LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE IN “PROPRIO” ED IN SOSTITUZIONE DELL’ENTE LOCALE IN UN PROCESSO PER IL REATO DI ESERCIZIO DI CACCIA IN UN’AREA NATURALE PROTETTA. SEZ

La sentenza annotata costituisce innanzitutto l’occasione per richiamare la tematica della costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste nei giudizi per l’accertamento dei reati ambientali.

Essa inoltre ci consente anche di introdurre la discussione circa un ulteriore ed innovativo sviluppo processuale e sostanziale del risarcimento del danno ambientale consistente nell’esperibilità, da parte delle associazioni ambientaliste,  dell’azione civile di danno pubblico ambientale dinanzi al giudice ordinario in sostituzione ell’ente locale territorialmente competente.

Ci dà, inoltre, l’occasione per richiamare altre importantissime tematiche, sempre più attuali in giurisprudenza, collegate al recente sviluppo del sistema delle aree naturali protette ed in particolare il tema dell’ininfluenza della mancanza della tabellazione perimetrale dei parchi e delle riserve naturali ai fini dell’esclusione dell’elemento psicologico del reato di esercizio di caccia nelle aree naturali protette.

Infine, tale decisione ci consente di richiamare l’indirizzo della Cassazione circa la tematica dell’esercizio presunto di caccia, indirizzo totalmente fatto proprio dal giudice che, tuttavia, nel caso concreto al suo esame, ha ritenuto insussistente il reato in conseguenza dell’insufficienza e contraddittorietà della prova raggiunta in dibattimento.    

 

 1. LA LEGITTIMAZIONE DEL WWF ITALIA A COSTITUIRSI PARTE CIVILE NEI GIUDIZI PER L’ACCERTAMENTO DI REATI AMBIENTALI.

Il WWF - associazione riconosciuta a norma degli artt. 13 e 18 della Legge 8 luglio 1986, n. 349,  mediante decreto del Ministro dell’Ambiente del 20 febbraio 1987 , ai sensi dell’art. 5 dello Statuto associativo, persegue istituzionalmente le seguenti finalità:

 << In armonia con la Missione del WWF Internazionale le finalità del  WWF Italia sono la conservazione della natura e dei processi ecologici e la tutela dell'ambiente tramite:

·        la conservazione della diversità genetica, delle specie e  degli ecosistemi;

·        la promozione di un uso sostenibile delle risorse naturali sin da ora e nel lungo termine, per il beneficio di tutta la vita  sulla terra;

·        la lotta all'inquinamento, allo spreco ed all'uso irrazionale delle risorse naturali e dell'energia;

·         la promozione culturale sui temi sopracitati.

Lo scopo finale del WWF Italia è fermare e far regredire il degrado del nostro Pianeta e contribuire a costruire un futuro in cui l'umanità possa vivere in armonia con la natura.>>

Ai sensi dell’art. 6 dello Statuto associativo il WWF Italia, per il conseguimento delle proprie finalità istituzionali, esercita, tra l’altro, azioni di: << Tutela giuridica e giudiziaria dell'ambiente;>> e di <  finalità di cui all'art. 5;>>.

Il WWF, in sintesi, quale associazione nazionale di protezione ambientale riconosciuta persegue la finalità di tutelare l’“ambiente”, <>(Corte Cost. n. 210/87, in Giur.Cost., 1987, I, 1577); bene giuridico dalla cui tutela costituzionale, legislativa ed amministrativa, scaturisce l’esistenza di un vero e proprio <<diritto fondamentale della persona e interesse generale della collettività>> (corte Cost. 210/87, cit.), la cui lesione costituisce il c.d. “danno ambientale”, disciplinato dall’art. 18 della L. 349/86, e qualificabile come l’<<offesa al diritto che ogni cittadino vanta individualmente e collettivamente>>( Corte Cost. 210/87, cit.).

