della nota ministeriale nella parte in cui esclude l’applicabilità, per gli interventi di messa in sicurezza di emergenza, del regime transitorio introdotto dall’art. 265, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006;
- violazione della normativa, comunitaria ed interna, che impone la previa valutazione di impatto ambientale (VIA) su interventi quali quelli prescritti all’esito delle conferenze di servizi del 16 marzo 2005 e del 23 marzo 2006;
- violazione di legge (allegato n. 3 al Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006), travisamento dei fatti e violazione del principio di proporzionalità: ciò si deduce con riferimento all’allegata insussistenza del requisito dell’“urgenza” proprio degli interventi di messa in sicurezza di emergenza, in considerazione del fatto che la costruzione della prescritta “barriera fisica” comporterebbe “lavori di anni”. Sotto altro profilo, si deduce che l’intervento richiesto integrerebbe, in realtà, una misura di bonifica priva, peraltro, della necessaria “analisi dei costi”;
- difetto di istruttoria in ordine ad un presupposto (la presenza di “oscillazioni di livello del fiume”) allegato dal Ministero: esso non corrisponderebbe a verità, posto che il sito di Basse di Stura sarebbe solo in parte ricompreso nelle “aree esondabili”;
- erroneità di altro elemento allegato dal Ministero, costituito dall’esistenza di un vincolo di destinazione dell’area “a parco urbano e fluviale”: si tratterebbe di vincolo ormai decaduto essendo trascorso il termine quinquennale.
3.1. Con ordinanza n. 527/i/2006, questo TAR ha respinto la domanda cautelare contenuta nei motivi aggiunti, ritenendo non sussistente il requisito del periculum in mora. Con riferimento, invece, al ricorso principale, questo TAR ha reiterato l’ordinanza istruttoria precedentemente adottata: in ottemperanza, il Ministero dell’Ambiente ha depositato alcuni documenti, tra i quali una relazione tecnica di ARPA, datata 16 ottobre 2006 e intitolata “Report di valutazione dell’efficienza ed efficacia delle misure di messa in sicurezza d’emergenza della falda”.
Con breve memoria depositata il 15 novembre 2006 la ricorrente ha preso posizione sul deposito effettuato dall’amministrazione.
Con ordinanza n. 575 del 2006 questo TAR ha respinto la domanda cautelare di cui al ricorso introduttivo. Il Consiglio di Stato, sez. VI, con ordinanza n. 1565 del 2007, ha accolto l’appello avverso l’ordinanza cautelare di questo TAR, per l’effetto accogliendo l’istanza cautelare presentata in primo grado, in particolare evidenziando che “la ricorrente non è stata ritenuta responsabile dell’inquinamento” e che “gli adempimenti posti a suo carico riguardano anche proprietà altrui”.
4. Successivamente, all’esito di una nuova conferenza di servizi decisoria tenutasi in data 6 novembre 2007 (e svoltasi a seguito di precedenti altre conferenze istruttorie in data 6 dicembre 2006 e 26 settembre 2007), è stato nuovamente deliberato di porre a carico della società ricorrente le misure di messa in sicurezza di emergenza della falda inquinata, principalmente al fine di evitare la diffusione della contaminazione già in atto. In particolare – tra le varie misure previste – è stato anche richiesto alla società Italgas di conferire le acque di falda contaminate (già emunte a seguito degli interventi di messa in sicurezza e/o di bonifica realizzati) presso gli impianti di smaltimento autorizzati e di predisporre un progetto di bonifica anche del lago Bechis, le cui acque e sedimenti risultavano parimenti contaminati. Tali prescrizioni sono state recepite nell’apposito decreto ministeriale n. 4145 del 16 novembre 2007, laddove il coevo decreto ministeriale n. 4144 ha recepito – approvandole e considerandole come definitive – le prescrizioni stabilite all’esito delle precedenti Conferenze del 16 marzo 2005 e del 23 marzo 2006.
