Consiglio di Stato, Sez. VI n. 6489, del 18 dicembre 2012
Urbanistica.Distanza tra fabbricati e intercapedine preesistente

La preesistenza di un’intercapedine di circa 3,5 mt. fra il manufatto cui è stato edificato in aderenza e il diverso immobile ad uso abitativo appartenente ad altra persona non esclude l’applicabilità delle disposizioni in materia di distanze. Infatti, l’articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, dispone la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile. Pertanto, le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 06489/2012REG.PROV.COLL.

N. 01016/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1016 del 2012, proposto dal signor Carmine Napolitano, rappresentato e difeso dall'avvocato Pasquale Di Fruscio, con domicilio eletto presso il signor Fabrizio Cerbo in Roma, via Otranto, 12

contro

Comune di Cicciano, non costituito

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della Campania – Napoli, 26 luglio 2011, n. 4010

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2012 il Cons. Claudio Contessa e udito l’avvocato Di Fruscio per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

Il signor Napolitano riferisce di essere proprietario di una porzione di terreno nell’ambito del comune di Cicciano (Na), insistente in area tipizzata B2 – di completamento, e di avere proposto al Comune, nell’aprile del 2008, un’istanza finalizzata al rilascio di un permesso di costruire per un fabbricato unifamiliare.

Con atto in data 6 novembre 2008, il Comune rilasciava il richiesto permesso di costruire, ritenendo la sussistenza dei presupposti in fatto e in diritto.

Tuttavia, a seguito di un sopralluogo dei tecnici del Comune in data 8 gennaio 2009 (sopralluogo sollecitato dalla segnalazione di un vicino), emergevano alcune difformità fra il progetto assentito e l’opera realizzata, con particolare riguardo: a) ad alcuni aumenti di superficie utile e di volume (in seguito rimossi); b) al mancato rispetto della disciplina vigente in loco per ciò che attiene la distanza tra i fabbricati sul lato nord.

A seguito del sopralluogo in questione, il Comune adottava:

- un’ordinanza di sospensione dei lavori (atto in data 28 maggio 2009, impugnato con autonomo ricorso al T.A.R.);

- una comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’annullamento in autotutela del permesso di costruire (atto in data 23 luglio 2009);

- un provvedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire (atto in data 4 novembre 2009, fatto oggetto di impugnativa in primo grado);

- un’ordinanza di demolizione del fabbricato (atto in data 5 novembre 2009, anch’esso fatto oggetto di impugnativa in primo grado).

Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. della Campania ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dal sig. Napolitano il quale ne ha chiesto la riforma, articolando i seguenti motivi:

1) Violazione del regìme dell’art. 112, c.p.c. e dei più elementari princìpi del diritto processuale, ultrapetizione e omessa pronuncia – Errore di giudizio, incongrua e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia – Incongruenza e illogicità della motivazione – Travisamento e omessa valutazione degli elementi rilevanti – Insufficienza degli elementi per inferire l’esistenza dell’interesse pubblico ‘prevalente’ astrattamente perseguito dall’amministrazione.

Il T.A.R. non avrebbe considerato che il provvedimento di annullamento in autotutela era illegittimo in quanto (in violazione dell’art. 21-nonies della l. 7 agosto 1990, n, 241) aveva omesso di indicare i profili di interesse pubblico concreto e attuale sottesi al disposto annullamento, anche in considerazione del lasso di tempo (circa un anno) trascorso fra il momento del rilascio del titolo e quello del suo annullamento.

Inoltre, il T.A.R. avrebbe erroneamente interpretato lo stato di fatto sotteso alla vicenda di causa, ritenendo che l’edificazione realizzata dall’appellante concretasse una violazione della normativa in tema di distanze e che esistesse un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione della situazione in fatto determinata dallo stesso appellante.

Sotto tale aspetto, il T.A.R. si sarebbe limitato ad assumere rilievo al fatto che fra l’edificio realizzato dal sig. Napolitano e l’edificio ad uso abitativo appartenente al vicino sul lato nord esistesse una distanza di soli 7 metri circa (inferiore a quella regolamentare). Al riguardo, l’interesse pubblico al ripristino delle distanze minime consisterebbe nella consueta finalità di impedire l’instaurazione di intercapedini insalubri fra gli edifici.

