TAR Toscana Sez. II sent. 4841 del 14 dicembre 2007
Rifiuti. Termine per l'adozione da parte della Provincia di provvedimenti interdittivi

Il legislatore del 1997 ha costruito la vicenda procedimentale della iscrizione o del rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese che esercitano attività di recupero dei rifiuti alla stregua di una denuncia di inizio attività di cui all’allora vigente art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241, attribuendo all’Amministrazione competente uno spazio temporale di 90 giorni per adottare gli interventi interdettivi che il caso necessitasse ed esitando l’inerzia eventuale dell’Amministrazione quale un provvedimento sostitutivo dell’autorizzazione “di cui all'art. 15, lettera a ) del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203” (cfr. il comma 8 dell’art. 33 poi modificato dalla normativa successiva).
REPUBBLICA ITALIANA N. 4841 REG. SENT.
ANNO 2007
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO N. 24 REG. RIC.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
Sezione Seconda ANNO 2006
composto dai Signori:
Giuseppe PETRUZZELLI Presidente
Lydia Ada Orsola SPIEZIA Componente;
Stefano TOSCHEI Estensore;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. R.g 24 del 2006 proposto da SOCIETA’ TRONI di Bandini Moreno e Tempestini Sergio S.n.c., in persona del rappresentante legale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Franco B. Campagni e Antonio Palazzo ed elettivamente domiciliata presso lo studio legale Campagni in Firenze, Via P. Toscanelli n. 6;
contro
 la REGIONE TOSCANA, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
 la PROVINCIA DI PRATO, in persona del Presedente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Giovannelli, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Firenze, Lungarno Corsini n. 2;
 il COMUNE DI PRATO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Raffaello Gisondi, Paola Tognini ed Elena Bartelesi, dell’Ufficio legale del Comune di Prato ed elettivamente domiciliato in Firenze, Via Masaccio n. 172, presso lo Studio Stancanelli;
 l’AZIENDA USL n. 4 di PRATO, in persona del Direttore generale pro tempore, non costituita in giudizio;
 l’ARPAT-DIPARTIMENTO PROVINCIALE DI PRATO, in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia
- della determina 4 novembre 2005 del direttore dell’area pianificazione e gestione del territorio della Provincia di Prato di revoca dell’iscrizione n. 6 del registro provinciale delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti;
- degli atti preliminari, presupposti e/o conseguenti, ancorché incogniti e, specificamente:
 delibera consiglio comunale di Prato 1 ottobre 1998 n. 203 di approvazione del “Piano strutturale” in parte qua e cioè relativamente alla destinazione a verde agricolo impressa all’area della ricorrente (foglio di mappa 29 particella 177), ubicata in via delle Lame n. 1 – Prato;
 delibera consiglio comunale di Prato 3 maggio 2001 n. 70 recante il Regolamento urbanistico in parte qua e cioè relativamente alla destinazione a verde agricolo (V3) impressa all’area che interessa.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’Amministrazione provinciale e di quella comunale intimate nonché i documenti prodotti;
Vista l’ordinanza n. 69 del 19 gennaio 2006 con la quale questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalla parte ricorrente nonché l’ordinanza n. 2488 del 23 maggio 2006, con la quale la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, in riforma della predetta decisione di questo Tribunale, ha accolto l’istanza cautelare avanzata dalla parte ricorrente;
Esaminate le ulteriori memorie depositate ed i documenti versati in atti;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 4 aprile 2007 il dott. Stefano Toschei; presente per la parte ricorrente l’avv. Valentina Iezzi delegata da Franco Bruno Campagni nonché, per le Amministrazioni resistenti l’avv. Diletta Lastraioli delegata da Mauro Giovannelli e l’avv. Elena Bartelesi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. - Con il presente ricorso la Società Troni S.n.c., premettendo di svolgere in Prato l’attività di commercio all’ingrosso di rottami ferrosi e non ferrosi dal dicembre 1989, avendo rilevato l’azienda dalla impresa individuale Troni Marcello che svolgeva la stessa attività fin dal 1978, lamenta l’illegittimità del provvedimento con il quale in data 7 novembre 2005 la Provincia di Prato le ha revocato l’iscrizione al registro provinciale delle imprese abilitate a svolgere attività di recupero di rifiuti non ferrosi.