Di conseguenza, il  WWF, nei processi per danno ambientale, fa valere innanzitutto il proprio autonomo diritto soggettivo alla realizzazione dei propri fini statutari, giuridicamente protetti e tutelabili, la cui violazione legittima il sodalizio a chiedere il risarcimento dei danni, azionabile, quindi, anche nel processo penale. Inoltre, comportamenti lesivi dell’integrità del  patrimonio ambientale recano anche pregiudizio ai singoli associati - che vedono  frustrate le proprie esigenze di sviluppo della personalità- e, pertanto, legittimano, anche sotto tale profilo, l’esercizio dell’azione civile nel processo penale.

La giurisprudenza più recente della Suprema Corte ha ribadito che <  Inoltre, l’art. 185 c.p. non tutela solo un danno patrimoniale, giacchè concerne ogni tipo di danno, purchè conseguenza immediata e diretta del reato (Cass. 16/5/1980, Di Gregorio, in Giur.it., 1982, II, 20) identificabile, quando si tratta di un reato ambientale, attraverso il riconoscimento della normazione e l’istituzionalizzazione di detti enti esponenziali, nella tutela di un interesse collettivo divenuto proprio e considerato quale centro di imputazione e, quindi, di legittimazione. Pertanto la costituzione di parte civile delle associazioni ambientaliste fonda sulla esigenza di tutela dell’interesse collettivo, soggettivizzato e differenziato rispetto all’indistinto interesse diffuso, del quale diviene centro di imputazione e legittimazione e, quindi risente di un danno per l’aggressione di esso; danno diretto ed immediato, eziologicamente collegato con il fatto reato>> (Cass. Sez. III pen 2 febbraio – 6 aprile 1996, n. 207, Ric. Russo).

La Suprema Corte ha chiarito che <  «sia come singolo, sia nella formazione sociale ove si svolge la sua personalità>>, nel senso che non è stabilito un “numerus clausus”, ma è riconosciuto quel che la società produce in termini di sensibilità e cultura. Ritiene la Corte che , al presente, la nostra Costituzione tutela non solo la salute (art. 32) ed il patrimonio naturale e culturale della Nazione ( art. 9), ma riconosce e garantisce l’ambiente come diritto fondamentale della persona umana ( art. 2) e consente, perciò, a tutti di agire in giudizio per la tutela di questo diritto (art. 24).  Alla luce di questi principi, proprio perché nel  danno ambientale è inscindibile la offesa ai valori naturali e culturali e la contestuale lesione dei valori umani umani e  sociali di ogni persona, la legittimazione processuale non spetta solo  ai soggetti pubblici, come Stato, Regione, Provincia, Comune, Enti Parco, ecc., ma anche alla persona, singola o associata ( in nome dell’ambiente come diritto soggettivo fondamentale di ogni uomo)>>. (Cass., Sez. III pen., 1° ottobre – 19 novembre 1996, ric. Locatelli ed altri, in Dir. e  proc. Pen., 1997, 590).

Ancora più recentemente la Suprema Corte ha affermato che: <<In  tema  di   legittimazione   degli  enti  e   delle   associazioni   ecologistiche a  costituirsi parte civile, deve ritenersi che, quando   l'interesse  diffuso  alla tutela  dell'ambiente non e' astrattamente   connotato,  ma  si concretizza  in una determinata realta' storica di   cui  il sodalizio ha fatto il proprio scopo, diventando la ragione e,   percio',    elemento costituitivo    di   esso,   e' ammissibile   la   costituzione  di  parte civile di tale ente, sempre che dal reato sia   derivata una  lesione  di  un diritto  soggettivo inerente allo scopo   specifico  perseguito.  Pertanto e',  "in  primis", configurabile, in   capo  alle associazioni  ecologistiche,  la titolarita' di un diritto   soggettivo  e di un danno risarcibile, individuabile nella salubrita'   dell'ambiente, sempre  che una articolazione territoriale colleghi le   associazioni  medesime  ai beni  lesi,  sicche' esse sono legittimate   all'azione  "aquiliana" per  la difesa del proprio diritto soggettivo   alla  tutela dell'interesse collettivo alla salubrita' dell'ambiente. E',  inoltre, ipotizzabile  la lesione del diritto della personalita'   dell'ente  e la conseguente facolta' delle associazioni di protezione   ambientale  di agire per il risarcimento dei danni morali e materiali   relativi all'offesa, diretta ed immediata, dello "scopo sociale", che   costituisce la  finalita'  propria  del sodalizio>>.  (Nella specie la   Corte   ha  ritenuto  che   l'associazione   Lega  ambiente  -   ente   esponenziale  della comunita'  in  cui  si trova  il  bene collettivo   oggetto  di lesione ed avente a scopo la salvaguardia degli interessi   lesi dal  reato  - e fosse legittimata a costituirsi parte civile, ai   sensi  dell'art. 185  c.p. e  74 c.p.p.,  per  la  tutela del diritto   collettivo all'ambiente  salubre,  sia  per la protezione del diritto   della personalita'   in  conseguenza  del discredito  derivante  alla   propria sfera funzionale dalla condotta illecita).    (Cassazione penale sez. III, 9 luglio 1997,  Perotti e altro    Giust. pen. 1998,III, 590).