Tuttavia, il T.A.R. non avrebbe considerato che:

- l’edificio dell’appellante era stato realizzato in aderenza (sia pure, con sopraelevazione in altezza) rispetto a un preesistente fabbricato avente funzione di garage (posto anch’esso sul lato nord);

- il fabbricato avente funzione di garage si collocava a propria volta a una distanza ridottissima rispetto all’abitazione del vicino sul lato nord (tale distanza era pari ad appena 3,5 mt. circa).

Pertanto, siccome fra i due fabbricati preesistenti sul lato nord esisteva già un’intercapedine potenzialmente insalubre (e di ampiezza pari a circa 3,5 mt.), nessun danno ulteriore poteva derivare dal fatto che l’odierno appellante avesse a propria volta costruito un edificio ad una distanza di circa 7 mt. dal fabbricato a uso abitativo del vicino, determinando la realizzazione di un’ulteriore intercapedine.

Ad ogni modo, i primi Giudici avrebbero anche richiamato, ai fini del decidere, taluni precedenti giurisprudenziali non pertinenti.

2) Errore di giudizio – Incongrua e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia – Incongruenza e illogicità della motivazione – Travisamento e omessa valutazione degli elementi rilevanti – Insufficienza degli elementi per inferire la inaffidabilità delle dichiarazioni testimoniali – Violazione del regìme delle presunzioni (art. 1417, cod. civ.), dell’art. 112, c.p.c. e dei più elementari princìpi del diritto processuale – Ultrapetizione – Violazione dell’art. 111, Cost.

Il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la sufficienza della motivazione posta a fondamento dei provvedimenti impugnati in primo grado, senza chiarire come si potesse ritenere congrua (in specie: per ciò che riguarda l’esistenza di un interesse concreto e attuale all’annullamento) una motivazione che lo stesso T.A.R. non esitava a definire ‘scarna’.

3) Errore di giudizio – Incongrua e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia – Incongruenza e illogicità della motivazione – Travisamento e omessa valutazione degli elementi rilevanti - Insufficienza degli elementi per inferire la inaffidabilità delle dichiarazioni testimoniali – Violazione del regìme delle presunzioni (art. 1417, cod. civ.), dell’art. 112, c.p.c. e dei più elementari princìpi del diritto processuale – Ultrapetizione.

Il T.A.R. avrebbe omesso di rilevare che il provvedimento di annullamento in autotutela non esponesse le ragioni del provvedimento neppure in relazione all’‘elemento-tempo’ (ossia, in relazione al decorso di un congruo lasso di tempo fra il rilascio del permesso di costruire e il suo annullamento).

In particolare, il Tribunale non avrebbe considerato che fra il primo e il secondo di tali atti fosse intercorso un termine di circa un anno (un lasso temporale tale da radicare un ragionevole affidamento circa il consolidamento e l’intangibilità dell’atto di assenso a suo tempo rilasciato).

D’altronde il Tribunale erroneamente non avrebbe considerato che l’avanzato stato di realizzazione dell’immobile costituisse impedimento all’esercizio del potere di autoannullamento, così come avrebbe riconosciuto un indebito rilievo ai fini del decidere al momento di adozione del’ordine di demolizione.

4) Errore di giudizio – Incongrua e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia – Incongruenza e illogicità della motivazione – Travisamento e omessa valutazione degli elementi rilevanti - Insufficienza degli elementi per inferire la inaffidabilità delle dichiarazioni testimoniali – Violazione del regìme delle presunzioni (art. 1417, cod. civ.), dell’art. 112, c.p.c. e dei più elementari princìpi del diritto processuale – Ultrapetizione.

Il T.A.R. avrebbe erroneamente ritenuto dirimente, ai fini del decidere, l’esistenza di una distanza inferiore ai 10 mt. fra la costruzione dell’odierno appellante e il fabbricato ad uso abitativo esistente sul lato nord rispetto alla proprietà dell’appellante.

