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SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione) 15 luglio 2004
«Convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento (convenzione di Barcellona) – Protocollo relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall'inquinamento di origine tellurica – Art. 6, n. 3 – Autorizzazione di scarico – Effetto diretto»

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Nel procedimento C-213/03,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, dalla Cour de cassation (Francia) nella causa dinanzi ad essa pendente tra

Syndicat professionnel coordination des pêcheurs de l'étang de Berre et de la région

e

Électricité de France (EDF),

domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 6, n. 3, del protocollo relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall'inquinamento di origine tellurica, sottoscritto ad Atene il 17 maggio 1980, approvato con la decisione del Consiglio 28 febbraio 1983, 83/101/CEE (GU L 67, pag. 1), nonché dell'art. 6, n. 1, dello stesso protocollo, quale modificato nel corso della conferenza dei plenipotenziari tenutasi a Siracusa il 7 e l'8 marzo 1996, modifiche approvate con la decisione del Consiglio 22 ottobre 1999, 1999/801/CE (GU L 322, pag. 18),



LA CORTE (Seconda Sezione),


composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai sigg. C. Gulmann, J.-P. Puissochet, J.N. Cunha Rodrigues e R. Schintgen (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: sig.ra M. Múgica Arzamendi, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:


per il Syndicat professionnel coordination des pêcheurs de l'étang de Berre et de la région, dal sig. W. Viscardini, avvocato;


per Électricité de France (EDF), dai sigg. O. Coutard e M. Mayer, avvocati;


per il governo francese, dai sigg. G. de Bergues e E. Puisais, in qualità di agenti;


per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. G. Valero Jordana e B. Stromsky, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali del Syndicat professionnel coordination des pêcheurs de l'étang de Berre et de la région, di Électricité de France, del governo francese e della Commissione, all'udienza del 10 marzo 2004,

vista la decisione presa, sentito l'avvocato generale, di decidere la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente



Sentenza


1
Con sentenza 6 maggio 2003, pervenuta in cancelleria il 19 maggio successivo, la Cour de cassation (Corte di Cassazione) (Francia) ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, due questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione dell’art. 6, n. 3, del protocollo relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica, sottoscritto ad Atene il 17 maggio 1980, approvato con la decisione del Consiglio 28 febbraio 1983, 83/101/CEE (GU L 67, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo»), nonché dell’art. 6, n. 1, dello stesso protocollo, quale modificato nel corso della conferenza dei plenipotenziari tenutasi a Siracusa il 7 e l’8 marzo 1996, modifiche approvate con la decisione del Consiglio 22 ottobre 1999, 1999/801/CE (GU L 322, pag. 18; in prosieguo: il «protocollo modificato»).

2
Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di una controversia tra il Syndicat professionnel coordination des pêcheurs de l’étang de Berre et de la région (sindacato professionale di coordinamento dei pescatori dello stagno di Berre e della regione; in prosieguo: il «coordinamento dei pescatori») e l’Électricité de France (in prosieguo: l’«EDF») vertente su scarichi effettuati dalla centrale idroelettrica di Saint-Chamas (Francia) nello stagno di Berre.


Contesto normativo

3
La convenzione per la protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento, sottoscritta a Barcellona il 16 febbraio 1976 (GU 1977, L 240, pag. 3; in prosieguo: la «convenzione»), è stata conclusa dalla Comunità economica europea con la decisione del Consiglio 25 luglio 1977, 77/585/CEE (GU, L 240, pag. 1).

4
L’art. 2, lett. a), della convenzione definisce il termine «inquinamento» come segue:

«(...) l’introduzione diretta o indiretta, da parte dell’uomo, di sostanze o di energia nell’ambiente marino, quando essa comporti effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, rischi per la salute umana, ostacoli alle attività marittime, compresa la pesca, deterioramento della qualità delle acque marine sotto il punto di vista del loro impiego non ché lo scadimento delle attrattive dei luoghi».

5
Ai sensi dell’art. 4, n. 1, della convenzione:

«Le parti contraenti prendono, individualmente o congiuntamente, ogni misura idonea conforme alle disposizioni della presente convenzione o dei protocolli in vigore, di cui esse sono parti, per prevenire, diminuire e combattere l’inquinamento nella zona del Mare Mediterraneo e per proteggere e migliorare l’ambiente marino in tale zona».