Il giudice del Tribunale di Avellino ha pertanto correttamente ammesso la costituzione di parte civile del WWF Italia, sia in conseguenza della lesività ambientale della condotta contestata, sia in conseguenza della lesione dell’azione istituzionale di tutela ambientale svolta dalle articolazioni locali dall’associazione ambientalista nel territorio del Partenio mediante la promozione e la tutela del parco naturale e la vigilanza venatoria volontaria a tutela della fauna selvatica omeoterma, azione totalmente vanificata dai fatti illeciti che erano contestati agli imputati. E’ stato infatti provato sia l’interesse diretto del WWF ITALIA alla piena applicazione dei principi e della disciplina in materia di tutela della fauna selvatica la cui violazione era stata contestata agli imputati, sia la lesione del diritto soggettivo dell’associazione ad attuare le proprie finalità statutarie mediante l’azione di tutela ambientale svolta localmente. Il WWF,  in sintesi, ha diritto alla costituzione di parte civile in qualità di soggetto danneggiato dal reato di bracconaggio in aree naturali protette, sia in forza del riconoscimento operato dall’art. 18 della legge 349/86, sia a seguito della lesione diretta delle proprie finalità statutarie, sia quale esponente dei suoi associati.

 

2 L’esercizio dell’azione di danno pubblico ambientale dinanzi al giudice ordinario in sostituzione dell’ente locale Territorial-mente competente.

 

La sentenza annotata costituisce la prima applicazione dell’art. 4, comma 3, della legge 3 agosto 1999, n. 265. Tale norma, inserita nella legge di riforma delle autonomie locali, in attuazione del principio di sussidiearietà imposto dalle recenti politiche  “federalistiche” a Costituzione invariata, supera la c.d. “statalizzazione” dell’azione civile di risarcimento del danno pubblico ambientale, eliminando contemporaneamente una profonda discrasia tra legittimazione ad agire e titolarità del risarcimento. Infatti, l’art. 18 della L. 349/86, istitutiva del Ministero dell’Ambiente, prevede che l’azione civile di danno pubblico ambientale, esperibile anche nel processo penale mediante costuituzione di parte civile, è proposta dallo Stato ( Ministero dell’Ambiente), nonché dagli enti territoriali sui quali incidono i beni oggetto del fatto lesivo. Le associazioni ambientaliste nazionali possono, invece, semplicemente intervenire nei giudizi di danno ambientale. Da tale disciplina emerge che la titolarità del risarcimento del danno ambientale è sempre dello Stato anche quando l’azione sia stata proposta da un ente territoriale che, secondo autorevole dottrina, agirebbe quale sostituto processuale ex art. 81 c.p.c. Le associazioni ambientaliste nazionali riconosciute, invece, non hanno un’autonoma legittimazione ad agire, essendo confinate al ruolo di meri soggetti intervenienti. L’art. 4, comma 3, della L. 265/99 rivoluziona profondamente tale disciplina prevedendo che: << Le Associazioni di protezione ambientale di cui all’art. 13 della Legge 8 luglio 1986, n. 349, possono proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettino al comune e alla provincia, conseguenti a danno ambientale. L’eventuale risarcimento è liquidato in favore dell’ente sostituito e le spese processuali sono liquidate in favore o a carico dell’associazione>>. Questa norma, recependo le indicazioni della più qualificata dottrina,  allarga il concetto di danno ambientale da danno allo Stato/persona a danno alla intera collettività che può essere  rappresentata sia dallo Stato centrale, sia dalle autonomie locali . In caso di inerzia dell’ente locale, l’azione può essere promossa in via sostitutiva dalla associazione ambientalista ed il risarcimento del danno viene liquidato all’ente locale sostituito. A ben vedere, questa norma avvicina sempre più l’imputazione del danno ambientale alla persona umana che è titolare di un vero e proprio diritto soggettivo all’ambiente. L’associazione ambientalista, infatti, è un ente esponenziale dei propri associati che viene legittimato a sostituire l’ente locale istituzionalmente definito esponenziale della popolazione e del territorio ( L. 142/90) in caso di inerzia nel recupero/ripristino del danno ambientale. In tal senso si potrebbe anche sostenere che quella introdotta dall’art. 4, comma 3, della L. 265/99 è il primo esempio di azione popolare esperibile dinanzi al giudice ordinario tipizzata dal legislatore. A conferma di tale assunto gioca anche la collocazione sistematica della norma nell’art. 4 della L. 265/99 che modifica l’art. 7 della L. 142/90 ed, in particolare, l’azione popolare.  