La ricorrente riferisce che nel 1998 aveva presentato alla Provincia di Prato la comunicazione di esercizio di operazioni di recupero rifiuti e che in esito alla stessa nel marzo 1999 era stata registrata al n. 6 del registro provinciale delle imprese abilitate a svolgere quella attività.
Soggiunge che con una comunicazione del 28 gennaio 2003 la Provincia le indicava le modalità per procedere al rinnovo della iscrizione nel precitato registro, di talché ella provvedeva a trasmettere una nuova comunicazione di inizio attività in data 2 maggio 2003.
Ricorda la Società Troni che le operazioni di verifica circa la sussistenza dei presupposti in capo alla medesima ditta per rinnovare l’iscrizione al registro si erano avviati in data 30 maggio 2003, come dimostrato dalla relativa comunicazione del servizio tutela ambientale della competente Provincia e che essa successivamente (in data 10 dicembre 2004) aveva anche presentato al Comune di Prato istanza di sanatoria per “deposito a cielo aperto adibito alla raccolta ed al recupero di materiali ferrosi”.
Si duole, infine, la Società ricorrente che, a distanza di oltre due anni dalla comunicazione suindicata, la Provincia di Prato ha disposto di revocare l’iscrizione nel registro delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti ai sensi dell’art. 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997.
2. – La Società Troni sostiene che il suindicato atto di revoca sia illegittimo sotto i seguenti profili:
1) il procedimento di rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese che effettuano attività di recupero rifiuti, disciplinato dall’art. 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, non è stato adeguatamente rispettato atteso che la vicenda amministrativa in questione si iscrive nell’ambito della particolare figura del silenzio-assenso per come espressamente indicato nel citato articolo 33 allorquando, decorso il termine di novanta giorni dalla comunicazione da parte del soggetto interessato, l’Amministrazione competente non si sia espressa con apposito provvedimento favorevole o sfavorevole rispetto alla domanda presentata. Deriva da quanto sopra, a parere della ricorrente, che un atto di revoca dell’iscrizione adottato a due anni di distanza dalla presentazione della comunicazione e quindi in epoca successiva alla formazione del relativo silenzio-assenso non può che essere illegittimo, sia per difetto di istruttoria e per carenza di valutazione del legittimo affidamento ormai realizzatosi in capo alla ditta interessata circa l’intervenuto assenso sul rinnovo dell’iscrizione sia sotto il profilo del difetto dei presupposti per l’adozione del medesimo atto di revoca;
2) sotto altro versante il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto il decreto legislativo n. 22 del 1997 prevede la possibilità per l’Amministrazione competente di intervenire con provvedimenti interdettivi solo nell’ipotesi in cui risulti che l’impresa non abbia rispettato le norme tecniche e le specifiche prescrizioni stabilite dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998, mentre la Provincia di Prato ha adottato il provvedimento in questione sulla base della sola circostanza della inadeguata ubicazione territoriale dell’impresa. Quest’ultima opererebbe in un’area territoriale classificata urbanisticamente come zona agricola e tale elemento costituirebbe un valido motivo per negare la prosecuzione dell’attività, atteso che il punto 6.4 del Piano regionale della Toscana sulla gestione dei rifiuti speciali e speciali pericolosi (DRGT 29 marzo 1999 n. 320 dispone che “gli impianti di recupero ex art.li 31 e 33 del decreto (…) sono localizzabili solo entro aree con destinazione urbanistica a zone industriali o a servizi tecnologici equivalenti” (cfr. pag. 9 del ricorso introduttivo). Da quanto osservato deriverebbe l’ulteriore vizio di incompetenza che mina la legittimità dell’atto impugnato in quanto, proprio perché asseritamente necessitato da ragioni urbanistiche, sarebbe spettato al Comune di Prato e non alla Provincia il compito di adottarlo;
3) anche la motivazione dell’atto risulterebbe carente, a giudizio della Società Troni. Il provvedimento di revoca reca un espresso richiamo al Piano regionale della Toscana sulla gestione dei rifiuti speciali e speciali pericolosi (DRGT 29 marzo 1999 n. 320) ed in particolare al punto 6.4 che, tuttavia, quale articolazione del punto 6 del Piano è riferibile alla localizzazione di “nuovi impianti” e non è dunque applicabile agli impianti già esistenti. Nello stesso tempo l’Amministrazione provinciale, con l’atto qui impugnato, non dimostra di aver svolto alcuna adeguata istruttoria al fine di effettuare una necessaria comparazione tra l’interesse pubblico acché l’attività di recupero di rifiuti non si svolga in quella zona e l’interesse della ditta a proseguire un’attività che esercita da lungo tempo.
