TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 522 del 14 giugno 2023
Rifiuti.Obblighi di bonifica

Ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e il suo inquinamento, occorre utilizzare il canone civilistico del “più probabile che non”, con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c. Ne consegue che qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento


Pubblicato il 14/06/2023

N. 00522/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00146/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 146 del 2022, proposto da
Edison s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mauro Ballerini, Andreina Degli Esposti, Wladimir Francesco Troise Mangoni e Riccardo Villata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Provincia di Mantova, in persona del Presidente della Provincia pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Eloisa Persegati Ruggerini e Lucia Salemi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Ministero della dell’Ambiente e della sicurezza energetica, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliato ex lege in Brescia, via S. Caterina, 6;
Comune di Mantova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Gianolio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Versalis s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Grassi, Giuseppe Onofri e Francesco Grassi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avvocato Giuseppe Onofri, con studio in Brescia, via Ferramola, 14;
Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA) - Lombardia - Dipartimento di Mantova, Regione Lombardia, ATS Val Padana, Comune di San Giorgio Bigarello, Comune di Borgo Virgilio, Parco del Mincio, Eni Rewind s.p.a., Eni s.p.a., Consorzio di Bonifica Territori del Mincio, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- dell'atto dirigenziale della Provincia di Mantova, n. PD/1431 del 7 dicembre 2021, avente ad oggetto «individuazione del responsabile della potenziale contaminazione ai sensi dell'art. 244 d.l.gs 152/2006 e s.m.i. per il superamento dei limiti di riferimento, principalmente per gli inquinanti mercurio e c>12, nei sondaggi SED1 e SED6 del Cavo S. Giorgio. contestuale chiusura del procedimento ai sensi dell'art. 2 della l.241/90 e s.m.i. avviato e rieditato con note prott. n. 55203 del 25/10/2011 e n. 54311 del 21/10/2021. sito di interesse nazionale laghi di mantova e polo chimico», e della relativa planimetria denominata “Allegato 1”;

- dell'atto di avvio del procedimento, prot. pec n. GE 2021/0054311, avente ad oggetto «Riedizione dell'avvio del procedimento di cui alla nota della Provincia di Mantova prot. n. 55203 del 19/10/2011 […] finalizzato all'individuazione del responsabile del superamento delle concentrazioni di riferimento per i sedimenti. Sito d'Interesse Nazionale Laghi di Mantova e Polo Chimico - superamento dei limiti individuati per i sedimenti, nel canale denominato “Cavo San Giorgio” per il tratto individuato nella planimetria allegata come parte integrante e sostanziale. Contaminanti individuati oltre i limiti di riferimento: principalmente mercurio e idrocarburi C>12» emanato dalla Provincia di Mantova il 21 ottobre 2021;

- nonché, per quanto occorrer possa, di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non noto, nei cui confronti si fa riserva di proporre motivi aggiunti, tra cui:

i) la nota del Ministero dell'Ambiente prot. 23598/TRI/DI del 22 luglio 2011, agli atti della Provincia di Mantova con prot. n. 40103/2011, avente ad oggetto «Sito di Interesse Proposta n. 21/2021/365 Nazionale (S.I.N.) Laghi di Mantova e Polo Chimico –Criticità presenti nel Sito di Interesse nazionale Laghi di Mantova e polo Chimico»;

ii) la nota del Direttore generale della D.G. per la Tutela del territorio e delle risorse idriche del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, prot. n. 0009051/TRI del 26 marzo 2014, agli atti presso la Provincia di Mantova con prot. n. 13755 del 27 marzo 2014;

iii) il «Nuovo Accordo di Programma per la definizione degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e successiva bonifica del Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”», trasmesso con nota 23242 del 5 marzo 2021 congiuntamente al Decreto Direttoriale di approvazione n. 28 del 16 febbraio 2021;

- nonché, per quanto occorrer possa, della nota del MATTM prot. n. 0021854/TRI del 11 agosto 2014, agli atti della Provincia con prot. n. 38075 del 11/08/2014, avente per oggetto «Individuazione del responsabile della contaminazione da mercurio nel Canale Sisma. Riscontro nota Provincia di Mantova prot. MATTM 18483 del 07/07/2014».


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, della Provincia di Mantova, del Comune di Mantova e della società Versalis s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 24 maggio 2023 il dott. Luca Pavia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il ricorso ha ad oggetto l’attività produttiva svolta nel Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”, area perimetrata con D.M. 7.2.2003 che si estende per circa 10 km2 includendo l’area del Polo Industriale di Mantova, le aree del Lago di Mezzo e del Lago Inferiore, l’area umida di Vallazza, alcuni tratti del fiume Mincio e le relative sponde.

1.1. Nello specifico, l’avvio delle produzioni industriali nell’area risale al 1956 e, attualmente, l’assetto produttivo prevede la trasformazione di benzene, etilbenzene, etilene, cumene e acrilonitrile in stirene, polimeri, fenolo e derivati.

Nel tempo, infatti, alcuni cicli produttivi particolarmente impattanti cessarono la loro attività, tra questi l’impianto cracking (1978), quello per la produzione dell’anidride maleica (1991) e quello del cloro-soda (1991).

In particolare, nell’impianto cloro-soda venivano prodotti soda caustica e cloro a partire dal salgemma mediante l’utilizzo di celle elettrolitiche al mercurio e, sebbene detto impianto sia stato quasi completamente smantellato, è ancora presente nel sito il fabbricato dove si svolgevano le attività più critiche, ossia dove erano alloggiate le celle a mercurio, ora rimosse: nel sottosuolo della sala celle è tuttavia ancora presente mercurio metallico.

1.2. Per quanto concerne la proprietà dello stabilimento è possibile osservare che dal 1957 al 1966 essa faceva capo ad una società denominata Sicedison s.p.a., controllata dalla Edison s.p.a. (società omonima dell’odierna ricorrente).

Successivamente, dal 1966 al 30 giugno 1989, l’impianto venne gestito dal gruppo Montedison (Montedison s.p.a., Montedipe s.p.a. e Montedipe s.r.l.). Il 30 giugno 1989 la Montedipe s.r.l. venne conferita in Enimont s.p.a. (joint venture tra ENI s.p.a. e Montedison s.p.a.), che subentrò nella gestione dell’impianto.

Il 22 novembre 1990, la joint venture si sciolse e il controllo dello stabilimento passò al gruppo ENI (Enichem s.p.a., Polimeri s.p.a. e Versalis s.p.a.).

Nello specifico, mentre le aree produttive passarono alla Enichem s.p.a. e, successivamente, alla Polimeri s.p.a. (attuale Versalis s.p.a.) quelle non produttive, ivi comprese le discariche, rimasero di proprietà Enichem s.p.a. (oggi Eni Rewind s.p.a.).

Nel 2002, la Montedison s.p.a. si fuse con altre società, dando origine alla Edison s.p.a., odierna ricorrente.

2. L’esatta strutturazione interna dello stabilimento, e delle sue numerose discariche, divenne nota alle Autorità competenti solo allorquando alla Montedison s.p.a. subentrarono altre società.

Nello specifico, a seguito delle indagini ambientali effettuate, le amministrazioni procedenti riscontrarono che:

- l’attuale area denominata “B + I” (ricompresa fra il canale di presa e il Canale Sisma a ridosso dell'area “Valliva”) era stata utilizzata sia come discarica sia come vasca di decantazione di reflui non trattati, con conseguente superamento delle Concentrazioni Soglie di Contaminazione (CSC) per i parametri idrocarburi leggeri (C<12) e pesanti (C>12); composti organici aromatici (benzene, etilbenzene, xilene, stirene, isopropilbenzene); policlorobifenili (PCB); metalli (Mercurio, Nichel); idrocarburi policiclici aromatici (IPA) come la dibenzo (a,h) antracene;

- nell’attuale area “R1 Collina” (sita nella parte sud-est dello stabilimento industriale e adiacente all’area “R2”) erano ubicate vasche di reflui, vasconi di stoccaggio rifiuti vari, vaste aree di deposito rifiuti provenienti dai cicli produttivi dello stabilimento; detta area è stata, inoltre, utilizzata come discarica per i reflui e i rifiuti provenienti dal ciclo di lavorazione dello stabilimento;

- l’area denominata “R2” (sita nella parte sud-est dello stabilimento industriale e adiacente all’area “R1”) era stata adibita a sito di stoccaggio di materiale e residui derivanti dalle lavorazioni effettuate nel plesso industriale.