 

3 IL PROBLEMA DELL’ASSENZA DI TABELLAZIONE PERIMETRALE DELL’AREA NATURALE PROTETTA CON RIFERIMENTO ALL’ESCLUSIONE DELL’ELEMENTO PSICOLOGICO DEL REATO PER c.d. “INCONOSCIBILITA’ DEI CONFINI”.

 

Dall’istruttoria dibattimentale è emerso che il Parco naturale regionale del Partenio non è stato tabellato con cartelli perimetrali.  Da tale elemento il giudice correttamente non ha fatto scaturire la buona fede degli imputati per “inconoscibilità dei confini” del parco. Infatti, va innanzitutto chiarito che nessuna norma statale e/o regionale prevede che le aree naturali protette debbano essere segnate  con tabelle perimetrali: ciò non è previsto dalla legge quadro  sulle aree naturali protette n. 394/91, né  dalla L.R. attuativa n.  33/93 e neanche dalla legislazione in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e prelievo venatorio (L. 157/92 e L.R. 8/96) che prevede, invece,  la tabellazione per le  sole Oasi di protezione della fauna e Zone di ripopolamento e cattura, cioè per strutture faunisico venatorie ( i parchi sono invece strutture di conservazione della natura). Va anche sottolineato che gli imputati erano  cacciatori, cioè soggetti particolarmente qualificati per la conoscenza ed il riconoscimento dei confini dei siti ove la caccia è vietata, anche perché hanno superato un esame di cultura specifica che gli impone di essere competenti per queste ed altre conoscenze legate all’attività venatoria che altrimenti non potrebbero esercitare.

Essendo stato inoltre pubblicato il confine perimetrale del Parco regionale del Partenio sul Bollettino Ufficiale della Regione Campania, con tutte le  indicazioni tecniche e topografiche, si doveva presumere che gli imputati, al pari di qualsiasi altro cittadino, lo conoscessero perfettamente. In ogni caso, ancor più degli altri cittadini, proprio in quanto cacciatori, essi avevano un dovere di  informarsi ancora più intenso. Il giudice, pertanto, ha correttamente negato la rilevanza della mancanza di cartelli perimetrali ai fini dell’escusione dell’elemento psicologico del reato. Tale posizione trova peraltro conferma nella giurisprudenza costante, ed anche recentissima, della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale  i parchi nazionali e regionali,  <  venatoria e pertanto non può essere riconosciuta la buona fede degli imputati del reato di esercizio venatorio in area protetta in caso di assenza di tabellazione>> (Cass. Pen, sez. III, 29/4/1999, Arlati). Identico principio era stato peraltro  affermato da altra precedente pronuncia sul presupposto  che  ai parchi <<non si applica pertanto la disciplina di cui all’art. 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 che prevede la perimetrazione delle aree oggetto di pianificazione faunistico-venatoria>> ( Cass. Pen. III, 22/4/1998, n. 4756, Giacometti).