6
L’art. 8 della convenzione precisa:

«Le parti contraenti adottano ogni misura idonea a prevenire, ridurre e combattere l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto agli scarichi dei corsi d’acqua, degli stabilimenti costieri e degli emissari, o provocati da qualsiasi altra fonte situata nel loro territorio».

7
Nello stesso senso l’art. 1 del protocollo stabilisce quanto segue:

«Le parti contraenti (…) prendono ogni misura idonea a prevenire, ridurre, combattere e tenere sotto controllo l’inquinamento della zona del Mare Mediterraneo dovuto agli scarichi dei corsi d’acqua, degli stabilimenti costieri e degli emissari o provocati da qualsiasi altra fonte situata nel loro territorio».

8
Ai sensi dell’art. 3, lett. c), del protocollo:

«La zona alla quale si applica il presente protocollo (in prosieguo denominata: la “zona di cui al protocollo”) comprende:

(...)

c) gli stagni salati comunicanti con il mare».

9
L’art. 4, n. 1, lett. a), prevede che il protocollo si applica «agli scarichi inquinanti che provengono da fonti terrestri situate sul territorio delle parti e che raggiungono la zona di cui al protocollo,


direttamente, da emissari nel mare, ovvero da depositi o da scarichi effettuati sulla costa o a partire dalla stessa;


indirettamente, attraverso fiumi, canali o altri corsi d’acqua, comprese le falde sotterranee, ovvero per ruscellamento».

10
Ai sensi dell’art. 6, nn. 1 e 3, del protocollo:

«1. Le parti si impegnano a ridurre rigorosamente l’inquinamento di origine tellurica della zona di cui al protocollo, provocato dalle sostanze o fonti elencate nell’allegato II del presente protocollo.

(…)

3. Gli scarichi sono rigorosamente assoggettati al rilascio, da parte delle competenti autorità nazionali, di un’autorizzazione che tenga debitamente conto delle disposizioni di cui all’allegato III (...)».

11
Ai sensi dell’art. 7, n. 1, lett. e), del protocollo:

«Le parti elaborano e adottano progressivamente, in cooperazione con le competenti organizzazioni internazionali, linee direttrici ed eventualmente norme o criteri comuni per quanto riguarda in particolare:

(...)

e)
le prescrizioni particolari per i quantitativi scaricati delle sostanze elencate negli allegati I e II, la loro concentrazione negli effluenti ed i metodi applicati per lo scarico».

12
Dai punti 11 e 13 della sezione A dell’allegato II del protocollo risulta che rientrano nel regime previsto dall’art. 6 di quest’ultimo le «[s]ostanze che hanno direttamente o indirettamente un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino, in particolare quelle che possono essere all’origine di fenomeni di eutrofizzazione», e le «[s]ostanze che, pur non essendo tossiche per natura, possono diventare nocive per l’ambiente marino e possono disturbare, a causa delle quantità scaricate, gli usi legittimi del mare».

13
La sezione B dell’allegato II precisa:

«Il controllo e la rigorosa restrizione dello scarico delle sostanze elencate nella sezione A vanno attuati in conformità dell’allegato III».

14
L’allegato III del protocollo elenca i fattori da prendere in considerazione «[a]i fini del rilascio dell’autorizzazione allo scarico di rifiuti contenenti sostanze che figurano nell’allegato II (…)». Pertanto, gli Stati parti devono tener conto delle «[c]aratteristiche e [della] composizione del rifiuto», delle «[c]aratteristiche dei costituenti del rifiuto dal punto di vista della nocività», delle «[c]aratteristiche del luogo di scarico e dell’ambiente marino ricettore», della «[d]isponibilità di tecniche in materia di rifiuti» e, infine, dei «[p]ossibili pregiudizi per gli ecosistemi marini e gli usi dell’acqua marina».

15
Ai sensi dell’art. 3, lett. d), del protocollo modificato, che corrisponde all’art. 3, lett. c), del protocollo, la zona alla quale quest’ultimo si applica comprende:

«(...)

d) [l]e acque salmastre, le acque salate costiere, compresi gli stagni e le lagune costiere, e le falde sotterranee comunicanti con il mare Mediterraneo».

16
L’art. 6, n. 1, del protocollo modificato, dispone quanto segue:

«Gli scarichi provenienti da fonti puntuali nella zona del protocollo, e gli scarichi in acqua o le emissioni nell’atmosfera che raggiungono o possono colpire la zona del Mediterraneo quale delimitata nell’art. 3, punti a), c) e d), del presente protocollo, sono rigorosamente assoggettati ad un’autorizzazione o regolamentazione delle autorità competenti delle parti, che tengono debitamente conto delle disposizioni del presente protocollo e dell’allegato II, nonché delle decisioni io raccomandazioni pertinenti delle riunioni delle parti contraenti».