Così, con le verifiche effettuate si poté accertare che:

- le matrici ambientali dell’area denominata “ex sala celle” (ove era situato l’impianto che, come ricordato, dal 1957 al 1991, era stato utilizzato per la produzione di cloro e soda caustica, tramite l’utilizzo di celle a catodo di mercurio) erano contaminate da significative quantità di mercurio nei terreni e nella falda sottostanti l’area dell’impianto;

- la presenza di contaminanti e, segnatamente, di mercurio derivante dagli scarichi dell’impianto “Cloro – Soda” (dismesso dal 1991), nei sedimenti del canale fluviale dell’area denominata “Basso Mincio” (porzione del sito ricompresa fra il canale di presa dello stabilimento e il fornice di Formigosa).

3. Stabilita la compromissione ambientale la Provincia di Mantova avviò una serie di procedimenti ai sensi dell’art. 244 del codice dell’ambiente, individuando l’odierna ricorrente come responsabile della contaminazione.

Nello specifico, vennero emanate le ordinanze:

- n. 21/255 del 15 ottobre 2012, con cui venne attribuita alla Edison s.p.a. la prevalente responsabilità del superamento delle CSC per il parametro mercurio nei terreni e nelle acque dell’ex impianto Cloro Soda;

- n. PD 879 del 13 giugno 2014, con cui venne attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio generato dalle vasche contenenti fanghi mercuriosi nell’area “L”;

- n. PD 1354 del 28 maggio 2015, con cui venne attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio nell’area situata tra il canale di presa e il fornice di Formigosa;

- n. PD 1390 dell’8 giugno 2015, con cui venne attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio ed idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici, PCB e IPA nell’area “B+I”;

- PD n. 1392 dell’8 giugno 2015, con cui venne attribuita alla Edison s.p.a., in solido con Syndial s.p.a., la responsabilità per la contaminazione da mercurio, idrocarburi leggeri e pesanti, PCDD/PCDF nell’area “N”;

- n. PD 609 del 10 marzo 2015, con cui venne attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio nel Canale Sisma;

- n. PD 703 dell’8 maggio 2017, che attribuì ad Edison la responsabilità per la contaminazione da mercurio, idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici, idrocarburi totali, composti clorurati nell’area “R1 Collina”;

- n. PD 704 dell’8 maggio 2017 che attribuì ad Edison la responsabilità per la contaminazione da mercurio, idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici, composti alifatici clorurati, PCB nell’area “R2”;

- n. PD 985 del 26 ottobre 2020 con cui venne attribuita a Edison la responsabilità del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione dell’area “V – zona Valletta”, zona omogenea separata dal resto del sito perché esterna allo stabilimento e caratterizzata da una parte rialzata, utilizzata come parcheggio, ed una parte bassa, costantemente sommersa da una lama d'acqua (cd zona umida).

4. Le menzionate ordinanze, a eccezione della n. 985/20, furono impugnate dall’odierna ricorrente innanzi a questo TAR che respinse, previa riunione dei ricorsi, tutte le impugnazioni, tranne quella relativa all’ordinanza n. PD 609 del 10 marzo 2015 (riferita alla contaminazione del Canale Sisma) perché quegli avvenimenti erano stati oggetto di una transazione intervenuta con il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2005 (sentenza n. 802 del 9 agosto 2008). La decisione di primo grado è stata confermata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 2195/2020) la cui sentenza è divenuta definitiva a seguito delle decisioni del Consiglio di Stato (sentenza n. 2138 del 12 marzo 2020) e della Corte di Cassazione (ordinanza 8569 del 26 marzo 2021), che hanno rispettivamente dichiarato inammissibili i ricorsi per revocazione e per Cassazione, per ragioni attinenti alla giurisdizione, proposti dalla ricorrente.

5. Con ricorso n. 18/21, notificato il 24 dicembre 2020 e depositato il successivo 12 gennaio 2021, la ricorrente ha impugnato l’ordinanza provinciale PD 985/20, chiedendone l’annullamento perché asseritamente illegittima. Il ricorso è stato successivamente integrato da motivi aggiunti, con cui il ricorrente ha impugnato tutti i provvedimenti consequenziali e integrativi di quello oggetto del ricorso introduttivo, ivi compresa l’ordinanza PD 453/21, che ne ha integrato il contenuto.

La controversia è stata definita con la sentenza n. 984 del 21 ottobre 2022, con cui questo TAR ha respinto il ricorso del ricorrente; il provvedimento è stato impugnato e il giudizio è attualmente pendente innanzi al Consiglio di Stato.

6. Il presente giudizio ha, invece, ad oggetto il tratto del cavo San Giorgio situato in fregio all’Area Valletta il quale, proprio come l’area de qua, è risultato contaminato da varie sostanze inquinanti, tra cui mercurio e idrocarburi C>12.

7. Il 19 ottobre 2011 la Provincia avviò il procedimento di individuazione del responsabile della contaminazione; la comunicazione venne rinnovata il 21 ottobre 2021, in modo da estendere il contraddittorio al Consorzio di Bonifica Territori del Mincio, proprietario dell’area erroneamente pretermesso, e il procedimento si concluse il 7 dicembre 2021 con il provvedimento che ha ritenuto responsabili della contaminazione l’odierna ricorrente e la società Versalis s.p.a.: la prima, nella sua veste di responsabile dell’inquinamento dell’area V, la cui contaminazione si è successivamente estesa a quella in esame, e la seconda perché, in quanto proprietaria dell’area V, non avrebbe adottato tempestivamente le misure di prevenzione finalizzate ad impedire il dilavamento del rilevato, l’erosione della scarpata e la conseguente diffusione della contaminazione a valle fino Cavo San Giorgio (ordinanza n. 1431).

8. Con ricorso, notificato il 7 febbraio 2020 e depositato il successivo 10 febbraio, la ricorrente ha impugnato il provvedimento de quo, unitamente a quelli ad esso prodromici, perché asseritamente illegittimi; con ricorso 184/2022, Versalis s.p.a ha essa pure impugnato il provvedimento in esame.

9. Le amministrazioni resistenti si sono costituite nei termini di legge e, in prossimità dell’udienza di merito, le parti hanno depositato documenti, memorie conclusionali e di replica nei termini di rito.

10. All’udienza pubblica del 24 maggio 2023 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la violazione del contraddittorio perché, nonostante la Provincia abbia riavviato il procedimento il 21 ottobre 2021, il provvedimento impugnato si fonderebbe su dati raccolti prima di tale data, senza contare che l’amministrazione procedente avrebbe sostanzialmente impedito alla ricorrente di partecipare al procedimento in quanto essa, che asserisce di non aver mai riveduto l’originaria comunicazione ex art. 7 della legge 241/90 del 2011, avrebbe avuto accesso alla documentazione de qua solo il 26 novembre 2021 e il provvedimento sarebbe stato emanato il successivo 7 dicembre.

La censura è stata ulteriormente approfondita nel sesto motivo del ricorso in cui la ricorrente ha evidenziato che la sua sostanziale pretermissione dal procedimento si porrebbe, altresì, in contrasto anche con i principi di cui all’artt. 6 della CEDU e 41 della CDFUE.

Il motivo è infondato.

In primo luogo il Collego è tenuto a evidenziare che, per giurisprudenza costante, «le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo ex art. 7, l. n. 241/1990 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del procedimento, l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto lo scopo cui tende siffatta comunicazione» (ex multis Consiglio di Stato sez. V, 20 febbraio 2020, n. 1290).