Tutti questi nuovi atti sono stati impugnati dalla società ricorrente con un secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 13 febbraio 2008. Anche in questo caso la ricorrente – nel riproporre, sostanzialmente, i vari motivi di censura già sviluppati nei precedenti atti – ha contestato in particolare la violazione degli artt. 242 e 245 del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto le misure le sono state accollate perché mera proprietaria delle aree, senza alcuna determinazione in merito all’identificazione dei soggetti responsabili dell’inquinamento, così contravvenendo peraltro al “giudicato cautelare” di cui all’ordinanza n. 1565 del 2007 del Consiglio di Stato.
Con ordinanza n. 228 del 2008 questo TAR ha accolto la domanda cautelare di cui ai secondi motivi aggiunti di ricorso, nuovamente rilevando l’omessa individuazione, negli atti impugnati, dei soggetti responsabili dell’inquinamento ai sensi degli artt. 242 ss. d.lgs. n. 152 del 2006.
5. All’esito di una successiva conferenza di servizi decisoria, tenutasi in data 11 marzo 2010, la società ricorrente è stata chiamata nuovamente in causa per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza sul sito inquinato. Le sono stati imposti, in particolare, adempimenti analoghi a quelli già in precedenza prescritti, con contestuale recepimento delle conclusioni cui era giunta la conferenza di servizi del 6 novembre 2007. Tali nuove conclusioni sono state, poi, recepite ed approvate dal decreto ministeriale n. 041 del 17 marzo 2010.
Anche contro questi ultimi atti la ricorrente ha presentato motivi di impugnazione, mediante un terzo ricorso per motivi aggiunti depositato l’8 giugno 2010, sollevando censure del tutto analoghe a quelle già oggetto di disamina cautelare da parte di questo TAR.
Questa volta l’Avvocatura dello Stato, in data 22 giugno 2010, ha depositato una breve memoria difensiva, corredata da apposita relazione predisposta dal Ministero dell’Ambiente – Direzione Generale per la Qualità della Vita.
Con ordinanza n. 473 del 2010 questo TAR ha accolto la domanda cautelare di cui ai terzi motivi aggiunti di ricorso, richiamando le motivazioni delle precedenti ordinanze cautelari già adottate tra le parti e facendo cenno anche alla sentenza n. 378 del 2010 della Corte di Giustizia CE, in tema di applicazione del principio comunitario “chi inquina paga”; è stato, altresì, aggiunto che tuttavia “il proprietario, in quanto consapevole dell’inquinamento in atto, ha comunque la responsabilità di prendere le misure necessarie ad evitare che l’inquinamento si possa aggravare, adottando ogni misura idonea atta ad impedire il peggioramento della situazione ambientale”.
6. E’ quindi sopravvenuta una nuova conferenza di servizi decisoria, in data 24 ottobre 2011, laddove – nel ribadire la necessità degli interventi di messa in sicurezza di emergenza sul sito inquinato – la società ricorrente è stata ulteriormente chiamata in causa per la realizzazione delle opere necessarie. Anche questo nuovo atto (unitamente al decreto ministeriale n. 1951, del 7 novembre 2011, che lo ha approvato) è stato impugnato dalla società Italgas mediante un quarto ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 3 febbraio 2012. In particolare, l’impugnazione è diretta a contestare le parti della nuova deliberazione in cui:
- è ribadita la richiesta, rivolta a tutti i “soggetti obbligati”, di adottare immediatamente i necessari interventi di messa in sicurezza/bonifica al fine di impedire la diffusione della contaminazione delle acque di falda verso l’esterno dell’area, nonché di presentare il progetto di bonifica della falda anche per altre aree “non individuate quali sorgenti di inquinamento della falda, per le quali gli esiti delle caratterizzazioni e/o dell’analisi di rischio evidenzino la necessità di interventi”;
- si precisa che “i limiti di riferimento per la bonifica dei suoli risultano quelli relativi alla destinazione d’uso a verde riportati nell’allegato 5 del titolo V, parte IV nel D.Lgs. 152/06”, trattandosi di zona destinata a parco urbano e fluviale in base al Piano Regolatore del Comune di Torino;
- si prende atto che il Comune di Torino, con nota del 26 maggio 2011, ha rappresentato di voler attivare un protocollo d’intesa con soggetti privati “per la definizione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e successiva bonifica” e si precisa, al riguardo, che tale accordo dovrà “tener conto degli oneri di bonifica e dell’eventuale danno ambientale”;
- si chiede, infine, “il rispetto delle prescrizioni già formulate nelle precedenti conferenze di servizi”.