 

4. IL PROBLEMA DEL c.d. “ATTEGGIAMENTO DI CACCIA ”.

Secondo la giurisprudenza ai sensi dell’art. 12 della L. 157/92  << La nozione di “esercizio di caccia” usata nella legge 11 febbraio 1992 n. 157 non può essere intesa in senso riduttivo dovendosi ritenere, alla stregua del testo normativo, che essa comprenda non solo l’effettiva cattura o uccisione della selvaggina, ma anche ogni attività preliminare e la complessiva orgnizzazione dei mezzi e, comunque, qualsiasi atto, desumibile dall’insieme delle circostanze di tempo e di luogo, che appaia diretto a tale fine. Pertanto devono ritenersi penalmente rilevanti una serie di comportamenti integranti violazioni della legge sulla caccia che, pur non consistendo nell’apprensione materiale della preda, ne costituiscono il naturale presupposto, quali, esemplificando, …………il viaggiare a bordo di autoveicoli con materiali destinati all’esercizio della caccia>> ( Cass. Pen. Sezione III, 15/1/1999, n. 452, Pres. Tonini, in SANTOLOCI-MAGLIA, Tecnica di Polizia giudiziaria ambientale, ed. Laurus Robuffo, 1999). Gli imputati, in un giorno di caccia aperta, vagavano nella riserva integrale del parco naturale regionale del Partenio, cioè nell’area a massima protezione. Il Parco del Partenio, come risulta anche dalla   relazione tecnica allegata  Decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania istitutivo dell’area naturale protetta, è una zona ricchissima  di fauna selvatica.  Gli imputati  “portavano” a bordo del veicolo  armi da caccia e munizioni dello stesso calibro. Nel fuoristrada, in particolare, come accertato dal giudice, vi era un fucile scarico nel portabagagli ed un altro fucile posto longitudinalmente sotto uno dei sedili anteriori. Nell’abitacolo vi erano cartucce dello stesso calibro delle armi.  Il giudice ha attribuito rilevanza alla circostanza che i fucili erano scarichi, affermando che anche per << quello situato longitudinalmente sotto il sedile occorre
prendere atto che il suo immediato caricamento ed utilizzo resta fortemente pregiudicato dalla previa necessità di estrarlo dal luogo in cui si trova
riposto>>.
Tale affermazione del giudice non appare pienamente condivisibile;  infatti, l’esperienza comune insegna che   un cacciatore, cioè un soggetto particolarmente allenato all’uso delle armi, può impiegare pochissimi secondi per  estrarre un fucile posto sotto il sedile anteriore, caricarlo e sparare sull’abbondantissima fauna presente nel Parco. Né la circostanza che le armi erano scariche può essere determinante ai fini dell’esclusione del reato in quanto l’atteggiamento di caccia può essere desunto anche solo dal possesso del fucile e delle relative cartucce ( Cass. pen. Sez. III, 30/9/1994, n. 255, Cammaroto) e  tale attitudine non può essere esclusa neanche quando  il cacciatore abbia il fucile scarico ed aperto  in quanto esso può essere rapidamente caricato ed utilizzato per abbattere la selvaggina ( Cass. Civ. , sez. I, 10/9/1997, n. 8890). Né il reato può essere escluso  in conseguenza dell’<<assenza di selvaggina>> in quanto per l’integrazione del reato non è richiesto l’abbattimento di fauna.  

Il caso all’attenzione del giudice avrebbe potuto avere, comunque, esito diverso se agli imputati fosse stato contestato anche il reato previsto dall’art. 30, commi 1 ed 8, della L. 394/91 in relazione alle misure transitorie di salvaguardia del Parco Naturale Regionale del Partenio approvate con Decreto del Presidente della giunta Regionale della Campania del 1995. Queste infatti vietano  nella riserva integrale, oltre all’attività venatoria,  sia la circolazione con veicoli a motore sulle strade sterrate sia   il porto ed anche il mero trasporto di armi.

 

* Avv. Maurizio Balletta