Ciò posto, il Collegio ritiene, in primo luogo, inverosimile che la Provincia non abbia comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento de quo nel 2011, anche perché essa ha successivamente verificato l’integrità del contraddittorio procedimentale, coinvolgendo i soggetti originariamente ed erroneamente pretermessi, attività che ben avrebbe potuto essere effettuata anche nei confronti dell’odierna ricorrente, qualora fosse stato accertato che essa non aveva ricevuto l’originaria comunicazione. Ipotesi che appare ancora più inverosimile se si considera che la società Edison s.p.a. compare per prima nell’elenco dei destinatari della comunicazione e nessuno degli altri soggetti in indirizzo ha negato il suo ricevimento.

A ciò si aggiunga che il provvedimento di individuazione del responsabile della contaminazione dell’area “V – Valletta” (ordinanza PD/985/2020), pacificamente conosciuto dalla ricorrente che lo ha addirittura impugnato con il ricorso 18/21, dà espressamente atto, a pagina 2, che «per il “Cavo San Giorgio”, nel tratto che corre adiacente all' “Area V”, si è proceduto con un distinto avvio procedimento per l'individuazione del responsabile dell'inquinamento (nota Provincia di Mantova prot. n. 55203 del 25/10/2011)» e, quindi, quanto meno dalla data di notificazione dell’ordinanza de qua la ricorrente era a conoscenza del procedimento di cui si discorre.

Inoltre, nel momento in cui la Provincia ha riavviato il procedimento de quo, per coinvolgere il Consorzio di Bonifica Territori del Mincio, la ricorrente avrebbe potuto richiedere una dilazione dei termini procedimentali per poter adeguatamente controdedurre, anziché limitarsi ad asserire, nella propria istanza di accesso agli atti, di non aver ricevuto l’originaria comunicazione di avvio del procedimento; richiesta che poteva esse formulata anche il 26 novembre 2021, all’esito dell’accesso agli atti.

Si rammenta che «il principio di efficienza, di autoresponsabilità e di leale collaborazione che sempre deve improntare i rapporti tra potere pubblico e privato, infatti, non può che valere bilateralmente, creando non solo diritti in favore dei cittadini istanti ma anche reciproci oneri oltre che obblighi a carico di quest'ultimi e dell'Amministrazione» (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 24 gennaio 2022, n. 460), il che, contestualizzato nel caso di specie, implica l’impossibilità per la ricorrente di dolersi ex post dell’insufficienza del termine per controdedurre e della sua sostanziale esclusione dal procedimento, in assenza di un’apposita richiesta volta alla concessione di ulteriore tempo per meglio argomentare le proprie difese.

Infine, anche se la ricorrente fosse stata illegittimamente pretermessa, il provvedimento non sarebbe comunque annullabile in virtù del disposto dell'art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della l. n. 241 del 1990, il quale è stato interpretato dalla giurisprudenza maggioritaria nel senso che spetta al ricorrente, che eccepisce l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, indicare gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto in sede procedimentale e che sarebbero stati idonei ad incidere sulla determinazione dell'Amministrazione e, solo dopo, quest’ultima sarà gravata dal ben più consistente onere di dimostrare che, anche ove quegli elementi fossero stati valutati, il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe mutato (ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 20 ottobre 2020, n. 6333).

Ipotesi, questa, che il Collegio non ravvisa nel caso di specie, sia perché nel motivo del ricorso dedicato alla censura in esame la ricorrente si è limitata ad asserire che «l’accertamento della responsabilità ambientale non può che muovere da una corretta rappresentazione dei fatti e da una puntuale ricostruzione tecnica del fenomeno della contaminazione, emerge chiaramente, sotto il profilo istruttorio, l’essenzialità dell’apporto di tutti i soggetti coinvolti per giungere a una decisione che identifichi e imponga obblighi rimediali, nel rispetto della sfera giuridica dei privati e secondo il principio del perseguimento del pubblico interesse», sia alla luce delle considerazioni contenute nei successivi paragrafi, in cui si dimostrerà che le argomentazioni difensive della ricorrente sono inidonee a inficiare le conclusioni dell’amministrazione procedente: e, comunque, che l’omissione di un avviso d’avvio procedimentale nel 2011 possa aver pregiudicato, alla fine del 2021, le potenzialità difensive di un’impresa che certo non può immaginarsi sprovveduta, e con riferimento ad un sito notoriamente segnato da un grave e pluridecennale condizione d’inquinamento diffuso, è più impossibile che improbabile.

Poiché, quindi, il Collegio non ritiene che l’amministrazione procedente abbia leso le garanzie procedimentali dell’odierna ricorrente, il motivo è infondato e deve essere respinto.

2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente, dopo aver premesso che il provvedimento impugnato postulerebbe la sua responsabilità per l’inquinamento dell’area “V” del SIN, il quale si sarebbe successivamente esteso sino al Cavo San Giorgio, censura il fatto che il provvedimento impugnato sarebbe contrario ai principi di legalità e di irretroattività della legge nella misura in cui le imporrebbe la prosecuzione dell’attività di bonifica a fronte di fenomeni di inquinamento verificatisi in tempi remoti e, comunque, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 22/1997 il quale, introducendo per la prima volta nella legislazione nazionale la previsione di obblighi di carattere rimediale a carico di titolari di impianti industriali, avrebbe reso illeciti comportamenti che, fino a quel momento, dovevano ritenersi leciti e, pertanto, non sanzionabili: impostazione, questa, che sarebbe ulteriormente avvalorata dalla decisione della Corte di Cassazione, Sez. III, 25 novembre 2021, n. 36651.

In subordine, sempre a dire della ricorrente, qualora si ritenesse il carattere retroattivo degli obblighi di bonifica de quibus, gli artt. 242 e 244 del d.lgs. n. 152 del 2006 (su cui si fonda il provvedimento impugnato) sarebbero costituzionalmente illegittimi, perché in contrasto con gli artt. 7 e 1, prot. 1, della CEDU, in relazione all'art. 117, comma 1, Cost.; con l'art. 3 Cost., per violazione dei principi generali di irretroattività della legge, di certezza giuridica e di legittimo affidamento, nonché con l'art. 41, comma 1, Cost..

L'applicazione retroattiva di tali obblighi sarebbe, altresì, incompatibile con il principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” di cui all'art. 191, par. 2 del TFUE (recepito dall'ordinamento nazionale dall'art. 3-ter del d.lgs. 152/2006), posto che contrasterebbe con la sua ratio preventiva e deterrente, oltre che con i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.

Il motivo è infondato.

Per consolidato orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, anche prima dell'introduzione, con l'art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (c.d. decreto Ronchi), dell'istituto della bonifica, il danno all'ambiente costituiva un illecito civile, per cui può senz'altro opinarsi che, nell'ipotesi, non sussiste alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell'illecito, bensì l'applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell'ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto (ex multis Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 ottobre 2019, n. 10).

Sulla base di tale esegesi, risulta del tutto irrilevante, essendo stato accertato un vulnus al bene ambiente, la prospettazione secondo cui la normativa vigente all'epoca dei fatti non avrebbe vietato le condotte de quibus.

D'altra parte, accedere alla tesi secondo la quale le contaminazioni "storiche" non potrebbero mai porre in capo al loro autore un obbligo di bonifica, determinerebbe la paradossale conclusione che tali attività, essenziali per la tutela della salute e dell'ambiente, debbano essere poste a carico della collettività anziché del soggetto che, non solo le ha poste in essere, ma che ne ha addirittura beneficiato.

Ciò posto, è, quindi, del tutto ragionevole porre l'obbligo di bonifica in capo al soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (derivanti, in particolare, dall'omissione delle spese necessarie per impedire o, quanto meno, per mitigare l'immissione nell'ambiente di sostanze inquinanti).

L'ambiente è, infatti, oggetto di protezione costituzionale diretta (art. 9) ed indiretta (art. 32), in virtù di norme non meramente programmatiche, ma precettive, che, come tali, impongono l'ascrizione all'area dell'illecito giuridico di ogni condotta lesiva del bene protetto, tanto più se posta in essere nello svolgimento di attività intrinsecamente pericolose e nell'ambito di un'iniziativa imprenditoriale, che, in quanto costituzionalmente conformata dal canone del rispetto della "utilità sociale" (art. 41), è inter alia vincolata alla salvaguardia della salubrità dell'ambiente, la cui compromissione è evidentemente contraria alla "utilità sociale" (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 172).