Di fatto, come riconosce la stessa ricorrente, vengono quindi riproposte le medesime prescrizioni già oggetto dei precedenti atti di ricorso, rispetto alle quali si presenterebbero, pertanto, “i medesimi gravi vizi di illegittimità già proposti”. In diritto, la ricorrente sviluppa quindi un nutrito numero di censure, tutte nella sostanza ripercorrenti quelle già sollevate con le precedenti impugnative.
Con ordinanza n. 127 del 2012 questo TAR ha nuovamente accolto la domanda cautelare (di cui ai quarti motivi aggiunti), con richiamo alla motivazione della precedente ordinanza cautelare n. 473 del 2010.
7. In data 27 luglio 2012 è sopraggiunta una nota del Ministero dell’Ambiente (prot. n. 22241/TRI/D1/VII) intitolata “Documentazione trasmessa da ARPA Piemonte (prot. 69578 del 07.07.2012)”, nella quale si prende atto che l’ARPA, a seguito di controlli effettuati nel gennaio 2012, ha rilevato l’assenza di superamenti dei limiti inquinanti ed ha, quindi, confermato “l’efficacia ed efficienza del sistema di messa in sicurezza di emergenza della falda”. Nel prendere, altresì, atto “dello stato di avanzamento dei lavori di risistemazione della zona franata in corrispondenza dell’area Fenice-Stureco [...] nonché dell’avanzamento dei lavori di copertura dei teli impermeabili”, l’amministrazione tuttavia evidenzia l’avvenuto superamento di alcuni valori-limite per quanto riguarda il parametro del cromo ed evidenzia, quindi, ai vari destinatari (tra i quali la società Italgas) “la necessità di integrare e potenziare le necessarie misure di messa in sicurezza di emergenza”, con rimando ai contenuti del verbale della conferenza di servizi decisoria del 24 ottobre 2011.
Ne è quindi derivato un ulteriore ricorso per motivi aggiunti (il quinto) depositato dalla società ricorrente in data 22 novembre 2012, con il quale sono state nuovamente proposte censure assimilabili a quelle precedenti.
8. Con memoria depositata il 22 febbraio 2013, da ultimo, la società ricorrente ha brevemente riepilogato i fatti salienti della presente controversia.
Alla pubblica udienza del 26 marzo 2013, quindi, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Viene in decisione il ricorso con il quale la Società Italiana per il Gas s.p.a. (ora: Italgas s.p.a.) ha via via contestato le decisioni assunte, nel corso degli anni (dal 2006 al 2012), in seno alla Conferenza di servizi decisoria chiamata ad esprimersi, in base alle norme sulla bonifica dei siti inquinati (d.lgs. n. 152 del 2006; d.m. n. 471 del 1999), in merito all’inquinamento del sito di interesse nazionale “Basse di Stura”. In particolare, la conferenza di servizi coordinata dal Ministero dell’Ambiente ha via via imposto alla società ricorrente, in quanto proprietaria delle aree interessate dall’inquinamento, l’adozione di interventi di messa in sicurezza di emergenza, volti principalmente a limitare l’inquinamento in atto e la sua possibile estensione (soprattutto verso le acque di falda); ciò, tuttavia, è stato fatto senza compiere preliminarmente alcuna indagine in ordine agli effettivi responsabili dell’inquinamento, essendosi l’amministrazione limitata ad addossare alla società proprietaria le conseguenze di condotte altrui. Questa è, in sostanza, la censura principale sviluppata dalla ricorrente nell’atto introduttivo e nei vari ricorsi per motivi aggiunti che si sono succeduti negli anni, censura tuttavia affiancata anche da altre (e diverse) contestazioni riguardanti ora aspetti formali ora aspetti sostanziali dell’operato dell’amministrazione centrale.