17
L’allegato I C del protocollo modificato elenca le «categorie di sostanze e di fonti inquinanti» che «serviranno da guida nell’elaborazione dei piani d’azione, dei programmi e delle misure». In particolare, il punto 17 menziona le «[s]ostanze non tossiche che hanno un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino».

18
Il protocollo modificato sopprime il precedente allegato II e rinumera come «allegato II», modificandolo, il precedente allegato III.


Causa principale e questioni pregiudiziali

19
Lo stagno di Berre, con una superficie di 15 000 ettari e situato in Francia, è uno stagno di acqua salata in diretta comunicazione con il mare Mediterraneo.

20
Il coordinamento dei pescatori si è lamentato più volte presso l’EDF del degrado dell’ambiente acquatico dello stagno di Berre, a causa, principalmente, degli apporti di acqua dolce provenienti dalla Durance e scaricati artificialmente in questo stagno ogni volta che sono azionate le turbine della centrale idroelettrica di Saint-Chamas.

21
Il 1° settembre 1999 il coordinamento dei pescatori ha fatto citare l’EDF dinanzi al Tribunal de grande instance de Marseille (Giudice di primo grado di Marsiglia) (France) per turbativa del possesso dovuta a molestie di fatto, affinché, con procedimento sommario, fosse ordinata con comminatoria di penalità la sospensione dello sfruttamento della centrale idroelettrica di Sain-Chamas. Il coordinamento dei pescatori rilevava in particolare che l’EDF riversava gli scarichi di questa centrale senza aver ottenuto l’autorizzazione preliminare prevista nell’art. 6, n. 3, del protocollo.

22
Con ordinanza 25 ottobre 1999 il giudice del procedimento sommario di primo grado ha respinto la domanda di procedimento sommario. Pur riconoscendo l’esistenza della turbativa causata dall’azionamento delle turbine della centrale idroelettrica, egli ha considerato:

«Che, trattandosi dell’applicazione del diritto comunitario, in particolare delle convenzioni di Barcellona e del protocollo di Atene (…), la questione del loro effetto diretto sui soggetti di diritto solleva anche qui problemi che non rientrano nella competenza del giudice del merito.

In quanto la questione, se lo sfruttamento da parte dell’EDF della centrale idroelettrica di Saint Chamas costituisca una turbativa manifestamente illecita, vale a dire una molestia di fatto, nel senso in cui l’intende generalmente la giurisprudenza, fa sorgere problemi troppo gravi perché il giudice del procedimento sommario possa intervenire e porre fine a tre decenni di attività, decisione troppo grave che implica d’altra parte conseguenze gravissime sul piano in particolare della produzione e della sicurezza del sistema elettrico della regione (…)».

23
Il coordinamento dei pescatori ha impugnato tale sentenza dinanzi alla Cour d’appel d’Aix-en-Provence (Corte d’appello di Aix-en-Provence) (Francia), che ha respinto l’impugnazione con sentenza 21 settembre 2000. La Corte d’appello ha ritenuto in particolare «che i diversi articoli [del protocollo] sono interdipendenti» e che l’art. 6, n. 3 «non può essere isolato, di guisa che nessuna autorizzazione allo scarico può essere validamente e utilmente richiesta dall’EDF sul fondamento di tale protocollo, fintantoché lo Stato francese non avrà definito i criteri tecnici applicabili, poiché non potrebbe essere data alcuna risposta».

24
Il coordinamento dei pescatori ha proposto un’impugnazione in cassazione contro tale sentenza, adducendo in particolare la violazione da parte dell’EDF dell’art. 6, n. 3, del protocollo, la cui applicazione sarebbe stata erroneamente esclusa dalla Corte d’appello.

25
Pertanto, la Cour de cassation ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le due seguenti questioni pregiudiziali:

«1)
Se si debba ritenere che l’art. 6, n. 3, del Protocollo di Atene 17 maggio 1980, relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica (Convenzione di Barcellona), divenuto art. 6, n. 1, nella versione modificata, abbia effetto diretto, di guisa che ogni interessato possa invocarlo dinanzi ai giudici nazionali a sostegno di un ricorso volto a far cessare scarichi di acqua che non siano stati autorizzati secondo la procedura ed i criteri da esso previsti.