Impostazione, questa, che si pone, altresì, in linea di continuità con la decisione di appello sulle analoghe ordinanze (Consiglio di Stato sent. n. 2195/2020) in cui, con un iter motivazionale del tutto analogo a quello enunciato, è stato sancito, tra l’altro, che «il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico (art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione».

Né tale tesi può essere in alcun modo confutata dalla recente decisione della Corte di Cassazione (Sez. III, 25 novembre 2021, n. 36651) la quale, a dire della ricorrente, mutando il proprio tradizionale orientamento sul punto, avrebbe sancito l’irretroattività degli obblighi di bonifica, atteso che i principi in essa enunciati devono essere interpretati alla luce delle peculiarità del caso concretamente esaminato.

La fattispecie de qua riguardava, infatti, un’ipotesi in cui non vi era stata alcuna individuazione da parte dall’autorità competente «dei soggetti responsabili dell'inquinamento secondo le procedure di cui all'art. 17 Decreto Ronchi» e il giudice di appello aveva tratto la responsabilità oggettiva, direttamente «dall'art. 17, comma 2 Decreto Ronchi», quale fonte di onere reale dell’area nonché di responsabilità oggettiva ex lege.

Per tali ragioni la Corte di Cassazione ha sancito che l'irretroattività non era superabile «in relazione a questa peculiare fattispecie di responsabilità oggettiva» evidenziando, al contempo, che «laddove sia inapplicabile il d.lgs. n. 152 del 2006 - normativa che espressamente dichiara non retroattiva (ed è il Decreto legislativo succeduto a quello Ronchi, c.d. Codice Ambiente)-, la responsabilità del proprietario del sito contaminato, accertato il nesso causale tra la sua attività e l'inquinamento, è disciplinata dall'art. 17 Decreto Ronchi, che gli impone il recupero, e, per il periodo antecedente all'entrata in vigore di tale Decreto, dall'art. 2050 c.c».

Principio di diritto, questo, che si pone in linea di continuità sia con la decisione del Consiglio di Stato 2195/2020 (nella parte in cui evidenzia che «il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico (art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione»), sia con i recenti approdi della giurisprudenza amministrativa, secondo cui «l'inquinamento derivante da materiali di risulta delle lavorazioni chimiche permane nel tempo e non incide sugli oneri di bonifica. L'obbligo di bonifica dei siti inquinati, previsto all'inizio dall'art. 17 d.lgs. n. 22/1997 (poi sostituito dal d.lgs. n. 152/2006), può infatti trovare applicazione anche a fenomeni di inquinamento verificatisi prima della sua entrata in vigore alla sola condizione, presente nel caso di specie, che l'evento "compromissione ambiente" sia ancora attuale» con la conseguenza che «le disposizioni di cui agli artt. 242 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 vanno interpretate nel senso che l'obbligo di adottare le misure dirette a fronteggiare la situazione di inquinamento incombe su colui che di tale situazione sia responsabile per avervi dato causa» (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 febbraio 2022, n. 1388).

Sul punto il Collegio evidenzia, infatti, che anche prima dell’introduzione, con il decreto Ronchi, dell’obbligo di bonifica, il medesimo risultato poteva essere raggiunto mediante l’istituto di carattere generale della reintegrazione in forma specifica, prevista dall’art. 2058 c.c., che doveva ritenersi applicabile in virtù del rapporto di alternatività con il rimedio dell'equivalente monetario previsto in caso di illecito aquiliano, sub specie da attività pericolose, ex art. 2050 cc.

In conclusione, quindi, per giurisprudenza pressoché unanime, le norme in materia di obblighi di bonifica non sanzionano ora per allora, la (risalente) condotta di inquinamento, ma pongono attuale rimedio alla (perdurante) condizione di contaminazione dei luoghi, per cui l’epoca di verificazione della contaminazione è, ai fini in discorso, del tutto indifferente.

2.1. Alla luce delle considerazioni esposte, il Collegio ritiene di non dare seguito all’istanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per violazione degli artt. 7 e 1, prot. 1, della CEDU, in relazione all'art. 117, comma 1, Cost.; con l'art. 3 Cost., per violazione dei principi generali di irretroattività della legge, di certezza giuridica e di legittimo affidamento nonché con l'art. 41, comma 1, Cost., perché la reputa irrilevante oltre che manifestatamente infondata.

L’amministrazione procedente non ha, infatti, applicato retroattivamente la normativa in materia di obblighi di bonifica alle fattispecie di “contaminazioni storiche”, con la conseguenza che la questione de qua, oltre che irrilevante è, altresì, manifestatamente infondata poiché basata sull'erroneo presupposto secondo cui l'imposizione degli obblighi di bonifica anche a fattispecie di inquinamento "storico" implicherebbe una applicazione “retroattiva” della normativa sopravvenuta.

2.3. Per le medesime ragioni il Collegio ritiene di non dover dare seguito all’istanza di rimessione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea perché la normativa nazionale, così interpretata, sarebbe incompatibile con il principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” di cui all'art. 191, par. 2 del TFUE (recepito dall'ordinamento nazionale dall'art. 3-ter del d.lgs. 152/2006), oltre che con i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.

Sul punto si evidenzia, in primo luogo che, il principio "chi inquina paga" (ora sancito dall'art. 191 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea e dall'art. 3-ter del d.lgs. n. 152 del 2006) ha proprio lo scopo di assicurare che i costi dei danni causati all'ambiente ricadano sui soggetti responsabili piuttosto che sulla collettività o su soggetti che, seppur incolpevoli, si trovano in una qualche relazione materiale o giuridica con il sito inquinato.

Il Collegio condivide, inoltre, il rilievo espresso dal Consiglio di Stato nella decisione n. 2195/2020, secondo cui «il fatto che le direttive europee in materia di obblighi di bonifica disciplinino solo fatti commessi dopo la rispettiva entrata in vigore, in quanto il diritto dell'Unione non esclude la possibilità per i legislatori nazionali di introdurre regimi di maggior tutela dell'ambiente, correlando obblighi di bonifica anche a contaminazioni storiche» e che il generale principio di tutela dell'affidamento, che, invero, è da riferirsi all'affidamento incolpevole è «chiaramente non predicabile con riferimento al soggetto che, a suo tempo, abbia consapevolmente posto in essere, nell'esercizio di attività giuridicamente qualificabili come pericolose, condotte che, a prescindere da specifiche disposizioni di settore all'epoca in vigore, avevano un'oggettiva, intrinseca ed evidente capacità, quanto meno potenziale, di determinare, aggravare o, comunque, agevolare la contaminazione dell'ambiente».

3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente censura il difetto di istruttoria, in primo luogo perché l’amministrazione procedente non avrebbe considerato che il Cavo San Giorgio, prima di giungere nell’area prossima all’area “V”, scorrerebbe in fregio a buona parte del SIN, e, pertanto, l’assunto secondo cui la ricorrente avrebbe generato tale inquinamento, perché responsabile della contaminazione dell’area “V”, sarebbe privo di un adeguato substrato probatorio, tant’è che diversi verbali di conferenze di servizi, tenutesi presso l’allora MATTM tra il 2009 e il 2017, evidenzierebbero diverse possibili fonti di contaminazione.

Inoltre, sempre a dire della ricorrente, l’istruttoria della Provincia si fonderebbe su dati inidonei a definire in modo rappresentativo lo stato di contaminazione dell’area, anche perché vi sarebbero delle discordanze tra i dati raccolti da ARPA e quelli di Sogesid e comunque essi, essendo risalenti nel tempo, sarebbero inadeguati a descrivere un ambiente fortemente dinamico come quello in esame

La ricorrente censura, poi, il provvedimento impugnato nella parte in cui sostiene che la disconnessione idraulica dell’area V dal Cavo San Giorgio non ne avrebbe impedito la contaminazione. Asserzione che, a suo dire, sarebbe contraddetta degli studi condotti dal Politecnico di Milano per conto di Versalis, che avrebbero dimostrato che le precipitazioni meteoriche non raggiungerebbero una velocità sufficiente per far fuoriuscire le particelle contaminate del terreno.