2. Deve anzitutto prendersi in esame la questione centrale dell’odierna impugnazione, ossia quella – presente in tutti gli atti di impugnazione depositati dalla ricorrente – afferente al rispetto del principio comunitario del “chi inquina paga”, canonizzato all’art. 191, par. n. 2, del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), a norma del quale “La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”, e fatto proprio anche dalla direttiva n. 2004/35/CE. Tale principio è stato ripreso anche dal legislatore nazionale il quale, nel varare le nuove norme in materia ambientale (d.lgs. n. 152 del 2006), lo ha richiamato in apertura della disciplina dedicata alla bonifica dei siti contaminati (art. 239, comma 1) ed ha quindi senz’altro posto a carico del “soggetto responsabile” tutti gli adempimenti finalizzati alla repressione dell’inquinamento, a cominciare dalla messa in atto delle misure di prevenzione, per continuare con lo svolgimento dell’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento, con la predisposizione di un piano di caratterizzazione delle aree, con l’analisi del rischio e, infine, con tutti gli interventi necessari per realizzare la bonifica e la messa in sicurezza dei luoghi (art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006).
Quel principio comunitario, tuttavia, è direttamente connesso al profilo della necessità di un elevato livello di tutela ambientale e sanitaria, obiettivo parimenti perseguito dal diritto dell'Unione Europea e che risulta fondato sui principi della precauzione, dell'azione preventiva e della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all'ambiente, parimenti richiamati dal citato art. 191 TFUE. In tale contesto, la regola per la quale il responsabile dell'inquinamento deve rispondere per le obbligazioni ripristinatorie e risarcitorie è stata quindi intesa dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione, quale misura “di chiusura” (così TAR Lazio, Roma, sez. II-bis, n. 4215 del 2011; TAR Piemonte, sez. II, n. 1257 del 2012 e n. 136 del 2011), beninteso non nel senso che si tratta della misura di ultima analisi ma, al contrario, che si tratta della misura iniziale e principale per affrontare la contaminazione, nella consapevolezza tuttavia che essa potrebbe non risultare sufficiente. In tale prospettiva, si è quindi concluso nel senso che le misure di tutela necessarie ed urgenti che vengano poste a carico del proprietario del sito non hanno natura né sanzionatoria né risarcitoria, bensì di salvaguardia ambientale e sanitaria, nel superiore interesse pubblico generale ambientale ed ai fini della tutela dell'inviolabile diritto alla salute della popolazione esposta, come si ricava sia dagli artt. 2, 9 e 32 della Costituzione sia dal diritto europeo, fermi restando l'obbligo dell'Amministrazione di procedere all'individuazione del responsabile e la facoltà del proprietario di rivalersi nei suoi confronti. Tale ricostruzione, del resto, appare altresì pienamente conforme al principio generale del nostro ordinamento relativo alla funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.), che giustifica anche la conformazione, imposizione di pesi o oneri, ed infine la stessa estinzione per espropriazione del diritto (così, ancora, TAR Lazio, sent. n. 4215 del 2011).
Del resto, come pure affermato, recentemente ed a più riprese, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4561; sez. II, parere n. 2038 del 30 aprile 2012), mentre la responsabilità dell’autore dell’inquinamento costituisce una forma di responsabilità oggettiva per gli obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti alla contaminazione delle aree, sensibilmente diversa si presenta, invece, la posizione del proprietario del sito per la responsabilità del quale occorre fare riferimento ai commi 1 e 2 dell’art. 253 d.lgs. n. 152 del 2006: chi è proprietario o chi subentra nella proprietà o possesso del bene subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale ivi previsto, indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità “da posizione”, non solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. È quindi evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato alcun contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento – non si trova in alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore, essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito (così, da ultimo, cfr. il recente precedente della Sezione, la sent. n. 1257 del 2012).