2)
Se la stessa disposizione debba interpretarsi nel senso che vieti a chiunque di scaricare in uno stagno salato comunicante con il mare Mediterraneo talune sostanze che, pur non essendo tossiche, hanno un effetto sfavorevole sul contenuto d’ossigeno dell’ambiente marino, senza aver ottenuto un’autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità degli Stati membri, prendendo in considerazione le disposizioni del citato Protocollo e dell’allegato III C (divenuto allegato II)».


Sulla rilevanza del protocollo modificato per la soluzione della causa principale

26
L’EDF e il governo francese ritengono che occorre interpretare soltanto il protocollo, in quanto il protocollo modificato non è ancora entrato in vigore.

27
Al riguardo risulta da giurisprudenza costante che la procedura istituita dall’art. 234 CE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali (v., in particolare, sentenze 16 luglio 1992, causa C-343/90, Lourenço Dias, Racc. pag. I-4673, punto 14, e 18 marzo 2004, causa C-314/01, Siemens e ARGE Telekom, Racc. pag.I-0000, punto 33, e giurisprudenza citata).

28
Nell’ambito di tale cooperazione, il giudice nazionale investito della controversia, che è il solo ad avere una diretta conoscenza dei fatti della causa principale e che dovrà assumersi la responsabilità della decisione giurisdizionale da emanare, può meglio valutare, avuto riguardo alle peculiarità del caso di specie, sia la necessità di una decisione pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che egli pone alla Corte (v., in particolare, sentenze Lourenço Dias, punto 15, cit.; 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I-607, punto 18, e Siemens e ARGE Telekom, punto 34, cit.).

29
Nel caso di specie, non è affatto manifesto che l’interpretazione dell’art. 6, n. 1, del protocollo modificato, sarebbe inutile per la soluzione della causa principale. Come ha osservato giustamente la Commissione, non si può infatti escludere, nell’ipotesi in cui la sentenza della Corte d’appello di Aix-en-Provence venga cassata dalla Corte di cassazione, che il protocollo modificato sia entrato in vigore nel momento in cui si dovrà decidere di nuovo sul merito della causa principale.

30
Per rispondere alle questioni pregiudiziali si deve pertanto tener conto altresì del protocollo modificato.


Sull’effetto diretto degli artt. 6, n. 3, del protocollo e 6, n. 1, del protocollo modificato

Osservazioni delle parti

31
L’EDF sostiene l’esistenza di un’interdipendenza tra le diverse disposizioni del protocollo che rende impossibile riconoscere un effetto diretto all’art. 6, n. 3, dello stesso, anche se quest’ultimo è redatto in modo chiaro e preciso.

32
Così, l’art. 6, n. 1, del protocollo stabilisce l’obiettivo di «ridurre rigorosamente» l’inquinamento provocato dalle sostanze o fonti elencate nell’allegato II (ivi comprese le sostanze che hanno un’influenza negativa sul tenore di ossigeno). A tal fine il n. 2 prescrive alle parti di attuare, «congiuntamente o singolarmente», secondo i casi, «adeguati programmi e misure». Infine il n. 3 impone, per poter effettuare scarichi, di ottenere un’«autorizzazione che tenga conto delle disposizioni di cui all’allegato III». Orbene, l’obbligo di «tener conto» avrebbe un carattere molto vago che potrebbe condurre, in mancanza di precisazioni, a sottoporre ad autorizzazione ogni scarico per il solo fatto che esso riguardi una delle sostanze elencate nell’allegato II del protocollo. Tale prescrizione sarebbe tuttavia del tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito da quest’ultimo.

33
L’EDF richiama altresì l’art. 7, n. 1, del protocollo riguardante le «norme o criteri comuni» la cui elaborazione sarebbe necessaria prima dell’attuazione di un sistema di autorizzazione preventiva. Orbene, tali norme e criteri non sarebbero stati ancora definiti, ad oggi, con riferimento agli scarichi di cui trattasi.

34
Inoltre, poiché la Comunità è parte della convenzione e del protocollo, le norme da emanare per la loro applicazione potrebbero essere principalmente comunitarie. Orbene, non esisterebbe ad oggi alcuna direttiva relativa agli scarichi di acqua dolce e di limo in uno stagno salato.