Il motivo è infondato.

Sul punto il Collegio ritiene doveroso premettere che, per giurisprudenza consolidata, ai fini dell'accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra attività industriale svolta nell'area e il suo inquinamento, occorre utilizzare il canone civilistico del “più probabile che non”, con la conseguenza che l'individuazione del responsabile può basarsi anche su presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c. (ex multis, T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 6 marzo 2020, n. 202).

Ne consegue che qualora l'Amministrazione fornisca elementi indiziari sufficienti a dimostrare, sebbene in via presuntiva, l'ascrivibilità dell'inquinamento a un soggetto, spetta a quest'ultimo l'onere di fornire una prova liberatoria, per la quale non è sufficiente ventilare genericamente il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività, bensì è necessario provare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi la causazione dell'inquinamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5668).

Si rammenta, inoltre, che «nelle materie tecnico scientifiche - quale è indubbiamente quella in esame, relativa in generale alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento - si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori» (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 6 giugno 2022, n. 4587).

Ciò posto, il Collegio non ritiene che la ricorrente abbia assolto al menzionato onere probatorio.

Il convincimento dell’amministrazione procedente si basa, in primo luogo, sul fatto che, sulla base alle ricostruzioni storiche condotte dalla società Versalis s.p.a, è verosimile che lo scarico del cloro-soda recapitasse sostanze inquinanti nell’“Area V”, che, a loro volta, finivano nel Cavo San Giorgio, in quanto le due aree erano tra loro interconnesse da una fitta rete di canaline; ipotesi poi confermata dai successivi approfondimenti istruttori.

Nello specifico, il 29 settembre 2010 la locale ARPA, dopo aver dato atto che l’area V-Valletta era contaminata da mercurio e idrocarburi, ha ritenuto che l’inquinamento del canale Cavo San Giorgio derivasse dalla dispersione delle sostanze contaminati (mercurio; PCDD/PCDF, idrocarburi C>12 e PCB) presenti nei materiali di riporto presenti nel parcheggio dell’area V (nota numero 134704 del 29 settembre 2010).

Ciò posto - premesso che la responsabilità della ricorrente per l’area “V-Valletta” è stata accertata con l’ordinanza provinciale PD 985/20, così come integrata dalla successiva ordinanza PD 453/21, la cui legittimità è stata sancita dalla sentenza di questo TAR n. 984 del 21 ottobre 2022 - la correlazione tra l’inquinamento dell’area de qua e quella del cavo San Giorgio deriva:

- dal fatto che l’area de qua è posta in fregio all’area Valletta, ai piedi della scarpata morfologica del parcheggio ed è contaminata dagli stessi inquinati presenti nell’area “V” che sono, tra l’altro, stati impiegati nel ciclo produttivo dello stabilimento dell’odierna ricorrente;

- dalla «relazione tecnica relativa ai risultati delle indagini integrative al piano di caratterizzazione dei terreni eseguite presso il sito Polimeri Europa di Mantova nel periodo agosto 2004 - marzo 2005» del 20 giugno 2006, dal verbale dell’incontro del Comitato di Coordinamento locale tenutosi presso il Ministero dell’ambiente del 1° febbraio 2017 e dal parere ARPA, prot. min. 5690, di pari data, in cui si dà espressamente atto della connessione esistente tra la zona valletta e il Cavo san Giorgio;

- dal fatto che il 31 agosto 2018 si è svolto un incontro tecnico, presso gli uffici dell’ARPA di Mantova, all’esito del quale era stato richiesto, per quanto qui di interesse, alla società Versalis di integrare la caratterizzazione effettuata, al fine di dettagliare meglio l’estensione e la natura della contaminazione presente nei sedimenti del Cavo San Giorgio, ma l’ente si è reso disponibile a campionare solo i sedimenti presenti all’interno dell’Area V, in quanto unica di sua proprietà;

- dalla nota, n. prot. 38834, datata 8 marzo 2019, in cui ARPA Lombardia, dopo aver dato atto del livello di contaminazione dell’area V, ha evidenziato che «poiché le canaline di scolo, attraverso tubi di grande dimensione, comunicano con l'esterno dell'area V, in particolare con il canale Cavo S.Giorgio, i sedimenti contaminati possono essere trasportati all'esterno, come in effetti è stato accertato nell'ambito delle indagini svolte da Sogesid e validate da ARPA con nota prot. n. 134704 del 29/09/2010 che hanno interessato i sedimenti del canale Cavo S. Giorgio e delle aree umide dell'Az. Agricola Cascina Le Betulle» e, pertanto, «alla luce dei risultati delle indagini di caratterizzazione dei sedimenti dell'area umida in area V ,che hanno messo in evidenza la presenza di un meccanismo attivo di trasporto di sostanze contaminanti, si ritiene che, oltre a bloccare il passaggio di acqua attraverso le tubazioni di grande diametro che mettono in comunicazione l'area V con il Cavo San Giorgio (come proposto dalla Società con nota DIR 484/218 del 9/11/2018), debbano essere messe in atto specifiche misure di messa in sicurezza d'emergenza/prevenzione per evitare i fenomeni erosivi dalla zona parcheggio e dalla zona intermedia con la conseguente rideposizione a valle di sedimenti contaminati» , nonché che «non potendo evitare le periodiche inondazioni e i conseguenti riflussi di acqua torbida in occasione di eventi di piena eccezionali del Fiume Mincio, con livelli idrici superiori alle quote arginali (15,4 m s.l.m.), si ritiene che debbano essere previsti interventi di asportazione dei sedimenti contaminati, oltre che nel canale Cavo San Giorgio, anche dal fondo delle canaline di scolo presenti in area V». Il documento ha, inoltre, ritenuto non condivisibili le conclusioni del Politecnico di Milano (nello studio denominato “Area Valletta in prossimità dello stabilimento di Versalis S.p.A. in Mantova Studio idraulico-morfologico”), nella parte in cui escludono che il sedimento contaminato fuoriesca dall'area Valletta, in quanto contraddette dalle analisi dei sedimenti del canale Cavo San Giorgio;

- dalla nota, prot. DIR n. 269/2019 del 1° ottobre 2019, in cui la società Versalis ha dato espressamente atto che, sino al 28 gennaio 2019 «l’argine che separa l'area V dal cavo San Giorgio era infatti attraversato da 5 tubazioni di diametro di ca. 1 m, malamente occluse con getti di calcestruzzo, che sono state rimosse, avendo cura di ripristinare l'argine, per garantire così la completa disconnessione idraulica» delle aree de quibus, che, quindi, sino a quel momento formavano un tutt’uno dal punto di vista idraulico.

- dal fatto che il 26 novembre 2019 ARPA Lombardia ha evidenziato che, nonostante i lavori di disconnessione idraulica effettuati dalla società Versalis a gennaio 2019, non era possibile escludere che, in caso di eventi meteorici particolarmente intensi, le acque presenti nell’area “V” possano superare il dislivello creato (1 m., come detto) e tracimare verso i corsi d’acqua esterni, tra cui il Cavo San Giorgio (verbale arpa n. 063088 del 26 novembre 2016);

- dalla nota, prot. p_mn/A001 GE/2020/0023798 del 21 maggio 2020, in cui l’ARPA ha evidenziato che all’interno l’area “V”, comprensiva dell’area Valletta e del cavo san Giorgio, «è presente un fitto reticolo di canaline drenanti che confluiscono verso delle tubazioni di grande diametro (circa 500-600 mm) che, fino a gennaio 2019, mettevano in comunicazione idraulica l’area Valletta con il Cavo S. Giorgio che scarica le proprie acque nel Fiume Mincio e nelle aree umide dell’Azienda Agricola Cascina Le Betulle» nonché che «le indagini svolte nel settembre 2018 hanno evidenziato la diffusa presenza di contaminanti in concentrazioni superiori non solo ai valori PEL proposti per il SIN di Mantova (parere ISS prot.0033061 del 22/7/2010 allegato alla CdS decisoria del 10/10/2011) ma anche alle CSC previste dal D.Lgs. 152/06 Allegato 5 Titolo V Tabella 1 colonna A per i siti ad uso verde pubblico e privato e residenziale per Hg, As, Cd, Cr totale, Ni, Pb, Se, V, Zn, Idrocarburi C>12, PCB e PCDD/PCDF. La presenza di elevate concentrazioni di inquinanti negli strati più superficiali dei sedimenti (0 - 0,5m), soprattutto Mercurio, Idrocarburi pesanti e PCDD/PCDF, indica come in quest’area non siano efficaci i fenomeni di naturale attenuazione dovuti alla progressiva deposizione di sedimenti privi di contaminazione».