Nel caso di specie non è dubbio che le prescrizioni previste dalle varie conferenze di servizi, poi rispettivamente recepite ed approvate dai vari decreti del Ministero dell’Ambiente indirizzati alla società ricorrente, siano state imposte a quest’ultima “in qualità di attuale proprietaria delle aree” (come si legge, ad esempio, a pag. 6 del verbale dell’ultima conferenza, quella del 24 ottobre 2011), con ciò rendendosi chiaro che il titolo di responsabilità richiamato non era quello soggettivo o finanche oggettivo tipico degli operatori professionali la cui attività possa aver arrecato l’inquinamento (cfr. art. 3, par. n. 1, lett. a, della direttiva n. 2004/35/CE, nonché la sentenza n. 378 del 2010 della Corte di Giustizia CE), ma era quello “da posizione” che coinvolge il proprietario in quanto tale, ai sensi dell’art. 253 d.lgs. n. 152 del 2006.
2.1. Il richiamo a quest’ultima norma, tuttavia, rende evidente che anche l’attivazione della responsabilità “da posizione”, afferente alla sfera giuridica del proprietario o dei suoi aventi causa, è sottoposta a limiti, nello specifico di natura procedimentale. Specifica, infatti, il comma 3 dell’art. 253 che “Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità”. Tale norma, nel riferirsi alla disciplina sui privilegi e sulla ripetizione delle spese di bonifica, è indicativa di come la responsabilità “da posizione” del proprietario debba essere, in generale, intesa: ossia, come responsabilità di natura residuale, attivabile a fini di salvaguardia ambientale e sanitaria allorché non sia stato possibile attivare i rimedi – per così dire – ordinari previsti dalla legge. Va ricordato, in proposito, che in prima battuta (ed in ossequio al già ricordato principio basilare del “chi inquina paga”) l’ordinamento chiama a rispondere il responsabile dell’inquinamento (art. 242 d.lgs. n. 152 del 2006); qualora questi non sia individuabile, o comunque non abbia posto in essere le misure necessarie, è previsto che spetti alla stessa amministrazione procedente (che, per l’ipotesi dei siti di interesse nazionale, è il Ministero dell’Ambiente, coadiuvato da altri soggetti istituzionali, ai sensi dell’art. 252, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006) predisporre i necessari interventi; è poi anche previsto che il proprietario (o anche qualsiasi altro soggetto interessato) possa spontaneamente intervenire in qualsiasi momento per realizzare in prima persona le opere necessarie (art. 244, comma 4, d.lgs. n. 152 del 2006). L’intervento coatto del proprietario, pertanto, in quanto extrema ratio di tutela ambientale e sanitaria, potrà essere stabilito solo allorché non sia stato individuato l’effettivo responsabile dell’inquinamento, ovvero questi non abbia provveduto, ovvero non sia potuta intervenire la stessa amministrazione procedente ai sensi dell’art. 250 d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero ancora non sia intervenuto spontaneamente alcun soggetto interessato.
Il limite procedimentale che incontra la chiamata in responsabilità del proprietario, quindi, consiste nell’illustrazione rigorosa, da parte dell’amministrazione procedente, del percorso logico-argomentativo in base al quale sia risultato possibile, nel caso di specie, coinvolgere in prima persona la proprietà. Dovranno cioè essere indicate, nella motivazione, le modalità di ricerca utilizzate per rintracciare gli effettivi responsabili dell’inquinamento, nonché l’esito infruttuoso di tali ricerche, ovvero l’impossibilità di giungere all’accertamento dell’identità dei responsabili, ovvero il mancato intervento del responsabile, ovvero ancora l’impossibilità di intervenire da parte della stessa amministrazione così come prescritto dall’art. 250 d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero ancora l’assenza di alcun intervento da parte dei soggetti potenzialmente interessati. Solo in presenza di tali indicazioni sarà quindi possibile procedere con la chiamata in causa del proprietario del sito, quale misura ultima di salvaguardia ambientale e sanitaria.