Né potrebbe affermarsi che l’appellante avesse indotto in errore i tecnici comunali fornendo una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi, atteso che – a tutto concedere – al sig. Napolitano si poteva contestare solo il fatto di aver fornito una non completa rappresentazione dei luoghi.

5) Errore di giudizio – Incongrua e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia – Incongruenza e illogicità della motivazione – Travisamento e omessa valutazione degli elementi rilevanti - Insufficienza degli elementi per inferire la inaffidabilità delle dichiarazioni testimoniali – Violazione del regìme delle presunzioni (art. 1417, cod. civ.), dell’art. 112, c.p.c. e dei più elementari princìpi del diritto processuale – Ultrapetizione.

Il T.A.R. non avrebbe rilevato che il provvedimento di autotutela assunto dal Comune era illegittimo in quanto affetto da un vizio procedimentale derivante dalla mancata acquisizione del parere della commissione edilizia comunale.

In realtà, tale parere si sarebbe reso necessario, in quanto esso è richiesto in sede di rilascio del permesso di costruire e quindi – per così dire: in modo ‘simmetrico’ – avrebbe dovuto essere richiesto anche in sede di emanazione delcontrarius actus, rappresentato dall’annullamento in autotutela del permesso già rilasciato.

L’appellante ha, inoltre espressamente richiamato (e riproposto) i motivi di ricorso già articolati in primo grado e ritenuti assorbiti dal T.A.R.

Inoltre, l’appellante ha articolato domanda risarcitoria per il ristoro delle conseguenze dannose derivanti dagli atti illegittimi adottati dal Comune di Cicciano.

Con ordinanza 13 marzo 2012, n. 1051, questo Consiglio di Stato ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata, evidenziando i profili di periculum in mora connessi all’esecuzione dell’ordine di demolizione.

Alla pubblica udienza del 12 ottobre il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal proprietario di un immobile sito nel comune di Cicciano (Na) avverso la sentenza del T.A.R. della Campania con cui è stato respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti con cui il Comune ha dapprima disposto l’annullamento in autotutela del titolo edilizio e, successivamente, disposto la demolizione del medesimo immobile.

2. L’appello è infondato.

2.1. Il Collegio ritiene in primo luogo di esaminare i motivi di appello con cui (riproponendo analoghi motivi già articolati in primo grado) il sig. Napolitano contesta il presupposto in se dell’adozione dell’annullamento d’ufficio da parte del Comune, rappresentato dalla non conformità fra il manufatto da lui realizzato e la disciplina urbanistica esistente in loco.

In sintesi (e come già anticipato in narrativa), l’appellante ritiene che nel caso in esame la preesistenza di un’intercapedine di circa 3,5 mt. fra il manufatto adibito a garage cui egli aveva edificato in aderenza e il diverso immobile ad uso abitativo appartenente al vicino sul lato nord escluderebbe l’applicabilità delle disposizioni in materia di distanze, le quali – appunto – sono finalizzate ad evitare la creazione di intercapedini potenzialmente insalubri.

Il motivo in questione non può essere condiviso.

Al riguardo giova premettere che non è contestato in atti che fra la parete sul lato nord dell’edificio realizzato dall’appellante e l’edificio frontista del vicino esistesse una distanza inferiore ai 10 metri, così come non è contestato che, nell’area in cui ricade l’intervento, trovi applicazione la previsione di cui all’art. 15, pt. 1), lett. c) del P.R.G., il quale (in sostanziale continuità con la generale previsione di cui all’articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444) stabilisce che fra i fabbricati non può in alcun caso esistere una distanza inferiore a 10 metri.

Ebbene, questo essendo lo stato di fatto e di diritto sotteso alla vicenda di causa, il Collegio ritiene che la questione debba essere risolta facendo applicazione del consolidato orientamento secondo cui l’articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, laddove dispone la distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti, va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, e pertanto non è eludibile. Pertanto, le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi (in tal senso: Cons. Stato, IV, 2 novembre 2010, n. 7731;id., IV, 5 dicembre 2005, n. 6909).