Da qui la richiesta di annullamento in sede giudiziale del provvedimento impugnato.
3. – Resistono in giudizio l’Amministrazione provinciale di Prato e quella comunale, essendo rimasti estranei al processo, seppur intimati dalla parte ricorrente, la Regione Toscana, l’Azienda USL n. 4 di Prato e l’ARPAT.
Il Comune di Prato nella memoria di costituzione, disvelando il suo interesse difensivo limitatamente al solo punto contenuto nel ricorso introduttivo nel quale viene contestata la scelta urbanistica operata con riferimento alla zona di svolgimento dell’attività da parte della ditta Troni, si limita a dichiarare tardiva l’impugnazione con riferimento allo strumento urbanistico comunale.
La Provincia di Prato sostiene preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in quanto la ricorrente non avrebbe impugnato tempestivamente la deliberazione del consiglio regionale della Regione Toscana n. 385 del 21 dicembre 1999 di approvazione del Piano regionale dei rifiuti, atto che costituisce il presupposto per l’adozione del provvedimento di revoca in questa sede impugnato il quale, per l’appunto, non assume altra configurazione che quella di mero provvedimento attuativo della delibera consiliare surrichiamata.
Nel merito la difesa della Provincia sostiene la correttezza del percorso procedimentale svolto dagli Uffici atteso che la procedura semplificata descritta dall’art. 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997 non impedisce, secondo una corretta interpretazione delle disposizioni contenute nel citato articolo di legge, all’Amministrazione competente di adottare i provvedimenti interdettivi anche in epoca successiva allo spirare del novantesimo giorno. Anche in ordine all’istruttoria svolta non si manifesterebbero mancanze, visto che l’atto di revoca è stato adottato sulla scorta dell’esame della documentazione prodotta all’atto della presentazione della comunicazione di rinnovo dell’iscrizione, rilevandosi proprio nella relazione tecnica allegata alla domanda che l’area di ubicazione dello stabilimento era inserita in una zona inadeguata per l’attività svolta dalla ditta Troni, secondo lo strumento urbanistico comunale.
Quanto, infine, alla sospettata incongruenza dell’atto con il punto 6.4 del Piano regionale di gestione dei rifiuti, ad opinione della Provincia una corretta lettura della disposizione farebbe con evidenza emergere la riferibilità delle disposizioni contenute nel punto 6 anche alla fattispecie in esame, visto che il “rinnovo di una iscrizione decaduta deve essere considerato equivalente ad una nuova licenza” (cfr. pag. 12 della memoria di costituzione della Provincia di Prato).
Da quanto sopra discenderebbe la inevitabile infondatezza dei motivi di censura con reiezione del ricorso proposto.
4. – Con ordinanza n. 69 del 19 gennaio 2006 questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalla parte ricorrente. Tuttavia la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, in riforma della predetta decisione di questo Tribunale, ha accolto l’istanza cautelare avanzata dalla parte ricorrente con ordinanza n. 2488 del 23 maggio 2006.
Le parti costituite hanno prodotto ulteriori memorie confermando le già rassegnate conclusioni.
All’udienza pubblica del 4 aprile 2007 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
5. – Preliminarmente si ritiene utile rappresentare che entrambe le decisioni cautelari adottate nel corso del presente giudizio, seppure di segno opposto, non hanno espresso valutazioni in merito alla fondatezza o meno del gravame, neppure sotto il profilo del più attenuato fumus boni iuris.
Sotto altro profilo va ritenuta infondata l’eccezione sollevata dalla Provincia di Prato in ordina alla paventata inammissibilità del gravame proposto per non aver la Società Troni impugnato tempestivamente la delibera del consiglio regionale della Regione Toscana di approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti, in quanto tale atto, per la portata generale delle disposizioni in esso contenute, non permette di attribuire al provvedimento di revoca qui impugnato la portata di un mero atto di attuazione diretta del Piano alla stregua di un “atto dovuto”. Tra il Piano e l’atto di revoca dell’iscrizione intercorre un normale rapporto di consequenzialità eventuale che non trasforma giuridicamente l’atto di revoca quale una decisione inevitabile per effetto dell’esistenza del Piano, peraltro non pianamente apprezzabile laddove la stessa difesa della Provincia fonda il presupposto di legittimità dell’atto impugnato su “interpretazioni” delle disposizioni contenute nel Piano regionale.