A fronte di un articolato quadro probatorio che correla l’inquinamento dell’area “V-Valletta” a quella del Cavo San Giorgio, con conseguente estensione della relativa responsabilità, la ricorrente tenta, in primo luogo, di sostenere che il tracciato del Cavo San Giorgio potrebbe aver intercettato i contaminanti provenienti da altri stabilimenti presenti nel SIN e, pertanto, la sua responsabilità non sarebbe né certa né “più probabile che non”. In particolare, a suo dire, la contaminazione potrebbe derivare dall’area Colori Freddi, che sarebbe stata oggetto di indagine dal 2014 al 2017 ovvero dall’area IES, posta anch’essa a ridosso del corso d’acqua.

L’asserzione è tuttavia priva di pregio ai fini de quibus.

In primo luogo, come visto, il soggetto individuato come responsabile dell’inquinamento non può limitarsi a insinuare il dubbio di una possibile responsabilità di terzi o di un'incidenza di eventi esterni alla propria attività ma deve dimostrare la reale dinamica degli avvenimenti e indicare lo specifico fattore cui debba addebitarsi l'inquinamento.

Inoltre, gli interventi di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti a tutti i soggetti che abbiano, anche solo in parte, generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all'inquinamento da un preciso nesso di causalità (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, (sez. V, 3 febbraio 2022, n. 768). Ne consegue che la ricorrente non potrebbe trarre alcun vantaggio da un’eventuale corresponsabilità delle società indicate, in quanto rimarrebbe comunque responsabile della contaminazione e, come tale, obbligata alla bonifica.

Inoltre, anche a prescindere da ciò, si evidenzia, in linea generale, che dall’esame degli atti di causa è emerso che lo stabilimento Colori Freddi si trova accanto al ramo principale del Cavo ed è situato a notevole distanza dal tratto oggetto di indagine, che fa parte di un reticolo minore dello stesso, denominato “Vecchio Cavo San Giorgio destro - ramo 2”; situazione, questa, che rende, secondo elementari principi di esperienza e ragionevolezza, altamente improbabile che l’area indicata dalla ricorrente abbia contaminato il tratto in esame e maggiormente probabile che il suo inquinamento derivi dall’adiacente area V-Valletta.

Le indagini di ARPA hanno, inoltre, dimostrato che il tratto del Cavo San Giorgio adiacente alla Raffineria IES risulta sì contaminato da idrocarburi pesanti C>12 ma non da mercurio (cfr. nota ARPA prot. n. 154369 del 7 novembre 2012), che è invece presente sia nel tratto oggetto del provvedimento impugnato sia nell’adiacente area “V-Valletta”.

Del pari inidonei a inficiare le conclusioni dell’amministrazione procedente sono, poi, le asserzioni circa le discordanze tra i dati raccolti da ARPA e quelli di Sogesid, nonché il fatto che gli elementi posti a fondamento del provvedimento impugnato non sarebbero più attuali, e, quindi, inidonei ad accertare la contaminazione di un ambiente fortemente dinamico come quello in esame.

Sul punto, occorre rammentare, in primo luogo, che «nelle materie tecnico scientifiche - quale è indubbiamente quella relativa alla tutela dell'ambiente dall'inquinamento - si applica il principio per cui le valutazioni delle autorità preposte sono ampiamente discrezionali, e quindi possono essere sindacate in sede di giurisdizione di legittimità nei soli casi di risultati abnormi o evidentemente illogici e contraddittori; non è invece consentito chiedere al giudice di sostituirvi risultati diversi, fondati ad esempio su una c.t.u. a lui sollecitata, ovvero sulle diverse valutazioni proposte dalle parti, in particolare con il richiamo a studi predisposti da propri esperti» (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 2 maggio 2022, n. 3424).

Ciò posto, con specifico riferimento al caso di specie, si evidenzia che le menzionate discrasie tra i risultati delle analisi sono state rilevate dalla stessa ARPA la quale, con un giudizio immune da censure di ordine logico, dopo aver premesso che «poiché i valori fuori limite solo per ARPA (il doppio di quelli fuori limite solo per il laboratorio Natura) sono relativi esclusivamente a metalli, si potrebbe ritenere che i dati trasmessi da Sogesid (che ha eseguito la totalità delle analisi chimiche) tendano a sottostimare, rispetto ai dati ARPA, la natura della contaminazione e pertanto non sarebbe possibile validare i dati della Ditta, cioè considerare "affidabili" tutti i risultati trasmessi, perché si rischierebbe di perdere utili informazioni sulla reale natura ed estensione della contaminazione», ha ritenuto di poter accettare i risultati de quibus «tenuto conto che i valori discrepanti ARPA fuori/Ditta dentro rappresentano circa il 2,4% della totalità dei valori analitici confrontati e considerato che comunque i campioni risultati contaminati da metalli per ARPA lo sono anche per Sogesid, anche se per altri contaminati»; accettazione che è stata, però, subordinata all’effettuazione di «alcune ulteriori verifiche analitiche atte a definire meglio l'effettiva entità della contaminazione da metalli».

Del pari inidonea a inficiare le conclusioni dell’amministrazione procedente risulta essere l’asserita non attualità dei dati raccolti in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’ambiente in esame non è affatto dinamico ed era alimentato, in via quasi esclusiva, dal collegamento idraulico con l’area V-Valletta, tant’è che, effettuata la disconnessione, il Cavo san Giorgio si è presentato sempre secco (nota prot. DIR n. 269/2019 del 1° ottobre 2019 della società Versalis).

Gli elementi indicati rendono del tutto ragionevole l’affermazione, contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui la mancata bonifica dell’area renderebbe probabile «che tali valori siano addirittura aumentati»; a ciò si aggiunga che, se la ricorrente fosse stata certa del contrario, ben avrebbe potuto effettuare personalmente dei campionamenti nell’area, fornendo, così, un principio di prova sulla fondatezza delle proprie affermazioni.

La ricorrente sostiene, poi, che l’asserzione della Provincia, secondo cui la disconnessione idraulica dell’area V dal Cavo San Giorgio non avrebbe impedito il propagarsi della contaminazione, sarebbe contraddetta degli studi condotti dal Politecnico di Milano per conto di Versalis, che avrebbero dimostrato che le precipitazioni meteoriche non raggiungerebbero velocità sufficienti a determinare la fuoriuscita delle particelle di terreno contaminate.

L’argomento, per quanto suggestivo è del tutto fallace.

In primo luogo, è evidente che la contaminazione del Cavo San Giorgio, accertata nel 2010, ha avuto origine ben prima della disconnessione idraulica e quindi quanto essa era connessa all’area “V-Valletta” da una serie tubi di grande diametro malamente occlusi.

Inoltre, le conclusioni dello studio menzionato si pongono in contraddizione con la nota, prot. 134370 del 22 agosto 2019, in cui ARPA, ha ritenuto che «non si possa escludere la correlazione tra erosione/trasporto solido e contaminazione dei sedimenti superficiali dei canali di scolo presenti nell’area umida dell’Area V» e ha, pertanto, ribadito «la necessità di prevedere specifiche misure di messa in sicurezza/prevenzione per evitare fenomeni erosivi dalla zona parcheggio e dalla zona intermedia, con la conseguente rideposizione a valle di sedimenti contaminati».

In conclusione, alla luce di quanto esposto, il motivo è infondato e deve essere respinto.