35
Il coordinamento dei pescatori, il governo francese e la Commissione, da parte loro, difendono la tesi dell’effetto diretto dell’art. 6, n. 3, del protocollo basandosi sulla giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc. pag. 3719, punto 14).

36
Così l’art. 6, n. 3, del protocollo comporterebbe, considerata la sua lettera, nonché il suo l’oggetto e la sua natura, l’obbligo chiaro, preciso e incondizionato di subordinare gli scarichi di sostanze elencate nell’allegato II del protocollo al rilascio di un’autorizzazione preventiva da parte delle autorità nazionali competenti. Il rigoroso divieto di effettuare scarichi in mancanza di una siffatta autorizzazione non sarebbe subordinato, nella sua applicazione o nei suoi effetti, ad alcuna riserva od intervento di ulteriore atto. Inoltre, l’allegato III del protocollo, al quale l’art. 6, n. 3, rinvia, specificherebbe tutti i fattori di cui tener conto ai fini del rilascio dell’autorizzazione.

37
Secondo la Commissione, l’assenza di misure, programmi e linee direttrici adottate congiuntamente non ha l’effetto di paralizzare l’attuazione del protocollo né quello di bloccare il rilascio di autorizzazioni di scarichi, bensì accresce il potere discrezionale degli Stati membri nel rilascio di tali autorizzazioni, il cui esercizio è passibile di controllo giurisdizionale.

38
Il coordinamento dei pescatori e la Commissione aggiungono che la versione dell’art. 6 risultante dal protocollo modificato e gli altri emendamenti apportati agli allegati non modificano la precedente valutazione.

Giudizio della Corte

39
Secondo la giurisprudenza costante della Corte, una disposizione di un accordo concluso dalla Commissione con paesi terzi dev’essere considerata direttamente applicabile quando, avuto riguardo alla sua lettera, nonché all’oggetto e alla natura dell’accordo, essa stabilisce un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, nel suo adempimento o nei suoi effetti, all’intervento di alcun atto ulteriore (v., in particolare, sentenze Demirel, punto 14, cit., e 8 maggio 2003, Wählergruppe Gemeinsam, C-171/01, Racc. pag. I-4301, punto 54).

40
Per decidere se l’art. 6, n. 3, del protocollo risponde a tali criteri, occorre anzitutto procedere all’esame del suo testo.

41
Al riguardo occorre constatare che tale disposizione sancisce, in termini chiari, precisi e incondizionati, l’obbligo per gli Stati membri di subordinare gli scarichi di sostanze elencate nell’allegato II dello stesso protocollo al rilascio, da parte delle autorità nazionali competenti, di un’autorizzazione che tenga debitamente conto delle disposizioni del suo allegato III.

42
Come la Commissione ha giustamente sottolineato, il fatto che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale nel rilascio delle autorizzazioni, avuto riguardo ai criteri menzionati nell’allegato III, non riduce in nulla la chiarezza, la precisione e il carattere incondizionato del divieto derivante dall’art. 6, n. 3, del protocollo di procedere agli scarichi in assenza di autorizzazione preventiva.

43
Tale constatazione è avvalorata dall’oggetto e dalla natura del protocollo.

44
Infatti, risulta dagli artt. 1 e 4 del protocollo che quest’ultimo ha l’obiettivo di prevenire, ridurre, combattere e tenere sotto controllo l’inquinamento della zona del mare Mediterraneo dovuto agli scarichi dei corsi d’acqua, degli stabilimenti costieri e degli emissari, o provocati da qualsiasi altra fonte situata nel loro territorio. A tale effetto, reiterando gli impegni presi ai sensi degli artt. 4 e 8 della convenzione, l’art. 1 del protocollo impone alle parti contraenti l’obbligo di prendere «ogni misura idonea».

45
Instaurando un regime di autorizzazione preventiva da parte delle autorità nazionali competenti per gli scarichi delle sostanze menzionate nell’allegato II, l’art. 6, n. 3, del protocollo contribuisce al controllo da parte degli Stati membri dell’inquinamento di origine tellurica della zona di applicazione del protocollo. Il riconoscimento dell’effetto diretto della disposizione di cui trattasi non può che servire l’obiettivo del protocollo, quale ricordato precedentemente, e rispondere alla natura dello strumento volto, in particolare, ad evitare l’inquinamento dovuto alla carenza di pubblici poteri.