Per analoghe ragioni non può trovare fondamento l’eccezione sollevata dal Comune di Prato circa l’inammissibilità del ricorso preposto per non aver tempestivamente impugnato la Società ricorrente lo strumento urbanistico che ha destinato l’area di riferimento a verde agricolo. L’eccezione svolta, seppure si pone in posizione logicamente secondaria rispetto alla eccezione della Provincia sopra esaminata, non si pone come interdittiva dello scrutinio del ricorso proposto, atteso che la Società ricorrente esercita nei confronti dello strumento urbanistico una impugnazione strumentale e non principale rispetto all’atto di revoca principalmente impugnato.
6. – Entrando nel merito della controversia, anche in ragione della documentazione depositata, appare decisivo esaminare con attenzione il dato normativo che sovrasta l’intera vicenda contenziosa.
L’art. 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 (recante l’attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio) disciplinava le operazioni di recupero dei rifiuti (ora le disposizioni vanno ricercate nel decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 che, ratione temporis, non trovano applicazione nel caso in esame).
Al comma 1 affermava che: “1. A condizione che siano rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 31, l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio di attività alla provincia territorialmente competente”
Al comma 3 poi stabiliva che: “La provincia iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività ed entro il termine di cui al comma 1 verifica d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine alla comunicazione di inizio di attività è allegata una relazione dalla quale deve risultare:
a) il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche di cui al comma 1;
b) il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti;
c) le attività di recupero che si intendono svolgere;
d) stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati;
e) le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero”.
Successivamente al comma 4. specificava che: “Qualora la provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall'amministrazione”.
Concludendo poi al comma 7 che: “La procedura semplificata di cui al presente articolo sostituisce, limitatamente alle variazioni qualitative e quantitative delle emissioni determinate dai rifiuti individuati, l'autorizzazione di cui all'art. 15, lettera a ) del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203”.
Appare dunque evidente che il legislatore del 1997 ha costruito la vicenda procedimentale della iscrizione o del rinnovo dell’iscrizione nel registro delle imprese che esercitano attività di recupero dei rifiuti alla stregua di una denuncia di inizio attività di cui all’allora vigente art. 19 della legge 7 agosto 1990 n. 241, attribuendo all’Amministrazione competente uno spazio temporale di 90 giorni per adottare gli interventi interdettivi che il caso necessitasse ed esitando l’inerzia eventuale dell’Amministrazione quale un provvedimento sostitutivo dell’autorizzazione “di cui all'art. 15, lettera a ) del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203” (cfr. il comma 8 dell’art. 33 sopra riprodotto poi modificato dalla normativa successiva ma per profili non influenti rispetto al caso in esame).
7. - Il semplice esame delle disposizioni normative applicabili alla fattispecie e tenute in considerazione dall’Amministrazione provinciale per l’adozione del provvedimento impugnato depongono per l’accoglimento del gravame.
Infatti l'articolo 33 (operazioni di recupero) del decreto legislativo n. 22 del 1997 a suo tempo prevedeva, al comma 1, che l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti potessero essere intraprese a condizione che fossero rispettate le norme tecniche e le prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 31.
Tali ultime disposizioni attenevano alla determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate.
In ragione di quanto stabilito dall’art. 33, la Provincia iscriveva le imprese che svolgevano detta attività (avendo comunicato l'inizio con le modalità previste dalla legge) in un apposito registro (art. 33 co. 3). Qualora poi la Provincia avesse accertato "il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell'attività, salvo che l'interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall'amministrazione".
La norma, come è stato rilevato (cfr. T.A.R. Lazio, II, 21 gennaio 2004 n. 593), è chiara nel condizionare l'operatività della potestà inibitoria della Provincia al fatto che l'interessato non adotti un comportamento conformativo nel termine in proposito assegnatogli. Ora, dalla lettura del provvedimento impugnato è agevole verificare come esso sia invece privo del previsto termine sollecitatorio; di conseguenza detto provvedimento non era suscettibile di produrre un effetto impeditivo immediato sull'attività di recupero per la quale era da tempo iscritta.