4. Con il quarto motivo del ricorso la ricorrente censura la violazione del principio di legalità perché, a suo dire, il combinato disposto degli artt. 239 e 240, comma 1, let. a del d.lgs. 152/06 non consentirebbe l’applicazione della Parte IV, Titolo V del d.lgs. n. 152/2006 ai corpi idrici superficiali o ai sedimenti.

In particolare, per la teoria in esame, il menzionato art. 239 limiterebbe gli interventi di bonifica all’interno di un “sito” che, ai sensi del successivo art. 240, comma 1, let. a, consisterebbe in un’area o porzione di territorio, geograficamente definita e determinata, intesa nelle diverse matrici ambientali (suolo, materiali di riporto, sottosuolo ed acque sotterranee) e comprensiva delle eventuali strutture edilizie e impiantistiche presenti; definizione che non si attaglierebbe al caso di specie.

La ricorrente evidenzia, inoltre, che anche qualora le disposizioni de quibus fossero applicabili al caso di specie, la Provincia avrebbe accertato la contaminazione sulla base di paramenti non previsti dalla legge, come i limiti “PEL”, utilizzati per i sedimenti e che comunque, anche se si ritenesse possibile fissare nuovi limiti soglia con atti amministrativi, essi dovrebbero avere una portata generale, in modo da assicurare un’uniforme applicazione della norma su tutto il territorio nazionale.

Infine, per la ricorrente il mero superamento delle CSC non implicherebbe un’automatica qualificazione del sito come “inquinato” ma richiederebbe che si proceda alla sua caratterizzazione e all’analisi del rischio; senza contare che, nel caso di specie, l’amministrazione procedente avrebbe applicato i parametri previsti per siti ad uso verde/residenziale, che non corrisponderebbero alla reale situazione di fatto dell’area.

Il motivo è infondato.

In primo luogo, l’area ove si trova il Cavo San Giorgio è espressamente collocata all’interno del perimetro del SIN - Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”, così come delimitato dal D.M. 7 febbraio 2003 e dalla cartina ad esso allegata. Del resto, la soluzione prospettata dalla ricorrente appare irragionevole alla luce della strettissima connessione tra l’area “V-Valletta” e il Cavo San Giorgio.

Per quanto concerne, poi, l’asserzione secondo cui l’amministrazione procedente avrebbe accertato la contaminazione utilizzando dei parametri non previsti dalla legge e che, comunque, il mero superamento delle CSC non implicherebbe un’automatica qualificazione del sito come “inquinato”, occorre premettere che la Provincia ha ravvisato una probabile contaminazione dell’area dopo che la locale ARPA aveva accertato il superamento sia dei valori di PEL sia delle CSC per i parametri Mercurio e Idrocarburi pesanti >12.

Nello specifico, la relazione di ARPA, prot. n. 134704 del 29 settembre 2010, ha dato espressamente atto che, «per la valutazione della matrice sedimento, in assenza di limiti specifici nella vigente normativa italiana, in riferimento alle indicazioni di ICRAM ed in analogia con quanto effettuato nelle aree umide vicine già caratterizzate di proprietà Syndial e IES, sono stati adottati, come criterio ecotossicologico di riferimento riconosciuto a livello internazionale, i PEL (Probabile Effect Level) che rappresentano i livelli chimici ai quali corrispondono, con elevata probabilità, effetti tossici nei confronti della vita acquatica. Pertanto i risultati ottenuti sui sedimenti sono stati confrontati coi relativi valori di PEL, quando presenti; negli altri casi si è fatto riferimento alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) previste per siti ad uso verde/residenziale (colonna A tabella 1 all.5 titolo V parte quarta del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.), valori che Sogesid ha utilizzato come riferimento per tutti i parametri chimici ricercati nei campioni di sedimento prelevati».

Dopo aver dato atto della metodologia utilizza, l’Agenzia ha ragionevolmente evidenziato che «la maggior parte dei campioni (circa il 91%) presenta concentrazioni eccedenti i valori presi come riferimento: in particolare si evince una diffusa contaminazione da Idrocarburi pesanti (C>12) e da Mercurio, con concentrazioni che, in alcuni casi (valori evidenziati in grigio) risultano superiori anche ai limiti previsti per siti ad uso industriale/commerciale», affermazione, quest’ultima, che comporta il venir meno anche dell’obiezione della ricorrente, secondo cui l’amministrazione procedente avrebbe usato come parametri di riferimento quelli previsti per siti ad uso verde/residenziale.

Sul punto si evidenzia, inoltre, che la bontà dei paramenti utilizzati è stata confermata dalla conferenza di servizi del 10 ottobre 2011 e del parere dell’ISS ad essa allegato, dal quale si evince sia che il Probable Effect Level (PEL) «tiene conto principalmente del rischio ecotossicologico diretto delle sostanze per gli organismi che vivono nel sedimento (bentonici)», nel senso che i valori di riferimento «non garantiscono la protezione per gli ecosistemi acquatici, ma rappresentano una soglia oltre la quale gli effetti tossici per gli organismi acquatici sono probabili: il rilevamento quindi di concentrazioni inferiori ai PEL non garantisce l'assenza di un rischio ecotossicologico per gli organismi acquatici» sia che «il criterio PEL utilizzato da ISPRA è comunque uno dei criteri che viene utilizzato maggiormente a livello internazionale per la gestione dei sedimenti e rappresenta una soglia oltre la quale gli interventi sulla matrice sedimento sono necessari ed urgenti», considerazioni che sono contenute anche nel parere congiunto ISPRA – ISS (prot. n. 0032726 del 7 ottobre 2010).

A ciò si aggiunga che l’utilizzo di tali paramenti è stato confermato anche durante l’incontro tecnico del 31 agosto 2018 il cui verbale riporta espressamente che «si condividono i valori di concentrazione con i quali effettuare il confronto dei risultati analitici (valori PEL di cui al parere ISS prot.0 033061 del 22/7/2010, allegato alla CdS Decisoria del 10/10/2011 o, in assenza di tale valore, con le CSC previste dal D.L.gs.152/06 Allegato 5 Titolo V della Parte Quarta, Tabella 1, colonna A) ed il protocollo analitico proposto nel documento in esame, si precisa che per i composti volatili (VOC) il campionamento dovrà essere eseguito in maniera puntuale mediante vials».

Si evidenzia, infine, che la censura secondo cui il mero superamento delle CSC non implicherebbe un’automatica qualificazione del sito come “inquinato” è del tutto priva di fondamento perché, come noto, l’art. 244 comma 1 d.lgs. 152/06 sancisce che «le pubbliche amministrazioni che nell'esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla regione, alla provincia e al comune competenti» e che «la provincia, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo». Del resto lo stesso Consiglio di Stato nella decisione n. 2195/2020 ha espressamente affermato che «il superamento delle C.S.C. è motivo sufficiente per l’attivazione del potere provinciale, a tenore del disposto dell’art. 244, comma 1, del codice».

In conclusione, per le ragioni esposte anche il motivo in esame è infondato e deve essere respinto.

5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente asserisce che il provvedimento impugnato non solo sarebbe stato emanato in violazione dell'art. 9 d.m. 471/99, ma apparirebbe, altresì, contraddittorio, illogico nonché viziato da carente istruttoria, posto che, in presenza della dichiarazione del 30 marzo 2001 con cui Enichem si impegnò, pur non essendo responsabile della contaminazione, a bonificare il sito, la Provincia non avrebbe dovuto svolgere ulteriori indagini per individuare altri possibili responsabili dell'inquinamento, anche perché tale attività avrebbe solo ritardato la bonifica.

Il motivo è infondato.

La questione è stata, infatti, approfonditamente esaminata dal Consiglio di Stato nella decisione n. 2195/2020, nella quale è stato condivisibilmente sancito che «il documento è del tutto inconferente ed in toto irrilevante, atteso che l’assunzione volontaria dell’obbligo di bonifica da parte del proprietario interessato non esclude né il potere/dovere dell’Amministrazione di individuare il responsabile dell’inquinamento, né, a fortiori, elide il dovere di quest’ultimo di porre rimedio all’inquinamento stesso (cfr., sul punto, i vigenti articoli 245 e 253 del codice dell’ambiente)».