Ebbene, si ritiene che il principio giurisprudenziale in questione non possa essere derogato neppure nelle ipotesi in cui (come nel caso di specie) fra due edifici preesistenti esista già un’intercapedine limitata in altezza (si tratta dell’intercapedine fra il locale adibito a garage – di altezza limitata – posto sul confine del vicino e l’immobile ad uso abitativo dello stesso vicino). Ciò in quanto, laddove (come nel caso in parola) il nuovo edificio superi in altezza – e in modo notevole – la preesistente cui aderisce, l’effetto è di determinare una nuova e diversa intercapedine, riferita allo sviluppo verticale dei due edifici e non soltanto al piano terreno.

Del resto, l’esistenza di pareti finestrate poste fra loro a distanza minima costituisce di per sé un elemento idoneo a realizzare un ambiente insalubre, atteso che l’assenza di luce ed aereazione è idonea a cagionare un ambiente nel suo complesso potenzialmente dannoso, anche a prescindere dall’altezza dal piano di calpestio in cui tale situazione si determina.

2.1.1. Appare, quindi, accertato che la costruzione realizzata dall’appellante non fosse compatibile con la disciplina edilizia in loco esistente e che, quindi, il permesso di costruire rilasciato nel novembre del 2008 fosse effettivamente illegittimo.

2.2. Si ritiene a questo punto di esaminare i diversi punti del ricorso in appello con cui (sia pure con argomenti in parte diversi) l’appellante lamenta che il T.A.R. non abbia rilevato l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado per non avere il Comune di Cicciano esposto le ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale poste a fondamento dell’annullamento in autotutela del titolo a suo tempo rilasciato.

In definitiva, sia pure con argomenti in parte differenti, l’appellante ritiene che non sussistessero nel caso di specie i presupposti per far luogo all’esercizio del potere di autotutela.

2.2.1. Il motivo è infondato.

Al riguardo il Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato orientamento giurisprudenziale (puntualmente richiamato dall’appellante) secondo cui, in linea di principio, il provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, III, 20 giugno 2012, n. 3628; id., IV, 28 maggio 2012, n. 3154; id., VI, 15 maggio 2012, n. 2774).

Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l. 11 febbraio 2005, n. 11) secondo cui la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un atto discrezionale, in via di principio, postula che esso sia realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela (in tale senso –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 7 aprile 2010, n. 1946; id., IV, 14 febbraio 2006, n. 564).

Il punto, tuttavia, è che – a parte la questione generale sul rilievo di tali orientamenti quando sia stato emanato un atto in difformità dalle previsioni legali - nel caso di specie l’esame del concreto atteggiarsi dei fatti di causa palesa la complessiva legittimità dell’attività posta in essere dal Comune di Cicciano.

Ed infatti, risulta in atti che in sede di presentazione del progetto finalizzato al rilascio del titolo edilizio (e di predisposizione delle necessarie planimetrie), il sig. Napolitano avesse omesso di indicare la distanza fra il proprio immobile e l’immobile ad uso abitativo di proprietà del vicino sul lato nord, in tal modo ostacolando de factol’attività del Comune volta a stabilire se fossero state in concreto rispettate le disposizioni in tema di distanze.

Né valgono al riguardo le giustificazioni addotte dallo stesso appellante, il quale afferma che il proprio operato fosse corretto dal momento che l’unico manufatto in relazione al quale avrebbero dovuto essere indicate le distanze era il manufatto ad uso garage al quale egli aveva costruito in aderenza.

Sotto tale aspetto, gli argomenti profusi dall’appellante non possono trovare accoglimento per le ragioni già esposteinfra, sub 2.1.

Ebbene, quanto alla tempistica della vicenda si rileva che il Comune di Cicciano, una volta venuto a conoscenza dell’esistenza di profili di illegittimità relativi al rilasciato permesso di costruire per ciò che riguarda il regìme delle distanze, dispose prontamente la sospensione dell’attività edilizia (provvedimento in data 28 maggio 2009) e che anche nel tratto temporale successivo agì con celerità e senza consentire che in capo all’appellante potesse radicarsi un affidamento legittimo in ordine alla legittimità del proprio operato. E infatti, risulta in atti che, pure a seguito del provvedimento della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola del 24 giugno 2009 - il quale aveva disposto la temporanea rimozione dei sigilli sul manufatto sottoposto a sequestro al fine di rimuovere gli eccessi di superficie e di volume -, il Comune trasmise in modo tempestivo al sig. Napolitano la comunicazione di avvio del procedimento finalizzata all’annullamento in autotutela del titolo illegittimamente rilasciato (atto in data 23 luglio 2009).