Tutto quanto precede, peraltro, deve necessariamente far salvi i principi generali in tema di responsabilità da inquinamento, nel senso che, qualora sia sussistente un collegamento eziologico tra la posizione del proprietario del sito e l’evento inquinante in atto, deve riespandersi la regola della responsabilità soggettiva per dolo o colpa. Ciò, in particolare, vale per le ipotesi in cui sia individuabile un comportamento colposo di omesso controllo o di omessa vigilanza da parte del proprietario il quale – pur avendo oggettivamente la possibilità di evitare l’innescarsi o l’aggravarsi della contaminazione, qualora avesse sottoposto l’area di sua disponibilità ai dovuti controlli – non si sia tuttavia attivato in tale direzione. Nelle ipotesi in cui sia stata accertata la consapevolezza, in capo alla proprietà, dell’esistenza di un inquinamento in atto, sarà pertanto possibile coinvolgere quest’ultima nell’apprestamento delle misure ritenute necessarie in base alle norme generali, adducendo cioè un omesso controllo o un’omessa vigilanza giuridicamente rilevanti (nel senso di originare una posizione giuridica di garanzia) (cfr., per un caso analogo, la sentenza di questa Sezione, già citata, n. 136 del 2011).
3. Alla luce del quadro appena tracciato il ricorso principale ed i relativi motivi aggiunti sono fondati.
In nessuno degli atti impugnati afferenti alla contaminazione del sito “Basse di Stura”, infatti, l’amministrazione si è mai preoccupata di delineare i presupposti imprescindibili della chiamata in causa della società proprietaria, ossia l’avvenuta ricerca degli effettivi responsabili dell’inquinamento, ovvero gli esiti infruttuosi di tale ricerca, ovvero i motivi dell’impossibilità di un intervento d’ufficio dell’amministrazione ai sensi dell’art. 252, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero ancora il mancato intervento di altri soggetti interessati. Così operando essa ha tradito la ratio insita nella natura residuale della chiamata in causa della proprietà, travalicando il limite in precedenza evidenziato.
Né negli atti impugnati l’amministrazione ha mai evidenziato l’esistenza di una posizione di garanzia in capo alla società proprietaria, in funzione di protezione e di custodia dell’area e finalizzata ad evitare il propagarsi dell’inquinamento, né ha mai di conseguenza censurato l’avvenuta omissione di accorgimenti e/o di cautele suggeriti dall’ordinaria diligenza e derivanti, quanto meno, dalla consapevolezza della sussistenza di uno stato di contaminazione in atto e dalla conseguente necessità di dover evitare un suo aggravamento. Né ha mai richiamato, in modo chiaro, l’eventuale attività industriale esercitata sul luogo dalla società ricorrente, a prescindere dalla sua qualità di proprietaria, in modo da tracciare un collegamento eziologico tra tale attività e l’innescarsi dell’inquinamento (come richiesto, in materia, dalla già citata sentenza n. 378 del 2010 della Corte di Giustizia CE). Neanche sotto questo ulteriore profilo, pertanto, emerge alcuna giustificazione del coinvolgimento diretto della proprietà nella predisposizione delle misure di messa in sicurezza del sito, con conseguente illegittimità per difetto di motivazione e di istruttoria.
4. Il ricorso principale ed i vari motivi aggiunti vanno, pertanto, accolti, nei sensi sopra indicati, con assorbimento degli ulteriori motivi di gravame e con conseguente annullamento di tutti gli atti impugnati nella parte in cui hanno posto a carico della società ricorrente, solo perché proprietaria delle aree, gli interventi di bonifica e/o di messa in sicurezza del sito.
Le spese di lite vanno tuttavia compensate tra le parti, sussistendo giusti motivi in ragione della complessità, in punto di fatto e di diritto, delle questioni trattate. Ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis.1, del d.P.R. n. 115 del 2002, comunque, le amministrazioni resistenti, in solido tra loro, dovranno rifondere alla società ricorrente l’importo del contributo unificato da questa complessivamente versato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione seconda, definitivamente pronunciando,
Accoglie il ricorso principale ed i vari motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla tutti i provvedimenti impugnati, nei sensi di cui in motivazione.
Compensa le spese di giudizio tra le parti, salva la restituzione del contributo unificato versato da parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Salamone, Presidente
Ofelia Fratamico, Primo Referendario
Antonino Masaracchia, Primo Referendario, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)