Nello stesso tempo deve registrarsi che al di là di una interpretazione volta a ricondurre la previsione del più volte citato art. 33 nell’alveo del più generale istituto della denuncia di inizio attività, che ad avviso del Collegio appare più adeguata alla stretta lettura delle disposizioni in questione, se ne pone accanto una diversa, di origine giurisprudenziale, incline a ricondurre la fattispecie all’istituto del silenzio-assenso, come sostenuto dalla parte ricorrente.
In particolare si è affermato che l'articolo 33 del decreto legislativo 5 luglio 1997 n. 22, contenente attuazione di direttiva CEE in materia di smaltimento di rifiuti prevede una procedura semplificata, mediante denunzia d'inizio d'attività, di autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Il comma 1 dispone che l'attività possa essere intrapresa decorsi novanta giorni dalla comunicazione d'inizio di attività alla provincia territorialmente competente, il comma 3 prevede che entro quel termine la provincia verifichi d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti per l'esercizio dell'attività, e il comma 4 prevede che, accertato il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1, la provincia disponga il divieto d'inizio dell'attività. È chiaro dall'insieme delle tre norme, benché nessuna delle anzidette disposizioni lo dica espressamente, che si tratta di una procedura per silenzio assenso e che il divieto deve intervenire entro il termine di novanta giorni, altrimenti tutta la procedura mancherebbe di senso (cfr. in tal senso Cons. Stato, Sez. V, 4 maggio 2004 n. 2707).
Il Collegio ritiene che, in disparte l’esatta individuazione di quale istituto giuridico generale possa evocarsi per chiarire la portata della previsione contenuta nell’art. 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, l’effetto giuridico dello spirare del termine di novanta giorni dalla presentazione della comunicazione per l’iscrizione (o la reiscrizione) nel registro provinciale delle imprese che esercitano attività di recupero rifiuti sia costituito dal consolidarsi della posizione dell’interessato e, nello stesso tempo, dalla consumazione del potere inibitorio da parte dell’Amministrazione procedente.
La conseguenza di una siffatta ricostruzione della vicenda giuridica sottesa alla fattispecie contenziosa qui in esame conduce a ritenere che, quand’anche l’Amministrazione dovesse rilevare una insussistenza dei presupposti che consentono la registrazione dell’impresa nel registro ovvero il mantenimento di quella posizione, essa non potrà mai recta via intervenire in senso pregiudizievole nei confronti dell’iscritto ma dovrà attivare una procedura di secondo grado al fine di adottare in via di autotutela e con il conforto partecipativo dell’interessato gli atti di annullamento o revoca che la situazione consiglia ovvero impone. Vicenda procedimentale quest’ultima che non si è realizzata nella fattispecie, determinandosi quindi l’adozione di un provvedimento “di revoca” illegittimo.
8. – In ragione delle suesposte osservazioni le censure dedotte debbono ritenersi fondate ed il ricorso va accolto con annullamento dell’atto impugnato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in complessivi € 3.000,00 (euro tremila) come da dispositivo. Nondimeno può disporsi la integrale compensazione delle spese di lite con riferimento alle altre parti intimate ma non costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione Seconda, pronunciando in via definitiva sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Condanna la Provincia di Prato, in persona del Presidente pro tempore e il Comune di Prato, in persona del Sindaco pro tempore, a rifondere le spese di lite in favore della Società Troni di Bandini Moreno e Tempestini Sergio S.n.c., in persona del rappresentante legale pro tempore che liquida in complessivi € 3.000,00 (euro tremila) oltre accessori come per legge.
Spese compensate tra le altre parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella Camera di consiglio del 4 aprile 2007.
Il Presidente Il relatore ed estensore
Giuseppe Petruzzelli Stefano Toschei
F.to Giuseppe Petruzzelli F.to Stefano Toschei
Il Segretario
F.to Silvana Nannucci
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 14 DICEMBRE 2007
Firenze, lì 14 DICEMBRE 2007
Il Direttore della Segreteria
F.to Silvia Lazzarini