Del pari, risulta che il comportamento del Comune non abbia violato il canone del termine ragionevole neppure nella fase successiva in quanto, una volta acquisite le memorie presentate dall’odierno appellante (e valutatone il contenuto), ha disposto l’annullamento in autotutela in data 4 novembre 2009 (ossia, dopo un termine da ritenersi certamente ragionevole in relazione alla rilevanza degli interessi coinvolti e alla necessità di valutare in modo adeguato gli elementi acquisiti).

Al riguardo si ritiene che nel caso in esame debba trovare puntuale conferma l’orientamento secondo cui, in sede di vaglio circa la legittimità del provvedimento di annullamento di titoli edilizi, deve riconoscersi adeguato rilievo al comportamento (negligente o in malafede) del privato il quale abbia indotto in errore l’amministrazione attraverso una rappresentazione falsa o incompleta dello stato dei luoghi, tale da alterare la corretta formazione del convincimento degli organi decisionali (in tal senso: Cons. Stato, IV, 27 novembre 2010, n. 8291).

Sotto tale aspetto deve ritenersi la complessiva legittimità dell’operato dell’amministrazione la quale, essendo stata in un primo momento indotta in errore circa l’assentibilità del progetto a causa dell’incompleta rappresentazione delle distanze rilevanti (si veda al riguardo quanto già esposto infra, sub 2.1.), una volta posta in condizione di apprezzare l’errore commesso (e l’illegittimità del titolo medio tempore rilasciato), si è prontamente attivata per rimuovere tale illegittimità (e, comunque, dando puntualmente conto in sede motivazionale degli aspetti rilevanti ai fini del decidere).

2.3. In terzo luogo il Collegio ritiene infondato il motivo di appello con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui non ha rilevato l’illegittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio in considerazione della mancata, previa acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale (parere che, invece, è richiesto nella fase – per così dire: - ‘fisiologica’ di rilascio del titolo).

Al riguardo il Collegio osserva che, anche a voler riguardare gli aspetti procedimentali connessi all’adozione dei provvedimenti di autotutela sulla base del principio del c.d. ‘contrarius actus’, la carenza formale di uno degli atti che avevano caratterizzato l’adozione dell’atto oggetto di annullamento può rilevare ai fini di rendere illegittimo l’esercizio del potere di autotutela solo laddove l’atto omesso incida sul medesimo tratto procedimentale – e sul medesimo valore tutelato – sul quale risulta fondato l’esercizio di autotutela.

Questo Giudice di appello ha, ad esempio, affermato che non viola il principio del contrarius actus l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia illegittima, emanato senza la previa acquisizione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo cui è soggetta l'area di intervento, qualora tale rimozione avvenga esclusivamente o essenzialmente per ragioni urbanistico - edilizie, indipendenti da altre questioni connesse al predetto vincolo (Cons. Stato, V, 7 settembre 2000, n. 4741).

Ebbene, riconducendo il principio appena richiamato alle peculiarità del caso di specie, si osserva che la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale nel corso del procedimento finalizzato all’annullamento d’ufficio del titolo edilizio non sortisce valenza viziante dal momento che:

- il provvedimento di annullamento si fondava sul dato oggettivo e non suscettibile di apprezzamento discrezionale alcuno relativo al mancato rispetto della pertinente normativa (nazionale e locale) in tema di distanze;

- l’acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale è prodromico e strumentale all’acquisizione di elementi di valutazione d carattere tecnico-discrezionale circa le caratteristiche delle opere progettate.

3. Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del secondo grado di lite fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 1016 del 2012, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate del secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/12/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)