6.1. Con il settimo motivo del ricorso la ricorrente asserisce che la transazione che avrebbe sottoscritto con il Ministero il 19 ottobre 2005 riguarderebbe l’intero Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”, ivi compresa, quindi, l’area oggetto del presente giudizio.

Il motivo è infondato.

Dall’analisi del menzionato documento si legge, infatti, che l’accordo de quo mira a tacitare «ogni pretesa di risarcimento del danno ambientale di cui all'art. 18 della Legge 349/86 derivato, direttamente o indirettamente, dallo scarico di reflui dallo stabilimento chimico sito in Mantova, loc. Frassine, nel corpo idrico costituito dal canale ex Sisma per tutto il periodo dall'inizio dell'attività dell'impianto fino alla data del 2 giugno 1989», previo il pagamento di una somma pari a euro 12.000.000,00 (dodicimilioni/00).

Inoltre, all’art. 3 della transazione richiamata si legge chiaramente che «il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio accetta gli importi di cui all'articolo 1 e, a fronte dell'obbligazione di pagamento ivi assunta da Edison s.p.a., dichiara di rinunciare irrevocabilmente e incondizionatamente [..] ai diritti e all'azione di cui ai giudizi richiamati ai punti 2., 3., 4., 5. e 6. delle premesse e, in generale, ad ogni pretesa, diritto, ragione e azione di danno, indennizzo o ripristinatoria, per qualsiasi causale o titolo, in relazione all'inquinamento prodotto dagli scarichi idrici sopra menzionati», giudizi che, giova ribadirlo, avevano ad oggetto solo i danni conseguenti allo scarico di reflui nelle acque del canale ex Sisma.

Conclusione, questa, che è, tra l’altro, in linea con la decisione n. 2195/2020 del Consiglio di Stato, la quale ha rilevato, con efficacia di giudicato inter partes, che nella transazione de qua si fa espresso riferimento allo «scarico di reflui nel corpo idrico costituito dal canale ex Sisma per tutto il periodo dall’inizio dell’attività fino alla data del 2 giugno 1989; si precisa che le somme pattuite saranno utilizzate dal Ministero «per la realizzazione degli interventi di cui all’art. 18, comma 9-bis, l. n. 349 del 1986 nel sito inquinato» e si aggiunge che il Ministero rinuncia «ad ogni pretesa, diritto, ragione e azione di danno, indennizzo o ripristinatoria per qualsiasi causale o titolo, in relazione all’inquinamento prodotto dagli scarichi idrici sopra menzionati».

Ne consegue che la menzionata intesa non solo è priva di qualsiasi «elemento testuale o logico-sistematico che induca a ritenere la transazione riferita a tutto il sito de quo» ma anche che «l’oggetto del contratto, infatti, è puntualmente indicato e, dunque, non ne è possibile alcuna estensione, che veicolerebbe una sostanziale violazione della volontà negoziale manifestata dalle parti, testualmente riferita al solo canale Sisma singolarmente considerato. Del resto, le parti non hanno utilizzato espressioni potenzialmente polisense o, comunque, tali da consentire interpretazioni più ampie dell’oggetto dell’accordo, viceversa palesemente riferito (in claris non fit interpretatio) all’inquinamento del solo canale Sisma», con la conseguenza che l’accordo de quo non comprendeva né «i danni ambientali verificatisi in altre parti del sito industriale» né quelli «conseguenti alla contaminazione di corpi d’acqua diversi dal canale Sisma, pur se ad esso fisicamente connessi» (cfr. Consiglio di Stato sent. n. 2195/2020 cit.).

6.2. Nel medesimo motivo la ricorrente asserisce, inoltre, che i provvedimenti impugnati avrebbero dovuto essere disposti a carico dell’ENI s.p.a., posto che la responsabile dell’inquinamento sarebbe la società Montedipe s.p.a., che avrebbe gestito il sito sino al 1989, e il ramo d’azienda interessato sarebbe confluito in società del gruppo ENI e non del gruppo Edison.

La censura è infondata.

Sul punto il Collegio condivide la concezione sostanzialistica di impresa, fatta propria dalla giurisprudenza comunitaria in tema di concorrenza, che applica il principio della prevalenza dell'unità economica del gruppo rispetto alla pluralità soggettiva delle imprese controllate; «nel senso che per le attività poste in essere dalle società figlie la responsabilità si deve estendere anche alle società madri, che ne detengono le quote di partecipazione in misura tale, come nel caso di specie, da evidenziare un rapporto di dipendenza e quindi escludere una sostanziale autonomia decisionale delle controllate stesse» (cfr. T.A.R. Abruzzo, Pescara, sez. I, 20 marzo 2019, n. 86)

Del resto, anche il Consiglio di Stato ha affermato l'applicabilità dei principi sostanzialistici elaborati dalla Corte di Giustizia in materia di concorrenza (nella specie quello della successione economica tra imprese) ai fini dell'individuazione del soggetto obbligato alla bonifica e al ripristino ambientale, proprio in virtù del fatto che essi assicurano l'attuazione del canone fondamentale secondo cui "chi inquina paga" (cfr. Consiglio di Stato sez. V, 5 dicembre 2008, n.6055), atteso che al principio de quo «il quale ispira la disciplina nazionale in tema di distribuzione degli oneri conseguenti ad ipotesi di contaminazione di aree (si tratta della Parte IV - Titolo V del decreto legislativo 152 del 2006 - articoli 240 e seguenti -), anche in ragione della derivazione eurounitaria del principio medesimo (articoli 191 e 192 del TFUE), deve essere riconosciuta valenza inderogabile di normativa di ordine pubblico, in quanto tale insuscettibile di deroghe di carattere pattizio. Ed infatti, in considerazione del preminente complesso di valori sottesi all'enucleazione del richiamato principio e del rango della sua fonte, laddove si ammettesse la possibilità di derogare in via convenzionale al basico criterio di distribuzione del "chi inquina paga", si consentirebbero agevoli elusioni degli obblighi di prevenzione e riparazione imposti dalla pertinente normativa di settore» (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 settembre 2015, n. 4225).

Il Collegio evidenzia, inoltre, che un’eccezione analoga era già stata decisa dal Consiglio di Stato, con efficacia di giudicato tra le parti, nella sentenza n. 2195/2020.

In tale occasione, il giudice di appello ha, infatti, evidenziato che «la cessione del ramo di azienda non determina una vicenda estintiva né a livello soggettivo, né a livello oggettivo: invero, il cedente, quale soggetto di diritto, permane pur dopo la cessione; specularmente, rimangono in capo al cedente le obbligazioni già gravanti sul medesimo prima della cessione» soprattutto in subiecta materia ove «vige la disciplina speciale (emanata in epoca posteriore al codice civile) di cui alla Parte IV - Titolo V del codice dell’ambiente, che assegna decisivo ed esclusivo rilievo, ai fini dell’imputazione degli obblighi di bonifica, all’individuazione dello specifico soggetto che ha causato illo tempore l’inquinamento. Alla stregua di tale speciale disciplina, quindi, il soggetto individuato quale responsabile dell’inquinamento è (e resta) senz’altro tenuto ad eseguire la bonifica, pur se, in epoca successiva agli episodi di contaminazione, abbia ceduto a terzi il ramo di azienda. Il fenomeno della traslazione dell’obbligo di bonifica a carico del successore, cui fa cenno il ricorrente, si ha, invece, soltanto nel diverso e particolare caso di successione a titolo universale, ossia allorché si sia verificata l’estinzione soggettiva del cedente (si pensi all’incorporazione)», atteso che, solo in tali ipotesi, «la responsabilità per l’inquinamento e, quindi, il connesso dovere di bonifica passano in capo al successore in universum jus».

Alla luce delle considerazioni svolte anche tale censura è infondata e deve essere respinta.

7. In conclusione, alla luce di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che quantifica in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, a favore del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, a favore della Provincia di Mantova e in altrettanti euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, a favore del Comune di Mantova; compensa le spese tra Versalis s.p.a. e tutte le parti in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del 24 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Angelo Gabbricci, Presidente

Ariberto Sabino Limongelli, Consigliere

Luca Pavia, Referendario, Estensore