46
Le considerazioni che precedono valgono altresì per l’interpretazione dell’art. 6, n. 1, del protocollo modificato. Il riferimento ivi fatto alle «decisioni o raccomandazioni pertinenti delle riunioni delle parti contraenti», di cui le autorità nazionali competenti devono tenere conto, non è tale da rimettere in discussione la chiarezza, la precisione e il carattere incondizionato del divieto di scarichi in assenza di autorizzazione. Inoltre, gli emendamenti approvati dalla decisione 1999/801 non hanno affatto modificato l’oggetto né la natura del protocollo.

47
Tenuto conto di quanto precede, si deve rispondere alla prima questione che sia l’art. 6, n. 3, del protocollo, sia l’art. 6, n. 1, del protocollo modificato, dopo la sua entrata in vigore, hanno effetto diretto, cosicché tutti gli interessati hanno il diritto di far valere tali disposizioni dinanzi alle autorità giurisdizionali nazionali.


Sull’ambito di applicazione degli artt. 6, n. 3, del protocollo e 6, n. 1, del protocollo modificato

48
Come hanno giustamente osservato il coordinamento dei pescatori, il governo francese e la Commissione, l’allegato III, indicato dall’art. 6, n. 3, del protocollo e che elenca i fattori di cui tener conto ai fini del rilascio delle autorizzazioni di scarico di rifiuti, si riferisce a sua volta all’allegato II, il quale menziona le sostanze contenute nei rifiuti di cui trattasi. Tra di esse figurano, al punto 11, le «sostanze che hanno direttamente o indirettamente un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino, in particolare quelle che possono essere all’origine di fenomeni di eutrofizzazione» e, al punto 13, le «[s]ostanze che, pur non essendo tossiche per natura, possono diventare nocive per l’ambiente marino o possono disturbare, a causa delle quantità scaricate, gli usi legittimi del mare».

49
Si deve constatare che i punti 11 e 13 non subordinano la necessità di un’autorizzazione preventiva di scarico delle sostanze che essi indicano alla tossicità di queste ultime.

50
La stessa conclusione s’impone relativamente all’ambito di applicazione dell’art. 6, n. 1, del protocollo modificato.

51
Infatti, ai sensi di tale disposizione, sono tutti gli «scarichi provenienti da fonti puntuali nella zona del protocollo [che comprende, ai sensi dell’art. 3, lett. d), del protocollo modificato, gli stagni salati comunicanti con il mare Mediterraneo] e gli scarichi in acqua o le emissioni nell’atmosfera che raggiungono o possono colpire la zona del Mediterraneo», e non più soltanto gli scarichi di sostanze menzionate nell’allegato II del protocollo, ad essere d’ora in poi «rigorosamente assoggettati ad un’autorizzazione o regolamentazione delle autorità compententi», che terranno conto in particolare delle disposizioni del protocollo modificato e del suo allegato II.

52
Tenuto conto di quanto precede si deve rispondere alla seconda questione che sia l’art. 6, n. 3, del protocollo, sia l’art. 6, n. 1, del protocollo modificato devono essere interpretati nel senso che essi vietano, in assenza di autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali competenti, lo scarico in uno stagno salato comunicante con il mare Mediterraneo delle sostanze che, pur non essendo tossiche, hanno un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino.


Sulle spese

53
Le spese sostenute dal governo francese e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.


Per questi motivi,

LA CORTE (Seconda Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Cour de cassation con sentenza 6 maggio 2003, dichiara:

1)
L’art. 6, n. 3, del protocollo relativo alla protezione del mare Mediterraneo dall’inquinamento di origine tellurica, sottoscritto ad Atene il 17 maggio 1980, approvato con la decisione del Consiglio 28 febbraio 1983, n. 83/101/CEE, nonché, una volta entrato in vigore, l’art. 6 n. 1, dello stesso protocollo, quale emendato durante la conferenza dei plenipotenziari che ha avuto luogo a Siracusa il 7 e l’8 marzo 1996, emendamenti che sono stati approvati con la decisione del Consiglio 22 ottobre 1999, 1999/801/CE, hanno effetto diretto, cosicché tutti gli interessati hanno il diritto di far valere tali disposizioni dinanzi alle autorità giurisdizionali nazionali.

2)
Queste stesse disposizioni devono essere interpretate nel senso che esse vietano, in assenza di autorizzazione rilasciata dalle autorità nazionali competenti, lo scarico in uno stagno salato comunicante con il mare Mediterraneo di sostanze che, pur non essendo tossiche, hanno un’influenza negativa sul tenore di ossigeno dell’ambiente marino.

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 15 luglio 2004.